Riassunti dei Promessi sposi: capp, XVII-XIX

Materie:Riassunto
Categoria:Letteratura

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Data:17.04.2007
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Testo

Capitolo XVII
Ora che si sa ricercato, Renzo non se la sente di passare per la via maestra. Il suo timore è che sbirri siano stati disseminati per la strada alla ricerca di presunti delinquenti. Prende una strada di campagna. Cammina anche la mente che riepiloga gli ultimi avvenimenti e si ferma in particolare sul racconto del mercante, dalle cui parole lui usciva dipinto come un congiurato pericoloso, al servizio di potenze straniere. E, intanto, con le tenebre protettive e difensive aumenta l'ansia: Renzo comincia ad avvertire la stanchezza; non puo avvicinarsi alle case isolate da cui vede fiItrare la luce. Può essere ritenuto un malvivente. Anche i cani gli abbaiano contro. C'e un momento in cui, confuso tra l'intrico della vegetazione, ha un attimo di smarrimento e sta per essere preso dalla disperazione. Ma in quel momento sente la voce delle acque del fiume: è l'Adda. La notte la trascorre in una capanna abbandonata che aveva intravisto prima: vi si accomoda e il suo pensiero corre a padre Cristoforo, ad Agnese ed in particolare a Lucia, la creatura che lo aiuta e lo sorregge nel travaglio. La mattina presto si porta sull'argine: da un barcaiolo si fa traghettare sull'argine opposto. Ormai è nel territorio di Venezia e si sente come liberato dal peso dell'angoscia. A Bergamo cerca e trova il cugino Bortolo che lavora come dirigente in una fabbrica tessile. Bortolo riesce a trovargli un lavoro ed una prima sistemazione.
Capitolo XVII
Lo stesso giorno in cui Renzo varcata l'Adda si rifugia a Bergamo, la polizia milanese che ha tutti i dati anagrafici di lui ne fa ricerca nel paese. La casa è messa a soqquadro: tra la meraviglia della gente che di Renzo ha un concetto diverso, si parla di lui come di un capobanda, un eversore, un manigoldo. L'unico fatto consolante è la notizia che si è messo in salvo. Se la gente che lo conosce resta sbalordita ed incredula, gode della notizia don Rodrigo che si vede improvvisamente liberato dell'importuna presenza del fidanzato di Lucia. Ma questa gli appare irraggiungibile: nel monastero dove lei s'è rifugiata non c'è possibilità di azione e di manovra per lui. Forse ci potrebbe riuscire, se facesse ricorso ad un potente feudatario vicino: ma costui è troppo potente ed esigente. Per il momento don Rodrigo soprassiede. Le notizie su Renzo fuggiasco e ricercato dalla polizia sorprendono anche Lucia ed Agnese che si rassicurano, quando da una lettera di padre Cristoforo vengono a sapere che Renzo ha trovato scampo e libertà a Bergamo. A questo punto Agnese decide di tornare a casa: Lucia resterà accanto alla signora di Monza, sotto la protezione della stessa. Agnese, prima di raggiungere il suo paese, passa per Pescarenico: ma nel convento non trova più padre Cristoforo: era stato trasferito a Rimini. A determinare il trasferimento di Padre Cristoforo ha una parte decisiva il conte Attilio, il quale, come ha promesso al cugino, si reca a sollecitare l'intervento politico del potente conte zio. Nel colloquio con lo zio le parti si invertono: non è lo zio a guidare i fatti ma lo spregiudicato e cinico nipote, che con il suo fare e coi suoi abili suggerimenti indica allo zio quali sono le strade che deve percorrere e nello stesso tempo ne rileva la boria, la superficialità, il servilismo. Dal colloquio Attilio ha la certezza che il conte zio riuscirà nel proposito di allontanare da Pescarenico padre Cristoforo.
Capitolo XIX
Dietro il trasferimento del padre Cristoforo c'è lo zampino astuto del conte Attilio, anche lui attento al prestigio della famiglia messo in pericolo dalla fuga di Lucia e quindi dall'insuccesso del tentativo di sequestro. E poiché nel fallimento della bella impresa avviata da don Rodrigo è coinvolta direttamente o indirettamente tutta la famiglia, il conte Attilio pensa di fare ricorso a colui che della famiglia è il personaggio di maggiore spicco, il conte zio, che fa parte del Consiglio segreto dello Stato, una grande autorità, ma soprattutto un devoto servo del potere spagnolo, ed una testa molto decorata ma sostanzialmente piena di vento. Qualche giorno dopo il colloquio col nipote, il conte zio invita a pranzo a casa sua il padre provinciale dei cappuccini. Il colloquio tra i due è un capolavoro di abilità e di finezza diplomatica: ambedue sono attenti a mollare per qualche parte e a salvare l'essenziale. Cede soprattutto il padre provinciale, il quale non pone mai la questione religiosa dell'obbedienza alla verità, ma quella del tutto politica di non buttare, per padre Cristoforo, una testa calda in fondo, tutto l'ordine in una guerra. Opera quindi con discrezione e accogliendo il suggerimento del conte zio, per sopire e troncare, manda via con urgenza il padre Cristoforo da Pescarenico a Rimini con l'ordine di non interessarsi più dei fatti del paese da cui parte. È un piccolo trionfo per don Rodrigo che si vede spianata la strada verso Lucia. C'è però l'ostacolo del convento e soprattutto quello dell'essere la giovane donna protetta da una suora che appartiene a potente famiglia milanese. C'è una strada, ma è rischiosa. Può riuscirvi un potente feudatario che ha il suo castello non lontano dal territorio su cui impera don Rodrigo. Era un uomo di non comuni qualità e forza: il suo vangelo era di fare ciò che era vietato dalle leggi senz'altro gusto o interesse che quello di governare e di essere temuto dagli altri. La sua vita era disseminata di violenze, di morti anche per commissione, di delitti: intorno a lui abitava la paura che di lui aveva anche lo Stato che si guardava bene dal fargli guerra. A costui don Rodrigo decide di rivolgersi anche se la cosa gli costa tanto sul piano del prestigio e anche se, in conseguenza del servizio ottenuto, lui da allora si deve avvertire come un dipendente del potente signore, che il Manzoni chiama Innominato.

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