Racconti di vampiri

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Testo

TITOLO: La signora Amworth
AUTORE: Edward Frederick Benson
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1960
n° PAGINE: 20
n° CAPITOLI: 1
INTRODUZIONE: si
TEMPO DELLA STORIA: passato
TIPO DI NARRATORE: interno
STILE: racconto
LESSICO:
TRAMA: Il villaggio di Maxely era un posto tranquillo e salubre. Il narratore abitava vicino a Francis Urcombe, un suo grande amico a cui interessavano i fenomeni paranormali. Durante la primavera arrivò nel paese una certa signora Amworth, vedova di un funzionario dell’amministrazione inglese in India. La donna divenne molto amica dell’autore, come di tutta la popolazione, tranne di Urcombe, che la considerava un soggetto interessante dal punto di vista dei suo studi. Una sera quest’ultimo era a casa del narratore e gli stava parlando del vampirismo: uno spirito si impossessa di una persona inducendola a succhiare il sangue degli umani e gli da la possibilità di volare come un pipistrello. Nel momento in cui arrivò la signora Amworth, stava dicendo che se ne verificarono molti casi in India solo poco tempo prima.
Durante l’estate ci fu una grande invasione di grosse zanzare che mordevano nella zona del collo e provocavano un leggero avvelenamento. Il primo che fu colpito da questi strani esseri fu un ragazzo di 17 anni: diventò anemico e sempre spossato. Il medico chiese un parere ad Urcombe e questi decise che il ragazzo era stato colpito da dei vampiri. Lo portò a casa sua e la mattina seguente andò dal narratore. Gli raccontò che durante la notte aveva visto la signora Amworth, con il corpo da pipistrello, svolazzare davanti alla finestra della camera del ragazzo e cercare di aggrapparsi al davanzale. I due allora l’accusarono di essere un vampiro e le posero davanti un crocifisso. La donna molto infastidita cadde in mezzo alla strada e morì investita da un’auto. Poco dopo, però, il narratore la vide ancora vagare di notte per le strade di Maxely e, con Urcombe andò una mattina nel cimitero per trafiggerle il cuore.
TITOLO: Il conte Magnus
AUTORE: Montague Rhodes James
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1989
n° PAGINE: 17
n° CAPITOLI: 1
INTRODUZIONE: si
TEMPO DELLA STORIA: passato
TIPO DI NARRATORE: esterno
STILE: racconto
LESSICO:
TRAMA: L’autore aveva degli scritti di un certo signor Wraxall, uno scrittore di mezza età e benestante economicamente. Per scrivere un libro decise di fare un viaggio in Scandinavia e si stabilì in una locanda vicino alla villa di alcuni nobili del luogo. La grande casa aveva una chiesa, accanto a cui era stato costruito un mausoleo, che il primo membro della casata, il conte Magnus, aveva tenuto per se e per la famiglia. Questi era una specie di tiranno e si diceva che aveva partecipato ad un pellegrinaggio nero e che, da là, aveva portato con se qualche essere strano. Wraxall, incuriosito da questo personaggio, domandò al diacono della chiesa di fargli visitare il mausoleo. Quando andarono lo scrittore vide che nel centro della stanza c’era il sepolcro del conte coperto da una lastra di bronzo. Su questo strato era disegnato un uomo inseguito da una figura incappucciata e la scena era osservata da un’altura da un una persona avvolta in un mantello. Inoltre il sarcofago aveva 3 lucchetti di chi uno era caduto a terra. Ogni tanto Wraxsall si trovava a cantilenare e ad invocare il nome del conte Magnus. Poco dopo andò di nuovo al mausoleo da solo e vide che al sarcofago mancava un altro lucchetto. Il giorno dopo fu richiamato in Inghilterra. Allora andò per un’ultima volta a salutare il conte Magnus e si accorse che anche il terzo lucchetto era caduto e che la bara si stava aprendo. Corse via e per tutto il viaggio di ritorno fu inseguito de un uomo avvolto in un mantello e da una figura incappucciata. Arrivò a destinazione e trovò una camera ammobiliata. Due giorni dopo fu trovato morto in uno stato spaventoso.
TITOLO: Alla salute della strada
AUTORE: Stephen King
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1991
n° PAGINE: 21
n° CAPITOLI: 1
INTRODUZIONE: si
TEMPO DELLA STORIA: passato
TIPO DI NARRATORE: interno
STILE: racconto
LESSICO:
TRAMA: Era sera e stava nevicando molto forte, Booth e Tookey erano nel bar e parlavano. Arrivò un uomo mezzo assiderato chiedendo aiuto, perché aveva lasciato moglie e figlia nella macchina in mezzo alla bufera. I due amici lo calmarono, poi presero il fuoristrada e andarono in cerca dell’auto, che era ferma in una stradina che portava a Jerusalem’s Lot. Questa città, poco tempo prima, era stata distrutta dal fuoco ed era conosciuta come luogo infestato da vampiri. I tre arrivarono alla macchina, ma dentro non c’era nessuno. L’uomo, Gerald Lumely, iniziò a disperarsi e a correre attraverso la neve alta. Booth e Tookey cercarono di stargli dietro, ma erano troppo vecchi. Ad un tratto una donna tutta bianca, con gli occhi rossi, uscì da un gruppo di alberi e chiamò a se il marito. L’uomo si avvicinò, cercò all’ultimo momento di ritrarsi, ma il vampiro lo morse e, con un ultimo urlo agghiacciante scomparvero. I due amici, incapaci di salvarlo, tornarono al fuoristrada. Tookey ebbe un malore e si stese sul sedile posteriore. Prima di chiudere la portiera Booth vide una bimba che, stranamente, non affondava nella neve e aveva gli occhi rossi. Il piccolo vampiro chiese all’uomo di prenderlo in braccio, ma Tookey gli lanciò contro la Bibbia che gli aveva regalato la madre. La bimba scomparve con un urlo inferocito. I due amici tornarono a casa e non dissero nulla. Il giorno dopo fu trovata una macchina nella neve, ma non furono trovati i proprietari.
TITOLO: Il padiglione sulle dune
AUTORE: Robert Louis Stevenson
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1882
n° PAGINE: 41
n° CAPITOLI: 9
INTRODUZIONE: si
TEMPO DELLA STORIA: passato
TIPO DI NARRATORE: interno
STILE: racconto di suspense
LESSICO:
MESSAGGIO: L’amicizia, anche se non ricercata, è un legame forte e duraturo, che porta le persone a sacrificarsi per il bene degli altri.
TRAMA: Il giovane Frank Cassilis amava la solitudine, a tal punto da accettare di vivere con il suo compagno di università Northmour in un padiglione di una grande villa a Graden. I due non parlavano quasi mai e si vedevano raramente. Dopo alcuni mesi litigarono e Frank iniziò a vagabondare per l’Inghilterra e la scozia solitario e felice. Nove anni più tardi si ritrovò a Graden e si accampò nei pressi del padiglione. Una notte vide una goletta approdata vicino alla riva e una scialuppa che solcava le onde. Continuò a osservare e riconobbe Northmour che sbarcava assieme a una giovane donna e a un anziano. Frank chiamò il suo amico, ma questi lo aggredì e lo ferì. Nei giorni seguenti vide frequentemente Northmour e la donna passeggiare sulla spiaggia. Un pomeriggio la ragazza stava camminando da sola, non accorgendosi delle sabbie mobili lì vicine. Allora Frank lasciò il suo nascondiglio e le gridò di fermarsi. I due conversarono per poco, poi si lasciarono. La mattina dopo la donna ritornò sulla spiaggia e lo scongiurò di andarsene: disse di chiamarsi Clara Huddlestone e suo padre era ricercato dalla polizia per la bancarotta della sua banca. Northmour si era offerto di aiutarlo a scappare in cambio della mano della figlia. Gli disse anche che suo padre aveva una gran paura degli Italiani. Quella notte Frank si svegliò di soprassalto convinto che qualcuno era entrato nella sua tenda per scrutargli il viso. La mattina dopo si incontrarono di nuovo, ma lui non poteva lasciarla perché l’amava. In quel momento arrivò anche Northmour e i due iniziarono a discutere per l’amore di Clara, poi decisero di fare un patto: sarebbero restati amici almeno fino alla morte del vecchio o alla sua partenza. Gli raccontò che l’uomo aveva rubato dei soldi ai Carbonari italiani e questi volevano la sua morte. Nel pomeriggio Frank fu presentati a Huddlestone e poi aspettò con Northmour un attacco. Però gli Italiani agirono solo all’ora di cena cercando il vecchio. I quattro andarono al piano di sopra, ma si accorsero che la casa bruciava e l’unica via d’uscita era la porta che dava sullo spiazzo dove erano accampati i Carbonari. Clara aprì la porta e Huddlestone, in un impeto di follia si lanciò fuori e fu subito ucciso. Frank e Northmour, vedendo gli Italiani andarsene, portarono Clara, che era svenuta, nel bosco per rianimarla. I due ebbero un altro diverbio e, infine, Northmour la lasciò all’amico, che poco dopo la sposò.
TITOLO: Paura alla scala
AUTORE: Dino Buzzati
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1949
n° PAGINE: 26
n° CAPITOLI: 1
INTRODUZIONE: si
TEMPO DELLA STORIA: passato
TIPO DI NARRATORE: esterno
STILE: racconto di suspense
LESSICO:
MESSAGGIO: Le voci e i pettegolezzi, se ingranditi, portano a incomprensioni e al caos. Le persone che si credono poste su un gradino superiore rispetto agli uomini comuni, in questi casi, perdono la loro dignità diventando più patetici dei plebei.
TRAMA: Era la sera della prima rappresentazione alla Scala di Milano della “Strage degli Innocenti” di Pierre Grossgemuth. Il maestro Claudio Cottes era un dei pochi che aveva ricevuto gratis due biglietti per il teatro, uno per se, l’altro per il figlio, ma Arduino aveva già assistito alle prove. Per la sera della prima, alcune voci dicevano che ci sarebbe stato un attacco dei Morzi, un gruppo deciso a instaurare la “nuova giustizia”. Durante il pomeriggio un uomo telefonò con fare misterioso a Cottes chiedendo del figlio e mentre si stava recando alla Scala un giovane lo interrogò su Arduino ancora più stranamente. Però il maestro non si preoccupò più di tanto. Nessuno, comunque, fece caso alle dicerie e tutta la Milano per bene si riversò nell’atrio del teatro. Cottes guardava la folla interessato, fino a che si accorse che un palco era stato occupato da tre strani uomini. Chiese al suo vicino chi fossero e venne a sapere che era lo “stato generale” dei Morzi. Durante il primo intervallo un uomo gli disse di riferire al figlio di essere più attento e cauto. Cottes rimase sbigottito, ma quando tornò sul palco la ventata di mondanità che lo investì lo distolse dai suoi pensieri. Al termine della rappresentazione la crème della società si spostò nel ridotto dove era posto il ricevimento. Dopo tanta allegria e critiche sullo spettacolo, trapelò la notizia che i Morzi stavano per arrivare. Cadde la preoccupazione, ognuno cercava di informarsi, ma c’erano solo voci che si ingrandivano via via che passavano di bocca in bocca. Alcuni uomini stavano alle finestre, altri formavano piccoli gruppetti che discutevano sul modo in cui avrebbero condotto l’attacco e sulle conseguenze. Preoccupato Cottes decise di telefonare ad Arduino. Rassicurato dell’incolumità del figlio, tornò al ricevimento e vide che le signore si erano ridotte la capigliatura e avevano riposto i gioielli più vistosi nelle borsette. Un gruppo di uomini si era riunito nel Museo deciso a schierarsi con i Morzi. Ad un tratto Cottes decise di tornare a casa e noncurante delle raccomandazione dei presenti si avviò. A metà della piazza cadde e tutti alla Scala pensarono che fosse stato ucciso da un colpo di pistola. Ma il maestro si rialzò e la vita nella grande città riprese a scorrere come sempre.

TITOLO: I delitti della Rue Morgan
AUTORE: Edgard Allan Poe
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1841
n° PAGINE: 25
n° CAPITOLI: 1
INTRODUZIONE: si
TEMPO DELLA STORIA: passato
TIPO DI NARRATORE: interno
STILE: racconto giallo
LESSICO:
MESSAGGIO: A volte l’uso del ragionamento aiuta a risolvere problemi che, a prima vista, sembrano impossibili da capire.
TRAMA: Monsier Augusto Dupin, un uomo di origini nobili, ma pieno di debiti, viveva, con l’autore, in ristrettezze economiche, permettendosi solo libri. Il narratore fa notare che l’intelligenza e la capacità di ragionamento del suo amico erano fuori del comune. Un giorno da un giornale appresero di uno strano delitto accaduto in una casa nella Rue Morgan. Due donne, Madame L’Espanaye e sua figlia, furono trovate uccise in modo brutale: la prima nel cortile di casa con la gola recisa e l’altra strangolata e incastrata a forza nel camino. La stanza era chiusa e immersa nel disordine, ma non erano scomparsi gioielli, né denaro. I vicini avevano sentito distintamente una persona urlare “Mio Dio” e un’altra voce stridula e sicuramente straniera. La polizia aveva arrestato un uomo, sicuramente innocente. Dupin deciso a risolvere il caso con l’uso dell’intelligenza ottenne il permesso di indagare e di visitare l’appartamento delle due donne. Dopo qualche giorno chiamò il suo amico, gli dimostrò il modo in chi si poteva, grazie a una notevole forza e agilità, entrare e uscire dalla stanza del delitto e gli fece vedere dei peli, non umani, che aveva trovato nelle mani della donna più anziana. Poi gli disse di aver pubblicato su un giornale un annuncio di un ritrovamento di un orango e che il proprietario stava arrivando. Infatti, poco dopo sentirono dei passi sulle scale e fecero entrare un marinaio maltese che, messo alle strette, confessò che il delitto era stato commesso dal suo orango. Disse che gli era scappato, lui lo aveva inseguito, ma l’animale era entrato nella casa delle vittime attraverso una finestra, aveva soffocato la ragazza, l’aveva infilata nel camino, poi aveva inseguito la madre e, con un rasoio, l’aveva sgozzata.
TITOLO: La panne
AUTORE: Friedrich Durrenmatt
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1956
n° PAGINE: 30
n° CAPITOLI: 2
INTRODUZIONE: si
TEMPO DELLA STORIA: passato
TIPO DI NARRATORE: esterno
STILE: racconto giallo
LESSICO:
MESSAGGIO: Nel passato di tutti noi sono sempre nascosti problemi e paure, ma non per questo bisogna perdere le speranze per la vita futura.
TRAMA: Alfredo Traps lavorava nel settore tessile e, quel giorno, gli si fermò la macchina per una banale panne in un paese di campagna. Decise di pernottare in quel villaggio e si diresse verso una grande casa. Il vecchio proprietario gli offrì la cena a cui aveva invitato degli amici, tutti attempati: Pilet, Kummer e Zorn. Inoltre gli chiese se voleva partecipare al loro gioco. Lui in passato era stato un giudice, Zorn un pubblico ministero e Kummer un avvocato. Il gioco consisteva nello scavare nel passato dell’ospite fino a trovare un delitto da lui commesso e, infine, giudicarlo. Traps dichiarò subito di non avere niente sulla coscienza e quindi iniziò a conversare senza pensare troppo alle sue parole. Parlò del suo lavoro e del suo capo, morto poco tempo prima. Disse che aveva avuto una relazione con la moglie dell’uomo e che, dopo avergliela rivelata, questi morì per un infarto. Il pubblico ministero, allora, lo accusò di aver ucciso il suo capo in un modo assai ingegnoso. Infatti aveva avuto quella relazione con la donna proprio pensando di rivelarla all’uomo, causandogli un’agitazione, molto pericolosa nei malati di cuore. Traps, ubriaco ed entusiasta del gioco, dichiarò che aveva agito con quel fine e che era pienamente d’accordo con la sentenza di morte pronunciata dal giudice. Pilet, il boia, lo accompagnò nella sua camera, mentre gli altri scrivevano la sentenza. Traps, però, troppo ubriaco per pensare, si dimenticò che era un gioco, si convinse di aver veramente ucciso il suo capo e, arrivato nella stanza, si impiccò.

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