Neoclassicismo

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Testo

Neoclassicismo
Nella seconda metà del '700 (in pieno illuminismo) si forma un movimento di carattere artistico, che in un secondo momento investe anche il campo della letteratura, che va sotto il nome di neoclassicismo; il momento d'inizio coincide con gli scavi, effettuati da Winckelmann, di Pompei ed Ercolano, simboli della cultura classica. Quest'importante scavo archeologico fece nascere nell'opinione pubblica un interesse per il mondo classico, e per le sue idee (in particolare l'ideale d'armonia e l'ideale di bellezza). Questa nuova corrente investì l'Europa e specialmente l'Italia, che aveva sempre cercato di valorizzare, anche in epoche precedenti, la cultura classica. L'imitazione del mondo classico fu codificata dallo stesso Winckelmann, nel suo libro "Storia dell'arte antica"; egli affermò non l'imitazione delle opere classiche, ma l'imitazione del modo con cui l'artista del mondo classico aveva imitato la natura, che resta anche per il neoclassico il punto di partenza. Ad esempio, Zeusi utilizzò per la sua Venere più di una modella in modo da infondere all'opera un proprio ideale di bellezza, che si ritrova in vari elementi della natura. Il ritorno al mondo classico non è un fatto nuovo, ma è una costante che si ritrova in molte epoche storiche: durante la Patristica con il recupero mediante l'allegoria, durante l'Umanesimo alla ricerca dell'Humanitas, con l'Arcadia insieme al rifiuto degli eccessi del barocco, con Parini ed Alfieri che attinsero al mondo classico per sviluppare le loro tematiche ("su versi antichi costruiamo versi moderni"). Il Neoclassicismo scoprì l'archeologia e propose il raggiungimento di un ideale di bellezza ispirato all'atteggiamento del mondo classico; non si tratta di una fuga, ma di un'affermazione in un'epoca di soprusi e di rivolte, dei grandi ideali (patria, popolo, libertà....) che si andavano ad identificare con la bellezza.
In Italia viene riproposta l'imitazione dei classici in due modi differenti:
• Quello del Monti, che non proporrà nessun ideale di vita politica, ma soltanto un'imitazione non creativa, in quanto ripetizione di un mondo che aveva raggiunto una perfezione che non si poteva superare; il suo ideale è un ideale letterario: scrive per il piacere di scrivere esaltando qualunque cosa lo colpisca, che gli veniva commissionata da chiunque (Francia, Austria....). Il Monti eccelse nelle traduzioni (la sua traduzione dell'Iliade è tutt'oggi insuperabile), e venne definito "traduttor dei traduttori" per indicare che era colui che non si basava sulla natura, ma sull'opera altrui: per questo verrà giudicato, dopo la sua morte sterile e privo di ideali.
• Quello del Foscolo, che proponeva un ideale di bellezza, esprimeva l'ideale della patria. Egli diede al mito classico un carattere moderno, trattando di situazioni concrete; in tutta la sua opera appare il concetto di patria ideale, rifacendosi alla Grecia dove nacque.
Il Neoclassicismo venne appoggiato sia dalla Francia napoleonica sia dall'Austria reazionaria, in quanto chiunque poteva trovarvi degli ideali in cui si identificava. Napoleone vi trovò l'esaltazione dell'idea di impero universale, mentre l'Austria favorì la rivista neoclassica e conservatrice "La Biblioteca Italiana", mentre soppresse la rivista romantica "Il Conciliatore". Questo fatto portò il critico Salvatorelli a considerare il Neoclassicismo come "intercambiabilità ideologica"; il mondo classico si presta d'ogni interpretazione possibile nell'ottica di un'arte = vita (civile e politica).
In quest'epoca non esiste solo il Neoclassicismo come corrente culturale; ad esempio, è presente la scuola napoletana (di cui avevano fatto parte anche Vico e Sarpi), in cui spicca l'opera di Vincenzo Cuoco, che rivolge una profonda critica all'astrattismo ideologico, all'Illuminismo e alla Rivoluzione Francese. Secondo Cuoco la Rivoluzione Francese ebbe successo in quanto reazione di quella specifica realtà e la rivoluzione napoletana aveva sbagliato a rifarsi alla rivoluzione francese come modello; in oltre affermò che non bisogna rivolgersi al popolo proponendo un'ideologia (come avviene con la borghesia), perché il popolo si muove solo per il pane.
Ugo Foscolo
Ugo Foscolo nacque il 6 febbraio 1778 a Zante una delle isole ioniche da padre veneziano e madre greca. Dopo la morte del padre egli si trasferì a Venezia, dove partecipò ai rivolgimenti politici del tempo manifestando simpatie verso Napoleone, salvo pentirsene amaramente dopo il trattato di Campoformio. Di qui andò in esilio volontario e si recò a Milano, dove conobbe Parini e Monti; passò poi a Bologna e a Genova dove combatte come Guardia nazionale. Nel 1804 fece parte in qualità di capitano dell'armata francese destinata allo sbarco in Inghilterra e visse in varie città francesi. Tornato in Italia, venne nominato professore di eloquenza all'Università di Pavia. Dopo l'abdicazione di Napoleone, abbandonò l'Italia per non dover giurare fedeltà agli austriaci e si rifugiò prima in Svizzera e poi a Londra, dove ebbe serie difficoltà economiche a causa delle eccessive spese e dovette lavorare per guadagnarsi da vivere. Ammalatosi di idropisia, morì il 10 settembre 1827 in un villaggio vicino Londra.
Visse a cavallo tra il 700 e l'800 ed è considerato il primo grande intellettuale dell'età neoclassica; per il periodo in cui nacque è un figlio naturale dell'illuminismo ed incarna in sé tutti i fermenti culturali del mondo in cui vive. Troveremo presenti e coesistenti in ogni sua opera tutti e tre gli elementi culturali che caratterizzano l'età a lui contemporanea (Neoclassicismo, Illuminismo, Preromanticismo). Non possiamo seguire analizzando l'opera di Foscolo un itinerario in cui distinguiamo una fase illuminista poi una fase neoclassica e infine una fase preromantica; troveremo soltanto opere in cui sono presenti insieme tutti e tre questi elementi (persino nelle Grazie, che sembrano un regresso culturale verso il neoclassicismo dopo gli slanci dei Sepolcri, troviamo ad una attenta analisi tutti e tre gli elementi).
La sua nativa Zante, che definì "la culla della civiltà" restò la sua patria ideale e le dedicò un bellissimo sonetto (A Zacinto), mentre Venezia venne considerata la patria reale, dove si lasciò coinvolgere nei rivolgimenti politici del tempo. E' questo un periodo in cui il Foscolo perde di vista la razionalità e si lascia prendere dalla passione. Dopo essersi sottoposto ad un esilio volontario ebbe un momento di serenità innamorandosi di Teresa (forse la moglie del Monti); elementi autobiografici di questa parte della vita del Foscolo sono presenti nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, ma l'autobiografia cede il passo alla fantasia e vengono presentati quegli ideali (chiamati poi "illusioni") che permettono all'uomo, tornato alla razionalità, di avere ragioni di vivere abbastanza forti da impedire il suicidio. Nell'Ortis troviamo abbozzati tutti gli elementi che verranno elaborati nelle opere successive (gli ideali della patria, della poesia, dell'amore....). Il protagonista segue una direzione diversa dallo scrittore: Ortis arriva al suicidio, Foscolo no pur sempre aspirando alla pace e alla tranquillità nella sua travagliata esistenza. Un momento di serenità Foscolo lo visse nel contemplare le memorie dei grandi del passato, visitando le tombe di Santa Croce.
Foscolo fu illuminista, quindi ateo e credente nella materialità e nella meccanicità dell'esistenza; tuttavia visse il momento di crisi dell'illuminismo, ed alcune di quelle concezioni determinarono in Foscolo una visione pessimistica della vita. Foscolo aspira alla gloria, alla fama, all'eternità e la concezione illuministica (che vedeva la vita fatta di movimenti meccanici) limita la realizzazione di questa aspirazione, essendo l'uomo finito e soggetto alla morte. E' la realtà della morte che in Foscolo è causa del suo pessimismo. Egli vive la passionalità tipica dei giovani del tempo e comincia ad elaborare quella che sarà definita come "la filosofia delle illusioni" pur continuando a considerare il valore della ragione (alla base del ragionamento di Foscolo c'è sempre un procedimento razionale). "Le illusioni" danno un senso all'intera esistenza e contribuiscono alla convinzione di vivere per un qualcosa contrapposta all'idea del suicidio, sempre presente in Foscolo. Le illusioni sono la patria, la poesia, la famiglia, l'amore; e troveremo nei Sepolcri "l'illusione delle illusioni": la poesia civile.
Accanto alla produzione maggiore (Ortis, Odi, Sonetti, Grazie, Sepolcri) ci sono altre opere, in particolare la fase didimea; è la fase dell'anti-Ortis, del viaggio in Inghilterra, del Foscolo maturo che ha abbandonato la passionalità e guarda con occhio critico ed ironico le cose della vita. Scrisse anche alcune tragedie (Aiace, Tieste e Ricciarda) ad imitazione dell'Alfieri, nel momento in cui questi raggiungeva l'esaltazione dell'agire passionale.
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis
E' un romanzo epistolare, formato da lettere che si immagina vengano spedite al carissimo amico Lorenzo. Si tratta di un genere relativamente nuovo, e anche per questo la critica vi ha visto un'imitazione dei "Dolori del giovane Werther" di Goethe; questo è vero per certi aspetti, ma a ben vedere riconosciamo che nel Werther è completamente assente l'elemento politico e che si segue un diverso iter narrativo (già dalla prima lettera sappiamo che Werther si suiciderà, mentre per Ortis quest'idea si sviluppa nel corso del romanzo). Sul piano letterario, Foscolo mentre compone l'Ortis ha come modello l'Alfieri passionale del suicidio titanico, e la sua intenzione era quella di dare al suicidio un valore dimostrativo. In Alfieri il suicidio titanico era un gesto razionale e cosciente, perché riteneva che solo così avrebbe potuto colpire l'immaginario collettivo; in Foscolo troviamo un relativo fallimento nel tentativo di creare un suicidio titanico, perché, preso da tante sollecitazione nel lungo corso della stesura dell'opera, che era stata concepita in embrione come tentativo di dare un senso alla vita dell'uomo tramite il suicidio, fa compiere ad Ortis, dopo una progressiva maturazione, un gesto di completa irrazionalità, e non un atto coscientemente voluto.
Odi
La composizione delle Odi è contemporanea all'Ortis e ai Sonetti, che prolungano in una più complessa armonia l'esperienza del poeta. Le Odi, entrambe del 1802, sono: A Luigia Pallavicini e Alla amica risanata. Sono entrambe composizioni in cui il Foscolo abbonda di immagini neoclassiche.
"Alla amica risanata"
Venne scritta in occasione della guarigione di Antonietta Fagnani Arese, molto amata dal Foscolo; in quest'ode viene riproposto il tema della bellezza recuperata dopo la malattia, ma comunque destinata a sfiorire. La bellezza, però, continuerà a sopravvivere grazie alla poesia eternatrice, che, in quest'ode rivolta alla bellezza, verrà poi rivolta nei Sepolcri ai valori civili ("E tu onore di pianti, Ettore, avrai ove fia santo e lacrimato il sangue per patria versato"), andando a conseguire la maggiore delle illusioni.
Nella prima parte dell'ode Foscolo celebra la bellezza dell'amica ormai guarita; lo stile è tipicamente classico, con un procedere lento, ricco di metafore, che vuole assaporare la bellezza descritta. Nella seconda parte si intraprende il tema della poesia eternatrice, facendo uso di riferimenti classici (Artemide, Bellona,....) volti a dimostrare come la poesia sia stata in grado di rendere immortale la bellezza mortale.
Sonetti
Nel 1802 il Foscolo pubblicò a Pisa sul "Giornale dei Letterati" otto sonetti, ai quali aggiunse poi in un'edizione successiva altri quattro sonetti, che sono quelli più maturi dell'autore; lo spirito passionale e l'autobiografismo, già sperimentati nell'Ortis restano inalterati. Tuttavia l'autobiografismo viene racchiuso in una sfera ideale: Foscolo appare in prima persona ed i sonetti ruotano tutti intorno all'Io, cosa che non avverrà nei Sepolcri.
A Zacinto
Il sonetto A Zacinto canta la patria del Foscolo, non semplicemente come patria reale, ma soprattutto come patria ideale. Intorno a questo tema ruotano molti altri aspetti; l'esilio dalla patria, incarnato da Ulisse (che in Foscolo assume il ruolo dell'eroe "bello di fama e di sventura" in quanto lottatore contro il destino avverso), il ruolo della poesia, incarnata nella figura di Omero (che per Foscolo simboleggia il poeta epico per eccellenza) ed infine, nella terzina conclusiva, il tema della tomba illacrimata. Non a caso il primo punto appare alla fine dell'undicesimo verso, ad indicare un momento di riflessione, e non di separazione, prima della terzina finale, immediata conseguenza dei versi precedenti; nei primi undici versi abbiamo un ritmo continuo con i termini che si intrecciano gli uni con gli altri ed ogni riferimento che si allaccia subito al precedente (Zacinto - greco mar - Venere - Omero - Ulisse - Itaca). E' impossibile commentare parola per parola questi versi senza entrare nella mente del poeta. Il tema della tomba illacrimata verrà riproposto, sempre legato all'esilio, nel sonetto In morte del fratello Giovanni.
In morte del fratello Giovanni
Composto nel 1802, in occasione del suicidio del fratello Giovanni Dionigi di fronte alla madre per un grosso debito di gioco, il sonetto "In morte del fratello Giovanni" prende come uno dei modelli un componimento di Catullo, che cantò la tomba del fratello morto dopo averla visitata; Foscolo al contrario è convinto di non poter mai veder la tomba del fratello. Man mano che i versi procedono alla tomba del fratello si sostituisce quella di Foscolo, in conseguenza dello sviluppare la tematica della tomba: le tombe dei morti servono ai vivi. Foscolo ha una visione atea e non crede nella vita ultraterrena; così la tomba è un'illusione che serve al vivo per farsi ricordare dai propri cari. "Solo chi non ha eredità di affetti" non si cura della sua tomba, tutti gli altri credono nell'illusione di poter lasciare un ricordo di sé negli animi dei familiari, cercando una risposta a quell'ansia di eternità che tormenta anche Foscolo, il quale cercherà di placarla con la poesia. Nella prima strofa il Foscolo sembra di volere andare veramente a vedere "il fior de'tuoi gentili anni caduto", unito alla speranza che il suo esilio possa essere temporaneo. Ma questa speranza si poggia su qualcosa di molto vago come vediamo nell'ultima terzina ("questo di tanta speme oggi mi resta!"). Rimane l'illusione di poter essere ricordati dopo la morte, illusione che diventa lo scopo della propria vita. E' un'illusione perché non si basa su un ragionamento razionale. L'unica speranza per il vivente di sopravvivere dopo la morte è quella di essere ricordato come esempio per i posteri e di essere annoverato tra i grandi del passato. Quest'ultimo pensiero verrà perfezionato nei Sepolcri.
Alla Sera
Viene considerato come il più bel sonetto del Foscolo: "esprime lo smorzarsi di un tumulto grande ma umano nello sconfinato sopore dell'universo" (Momigliano). Nel silenzio della sera il Foscolo si lascia andare ai suoi pensieri, rappresentando tutto il percorso compiuto nei sonetti, dal travaglio per l'esilio e per la tomba illacrimata fino a concludersi con un momento di quiete, in cui si desidera la morte per appianare i tumulti del giorno. C'è quasi un'accettazione virile dell'esistenza, con tutti i suoi dolori e i suoi travagli, che porta ad un ritrovare la pace, facendo propria quella pace che viene emanata dalla sera. Si tratta comunque di una pace momentanea, di un intervallo tra le afflizioni, in cui riesce a far dormire "quello spirto guerrier che entro mi rugge".
-GIACOMO LEOPARDI-
Altro grande esponente del Romanticismo fu G. Leopardi; la sua biografia, come quella del Manzoni, è povera di avvenimenti esterni ma è assai ricca di vita interiore. Egli nacque nel 1798 a Recanati; appartenne a una famiglia di origine nobile, ma economicamente dissestata, per la cattiva amministrazione del patrimonio dovuta alla leggerezza e l’inesperienza del padre. Egli ebbe un’infanzia abbastanza difficile a causa dell’arretratezza del padre e la freddezza della madre, che si dedicò al patrimonio della famiglia, non curante degli affetti familiari, inoltre egli viveva a Recanati che egli stesso definì "un borgo selvaggio" per la sua arretratezza. Il poeta compì i primi studi sotto la guida del padre e di due precettori, ma per la precocità del suo ingegno fu presto in grado di studiare da solo, servendosi della ,vasta, biblioteca paterna dove trascorse sette anni, durante i quali si formò una vasta cultura, ma si rovinò la salute, fra i diciassette e i diciott’anni si verificarono, le così dette conversioni del Leopardi:
1. La conversione letteraria, col passaggio dalla erudizione e dalla filologia alla poesia;
2. La conversione filosofica, col passaggio dalla fede religiosa in cui era stato severamente educato, all’ateismo e al materialismo illuministico;
3. La conversione politica, col passaggio dalle idee reazionarie del padre alle idee liberali e democratiche. Sulla conversione politica influì notevolmente l’amicizia col Giordani.
Il pensiero.
Il pensiero del Leopardi, come per il Foscolo ,trae origine dalla concezione meccanicistica del mondo che egli aveva appreso dall’illuminismo. Per il Leopardi, infatti, il mondo è fatto di materia sottoposta a leggi meccaniche e anche l’uomo è sottoposto a queste leggi di trasformazione della materia. Egli non solo è una creatura debole e indifesa, che dopo una vita di sofferenze si annulla totalmente con la morte, ma è anche un essere insignificante nel contesto della vita universale, "una pagliuzza nel turbino del vento".
Anche per il Leopardi questa nuova fede era motivo di tristezza e di pessimismo, perché egli avverte dolorosamente i limiti della natura umana tutta chiusa nella prigione della materia in contrasto con l’innata aspirazione dell’uomo all’assoluto e all’infinito. Un altro elemento che caratterizzò il pessimismo leopardiano fu la sua giovinezza, Leopardi infatti visse in modo permanente quello che è il dramma momentaneo di tutti gli adolescenti e i giovani; il Leopardi non riuscì mai a inserirsi nel suo tempo, un po’ a causa della rigidità e ottusità del contesto familiare che non gli consentiva ampia possibilità di scelta, un po’ per l’angustia dello stesso ambiente paesano, che lo condannò all’isolamento e lo privò di rapporti umani, di esperienze concrete, delle soddisfazioni che provengono all’uomo dal lavoro o da qualunque attività che lo impegni e lo faccia sentire utile a sé e agli altri, così egli si chiuse in sé stesso e di meditazione in meditazione pervenne ad una visione totalmente pessimistica della vita.
Gli studiosi hanno distinto tre aspetti del pessimismo leopardiano:
1. Il pessimismo personale o soggettivo, è il primo aspetto del pessimismo leopardiano; esso sorge quando il poeta è ancora un adolescente, a determinare questo sentimento d’infelicità personale, prima fra tutte fu l’ambiente familiare e una delicatissima sensibilità d’animo, acuita dal deperimento organico e dall’aspetto fisico, a vent’anni il Leopardi si sente già vecchio, spiritualmente e fisicamente.
2. Il pessimismo storico o progressivo vede gli uomini felici soltanto nell’età primitiva quando vivevano allo stato naturale, ma poi essi vollero uscire da questa beata ignoranza e innocenza istintiva e, servendosi della ragione, si misero alla ricerca del "vero". Le scoperte della ragione furono catastrofiche, l’uomo scoprì le leggi meccaniche che regolano la vita dell’universo, scoprì il male, il dolore, l’infelicità, l’angustia esistenziale. La storia dell’uomo quindi- dice il Leopardi- non è progresso ma decadenza, da uno stato di inconscia felicità naturale a uno stato di consapevole dolore, messo in evidenza dalla ragione. Ciò è avvenuto nella storia dell’umanità che si ripete immancabilmente nella storia di ciascun individuo. il Leopardi in oltre, approfondisce la sua meditazione sul problema del dolore e conclude che la causa di esso è proprio la natura, in quanto ha creato l’uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che egli non l’avrebbe mai raggiunta. Così di fronte la natura Leopardi assume un duplice atteggiamento, ne sente allo stesso tempo il fascino e la repulsione. L’ama per i suoi spettacoli di bellezza , di potenza e di armonia; la odia per il concetto filosofico che si forma di essa, fino a considerarla non più una "madre benigna e pia" ma "una matrigna" crudele ed indifferente ai dolori degli uomini.
3. Il pessimismo cosmico o universale; esso è chiamato così perché investe tutte le creature e proprio in questo momento della sua meditazione il Leopardi rivaluta la ragione, prima considerata causa di infelicità; essa è si consapevole di aver distrutto le illusioni con la scoperta del vero, ma è anche l’unico bene rimasto agli uomini. L’effetto di tale pessimismo è la "noia" intesa come "stanchezza del vivere".
La conclusione del pessimismo leopardiano dovrebbe essere analoga a quella di Jacopo Ortis, il suicidio considerato come unicomezzo di liberazione dall’angoscia esistenziale, ma il Leopardi condanna il suicidio, perché riconosce che siamo legati alla vita dall’istinto naturale di sopravvivenza e dal dovere di solidarietà e fratellanza con tutti gli uomini, che sono nostri compagni di sventura.
La poetica.
Leopardi difese sempre il classicismo, ma non tutto, esattamente il classicismo primitivo, quello dei poeti più antichi (Omero soprattutto), i quali esprimevano i propri sentimenti con sincerità e naturalezza, ma soprattutto con grande originalità.
Egli comunque fu chiaramente un romantico, infatti, fece sua la distinzione dei romantici tedeschi, fra poesia d’immaginazione e poesia di sentimento. La poesia d’immaginazione, è quella che si nutre di miti e di fantasie, ed è la poesia vera, perfetta, inimitabile, perché i poeti primitivi credevano veramente nei miti che cantavano. La poesia di sentimento invece si nutre di effetti e di idee (filosofiche, morali, sociali ecc.), ed è la poesia dei tempi moderni, più razionale e filosofica e perciò meno immaginativa e poetica. Egli inoltre considera la poesia più vera, quella che nasce dalle rimembranze, dalle rievocazioni , cioè, del passato specialmente dell’infanzia e della giovinezza, in quanto il presente non è mai poetico per la banalità e la meschinità dei suoi aspetti;
GIOVANNI PASCOLI
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855.
Non era che un giovinetto quando il 10 agosto 1867 suo padre, amministratore di una tenuta agricola, fu ucciso con un colpo di fucile mentre tornava, sul calesse, a casa da una fiera.
Questo terribile evento lasciò un’ombra indelebile nel cuore del futuro poeta, che eternò la tragedia familiare in famose poesie come "Il 10 agosto" e "La cavalla storna".
Giovanni si ritrovò a dover pensare lui al mantenimento della famiglia.
Egli passò gan parte della sua infanzia nel collegio dei Cappuccini ad Urbino, luogo spesso presente, per le immagini, nelle sue poesie.
Il poeta continuò i suoi studi per poi iscriversi, nel 1873 alla facoltà di lettere all’Università di Bologna.
Lì ebbe maestri Giosuè Carducci, Francesco Acri e Giovanni Battista Gandino, i quali, con il loro alto magistero, contribuirono in maniera determinante alla formazione del poeta.
Superato un periodo difficile durante il quale fu sfiorato dall’idea di uccidersi, Pascoli si laureò nel 1882 e ottenne la cattedra di lettere classiche nel liceo di Matera dove fu trasferito in seguito, a Massa e a Livorno.
Nel 1891, il poeta pubblicò la sua prima raccolta di versi : Myricae.
Nel 1895 fu nominato professore di grammatica latina e greca all’università di Bologna.Nel 1897 si trasferì a Messina dove con i primi risparmi comprò una casa a Castelvecchio vicino Braga, nella quale passava i suoi periodi di vacanza con l’amata sorella Maria.
In seguito chiese il trasferimento all’università di Pisa.
Nel 1905 fu chiamato a sostituire Carducci alla cattedra di Bologna dove insegnò sette anni per poi spegnersi immaturamente.
Nel 1912 fu sepolto a Castelvecchio, ormai divenuto un sacrario.
Il poeta fissaintensamente tutto ciò che lo circonda, oggetti, fatti e tutto quello che sorge dal fondo del suo essere.
Ecco perché il soggetto di molte delle sue poesiesono paesaggi.
Il Pascoli per ricreare queste immagini con la sua fantasia, le ha come modernizzate, assimilandole a se e facendone originali creazioni poetiche.
GIUSEPPE UNGARETTI
E
L’ERMETISMO
L’ermetismo è una corrente poetica sviluppatasi tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Il temine fu diffuso da critico Francesco Flora (1891-1961), che con esso volle indicare un tipo di poesia di difficile comprensione sia per i contenuti privi di appartenente logicità sia per la forma che non sempre segue le regole sintattiche. Questa difficoltà di comprensione dipende dall’esigenza dei poeti di rivelare i sentimenti più profondi dell’animo con immediata sincerità.
Queste sono le principali differenze per cui la poesia ermetica si distaccò completamente dalle precedenti correnti letterarie.
Il linguaggio ermetico non è mai narrativo, ma diventa sintetico, ricco di immagini rapide e rivelatrici, sviluppate in periodi e versi brevissimi. Inoltre spesso il poeta ermetico per trasmettere in modo diretto il suo messaggio e sollecitare nel lettore immagini insolite e suggestive.
Giuseppe Ungaretti
Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888, dove la sua famiglia di origine toscana, precisamente di Lucca, si era trasferita per ragioni di lavoro.
Suo padre, che lavorava come operaio alla costruzione del canale di Suez, muore in un incidente; è così la madre che riuscì a mandare avanti la famiglia grazie ai guadagni di un negozio della periferia di Alessandria.
Ungaretti dopo aver terminato gli studi nelle scuole egiziane, a ventiquattro anni li perfeziona per due anni a Parigi.
Nel 1914, mentre si trovava in Versilia, viene richiamato alle armi come fante per partecipare alla guerra. E’ in questo periodo che Ungaretti scrive le sue poesie più belle.
Alla fine della guerra ritorna a Parigi dove si sposa, dal 1936 al 1942 insegna letteratura italiana all’Università di S. Paolo in Brasile. In questo periodo muore suo figlio alla sola età di dieci anni. Nel 1948 ricoprì la cattedra di letteratura all’Università di Roma fino al 1958. Morì all’età di settantadue anni nel 1970.
Tra le sue opere più importanti vanno citate: Il porto sepolto, l’Allegria, Il sentimento del tempo, Il dolore, La terra promessa e Il taccuino del vecchio.
San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E’ il mio cuore
il paese più straziato
da "L’Allegria"
Soldati
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

GIUSEPPE
UNGARETTI
L’ermetismo
L’ermetismo è una tendenza poetica sviluppatasi all’inizio del secolo.
Il termine ermetismo significa "perfettamente chiuso", ma anche "arcano, misterioso". Infatti, le poesie ermetiche sono molto scarne di spiegazioni e di descrizioni, ma sono piene di significati profondi.
L’ermetismo si divide in due generi: la poesia delle cose quotidiane e la poesia evocativa. La prima descrive cose abituali, spiegandole con termini inusuali, esprimendo pensieri e sentimenti. A volte è ispirata a pensieri autobiografici, legati ai luoghi d’infanzia del poeta.
La seconda tendenza è composta da piccole liriche che cercano nell’espressività delle immagini, la potenza evocativa per creare atmosfere e stati d’animo.
Particolarità della
Poesia ermetica
• E’ presente la ricerca della musicalità e sonorità, espresse attraverso tecniche di assonanza, di allitterazione, e di ritmi metrici particolari.
• La parola è essenziale, e deve rappresentare molti significati.
• Si rilevano inoltre contrasti tra i significati di parole, tipica tecnica dell’ossimoro, la quale accosta significati antitetici, creando suggestioni profonde.
Piccolo glossario
Assonanza: Rima imperfetta. Si ha quando le vocali sono uguali, ma le consonanti
sono diverse
Allitterazione: Ripetizione degli stessi suoni all’inizio delle frasi.
Ossimoro: Accostamento di due parole di significato opposto.
Vita di Giuseppe Ungaretti
Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888, e trascorre l’infanzia in Africa, dove il padre lavora per la costruzione del Canale di Suez. Dopo il liceo si trasferisce a Parigi, dove conosce molti intellettuali.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, parte volontario per il fronte del Carso. Da questa esperienza nascono alcune sue poesie. Ungaretti si rivela poeta rivoluzionario, e apre la strada all’ermetismo. Le liriche sono brevi, a volte ridotte ad una sola preposizione, ed esprimono forti sentimenti.
Dopo la guerra ritorna in Francia. Rientra in Italia nel 1921. Nel 1933 esce "Il sentimento del tempo", la raccolta che segna l’inizio della sua seconda fase poetica. Le liriche sono più lunghe e le parole più complesse.
Nel 1939, in Brasile per insegnare letteratura italiana all’Università di San Paolo, Ungaretti perde il figlio di nove anni. Nel 1944 inizia la terza fase di produzione poetica, più mediativa e stilisticamente meno innovativa. Il poeta riflette sulla vita, cosa derivata dall’età.
Torna in Italia nel 1942, a Roma, dove insegna all’Università.
Muore a Milano nel 1970, dopo la sua ultima lirica "L’impietrito e il vellutato".
Analisi delle poesie
Le poesie di Ungaretti, sono molto diverse da quelle degli altri poeti. Esse, infatti, sono molto brevi, a volte composte da una sola frase, mancano di punteggiatura ed è molto importante il titolo.
Poesie brevi
Le poesie di Ungaretti sono brevi; infatti l’autore è un poeta ermetico. Questa forma letteraria, difatti, dà poca importanza alla lunghezza della poesia, esaltando invece le emozioni forti, a volte molto evidenti, a volte nascoste.
Mancanza della punteggiatura
La mancanza della punteggiatura dà alla poesia un senso di dolore. Infatti, le poesie di Ungaretti sono molto tristi, essendo ispirate dalla Prima Guerra Mondiale. Anche gli spazi tra una strofa e l’altra sono importanti: danno alla poesia un ritmo simile ad un singhiozzo.
L’importanza del titolo
Il titolo, nelle poesie ermetiche, è molto importante. In esse, infatti, è racchiuso tutto il significato della poesia, e, a volte, ne è racchiusa la morale.
"Veglia"
Un’intera nottata
Buttato vicino
A un compagno
Massacrato
Con la sua bocca 5
Digrignata
Volta al plenilunio
Con la congestione
Delle sue mani
Penetrata 10
Nel mio silenzio
Ho scritto
Lettere piene d’amore
Non sono mai stato
Tanto 15
Attaccato alla vita
Cima Quattro il 23 Dicembre 1915
Parafrasi
Ho passato tutta la notte vicino ad un compagno morto, con la bocca aperta in un ghigno di sofferenza che guarda la luna, con il gonfiore delle mani che tormenta il poeta, scrive lettere piene d’amore
Non sono mai stato tanto legato alla vita.
Commento
In questa poesia, il poeta esprime il suo pensiero riguardo la guerra e la vita. Nella prima parte descrive il suo compagno morto, ed esprime il suo parere sulla guerra. Nella seconda parte Ungaretti scrive che la vita è importante.
La poesia è corta e senza rime, ed è costituita da versi che non hanno la stessa lunghezza.
"Fratelli"
Di che reggimento siete
Fratelli?
Parola tremante
Nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
Involontaria rivolta
Dell’uomo presente alla sua
Fragilità
Fratelli
Mariano il 15 Luglio 1916
Parafrasi
Di che reggimento siete fratelli?
La parola fratelli trema nella notte
La parola fratelli esprime un desiderio di pace
Nell’aria piena di sofferenza degli uomini
Spontanea rivolta alla guerra dell’uomo con la sua debolezza
Fratelli
Commento
Nella poesia, Ungaretti esprime la sua sofferenza e amarezza per la sua condizione di soldato; Infatti, la parola fratelli è un augurio di pace ed esprime la speranza che la guerra finisca
"San Martino del Carso"
Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
E’ il mio cuore
Il paese più straziato
Valloncello dell’albero isolato il 27 Agosto 1916
Parafrasi
In questo paese le case sono distrutte
Le persone che vivevano nel paese sono morte o mutilate
Ma il ricordo di tutti è fissato nel mio cuore
Commento
In questa poesia, il poeta esprime il suo pensiero riguardo la guerra e la vita. Nella prima parte descrive il suo compagno morto, ed esprime il suo parere sulla guerra. Nella seconda parte Ungaretti scrive che la vita è importante.
La poesia è corta e senza rime, ed è costituita da versi che non hanno la stessa lunghezza.
"Soldati"
Si sta come
D’autunno
Sugli alberi
Le foglie
Bosco di Courton Luglio 1918
Parafrasi
I soldati sono come le foglie in autunno
Commento
Anche se la poesia è breve, Ungaretti riesce ad esprimere la condizione di soldato. Egli paragona infatti il soldato ad una foglia d’albero in autunno: basta un colpo di vento per far morire la foglia, così come basta un colpo di fucile a far cadere il soldato.
"!In dormiveglia"
Assisto la notte violentata
L’aria è crivellata
Come una trina
Dalle schioppettate
Degli uomini
Ritratti
Nelle trincee
Come le lumache nel loro guscio
Mi pare
Che un affannato
Nugolo di scalpellini
Batta il lastricato
Di pietra di lava
Delle mie strade
Ed io l’ascolto
Non vedendo
In dormiveglia
Valloncello di Cima Quattro il 6 Agosto 1916
Parafrasi
Assisto la notte profanata dagli spari
L’aria è trapassata
Come un pizzo
Dagli spari
Degli uomini in trincea
Come le lumache
Sembra che molti spari
Battano la pietra di lava
Delle strade
E io lo ascolto e basta
Dato che sono in dormiveglia
Commento
La poesia è molto suggestiva, soprattutto per la presenza di numerose metafore. Quella che mi fa pensare di più è:
"Degli uomini
Ritratti
Nelle trincee
Come le lumache nel loro guscio"
Induce a riflettere perché paragona i soldati alle lumache, che hanno come casa il loro guscio, così come i soldati hanno per casa la trincea.
"Non gridate più"
Cessate di uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete udire,
Se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo.
Parafrasi
Smettetela di odiare i morti
Non gridate più, non gridate
L’unica speranza di non morire,
L’unico modo per essere uomini, è ritrovare la pietà e il perdono, e mettere da parte l’odio, e ascoltare l’insegnamento dei morti.
Hanno un sussurro debole
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba
Felice dove non passa l’uomo, perché porta solo distruzione.
Commento
L’argomento della poesia è l’odio scatenato dalla guerra, che continua a crescere. Gli uomini odiano ancora le loro vittime, e le uccidono ancora, mentre invece dovrebbero stare zitti e ascoltare il loro messaggio, che è debole, per avere una possibilità di salvezza.
Ho amato molto la poesia, in particolare la metafora dell’erba, silenziosa nel suo crescere così come silenzioso è il monito che ci arriva dalle vittime della guerra.
"Natale"
Non ho voglia
Di tuffarmi
In un gomitolo
Di strade
Ho tanta
Stanchezza
Sulle spalle
Lasciatemi così
Come una
Cosa
Posata
In un
Angolo
E dimenticata
Qui
Non si sente
Altro
Che il caldo buono
Sto
Con le quattro
Capriole
Di fumo
Del focolare
Napoli il 26 Dicembre 1916
Parafrasi
Non ho voglia
Di andare per le strade confusionarie
Sono stanco
Lasciatemi solo
Come un oggetto
Dimenticato in un angolo
Qui sono al caldo
Sono vicino al calore del camino
Commento
La poesia è stata scritta durante un permesso. L’opera parla della tristezza del poeta, ancora impressionato dalla guerra. Ungaretti frantuma i versi per dare l’impressione di un singhiozzo.
Questo ritmo crea infatti tristezza e raggela l’animo del lettore, il che contrasta con l’immagine del caminetto, il quale più che calore sembra evocare fredde emozioni.
"Sereno"
Dopo tanta
Nebbia
A una
A una
Si svelano
Le stelle
Respiro
Il fresco
Che mi lascia
Il colore del cielo
Mi riconosco
Immagine
Passeggera
Presa in un giro
Immortale
Bosco di Courton Luglio 1918
Parafrasi
Dopo la nebbia
Compaiono le stelle
Respiro l’aria fresca del cielo
Mi rendo conto
Di essere un passeggero
Nel ritmo immortale
Commento
La poesia parla della natura e della poca importanza dell’uomo nel mondo.
La lunghezza dei versi è varia; questi sono raggruppati in strofe. I versi sono liberi, la punteggiatura è completamente assente e le parole sono semplici.
"In memoria"
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
Di emiri di nomadi
Suicida
Perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
E mutò nome
Fu Marcel
Ma non era Francese
E non sapeva più
Vivere
Nella tenda dei suoi
Dove si ascoltava la cantilena
Del Corano
Gustando un caffè
E non sapeva
Sciogliere
Il canto
Del suo abbandono
L’ho accompagnato
Insieme alla padrona dell’albergo
Dove abitavamo
A Parigi
Dal numero 5 della rue des
Carmes
Appassito vicolo in discesa
Riposa
Nel camposanto d’Ivry
Sobborgo che pare
Sempre
In una giornata
Di una
Decomposta fiera
E forse io solo
So ancora
Che visse
Parafrasi
Si chiamava Moammed Sceab
Figlio di emiri arabi
Si suicidò perché non aveva più una patria
Amò la Francia e si cambiò il nome in Marcel
Ma non era francese e non riusciva più a vivere nella tenda dei suoi genitori
E non sapeva paralre della sua sofferenza
Ho accompagnato Marcel al cimitero
Con la padrona dell’albergo dove abitavamo a Parigi
Al numero 5 di rue des Carmes
Un vicolo povero in discesa
Riposa nel cimitero di Ivry
Sobborgo sempre disordinato
Come in un giorno di mercato
E solo io sapevo che visse
Commento
Ungaretti parla di un suo amico arabo di nome Moammed. Egli emigrò in Francia e si cambiò il nome in Marcel. Ma era triste, e non parlandone, si suicidò, per ritrovare se stesso.
La poesia esce dallo schema classico dell’ermetismo, perché è molto lunga.
Commento generale sulle poesie di Ungaretti
Queste poesie mi sono piaciute molto, perché mi hanno fatto capire come era la condizione dei soldati nelle trincee. Ho anche imparato ad apprezzare la vita, perché è la cosa più bella che una persona può avere, e quindi non la si può buttare andando in guerra, ma bisogna apprezzarne ogni singolo momento, bello o brutto, perché la vita non è fatta di solo di piaceri, ma anche di dispiaceri e dolori.
Quindi spero che i governi capiscano questo, e che non vengano più dichiarate guerre, ma che invece vengano affrontati problemi più seri, come la fame e l’abbandono.
LA VITA
Italo Svevo è lo pseudonimo di Aron Hector Schmitz.
" … sembra affratellare la razza italiana e quella germanica".
Nasce a Trieste nel dicembre 1861. a tredici anni si reca in Baviera a studiare, e qui entra in contatto con le opere di scrittori e filosofi tedeschi che lo influenzeranno molto(Schopenhauer).
1892: primo romanzo, pubblicato a sue spese "Una Vita" (non riscuote successo)
Inizia a lavorare in una banca a Trieste e, dopo essersi sposato, si avvia alla carriera industriale.
1898: secondo romanzo, sempre a sue spese "Senilità" (non riscuote successo).
Sviluppa una stimolante amicizia con James Joyce (che dimorava a Trieste). Sarà proprio Joyce a farlo conoscere all’opinione pubblica e adargli la prima fama.
1923: "La Coscienza di Zeno" elemento nuovo: introduzione dell’indagine psicanalitica freudiana.
LA CELEBRITÀ’ GIUNGE IN CHIUSURA DI VITA E SVEVO LA CONOSCE BREVEMENTE, perché muore nel settembre del 1928, a causa di un incidente stradale.
SVEVO E IL SUPERAMENTO DEL NATURALISMO
Le innovazioni che Svevo apporta al romanzo contribuiscono a superare definitivamente il Naturalismo e i suoi canoni: impersonalità dell’arte e narratore onnisciente.
Svevo segue le nuove influenze che giungono dalla cultura mitteleuropea, egemone dal punto di vista letterario, ma anche politico CENTRO PROPULSORE: Vienna.
Svevo supera gradualmente il Naturalismo, fino ad arrivare alle straordinarie innovazioni de "LA COSCIENZA DI ZENO":
• ironia
• plurisemanticità
• la coscienza del protagonista-narratore filtra gli avvenimenti, dandone una connotazione multiforme e ambigua.
CARATTERI COMUNI NEI TESTI SVEVIANI
4. La figura dell’inetto.
Es. - Nell’"Assassinio di via Belpoggio", il protagonista si autodenuncia.
• Nella "Coscienza di Zeno", il protagonista finisce con lo sposare la più brutta di tre sorelle.
• INETTITUDINE A VIVERE E A LOTTARE PER L’AFFERMAZIONE DI SÉ.
Questa concezione è riconducibile alla filosofia di Schopenhauer, che distingueva gli uomini in due categorie:
• i lottatori
• i contemplatori, destinati a soccombere.
La figura dell’inetto traduce la CRISI ESISTENZIALE dell’uomo novecentesco, che non riesce a ritagliarsi un ruolo autonomo in una società dominata dai valori economici, la ricerca del successo e la "massificazione dell’individuo". (In cui l’individuo non esiste più come entità unica e autonoma, ma come parte di un tutto).
1. La scrittura analitica e problematica
La scrittura diventa uno strumento di conoscenza degli eventi e dei personaggi, in chiave, però, psicologica.
Le vicende non si conoscono più in modo realista, ma secondo la lettura che la coscienza del narratore fa di esse.
È la coscienza del protagonista a descrivere, attraverso la sua ironia (spesso autoironia) contraddittorietà e imprevedibilità.
2. Concezione della malattia
La malattia diventa uno STATO NORMALE DELL’UOMO.
Svevo (e più in generale gli intellettuali del tempo) vede nella malattia un’opposizione e una via d’uscita al banale quieto vivere borghese. Egli non vuole "piegarsi" al buon senso comune, alla normalità borghese, basata su una vita salubre e tranquilla.
• RIBELLIONE CONTRO I FALSI MITI BORGHESI.
EVOLUZIONE LETTERARIA
• L’esordio letterario risale al 1880, con una commedia di cui ci restano pochi frammenti.
Inoltre partecipa, in quegli anni, alla redazione del giornale irredentista (esaltazione dei valori nazionali, contro la dominazione straniera), "L’Indipendente".
• Conosce in lingua originale testi di scrittori stranieri: Goethe, Schiller, Turgenev.
Sviluppa una forte passione per il teatro sarà anche autore di alcuni testi teatrali.
• Prime opere narrative: "Una lotta", "L’assassinio di via Belpoggio", dove compaiono già le figure dell’inetto e del suo antagonista e, inoltre, presentano una sorta di autoanalisi del protagonista.
• IN QUASI TUTTE LE OPERE DI SVEVO, C’È UN CARATTERE AUTOBIOGRAFICO. Nei suoi personaggi è presente lo stesso contrasto che vive l’autore.
ETTORE SCHMITZ:
Serio lavoratore, integrato nel modello di vita borghese del tardo Ottocento.
ITALO SVEVO:
Intellettuale eversivo, che non ottiene il successo meritato, perché troppo in anticipo sui tempi e antitetico alle mode letterarie del tempo ( D’Annunzio).
"UNA VITA"
È il primo romanzo di Italo Svevo, pubblicato a spese dello stesso autore nel 1892. Il titolo primitivo dell'opera era "Un inetto".
Questo romanzo associa elementi naturalistici ad elementi del tutto innovativi: la descrizione minuziosa e monotona delle giornate del protagonista non è obiettiva e impersonale, ma è riletta e scandita dalla COSCIENZA del protagonista che esprime il suo rifiuto per la società borghese e la sua incapacità di lottare per affermarsi.
NATURALISMO: cornice esteriore
MONOLOGO INTERIORE: il protagonista tenta di analizzarsi, tenta di nascondere a se stesso le proprie nevrosi.
Trama: il protagonista è un piccolo-borghse, Alfonso Nitti, costretto a lavorare in banca (lavoro ripetitivo e spersonalizzante). A disagio per l'estrazione contadina e la sua inadeguatezza nel mondo cittadino, si consola e si esalta convincendosi di essere superiore agli altri: vive di fantasia e cerca nella letteratura un'alternativa ad una società fondata sulle leggi economiche del profitto.
Egli cerca di superare la sua frustrazione di impiegato tentando di sedurre la figlia del padrone della banca, ma non riesce a comportarsi come un arrampicatore sociale (abbandona la ragazza senza motivazioni spiegabili) e si uccide.
NON PUO' ACCETTARE UNA VITA CHE SIA SOLO LOTTA E CHE LO STRAPPA DAL SOGNO.
SUICIDIO: presa di coscienza della propria inettitudine e che è inutile continuare a vivere senza volerlo.
"SENILITÀ"
Prima edizione: 1898 – Seconda edizione, in parte modificata a livello linguistico, per adeguarsi alla lingua neutra e convenzionale del tempo 1927.
Svevo è comunque consapevole del fatto che la sua opera non necessita di un’"epurazione dai dialettismi e dagli arcaismi con i quali viene introdotta una profonda INDAGINE PSICOLOGICA.
Racconto e indagine di una condizione psicologica.
Trama:
Il romanzo è il racconto dell’avventura amorosa che EMILIO BRENTANI si concede con una giovane seducente, ma altrettanto traditrice: Angelina.
Egli è un impiegato che nei circoli cittadini gode di una piccola fama di letterato. Non è soddisfatto della sua vita e si rammarica di averne sprecata una larga parte. Emilio invidia un suo amico, lo scultore Belli, che ottiene successi, soprattutto con le donne.
Vive con la sorella Amalia, non più giovane, che incarna quasi la figura di una madre.
È in questo contesto che inizia per lui l’avventura amorosa con Angiolina, in cui egli si lega a lei in modo tanto più forte, quanto lei più lo tradisce.
Emilio si divide tra il letto della sorella malata e la scoperta di nuovi tradimenti di Angiolina, fino a quando decide di vegliare al capezzale di Amalia, fino alla sua morte.
Il romanzo è in parte autobiografico.
La SENILITÀ' è vista qui come "l’antica abitudine a piegarsi su se stesso e analizzarsi" scoprendo la propria incapacità a immergersi nella lotta per l’esistenza.
SENILITA': CONDIZIONE PSICOLOGICA , prima che anagrafica; manifestazione affina all’inettitudine di Alfonso Nitti.
Il romanzo è compatto nello spazio (TRIESTE) e nel tempo (circa UN ANNO).
La compattezza si rivela anche nel numero dei personaggi fondamentali: 2 uomini e 2 donne.
Personaggi:
• EMILIO BRENTANI: protagonista – proiezione dell’autore come gli altri protagonisti dei suoi romanzi.
• ANGIOLINA ZARRI: ragazza affascinante ma traditrice.
• AMALIA: la sorella – grigia e malinconica figura di zitella.
STEFANO BELLI: amico pittore – "antagonista" è infatti il personaggio dal carattere sicuro e dominante.
Angiolina e Amalia sono figure COMPLEMENTARI e ANTITETICHE e rappresentano le caratteristiche di due vite per Emilio opposte e separate, ma parallele.
ANGIOLINA AMALIA
fuga nel pericoloso vita tranquilla,
gioco amoroso ma banale e noiosa
E' Emilio a scandire il racconto e a presentare i personaggi secondo la sua coscienza.
GLI ANNI DEL SILENZIO E DELL’AMICIZIA CON JOYCE
Dopo gli INSUCCESSI di "Una Vita" e "Senilità", Svevo si convince a rinunciare alla letteratura e a farne uno svago personale, uno strumento di riflessione e autoanalisi.
In questo periodo, detto, "di silenzio" sono presenti, però, numerose composizioni letterarie che Svevo non pubblica:
• Commedie IL LAVORO INTELLETTUALE OTTIENE UN
Saggi – diari RUOLO COMPENSATORIO NEI CONFRONTI
• Novelle DELLA MONOTONIA QUOTIDIANA.
Nel periodo "di silenzio", Svevo vive anche una frenetica attività lavorativa, che lo porta a viaggiare molto: Istria, Francia, Inghilterra.
1906: per perfezionare il suo inglese si rivolge a un docente irlandese giunto a Trieste JAMES JOYCE, che diventerà suo amico.
1911: ALTRO GRANDE INCONTRO FREUD.
In occasione della cura psicoanalitica del cognato, presso Freud, Svevo entra in contatto con le teorie del medico viennese, che andranno ad arricchire la già presente introspezione psicologica delle sue opere, nella COSCIENZA DI ZENO.
"LA COSCIENZA DI ZENO" (1923)
Romanzo che si presenta come un’autoanalisi, provocata dal "Dottor S.".
Il protagonista, ZENO COSINI, in cura da uno psichiatra, rifiuta le teorie e i metodi del dottore e decide di indagare la sua psiche personalmente.
"DOTTOR S." Sigmund Freud?
Italo Svevo?
Il romanzo è articolato in capitoli monotematici che si susseguono senza far riferimenro a una successione cronologica definita.
Zeno Cosini è un personaggio enigmatico; la sua ambiguità non riesce ad essere superata (risolta, capita) dal lettore, perché egli con la sua coscienza (attraverso lapsus, rimozioni…) maschera la realtà e i veri moventi delle azioni.
Nella sua vita egli SCEGLIE LA LIBERTÀ, evitando di affrontare scelte definitive: fumo o disintossicazione, moglie o amante, salute o malattia, sogno o realtà…
EGLI NON COMPIE UNA SCELTA DEFINITIVA ad es.: arriva a smettere di fumare numerosissime volte, per poi ricominciare altrettante.
La vicenda è costruita sotto forma di DIARIO IMMAGINARIO di Zeno Cosini. Svevo afferma che Zeno è il fratello degli altri 2 protagonisti dei libri precedenti, ma egli è più vecchio e più ricco
• ESSENDO RICCO POTREBBE FARE A MENO DELLA LOTTA PER LA VITA e contemplare quella degli altri.
Si sente però infelicissimo di non potervi partecipare.
Rispetto agli altri 2, è ancora più inetto. Egli "inciampa nelle cose" e per molte sue azioni risulta essere un personaggio comico.
• Decide di sposarsi, ma non sa a quale delle 4 sorelle Malfenti fare la proposta. Dopo avere tentato con le tre più piacevoli, sposa AUGUSTA, la più brutta.
• Passa la sua vita a fumare l’ultima sigaretta.
• Si crede un MALATO ECCEZIONALE DI UNA MALATTIA A PERCORSO LUNGO.
Il romanzo è la storia della sua vita e delle sue cure.
È scandito in 8 capitoli di diversa lunghezza, che non rispettano la cronologia tradizionale, ma ricostruiscono la narrazione in un "TEMPO MISTO".
il tempo della coscienza che rilegge gli avvenimenti
La coscienza rivive tali eventi, trovando delle associazioni mentali libere, riconducibili all’analisi freudiana, che li collegano ad idee del tutto opposte.
Il lettore viene a conoscenza dell’inconscio del protagonista, delle sue nevrosi, delle sue ambiguità e falsità.
LA DESCRIZIONE CHE IL LETTORE HA DELLA REALTÀ NON È OBIETTIVA, MA FILTRATA DALLA COSCIENZA DEL NARRATORE-PROTAGONISTA, che rivela solo ciò che vuole rivelare.
SCANSIONE DEI CAPITOLI:
Prefazione: lo psicanalista, Dottor S., che ha vuto in cura Zeno, spiega di avergli consigliato di scrivere la propria autobiografia e ne rivela l’INATTENDIBILITÀ ( falsità di Zeno).
3. Preambolo: Zeno racconta gli inizi dell’autoanalisi.
4. Il fumo: i continui tentativi di Zeno di cessare di fumare, fino al volontario ricovero in una clinica dalla quale riesce a fuggire.
5. La morte di mio padre: ultimi incontri tra Zeno e il padre, che lo giudica un INETTO fino alla morte.
6. La storia del mio matrimonio: maldestro corteggiamento di Zeno alle 4 sorelle Malfenti, fino al matrimonio con Augusta.
7. La moglie e l’amante
8. Storia di un’associazione commerciale: le fallimentari iniziative di Zeno e del cognato Guido, che si uccide senza volerlo.
Psicoanalisi: sotto forma di diario. testimonia la guarigione di Zeno, dovuta all’avvento della guerra CONSAPEVOLEZZA CHE OGNI SFORZO PER DARCI SALUTE È VANO.
Conclusione amara, a cui Zeno arriva con ironia. Egli diviene consapevole di ciò che è la vita cioè che non va presa sul serio.
Cadono i complessi di inferiorità e insicurezza nei confronti degli altri: viene dimostrato che ogni successo nella vita è dovuto al caso.
• Prefazione e Preambolo
Doppia introduzione sta ad indicare le 2 possibili antitetiche letture del romanzo
9. Dottor S.
Giustifica l’antipatia che il paziente nutre per lui, ricorrendo a un significato terapeutico. Subito dopo, però, dichiara di aver "curato" con metodi poco ortodossi il suo paziente, fino al totale fallimento della terapia, dovuto, a suo dire, alla fuga del paziente.
• Il lettore è spinto, da questa I lettura a vedere con ostilità il dottore; la veridicità della sua dichiarazione è negata in partenza.
10. Zeno
Inizia subito con molta ironia, affermando di essersi sottoposto, in assenza del medico, ad un’autoanalisi, che termina però in un sonno profondo.
ANCHE QUI LA PSICOANALISI RISULTA ESSERE INUTILE E, ANZI, VIENE ADDIRITTURA MESSA IN RIDICOLO.
Il lettore non sa, quindi, che chave di lettura scegliere:
• Scegliere la "verità" del Dottor S.
• Adeguarsi alle tante "verità" di Zeno, che non dà degli eventi una descrizione sincera, essendo essi filtrati dalla sua coscienza.
IN OGNI CASO NON C’È UNA VERITÀ', MA UNA MOLTEPLICITÀ DI VERITA'.
IL "CASO SVEVO"
"LA COSCIENZA DI ZENO" e il suo autore raggiungono successo grazie all’intervento di Joyce (che rivela Svevo agli italianisti parigini) e dell’intellettuale trietino Bozlen. 1925-26.
INIZIA IL "CASO SVEVO" CHE PER DECENNI DIVIDERÀ LA CRITICA.
Al centro di indagini critiche spesso ostili è stata la lingua usata da Svevo, a volte poco apprezzata.
LINGUA: dimessamente monotona, è utile come "calco" della parlata triestina e come STRUMENTO IMPASSIBILE DI DIAGNOSI PSICOLOGICA.
IL TEATRO
Poco conosciuto e apprezzato.
"Le ire di Giuliano" – "Un marito" acuta e spietata indagine della vita matrimoniale borghese.
"La rigenerazione" smascheramento dei riti e dei miti borghesi.
GLI ULTIMI ANNI
Intensa attività letteraria.
Quarto romanzo – incompiuto: "Il Vecchione" o "Il Vegliardo".
Si pensa fosse la continuazione della Coscienza di Zeno un vecchio, con acuta ironia, ripercorre le tappe della propria esistenza e affronta senza timore i tempi nuovi.
• È uno Zeno un po’ invecchiato, che ancora critica i vizi borghesi propri e altrui.

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