Le idee forza dell'Illuminismo

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Testo

Illuminismo

La vita culturale del XVIII secolo fu dominata da un grandioso movimento intellettuale che, in omaggio al ruolo rischiaratore assegnato alla ragione, è stato chiamato "Illuminismo".
In questo variegato e complesso fenomeno culturale convergono posizioni e orientamenti molto diversi, ma è possibile individuare alcune caratteristiche comuni. Tra queste, innanzitutto, il modo di considerare la ragione, strumento che appartiene a tutti gli uomini indistintamente, in grado di vagliare criticamente la realtà, con il proposito concreto di assicurare la felicità e il benessere degli uomini.

Il periodo e il luogo

L’Illuminismo ebbe origine come movimento filosofico in Inghilterra, che era allora il paese più industrializzato d’Europa. Qui non trovò però le giuste basi per svilupparsi, dato che lo stato inglese era improntato sul liberalismo. Dall’Inghilterra, questo nuovo movimento, si trasferì in Francia dove le ideologie illuministiche trovarono terreno eccezionalmente favorevole al loro sviluppo, e alle loro più radicali applicazioni in campo politico e sociale, come dimostra la rivoluzione francese. Questi ideali dalla Francia si propagarono poi in tutta Europa. Le idee illuministe si sviluppano in Francia perché in questo stato vi era una situazione politica e sociale critica. La società francese era basata su tre classi sociali: terzo stato, aristocrazia e clero. Clero e aristocrazia possedevano vasti privilegi, mentre il terzo stato era ad esse subordinato. Anche in Francia comincia a sorgere una borghesia che inizia ad acquisire potere economico e che rivendica la partecipazione al potere politico: è proprio in queste rivendicazioni che le ideologie illuministe trovano terreno fertile per il loro sviluppo.
L’Illuminismo si diffonde quindi nel Settecento e si divide prevalentemente in due fasi: la prima (dal 1748 al 1795) caratterizzata da riforme e rivoluzioni che hanno portato grandi e radicali rinnovamenti, difatti è proprio in questo periodo che avviene la rivoluzione francese, e dal progressivo affermarsi della cultura illuministica fino alla sua egemonia, avvenuta nel 1750-51 con l’uscita del programma e del primo volume dell’Enciclopedia, opera principale dell’Illuminismo francese; mentre la seconda (dal 1795 al 1815) caratterizzata dal consolidamento delle precedenti conquiste ma anche dalla crisi dell’Illuminismo, dovuta all’inizio dell’età napoleonica che vede Napoleone estendere ad altri paesi le conquiste della rivoluzione ma anche instaurare il proprio potere, sconfiggendo così gli ideali democratici che avevano dato vita alla rivoluzione francese.

Definizione

In Francia la coscienza di vivere in un periodo nel quale il “buio dell’ignoranza” era sconfitto dal “lume della ragione” aveva portato a identificare questi anni con l’espressione “âge des lumières”. Sul calco di ciò in Italia quindi si ebbe il termine “Illuminismo”, mentre in Germania divenne “Aufklärung”, in Spagna “Ilustración”, e successivamente in Inghilterra “Enlightenment”.
Alla base del pensiero illuministico sta l’assoluta fiducia nella ragione umana, considerata unica forma valida di conoscenza (razionalismo).
Tutti i problemi che non possono essere affrontati dalla ragione esulano dalla possibilità della conoscenza umana. Di qui l’interesse degli illuministi per i problemi metafisici, che non possono essere risolti per via razionale. Gli uomini hanno nella ragione il loro denominatore comune; di qui deriva da una parte il principio egualitario, che è una delle grandi rivendicazioni della rivoluzione francese, dall’altro la tendenza cosmopolita del secolo: l’individuo, prima di sentirsi figlio di questo o di quel paese, si sente cittadino del mondo, viaggia al di la’ delle proprie frontiere, impara le lingue di altri popoli.
La fiducia nella ragione, che con i suoi “lumi” deve guidare il mondo e dare origine ad una nuova storia, implica una condanna della tradizione (antistorico), e il rifiuto di un passato di cui i precedenti di varia natura (politici, religiosi ecc.) hanno impedito all’uomo di svolgersi secondo la sua più vera natura, cioè secondo ragione.
In altre parole l’illuminismo coinvolge la vita sociale perché una delle sue idee principali è quella di abbattere tutto ciò che esisteva nel vecchio mondo, che veniva considerato barbarico ed irrazionale. Si vuole rivedere e ricostruire tutta la vita politica, economica e sociale in base alla ragione dell’uomo. Sulla base di questi concetti gli illuministi procedono ad una critica del passato in tutti i suoi settori perché si è convinti che, fino a quel momento, la ragione si era addormentata perché sottomessa alla religione e al potere politico (stato di minorità codificato da Kant). Per questo motivo non bisogna sottostare a tutto quello che la religione o lo stato afferma, ma ragionare con la propria testa senza lasciarsi influenzare dagli altri. Gli illuministi vogliono quindi riportare la mente dell’uomo ad una “tabula rasa” ed in essa riscrivere tutta la storia non accettandola passivamente ma in modo razionale e critico.

Le idee-forze

La fiducia nella ragione

L’Illuminismo è fondato sulla fiducia nella ragione per poter uscire dallo stato di minorità causato dal principio d’autorità, dal dogmatismo e dalla tradizione. Infatti, attraverso la ragione l’uomo può valutare ogni dichiarazione, il fondamento dei valori etici o l’utilità di un sistema politico, e ciò non avviene per caratteristiche innate, ma la ragione è lo strumento adatto per poter ricercare la verità. Gli illuministi così non riconoscono i presupposti del razionalismo seicentesco, e riducono la conoscenza umana ad una base empirica e contrappongono la ricerca tecnica e scientifica alla speculazione metafisica. In quel periodo, infatti, la scienza compiva grandi progressi, come per esempio l’elaborazione della teoria dell’elettricità di B. Franklin (1947), l’invenzione della macchina a vapore ad opera di Smeaton (1775) perfezionata definitivamente da J. Watt (1788), la scoperta del metano e la dimostrazione della sua infiammabilità ad opera di A. Volta (1776), l’enunciazione della legge delle forze elettrostatiche di C. De Coulomb (1785), L’enunciazione della legge di conservazione della massa di A. L. Lavoisier (1789), la scoperta del vaccino contro il vaiolo di E. Jenner (1792), l’invenzione della prima pila ad opera di A. Volta (1799).
Inoltre la ricerca scientifica confermava la necessità a dover abbandonare gli schemi interpretativi biblici e aristotelici, collaborando a liberare la realtà da ogni interpretazione trascendente, facendo sì che l’Illuminismo realizzasse il processo di laicizzazione della cultura già iniziato nel Rinascimento.

La fiducia nel progresso

Il compito della ragione è, per gli illuministi, l’analisi e la critica della realtà sociale, difatti l’attività culturale è concepita come attività “politica”, finalizzata a determinare la moralità, l’intellettualità e la società umana, per questo l’Illuminismo ha un profondo interesse per l’uomo dimostrato dall’attenzione per i fenomeni di costume che hanno portato alla realizzazione delle “scienze umane”, come l’antropologia, la psichiatrica e l’economia. L’obiettivo cui mirare è il raggiungimento della “felicità”, vale a dire il miglioramento delle condizioni sociali per quanti più individui è possibile, quindi con il trionfo della ragione ci si aspetta anche un progresso della civiltà. La fiducia nel progresso, infatti, è fondamentale per gli illuministi che arrivano ad intendere la storia come passaggio dalle barbarie ad una civiltà più evoluta. Gli intellettuali sono i protagonisti di questo progresso, in quanto sono chiamati a compiere una funzione educativa per coloro che sono ancora nello stato di “minorità”. Ciò quindi porta ad una battaglia contro ogni censura, contro l’arretratezza degli ordinamenti giuridici, contro l’ancien régime. Grazie a ciò, allora l’Illuminismo diventa un movimento riformatore poiché gli intellettuali devono “progettare la società”, e in un primo momento viene proposto il “dispotismo illuminato” che alimenta le rivoluzioni del Settecento.

Un nuovo ideale umano: il “philosophe”

Nell’Illuminismo il ruolo dell’intellettuale cambiò. Questo tendeva a porsi come il legislatore della società, cercando di creare un’opinione pubblica, differenziandosi così dal letterato seicentesco che si occupava solo di letteratura senza interessarsi dei problemi civili, come invece accedeva per gli Illuministi. Questa loro tendenza diventò parte della loro autocoscienza ed entrò a far parte della loro identità sociale, cosicché si autodefinirono “philosophes”, creando in seguito un “partito dei philosophes”. Ciò però si scontrò con due esigenze: da una parte l’intellettuale può influenzare l’opinione pubblica che però è impotente se non influenza anche lo Stato, perciò deve cercare anche un compromesso con i princìpi tentando di diventarne il consigliere, anche entrando nei meccanismi del potere come funzionario; d’altra parte invece, in un periodo caratterizzato dalla specializzazione del sapere, il suo potere in quanto civilizzatore e legislatore dotato di una conoscenza universale entra in contraddizione con la tendenza scientifica alla conoscenza settoriale dei vari problemi. L’intellettuale aspira ad una conoscenza universale ma anche specializzata, portandolo così all’oscillazione fra studio o agitazione delle idee da una parte e adesione all’impegno riformistico del dispotismo illuminato dall’altra.
Gli intellettuali si riunirono, allora, in gruppi di lavoro e discussione, come per esempio la “Société”, nella quale il maggior esponente fu Condorcet, e l’“Accademia dei Pugni” a Milano, cui parteciparono i fratelli Verri e Cesare Beccaria.

Idea di natura

Come alle religioni positive si contrappone la religione naturale, così al diritto positivo si contrappone il diritto naturale, con la sua rivendicazione dell’uguaglianza. Si ha una rivalutazione, da parte dell’uomo, dello stato di natura, al di fuori di ogni convenzione sociale. Questa critica parte dal fatto che l’uomo nasce con dei diritti alienabili (la libertà e il diritto di proprietà) che non gli possono essere portati via da nessuno, mentre durante la storia è invece sempre accaduto il contrario, respingendo così anche l’idea cristiana della corruzione originaria e della necessaria redenzione. La natura quindi diventa per gli illuministi un valore ideale, e Rousseau arriva ad addebitare la corruzione dell’uomo e lo smarrimento della felice condizione di un immaginario “stato di natura” all’incivilimento. Proprio in questo clima quindi nasce l’interesse illuminista per quelle civiltà primitive e lontane sviluppatesi senza l’influenza della religione cristiana, come per esempio la civiltà cinese.

Concezione della storia e rapporto col passato

Il rapporto tra l’Illuminismo e la storia è sempre stato uno degli argomenti più discussi. L’Illuminismo, infatti, poneva come unico soggetto della storia l’uomo con i suoi sforzi, i suoi successi e i suoi errori, cosicché Dio, divenuto ormai solo un garante del cosmo fisico, non è più l’autore dell’universo storico, attribuito ora interamente all’uomo sia negli aspetti positivi sia in quelli negativi. Quindi, essendo la storia un’avventura dell’uomo e non più la realizzazione di un piano divino, gli Illuministi la considerano non un processo necessario, ma un ordine problematico che, dipendendo dalle azioni umane, è esposto all’errore e che anche nelle conquiste positive non dispone di garanzie assolute che lo possono salvare dalla decadenza e dal ritorno alle “barbarie”.
Gli illuministi assumono nei confronti della storia nel passato una visuale critico-polemica basata sull’affermazione di Voltaire secondo cui «la ragione non conosce se stessa nella storia», portandoli ad un atteggiamento iper-critico che si concretizza in un “processo alla storia”. Perciò quindi gli Illuministi vedono nella storia la negatività e un processo di smarrimento dell’essenza razionale dell’uomo.
Uno dei periodi che gli illuministi considerano barbarico è il Medioevo. Questo è importante perché i secoli del Medioevo vengono definiti bui, in antitesi con l’appellativo “età dei lumi” che appunto dopo un periodo di oscurità venivano a illuminare la ragione umana.
Il pessimismo storico illuminista è rappresentato soprattutto dall’anti-tradizionalismo. Gli illuministi si contrapponevano alla mentalità comune secondo la quale il valore di una credenza era attestato dal fatto che fosse stata accettata nei secoli, affermando a loro volta che l’antichità non era una prova di verità.
Il “processo alla storia” dell’Illuminismo non si conclude però nel rifiuto totale della storia passata, ma riconoscono l’esistenza di alcune “età felici” durante le quali l’uomo ha saputo perfezionare le arti in modo che servissero da esempio ai posteri, come l’età di Pericle, di Cesare ed Augusto, del Rinascimento Italiano e di Luigi XIV.

Aspetto religioso

Nell’illuminismo vi è anche una critica religiosa prima di tutto perché la mentalità razionalistica, non riconoscendo nessun altro criterio di verità all’infuori della ragione e dell’esperienza, rifiuta il concetto di “rivelazione”, reputando così i vari “dogmi” solo credenze anti-razionali; in secondo luogo perché si pensava che tutte le religioni rivelate, in particolare quella cattolica con le sue istituzioni, utilizzassero la fede religiosa per imporre la propria autorità al popolo e per non farlo reagire a tutte le ingiustizie che subiva; infine perché gli illuministi ritenevano che le varie religioni contribuissero, insieme al potere politico, a trattenere i popoli nell’ignoranza, ostacolando così il progresso scientifico, economico e sociale dell’umanità.
Nella critica illuministica quindi si individuano due filoni: uno più moderato e di orientamento deista, l’altro più estremista e di tendenza atea.
Il deismo crede in una religione naturale fondata su un piccolo gruppo razionale di verità comuni a tutti gli uomini, come l’esistenza di Dio e i principi riguardo l’amore e il rispetto dei simili, e tende a diventare un’etica universale che interessa tutti gli uomini. Tale forma di religione quindi è l’unica, secondo gli illuministi, a poter garantire contemporaneamente l’autonomia umana e l’esistenza di una Mente superiore. Ciò quindi porta ad affermare l’inutilità di tutto ciò che viene aggiunto a questo nucleo fondamentale, come il dogma, il culto, la formazione di una classe sacerdotale e l’esistenza di diverse religioni, che è addirittura nocivo allo spirito stesso della religione in quanto crea credenze indimostrabili attraverso ragione, pratiche irrilevanti di origine magica, intolleranza e fanatismo. Perciò gli illuministi promuovono la religione naturale in quanto fondata esclusivamente sulla ragione, al contrario di quella positiva che è invece fondata sulla tradizione e assume legittimità da una rivelazione, fondandola così su un fatto storico di dubbia attendibilità.
Invece l’ateismo, al contrario del deismo che separa un nucleo razionale da uno irrazionale, ritiene che la religione sia un fenomeno irrazionale in quanto non nasce dall’intelletto, ma da sentimenti quali interesse e paura. Difatti la sottomissione ad un Monarca divino non è altro che un’invenzione umana per sottomettere il popolo ad un monarca umano. Inoltre D’Holbach afferma che l’uomo ha dato vita al fenomeno religioso spinto dal timore e dal disagio riguardo l’universo: «E’ il male che vede nel mondo che lo ha indotto a pensare alla Divinità: il grandissimo numero dei mali, degli accidenti, delle malattie, dei disastri, degli scuotimenti del nostro globo, delle alterazioni, delle conflagrazioni, suscitarono in lui spaventi. Fu allora che non vedendo sulla terra agenti abbastanza potenti da operare tali effetti, levò gli occhi al cielo, in cui suppose che risiedessero agenti ignoti, l’inimicizia dei quali distruggeva quaggiù la sua felicità» (Il vero senso del sistema della Natura, XVII). Quindi, se la religione è solo irrazionalità, la religione deistica è contraddittoria, in quanto pone la ragione laddove non c’è religione e viceversa e, non esistendo Dio in quanto è solo una proiezione della mente, la verità è nel mondo reale, cioè nella Natura come realtà autosufficiente ed eterna. Perciò quindi D’Holbach vede nell’ateismo una “scuola di vita” e una condizione necessaria per costituire una società migliore, e risponde al dubbio riguardo la sua compatibilità con la morale, suscitato dal deista Voltaire che lo descrive nel suo Dizionario filosofico come un “mostro pericoloso che può essere fatale alla virtù”, dicendo che: «Se l’ateo nega l’esistenza di Dio, non può negare la propria esistenza né quella degli esseri simili a lui. Non può dubitare dei rapporti che sussistono tra loro né della necessità dei doveri che derivano da questi rapporti. Non può, dunque, dubitare dei princìpi della morale, la quale non è che la scienza dei rapporti sussistenti tra gli esseri che vivono in società…» (Il vero sistema della Natura, XXVII).

Ambito politico

Un altro ambito in cui abbiamo innovazioni non indifferenti è senza dubbio quello politico, dove si rivendica in primo luogo la libertà di esprimere il proprio pensiero e i princìpi illuministici danno vita a due indirizzi: il liberalismo e la democrazia, entrambi tendenti a smantellare l’assolutismo regio.
Il maggior esponente del liberalismo è Montesquieu, figura rappresentativa della nobiltà di toga, che con la stesura dello “Spirito delle leggi” si ispira esplicitamente all’assetto dell’Inghilterra dopo la Gloriosa Rivoluzione. E’, infatti, per lui di fondamentale importanza un governo monarchico di tipo costituzionale, in cui vi sia un’effettiva divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, che si controllino a vicenda e, a garanzia della libertà del cittadino, evitino squilibri di forze, principio cui si sono ispirate tutte le moderne democrazie e contemplato nelle attuali costituzioni. La sua critica è rivolta al dispotismo, considerato il peggior sistema di governo esistente, in quanto riduce il popolo alla schiavitù, e al modello repubblicano, perché efficace soltanto in paesi di dimensioni geografiche ristrette, come le poleis greche.
In Francia vi è però anche il pensiero di Rousseau che promuove la democrazia diretta. Egli condanna il progresso materiale e civile della società e gli contrappone un ideale di austera comunità repubblicana dove le virtù morali e politiche contavano più delle scienze, della tecnica e degli artificiosi raffinamenti dei costumi. Uno stato in cui sovrano fosse tutto il popolo e dal popolo derivasse ogni legge, e in cui gli organi di governo fossero al servizio dell’intera comunità. Rousseau sostiene l’uguaglianza per natura di tutti gli uomini, sia per quanto riguarda il diritto di vita, sia per i beni materiali sia per la diffusione delle idee, e il sovrano, il cui potere deriva dal popolo, deve per primo rispettare questi principi. Egli rifiuta, in ogni caso, esplicitamente la monarchia e considera la formazione di una società basata su una democrazia diretta l’unico modo per raggiungere una libertà comune.
Nascono infine modelli di società comunistica, ispirati al concetto di socialismo utopico, come ad esempio la “città del Sole” di Campanella.
L’espressione più tipica dell’Illuminismo in campo politico è comunque il dispotismo illuminato, sostenuto da Voltaire. Egli, infatti, temeva che un eccessivo indebolimento dell’assolutismo generasse solo una pericolosa Anarchia, quindi propose il dispotismo illuminato, una monarchia assoluta in cui il sovrano esercita e adatta una serie di riforme per il bene del popolo. Però il dispotismo illuminato finì per snaturare la vera portata dell’Illuminismo e ne segnò nello stesso tempo il limite, in quanto permise ai sovrani, che pur sotto lo stimolo delle nuove idee andarono incontro alle esigenze di libertà e uguaglianza e migliorarono l’organizzazione dei loro Stati, di mantenere quasi intatto il loro potere, sostanzialmente non intaccato da riforme concesse dall’alto (“tutto per il popolo, niente per mezzo del popolo”).
La critica sociale infine è basata sul concetto di nobiltà. L’intellettuale illuminista rivendica un ruolo nelle società, ispira a lavori utili per la collettività e rifiuta l’idea tradizionale di nobiltà. L’individuo non nasce nobile ma lo diventa attraverso le sue qualità e il modo in cui le mette in atto nella vita sociale.

Ambito filosofico

L’Illuminismo riprende due grandi scuole filosofiche: il razionalismo e l’empirismo. Difatti trova le sue basi quando Cartesio, nel “Discorso sul metodo”, stabilì che si dovesse accettare per vero solo ciò che appare alla mente in modo evidente, e da ciò in seguito prese vita l’idea illuminista dell’esercizio spregiudicato e autonomo dell’intelletto. L’Illuminismo però è caratterizzato da un’autolimitazione della ragione per quanto riguarda l’esperienza, in quanto è una forza che può esistere soltanto al suo interno. Inoltre l’Illuminismo è caratterizzato anche dalla possibilità, grazie alla ragione, di interessarsi di qualsiasi aspetto che si mantenga in questi limiti.
Nonostante sia influenzato molto dall’empirismo, il concetto di ragione illuministico si differenzia da quest’ultimo in quanto dà una maggiore fiducia ai poteri intellettivi dell’uomo e per la loro grande portata sociale.
La ragione non è identificata come l’unica dimensione dell’uomo, ma viene riconosciuta anche l’importanza del bisogno, dell’istinto, delle passioni nella vita dell’uomo. Inoltre la ragione non viene considerata come una realtà indipendente, ma l’ordine cui la vita tende e che può realizzarsi solo attraverso la partecipazione di tutti gli elementi sentimentali e pratici che costituiscono l’uomo. Gli illuministi posero sotto esame tali emozioni e giunsero al chiarimento del concetto di passione intesa non come una semplice emozione, ma come un’emozione dominante, capace di determinare gli atteggiamenti umani.

Ambito economico
Anche nel campo economico l’Illuminismo portò riforme ispirate al concetto di libertà, difatti gli studiosi di economia discutevano sui possibili metodi per produrre una ricchezza generale, eliminando la povertà e creando una “ricchezza delle nazioni”. La discussione teorica che mise a nudo i limiti delle economie mercantilistiche fu il “dibattito sul commercio dei grani”, in quanto l’imposizione dei prezzi base aveva creato e favoriva la diffusione a macchia d’olio del mercato nero.
Proprio per questo Adam Smith pensò che fosse necessaria innanzitutto un’abolizione dei dazi doganali e dei controlli, creando quello che passò alla storia col nome di liberismo economico. Smith utilizzò il concetto innovativo della “mano invisibile”, secondo cui l’individualismo economico porta ad un aumento del reddito nazionale e ad un arricchimento generale della nazione, trovandosi perfettamente compatibile con i valori sociali. E’ importante, inoltre, vigilare affinché i grandi capitalisti non si organizzino creando monopoli, ma è importante che anche lo Stato smetta di crearne, cioè che è necessario lasciar agire le “leggi di mercato” senza interferire cosicché si possano creare le condizioni ideali per uno sviluppo spontaneo, difatti il mercato è dotato di una naturale capacità autoregolativa: se ad esempio in un’area geografica, per qualsiasi motivo, si riscontra scarsezza di grano, portando quindi ad un aumento del prezzo, lasciando libero di entrarvi il grano proveniente da altre aree, vale a dire permettendo la libera concorrenza, essendoci a quel punto maggiore disponibilità, il prezzo, secondo la legge della domanda e dell’offerta, dovrebbe automaticamente abbassarsi.
Accanto al liberismo economico troviamo la fisiocrazia, alla cui base sta il concetto secondo il quale “soltanto l’agricoltura è realmente produttiva”, difatti utilizzando unicamente la fertilità della terra essa offre una produzione superiore a quella delle merci introdotte. I fisiocratici definiscono tale eccedenza come prodotto netto che non separano nella manifattura e nel commercio, i quali si limitano unicamente a trasformare e a vendere le merci. La ricchezza si diffonde poi nella società divisa in “classe produttiva”, costituita da coloro che sono impegnati nell’attività agricola, in “classe sterile”, costituita da coloro che lavorano in altri settori, e in “classe proprietaria”, costituita dai proprietari fondiari e dai percettori di rendite. Inoltre è importante che le aziende agrarie di tipo “capitalistico” sostituiscano la proprietà, la mezzadria o la gestione signorile, ma perché ciò si realizzi è necessario prima di tutto abbandonare le politiche annonarie che contengono il prezzo del grano, abolire tutti i provvedimenti protezionistici nei confronti della manifattura per favorire la diminuzione dei prezzi dei manufatti, introdurre un’unica tassa al posto dei molti dazi che gravano sul processo produttivo. La posizione fisiocratica però suscitò le critiche di quanti temevano l’aumento del costo dei grani dovuto alla liberalizzazione del commercio, tanto che, dopo il fallimento della politica di Turgot, fisiocratico che ricoprì la carica di Controllore delle finanze in Francia dal 1774 al 1776, si ebbe anche il declino della fisiocrazia.

Ambito scientifico

Durante il XVIII vi fu un notevole progresso scientifico che coinvolse tutti i rami del sapere, e questo grazie ad un aspetto illuminista: la celebrazione filosofica della scienza e dei suoi metodi.
Molte quindi furono le scoperte in ogni campo scientifico. In matematica Eulero sostenne la convinzione che l’uomo potesse raggiungere ogni verità purché utilizzando i calcoli infinitesimali, Langrage trasformò la meccanica in teoremi algebrici. In fisica si sviluppò la meccanica celeste: Herschel scoprì il pianeta Urano e il movimento del Sole nello spazio; Cavendish studiò la misura del peso della Terra e degli astri, e calcolò la costante di gravitazione universale. Furono compiuti grandi passi anche nello studio dell’elettricità, difatti B. Franklin studiò la natura elettrica del fulmine, teorizzò la presenza di fluido elettrico in ogni corpo allo stato naturale. Grandi scoperte vennero effettuate anche in chimica, grazie a Lavoisier, che scoprì l’ossigeno e chiarì il concetto di elemento chimico. In biologia venne fatta una nuova classificazione scientifica ad opera di Linneo, che determinò anche il concetto di specie.

Ambito culturale

Per quanto riguarda la letteratura e l’arte in genere, ne emerge un tipo che ha alla base l’utilità. Tramonta il concetto di “arte per l’arte” per creare un’arte (letteratura) che abbia dei contenuti civili, politici e sociali. Essa deve servire per educare il popolo e siccome è diretta a tutto il popolo borghese non alla vecchia aristocrazia, si modifica il linguaggio che deve essere più comprensibile (privo di arcaismi e termini tecnici) e soprattutto si modifica la struttura del linguaggio perché si passa dalla costruzione indiretta a quella diretta. Si rinuncia quindi alla struttura latina per far posto a quella diretta, più semplice perché ha un ordine ben preciso: in base a questa esigenza sorgerà poi una questione della lingua. Viene preferito inoltre l’utilizzo della paratassi più che quello dell’ipotassi.
Si introducono nuove forme metriche, si diffonde il romanzo sociale con sfondo politico, si sviluppa la forma di saggio breve e la stampa.

Nuova figura d'intellettuale

Per gli Illuministi l’intellettuale non si identificava più con il “sapiente” distaccato dalla vita sociale e intento unicamente alle speculazioni metafisiche, ma diventò un “uomo in mezzo agli altri uomini”, che lotta per migliorare il mondo e si sente utile alla società.
In un primo momento gli intellettuali si sentivano delusi per l’apparente noncuranza con cui venivano accolte le loro idee, per l’impotenza politica in cui si trovavano, per i tortuosi intrighi dei circoli di governo, ma poi il decennio 1765-1775 fu caratterizzato dall’ottimismo sulle possibilità di collaborazione fra sovrani e intellettuali. Il progresso delle riforme si accompagnava a un crescente entusiasmo e a una sempre più appassionata speranza degli illuministi, anche negli Stati dove l’attività riformatrice fu piuttosto modesta, in quanto mutò il rapporto tra governanti e intellettuali riformatori ed emerse una nuova classe dirigente caratterizzata dalla volontà di creare una cultura che risponda ai bisogni concreti della società, che offra strumenti operativi di intervento e diffonda al massimo grado le conoscenze che la ricerca scientifica viene aggiornando con ritmo sempre più sostenuto sulla realtà del mondo naturale e dell’uomo. Come afferma Hauser nella “Storia sociale dell’arte” gli scrittori del tempo “sono apprezzati e rimunerati unicamente per i loro servizi politici e non per le loro qualità intellettuali o morali”, ed il lavoro intellettuale tende a professionalizzarsi, con un rapporto di autonomia e di forza, che deriva dall’importanza delle funzioni assegnategli dal sovrano illuminato. Quindi gli intellettuali illuministi, come afferma il Venturi ne “La cultura illuministica in Italia”, “sono dei riformatori, insomma, non dei rivoluzionari giacobini della generazione posteriore, né, tanto meno, dei patrioti ottocenteschi”.

Nuovo pubblico

L’aumento dell’alfabetizzazione fu una conseguenza dell’ampliamento del pubblico, rappresentato per lo più dalla borghesia. L’Illuminismo presentò un legame con la civiltà borghese, che fin dal Rinascimento era in una continua crescita economica e politica, tanto da diventare l’espressione teorica e intellettuale dal processo di avanzamento della borghesia del XVIII. Inoltre questo legame è reso evidente anche dall’estrazione sociale dei rappresentanti dell’Illuminismo, in maggioranza borghesi, dall’ideale umano sottolineato, e la presenza di alcuni aristocratici non cambia ciò, in quanto si tratta di aristocratici dediti a modi di vita borghesi.
Ciò però porta al problema di considerare l’Illuminismo solo come una rivoluzione culturale rappresentativa del progresso della borghesia o anche un fenomeno strutturale che riguarda la mentalità e la civiltà, espandendosi così a tutta l’umanità.

Generi letterari

Il mutamento della committenza, del pubblico, l’espansione dell’editoria, la crescente alfabetizzazione, la tendenza illuministica alla creazione di un’opinione pubblica hanno una grande influenza sullo stile e sui vari generi letterari. La scrittura tende a diventare sempre più semplice, la sintassi a diventare più lineare, viene considerato fondamentale il momento della ricezione per poter svolgere una valida azione persuasiva nei confronti di quanti più lettori possibile. Ciò spiega l’utilizzo frequente dello stile epistolare lì dove sia possibile, come per esempio nelle polemiche letterarie, negli scritti filosofici, nel romanzo.
Il romanzo epistolare si affermò soprattutto nella seconda metà del XVIII con Rousseau (La nuova Eloisa), Laclos (Le relazioni pericolose), Goethe (I dolori del giovane Werther). Anche la trattatistica subì dei cambiamenti dovuti al nuovo atteggiamento degli intellettuali nei confronti della società: nasce, infatti, il pamphlet, che si differenzia dal trattato sistematico, il quale in ogni caso non cessa d’esistere, per la brevità, la vivacità, l’incisività e l’apertura ad un pubblico non necessariamente specialistico, quindi più vasto, come per esempio il “Dei delitti e delle pene” di C. Beccaria. Un altro tipo di scrittura illuministica è, inoltre, la divulgazione, che può anche assumere la forma del reportage giornalistico.
La letteratura illuministica si svolge soprattutto in una modalità ironico-parodica che si esprime nella satira (come “Il giorno” di Parini), nel romanzo umoristico (il “Tristram Shandy” di Laurence Sterne), nel conte philosophique, vale a dire novella filosofica, (il “Candide” di Voltaire). Inoltre un genere che si diffonde con l’Illuminismo e del quale ne esprime la cultura è il romanzo filosofico, come per esempio l'“Emilio o dell’educazione” di Rousseau, che è un romanzo-saggio di argomento pedagogico.
Inoltre l’Illuminismo utilizza una modalità patetico-sentimentale nel teatro, attraverso il melodramma, riformato nella seconda metà del XVIII secondo il programma di Calzabigi-Gluck, e il dramma borghese, genere che si sviluppa partendo da due opere di Diderot, “Le fils naturel” e “Le père de famille”.
Nell’Illuminismo quindi la prosa prevalse sulla poesia, tanto che i generi più frequentati furono il saggio e il romanzo, mentre la lirica in versi ebbe un posto di poco rilievo.

Enciclopedismo

Tra le varie forme letterarie sorte durante l’Illuminismo ci fu anche l’“Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts e des métiers”, diretta da Denis Diderot con Jean Baptiste Le Rond d’Alembert. Fu il prodotto di due generazioni di intellettuali illuministi e la sua pubblicazione durò dal 1751 al 1772. I compositori dell’opera trovarono grandi difficoltà perché ostacolati nella composizione dalla censura della chiesa e dello stato. Grazie però all’operato di Diderot, che portò avanti clandestinamente la stesura dell’opera, essa venne pubblicata. Questa fu la più grande opera dell’illuminismo francese e fu il suo massimo strumento di diffusione. Ha come principio di base l’utilità della cultura, e quindi è un’opera che vuole far conoscere tutti i settori del sapere ed è rivolta ad un pubblico vastissimo; è strutturata come un dizionario enciclopedico ed ha carattere universale.
E’ da notare inoltre che le figure più importanti dell’Illuminismo non parteciparono alla composizione dell’Enciclopedia o, se pure collaborarono, scrissero pochissimi articoli il cui argomento comunque non riguardava i temi trattati nelle loro opere, come per esempio Montesquieu scrisse il solo articolo sul gusto, Turgot ne scrisse uno su etimologia e uno su esistenza, Voltaire collaborò ai primi volumi ma ben presto smise di farlo. Tuttavia lo spirito di questi uomini domina ugualmente l’Enciclopedia e le dottrine che non presentavano in proprio ispiravano ugualmente gli articoli dei collaboratori.
Inoltre l’Enciclopedia non ha tutta la carica di lotta contro la tradizione che le si attribuisce comunemente, difatti essa include molti articoli il cui compito è quello di rassicurare le anime pie e a costituire un alibi ai collaboratori, e contiene persino incongruenze ed errori riguardanti anche la cultura del tempo. Tuttavia ebbe un ruolo molto importante, e grazie ad essa si ebbe uno dei più grandi rinnovamenti della cultura europea.

L’Illuminismo italiano

L’illuminismo italiano accoglie in generale tutte le teorie dell’illuminismo europeo ma, come movimento di pensiero, ha incontrato difficoltà perché in Italia ci sono ancora molti fattori che impediscono l’accettazione completa del movimento. Uno di questi fattori è l’arretratezza dell’economia che ha impedito lo sviluppo della classe borghese in contemporanea agli altri stati europei, per cui, questa classe molto debole in Italia non ha saputo influire in maniera incisiva sulle istituzioni tradizionali.
Per quanto riguarda l’Italia possiamo affermare che i luoghi in cui per primi si diffondono le idee illuministiche sono Milano e Napoli. A Milano perché essendo la Lombardia a contatto con altri paesi europei è stata sempre la regione all’avanguardia sia per l’economia sia per la cultura. A Napoli perché i Borboni avevano portato una serie di riforme ed inoltre perché lo stato era diventato autonomo proprio alla metà del 1700.
L’accettazione delle idee illuministiche è strettamente legata alla politica perché delle tre teorie politiche quella di Voltaire ha preso il sopravvento sulle altre (gli stati europei sono quasi tutti delle monarchie assolute con a capo un sovrano “illuminato”), e, gli stati dove gli intellettuali sono riusciti ad operare d’accordo con la classe politica dirigente hanno attuato una serie di riforme prendendo spunto dall’illuminismo. Per questo in diversi stati ci sono state delle riforme giuridiche e soprattutto nel campo dell’istruzione.
Ad esempio l’Austria si è avvalsa degli intellettuali come Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria, ed è per opera di questi intellettuali che essa apportò delle riforme a carattere giuridico. In particolar modo Pietro Verri ha svolto un’opera di rinnovamento, oltre che nella pratica politica, anche con i suoi scritti basati sulla critica ai sistemi di tortura dell’epoca. Possiamo poi indicare Beccaria per il suo trattato “Dei delitti e delle pene”. L’opera contiene come principio fondamentale quello dell’inutilità della pena di morte e soprattutto la necessità della pena come rieducazione dell’individuo per il suo reinserimento nella società. Questo trattato è stato molto importante perché diffusosi in tutta Europa ha influenzato molti stati, nei quali è stato riformato il codice penale in genere.

Illuminismo milanese

Questi intellettuali milanesi si radunavano nel “Cafè” che era inteso come una sorta di salotto culturale, luogo di discussione e dibattito circa i problemi politici civili e letterari, che prende spunto dai Caffè inglesi. I frequentatori del “Cafè” fondano anche una rivista intitolata appunto “il Cafè”.
Oltre a tutti gli altri settori, l’aspetto letterario viene trattato con tono polemico nei confronti della letteratura tradizionale e del concetto dell’arte per l’arte che non aveva nessuna utilità sociale. Gli illuministi ribadiscono il concetto che la letteratura deve essere utile al popolo e per questo deve trattare problemi vivi e attuali e cioè quelli che il popolo vive quotidianamente.
A Milano gli illuministi si riuniscono anche nelle Accademie che sono ritenute luogo d’incontro e di discussione e di scambio di cultura. Sorgono a Milano due importanti accademie:
• L’accademia dei Pugni, che è quella più combattiva che assume più condizioni battagliere nei confronti della tradizione (legata al “Cafè” vi appartiene Parini)
• L’accademia dei Trasformati, che ha posizioni più moderate ma è favorevole alle riforme (vi appartengono i fratelli Verri)

Illuminismo napoletano

Lo spirito dell’Illuminismo trovò a Napoli i suoi precursori in Ludovico Antonio Muratori e in Pietro Giannone. Il primo fu importante per la polemica riguardo i ritardi della cultura italiana del tempo e per aver stabilito alcuni principi della metodologia storiografica critico-scientifica: egli, infatti, promosse la messa tra parentesi della tradizione, l’accertamento della realtà dei fatti e dell’autenticità dei documenti, il rispetto dell’oggettività storica. Il secondo invece fu importante in quanto dimostrò l’indebolimento del potere politico ad opera del potere ecclesiastico e quindi la conseguente necessità di ridurre il potere ecclesiastico nei limiti spirituali.
Un’altra figura importante, che però si avvicina di più all’Illuminismo francese, è l’abate Ferdinando Galiani che fu segretario dell’Ambasciata del Regno di Napoli a Parigi. Egli fu soprattutto un economista, criticò la tesi del mercantilismo secondo la quale la ricchezza di uno stato consista nel possesso di metalli preziosi. Le sue idee filosofiche non sono esposte in maniera sistematica, ma sono presenti in varie parti delle Lettere ed inoltre sono conformi a quelle dell’Illuminismo francese. Galiani rispose ai filosofi che sostenevano il sillogismo «se un Dio avesse fatto il mondo, questo sarebbe senza dubbio il migliore di tutti; ma non lo è, neppur da lontano; dunque non c’è Dio» dicendo: «Non sapete che Dio ha tratto questo mondo dal nulla? Ebbene, noi abbiamo dunque Dio per padre e il nulla per madre. […] Si prende dal padre, ma si prende anche dalla madre. Ciò che vi è di buono nel mondo viene dal padre e ciò che vi è di cattivo viene dalla signora nulla, nostra madre, che non valeva gran che» (Lett. all’Abate Mayeul, 14 dicembre 1771).
Antonio Genovesi, che ebbe la cattedra di lezioni di commercio all’Università di Napoli, invece fondò le sue dottrine economiche sul sensismo francese. Riconosce come principio motore il desiderio degli uomini di sfuggire al dolore derivante dal bisogno non soddisfatto, che viene chiamato interesse, considerando questo ciò che spinge l’uomo sia all’attività economica sia alla creazione delle arti e delle scienze, sia ad ogni virtù.

Questione della lingua

Durante l’Illuminismo vi fu anche una questione sulla lingua della quale si occupò anche Alessandro Verri, che compose una critica sulla lingua. La sua polemica è incentrata sul vocabolario della Crusca. Verri scrive un articolo pubblicato sul primo numero del Cafè intitolato “ Rinunzia avanti notaio al vocabolario della Crusca”. La polemica è basata soprattutto sulla scelta che nel 1500 era stata fatta per la lingua di Boccaccio e Petrarca. Alessandro Verri si chiede per quale motivo bisognava accogliere solo Petrarca se altri scrittori avevano inventato parole che potevano essere buone da inserire nel vocabolario, e rivendica, inoltre, la facoltà di utilizzare parole nuove, o italiane di nuovo conio oppure importate da altre lingue. Questa osservazione di Verri apre una nuova questione della lingua. Nel periodo illuminista la stagnazione della lingua ha creato problemi perché si diffonde l'uso della traduzione di opere straniere (es. l’Enciclopedia): gli italiani si sono trovati in difficoltà a rendere nella loro lingua tutta la terminologia scientifica, filosofica e anche letteraria contenuta nelle opere straniere. L’italiano non aveva cioè i corrispondenti, bisognava o italianizzare i termini stranieri o coniarne di nuovi che rispondessero a quei concetti e siccome stavano entrando in Italia moltissimi termini francesi possiamo suddividere gli intellettuali in due correnti:
1. Difensori della purezza della lingua;
2. A favore di neologismi e francesismi (fra questi troviamo tutti gli illuministi).
La soluzione viene da Cesarotti nel “Saggio sulla filosofia delle lingue” che suggerisce di affidarsi di volta in volta alla ragione e cioè l’innovazione del linguaggio culturale ci deve essere quando lo suggerisce l’uso e quando questa innovazione è funzionale, come nel caso della traduzione, e quindi ogni individuo facendo le traduzioni deve rendersi conto se è necessario introdurre un nuovo conio o utilizzare altre lingue. Anche Cesarotti critica coloro che non vogliono innovazioni per puro attaccamento alla tradizione senza rendersi conto che la lingua deve adeguarsi ai tempi.
Pietro Verri e Cesare Beccaria accolgono il pensiero sensista e cioè si indirizzano verso lo studio di meccanismi psicologici della conoscenza e quindi in generale della vita psichica dell’uomo. In particolar modo Beccaria esamina le scelte retoriche dal punto di vista storico psicologico come espressioni di stato d’animo e sensazioni. Quindi in questo modo collega anche la lingua agli stati d’animo (aspetto nuovo rispetto al sensismo europeo).
Sul fronte opposto però si collocarono i letterati tradizionali, sostenitori della purezza della lingua. Essi proponevano l’uso del toscano vivo al posto di quello arcaico, rimanendo fermi però sulla decisione di rifiutare le innovazioni linguistiche e stilistiche che si registravano nella letteratura a causa della grande influenza francese.

Cosmopolitismo

Una delle caratteristiche dell’Illuminismo è il concetto di cosmopolitismo, ripreso dalla filosofia antica, in particolare da Diogene Cinico e da Socrate. Ma fu soprattutto l’Illuminismo a sostenere, in nome della Ragione e della Legge di Natura, uguale per tutti gli uomini al di là di qualunque differenza contingente, l’instaurazione di un ordine universale capace di garantire la libertà e il progresso di ogni uomo nella cosmopolitica fratellanza di tutti. Se la ragione e il suo uso sono definizione dell’uomo, non è possibile fare distinzioni di tipo superiore fra gli uomini, allora tutti siamo allo stesso modo cittadini del mondo e non, o solo in secondo piano, di questo o quel paese.
In un primo momento però il concetto di cosmopolitismo non fu bene accetto, tanto che nel 1762 l’Accademia francese definì nel suo vocabolario “cosmopolita” con un’accezione negativa, retaggio di una diversa tradizione di pensiero: "Colui che non ha patria. Un cosmopolita non è un buon cittadino"; solo nell’edizione del 1798, fortemente condizionata dall’ideologia della Rivoluzione, l’atteggiamento divenne favorevole: "Cittadino del mondo. Si dice di colui che non ha patria. Un cosmopolita considera l’universo come propria patria".

Estetica del sublime

L’estetica del sublime fu teorizzata soprattutto da Kant. Egli definisce il sublime come quel sentimento prodotto da ciò le cui dimensioni sono tali da risultare incommensurabili con il soggetto umano. Quindi tutto ciò la cui vastità è tale per cui l'uomo non è in grado di ricondurlo alle sue dimensioni.
Esistono secondo Kant due tipi di sublime:
• il sublime matematico, in questo caso la vastità delle dimensione è data dalla "grandezza spaziale". Si ha quindi quando viene percepita qualcosa smisuratamente grande rispetto all'uomo. Kant fa l'esempio della vista del mare, del cielo o di una montagna.
• il sublime dinamico, in questo caso non si tratta tanto della percezione di una grandezza spaziale smisurata ma di una forza smisurata. Kant cita come esempio tutti quei casi in cui la natura si manifesta all'uomo come una minaccia alla sua stessa esistenza perché dotata di energie enormemente più ampie di quelle umane (mare in tempesta, uragano, terremoto, eruzione ecc.).
In entrambi i casi il sublime produce uno stato ambivalente del soggetto:
• immaginazione-angoscia: attraverso la sua immaginazione l'uomo prova un senso di angoscia totale per la sua piccolezza (sublime matematico) e per la sua impotenza (sublime dinamico). Infatti di fronte a grandezze e forze talmente a lui superiori l'uomo prova un senso di annichilimento, l'uomo diviene in questo modo consapevole del valore quasi nullo della sua vita (esempio: quale valore attribuirebbe alla sua vita un organismo il cui ciclo vitale è di poche ore, se fosse in grado di essere consapevole della durata della vita umana?).
• ragione-esaltazione: d'altra parte proprio nella percezione dei suoi limiti fisico-naturali, l'uomo diviene consapevole di se come essere naturale ma che si distingue dalla natura per il possesso della ragione. Il senso di inferiorità che egli prova di fronte alla grandezza della natura viene in questo modo a capovolgersi nella consapevolezza della superiorità dell'uomo sulla natura in quanto essere razionale. Come sempre in Kant la dignità e superiorità dell'uomo risiedono nella consapevolezza che con la sua ragione egli acquista dei suoi limiti (per tornare all'esempio dell'organismo fatto precedentemente, si può notare che il difetto di quell'esempio consiste proprio nel fatto che nessun organismo a parte l'uomo può "essere consapevole". Proprio per il fatto di essere consapevole dei suoi limiti l'uomo raggiunge la certezza della sua superiorità sulla natura a cui manca la "consapevolezza").
Pertanto l'uomo si libera dalla sua finitudine emancipandosi dal terrore prodotto dal sublime matematico perché è in grado di concepire l'idea di infinito di fronte alla quale anche la più grande realtà naturale appare infinitamente piccola; riscattandosi dal senso di finitudine provato di fronte al sublime dinamico, perché grazie alla sua ragione egli può dominare la natura.
Pertanto lo stato di inferiorità dovuto alla finitudine fisica umana, viene superato nella scoperta della infinitezza della vita spirituale dell'uomo. Il sublime si articola quindi in due momenti, il primo negativo, poiché rivela all'uomo la sua finitudine su un piano naturale, il secondo positivo in quanto afferma la superiorità dell'uomo sul piano spirituale.

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