L'uomo tra le 2 guerre

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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Testo

L’Uomo Tre Le Due Guerre

Il contesto culturale

Il contesto culturale del ventennio che separa le due guerre mondiali è caratterizzato, almeno per una buona metà degli anni Venti, dal sovrapporsi del dibattito culturale e politico. L’Italia esce dal conflitto del ‘15-’18 profondamente lacerata nel tessuto sociale tra reduci di guerra che sono dei veri e propri sbandati sociali, classi contadine e operaie che sulle suggestioni della rivoluzione russa pretendono quanto è stato loro promesso in cambio dei sacrifici in guerra, strati medio e piccolo borghesi spaventati dal mondo operaio, movimenti nazionalisti di massa.
Altrettanto lacerato è il tessuto istituzionale liberale, incapace di sorreggere uno Stato che nel corso della guerra si è assunto compiti di intervento economico e sociale di massa.
I primi anni Venti sono quindi caratterizzati, dal punto di vista culturale, da un serrato dibattito sui grandi temi della politica: la lotta di classe, il modello di Stato, il tipo di economia, il ruolo della cultura. Il confronto, fino alla fascistizzazione dello Stato e della società del 1925, è ricco e variegato, ma in seguito molte riviste sono costrette a chiudere, alcuni intellettuali vengono imprigionati, altri bastonati, altri messi a tacere.
Da questo momento in poi si può discutere, e pure con molte attenzioni, solo di letteratura, mentre per conto suo lo Stato fascista mette in pratica una vera e propria politica culturale di regime.

Gli intellettuali

Nonostante il conformismo imposto dal fascismo alla vita culturale, le posizioni degli intellettuali finiranno per risultare assai differenziate e variegate, per la dialettica relativa al ruolo da giocare nei confronti del regime, e al posto da riservare alla letteratura.
La fine del conflitto, con i tanti problemi che lasciava irrisolti, sembrava fatta apposta per sollecitare una presenza attiva degli intellettuali, ponendoli di fronte alle responsabilità delle nuove esigenze storiche. Tra le personalità più rilevanti che risposero all’appello si devono ricordare quelle di Antonio Gramsci e di Piero Gobetti, che diedero nuova vita alla figura dell’intellettuale impegnato, già delineatesi nei primi anni del Novecento. Gramsci proseguì il suo lavoro a favore della classe operaia, con lo scopo non solo di organizzarla politicamente, ma anche di dotarla di nuova cultura, che la mettesse in condizioni di sottrarsi al ruolo egemonico dell’ideologia borghese. Gramsci teorizza, dandone egli stesso l’esempio più alto, la figura dell’intellettuale organico, che viva a diretto contatto con i problemi della gente, collegando gli interessi culturali alla pratica e all’organizzazione del partito. Di qui anche l’intensa attività giornalistica, sui giornali da lui fondati e diretti, come il socialista “grido del popolo” e il comunista “l’ordine nuovo”, in cui, oltre ad elaborare le linee della strategia politica, si occupa di problemi artistici e culturali, a partire da quelle forme (la letteratura popolare e d’appendice, il teatro) che più da vicino interessano le classi subalterne, in una serrata polemica nei confronti della cultura ideologicamente aristocratica e borghese. Il giornale rappresenta per lui il canale privilegiato dell’azione formativa e divulgativa, per l’incidenza quotidiana del suo impatto con i lettori.
Del tutto nuova risulta invece, all’indomani della guerra, la figura di Gobetti, che nel 1918 pubblica una rivista, “energie nove”, destinata ad attrarre l’attenzione dei maggiori intellettuali italiani. Ispirandosi all’esempio di “voce”, Gobetti si fa carico di una profonda esigenza di rinnovamento spirituale, nel solco della tradizione idealistica del primo Novecento. Con la seconda rivista da lui fondata, la “rivoluzione liberale”, propugna un’alleanza fra le forze della borghesia liberale più aperte e la classe operaia, rilanciando il programma giolittiano in termini molto più avanzati, con lo scopo di contrastare le tendenze politiche conservatrici o reazionarie. Grande organizzatore di cultura, e suscitatore di energie intellettuali, Gobetti fondò anche una casa editrice, raccogliendo intorno a sé e alle sue iniziative non pochi fra i giovani scrittori e intellettuali più aperti e promettenti. I punti di convergenza che univano programmi pur molto diversi fra loro, oltre alla stima reciproca per la serietà dell’impegno culturale, avvicinarono Gobetti e Gramsci; entrambi si trovarono poi in prima linea nel combattere un’accanita battaglia contro l’affermazione del fascismo, di cui furono fra i più irriducibili avversari (tanto che il regime, per aver ragione del loro dissenso, fu costretto a ridurli al silenzio).
Vi furono anche intellettuali che appoggiarono al fascismo, la cui adesione presenta, sul piano culturale, motivazioni diverse. Il che si spiega con le componenti eterogenee che confluirono nella realizzazione del progetto fascista, privo di una sostanziale originalità di pensiero e poi soprattutto attento a conciliare componenti sociali e forze produttive diverse. Queste anime molteplici potevano facilmente dar luogo a progetti culturali lontani fra loro che presumevano, ciascuno per conto proprio, di interpretare lo spirito genuino del fascismo, la sua natura più autentica e innovatrice. Le oscillazioni stesse della politica del regime, e i conflitti interni fra i vari gruppi di potere, potevano facilmente determinare incertezze e sbandamenti, dando luogo ad atteggiamenti critici che, senza mettere in discussione il ruolo carismatico del fondatore del fascismo, colpivano particolari settori della burocrazia o del potere, accusandoli di involuzione e di deviazionismo. Anche le scelte culturali maturate via via all’interno del fascismo potevano essere considerate più o meno eretiche o sovversive, e questo per il paradosso di direttive politiche che, mentre pretendevano di controllare completamente, non erano poi in grado di fissarne con coerente chiarezza i contenuti.
L’adesione al fascismo di alcuni fra i più noti scrittori del tempo obbedisce così a motivazioni diverse, e non sempre decifrabili con chiarezza. Non c’è dubbio che una figura come quella di Gabriele d’Annunzio poteva rappresentare un modello illustre, sia per il culto del gesto eroico manifestato in guerra e durante l’impresa di Fiume, sia per l’uso di una retorica nazionalistica e imperialistica, alla quale si ispirerà nei suoi discorsi lo stesso Mussolini. Ma, nonostante gli oneri tributati, d’Annunzio finirà ben presto per essere accantonato trascorrendo l’ultimo periodo della sua vita in isolamento.
Più problematica risulta senza dubbio l’adesione di Luigi Pirandello, che avvenne, con una dichiarazione ufficiale per certi aspetti clamorosa, dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, nel momento in cui il fascismo risultava fortemente indebolito di fronte alla pubblica opinione e sembrava fosse addirittura in procinto di cadere. Fu quindi un gesto anticonformista e quasi provocatorio, dovuto alla consueta avversione nei confronti di una mentalità borghese considerata gretta e meschina. Resta comunque il fatto che Pirandello non muterà gli orientamenti della sua ricerca letteraria, che resta lontana da ogni forma di compromesso con le scelte politiche di quegli anni, irriducibile ai miti della propaganda del regime, in tutte le sue espressioni.
Ugualmente netta è la distanza fra le convinzioni fasciste di Giuseppe Ungaretti e il carattere del tutto apolitico delle sue poesie, che potevano essere accusate, tutt’al più, di un esasperato individualismo, aristocraticamente chiuso nei confronti di ogni sensibilità sociale.

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