Johann Wolfgang Von Goethe

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Testo

Johann Wolfgang Von Goethe

Johann Wolfgang von Goethe nasce a Francoforte sul Meno nel 1749, in una famiglia della migliore borghesia patrizia della città. Avviato sulle orme del padre agli studi giuridici, preferisce dedicarsi alla letteratura e ottiene rapida fama con il romanzo I dolori del giovane Werther (1774). Chiamato alla corte ducale di Weimar, ricopre vari incarichi contribuendo a fare della piccola città un vivo centro di cultura, capitale spirituale della Germania. A parte due viaggi in Italia (1786 e 1790), dove si forma in modo definitivo e resta affascinato da paesaggi e situazioni, fonti di ispirazione per le opere successive, trascorre nell’ambiente sereno di Weimar il resto della vita. Sono di questo periodo il dramma Egmont (1788) e soprattutto il romanzo Le affinità elettive (1809). Dal 1772 lavora alla stesura del Faust che porta a termine dopo sessanta anni, poche settimane prima della morte sopraggiunta nel 1832.

Opere principali
Goetz von Berlichingen (1772); I dolori del giovane Werther (1774); Ifigenia in Tauride (1779); Torquato Tasso (1780); Egmont (1788); Elegie romane (1789); Metamorfosi delle piante (1790); Gli anni di noviziato di Guglielmo Maister (1795); Le affinità elettive (1809); Elegia di Mariembad (1823); Viaggio in Italia (1828); Secondo soggiorno romano (1829); Faust (1831).

VII elegia
Nella VII elegia il poeta rinnova con accenti di inconfondibile immediatezza la gioia pura provata nel trovarsi finalmente a Roma, un luogo benedetto dagli dei, il migliore dove un uomo possa desiderare di morire.

«O quanto mai lieto io mi sento in Roma! Pure che io pensi a quei tempi, che un giorno grigiastro mi accoglieva lassù nel settentrione.
Torbido il cielo e opprimente sul mio capo gravava; senza linea né colore il mondo intorno alla mia stanca persona posava.
Ed io su me stesso, intento a scrutare le oscure vie dello spirito inappagato, mi ripiegavo, meditando in silenzio.
Ora la chiarità più viva dell’etere mi illumina la fronte; Febo (nota 1), il divino, esalta forme e colori.
La notte splende di un chiarore stellare, e di molli canti risuona, e luce (nota 2) la luna più chiara del nordico giorno.
Quale beatitudine fu a me mortale concessa! O sogno io forse? O s’apre la tua ambrosia casa (nota 3), o padre Giove, ad accogliere l’ospite?
Ah! qui, io mi prostro e stendo ai tuoi ginocchi le supplici mani. Oh esaudisci, Giove ospitale!
Come io quassù sia venuto, davvero non so dire; Ebe (nota 4) afferrò me viandante e in questo recinto mi addusse.
Sei tu il dio ospitale? Oh allora non cacciare l’ospite dal tuo Olimpo, nuovamente giù nella terra!
Tollera, Giove, che io sia qui e che Hermes (nota 5), più tardi, mi guidi passando avanti la tomba di Cestio (nota 6), giù dolcemente all’Orco.»

nota 1 Il Sole.
nota 2 Risplende
nota 3 Forse è stato lasciato entrare nella casa di Giove, dove ci si nutre di ambrosia, il cibo degli dei.
nota 4 Dea della giovinezza e coppiera degli dei sull’Olimpo.
nota 5 Hermes o Mercurio è il dio che accompagna le anime dei morti nell’Orco, l’oltretomba.
nota 6 La tomba di Cestio, di epoca augustea, si trova presso Porta San Paolo.

Elegie romane
Costituiscono un gruppo di venti elegie scritte alla maniera dei poeti latini Catullo, Properzio e Tibullo. Esse sono state ispirate a Goethe in tarda età dal ricordo dei suoi due soggiorni in Italia, dove aveva dimorato due anni e dove si era sentito a casa sua, per la prima e l’ultima volta della sua vita: dopo parlerà di sé come di un “esiliato”. Con schietta naturalezza rievoca i paesaggi, la luce, le gioie spirituali e fisiche, la rivelazione che aveva avuto dei monumenti dell’antichità.

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