Il Romanticismo italiano

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Il dibattito italiano sul Romanticismo
Il dibattito italiano sul romanticismo si apre nel 1816 quando, sul primo numero della "Biblioteca Italiana", giornale finanziato dagli austriaci, appare un articolo a firma di Madame de Staël, sull'importanza della traduzione delle opere in lingua straniera. Si apre così il primo dibattito pubblico in materia letteraria: la de Staël accusava gli intellettuali italiani d'essere provinciali, li invitava ad aprirsi alla cultura romantica attraverso la lettura d'autori stranieri e spronava la diffusione delle loro opere per mezzo della traduzione.
Molti intellettuali italiani si sentirono in dovere di difendere la tradizione neoclassica, ebbe così inizio un lungo botta e risposta che vide impegnarsi o quanto meno schierarsi i maggiori esponenti della cultura italiana dell'epoca; fra questi ricordiamo Pietro Giordani che per primo replicò alle accuse mosse dalla de Staël, con un articolo anonimo sulla stessa Biblioteca, il giornale, infatti, di tendenze ovviamente filoaustriache, sebbene avesse pubblicato l'articolo sulla traduzione, diede poi maggiore spazio ai classicisti. Sul fronte romantico troviamo i nomi di Berchet e di Porta, mentre Leopardi inviò una lettera in difesa del neoclassicismo che però non fu mai stampata.
I romantici italiani non si discostarono mai dalla tradizione classica e presero come modelli Parini e Alfieri. L'opera dei romantici italiani era rivolta al popolo, inteso come la nascente classe borghese, di cui Berchet spiega bene le caratteristiche nella sua "Lettera Semiseria di Grisostomo al Figlio": le opere della poesia romantica non devono essere rivolte né ai Parigini né agli Ottentotti, gli uni perché troppo raffinati, gli altri perché troppo rozzi.
La luce di questa polemica nacque a Milano il periodico liberale "Il Conciliatore", in opposizione con la Biblioteca, che voleva apertamente raccogliere l'eredità del "Caffè" dei Verri, fra gli altri collaborarono al Conciliatore: Pellico, di Breme, Borsieri e Berchet. Dopo appena un anno di vita, la censura austriaca fece chiudere il giornale.

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