Il Romanticismo

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Testo

IL ROMANTICISMO

Elemento particolare del romanticismo fu il senso del limite, derivato dal contrasto fra finito ed infinito. Essenziale è quindi analizzare i suoi riflessi sulla personalità e le forme d'evasione da esso.

Riflessi sulla personalità: l'uomo romantico si considerava come una totalità organica, una fusione tra corpo (finito) e spirito (infinito e quindi anche misterioso).
Per questo l'uomo, secondo i romantici, doveva essere autonomo, e l'unica legge doveva essere quella di obbedire a se stesso, di ubbidire alla sua natura. Ritenevano, infatti, le convenzioni sociali castranti, perché non derivavano dalla propria natura, ma dall'esterno e quindi non vanno rispettate quando si oppongono alla propria natura. Dato che l'uomo è un individuo e che la società massifica, è necessario privilegiare l'umanità.
Da qui deriva anche il problema con la scuola, la quale dovrebbe sviluppare la genialità del singolo, invece propone modelli universali. Oltretutto gli unici due tipi scuole che erano presenti in quel periodo erano la scuola dei Gesuiti, che insegnava la disciplina, e la scuola illuministica, che appiattiva l'uomo al solo livello della ragione. Il problema è che loro non proposero alcuna alternativa d'insegnamento.
Altro tema centrale del romanticismo fu la felicità. La concezione della felicità del romanticismo era totalmente differente da quella dell'illuminismo, il quale vedeva la felicità come l'equilibrio dei sentimenti guidato dalla ragione. La felicità era per gli illuministi sì il godere dei piaceri, ma ricondotto dalla ragione; la felicità era quindi vista come una forma calcolata di piaceri.
Per i romantici la felicità totale non era per niente una somma calcolata di piaceri, ma bensì un superamento di se stessi, felicità era superare i piaceri per uno più grande; la felicità era quindi uno sconvolgimento, una lotta contro la società e i propri limiti. La lotta era la felicità; ma la felicità non si può toccare poiché l'uomo è finito e quindi non può superare l'infinito, per cui la felicità era la ricerca della felicità.
L'infelicità, per contrasto, non era quindi il dolore (che loro consideravano invece come una ricchezza per l'uomo perché nobilita, fa prendere consapevolezza di se stessi), ma bensì la noia. Per noia loro intendevano un vuoto, una condizione d'inerzia dello spirito, un'assenza di desiderio, contro la quale si deve ricorrere alle emozioni violente. È, infatti, dovuto anche a questo l'abbondante uso che fecero questi artisti dell'oppio.
Deriva da ciò il problema della giustificazione dell'azione. La giustificazione dei romantici è differente sia a quella del Cristianesimo, che vedeva l'azione giustificata da un fine, sia dall'Umanesimo, per il quale l'azione era giustificata da uno scopo concreto. Per i Romantici, l'azione non vale né per il suo fine, né in funzione ad uno scopo, l'azione vale in quanto tale, è nobile perché scatena emozioni.
Da qui proviene il modello del Titanismo. I Titani avevano sfidato Zeus, ma erano stati sconfitti. Il Titano ama i gesti sublimi, gli atti che sono espressione della sua grandezza. Le caratteristiche del Titano sono:
➢ una continua ricerca di gesti grandiosi, perché sa di avere emozione superiore a tutti gli altri;
➢ il rifiuto della vita mediocre: delle consuetudini borghesi, delle cose abitudinarie;
➢ la ricerca di una tensione eroica: il Titano vorrebbe vivere in un'atmosfera fuori del comune;
➢ è convinto di essere un solitario, di essere esiliato e solo sia nei confronti di tutti gli altri uomini, con i quali non riesce a comunicare, sia nei confronti del destino;
➢ non accetta la sconfitta a cui lo condanna il destino, non si piega, finché non arriva al suicidio, che non è simbolo di rassegnazione, ma è l'ultima grande sfida, perché è una libertà eccezionale.
Il Titanismo è quindi una delle risposte alla condizione di infelicità. Nella realtà vera e propria il Titanismo non era altro che una forma di ribellionismo.
Ma il Titanismo non è l'unica delle soluzioni, un'altra soluzione è il vittimismo: una rinuncia alla lotta, una voluptas dolendi, un abbattimento, un'inerzia morale, un compiacimento della propria sofferenza. Pensavano questo perché l'uomo era buono di natura, era inutile lottare per andare "contro", non restava da fare altro che opporsi alla propria malinconia.
Tante volte il Vittimismo e il Titanismo sono aspetti della stessa persona.
Un altro mito del romanticismo è quello della sincerità. L'uomo ha il mito di essere sincero perché innanzi tutto ciò vuol dire essere se stesso e inoltre perché l'uomo ha bisogno di comunicare (è orgoglioso di non comunicare, ma ne patisce). Quello a cui aspiravano erano dei rapporti di nudità, sia interiore sia fisica perché era una forma di accettazione di sé. Ma la nudità era anche un modo per spingere gli altri a scegliere la nudità stessa. Per tale motivo vi fu un'abbondanza di opere letterarie tipo le confessioni o i diari.

Le vie di fuga dal senso del limite:
1. evasione sentimentale,
2. evasione nell'amore,
3. evasione nella natura,
4. evasione nell'arte.

L'evasione sentimentale.
I romantici erano convinti di poter sfruttare il sentimento per fuggire dal limite e dalla noia. Per sentimento intendevano la vita spirituale profonda dell'uomo, la vita pura dello spirito profondo e totale. Era quello che Schlegel chiamava geister gefühl, ovvero, sentimento spirituale: principio della vita che sta oltre. Quest'idea del sentimento fu soprattutto propria dei letterati tedeschi. I romantici latini (quelli italiani e francesi) intendevano il sentimento in modo molto più semplice, ovvero come passione, violenza, un'esplosione sentimentale immediata.
Per ottenere l'evasione ci si può anche immergere dentro se stessi, allontanarsi dalla propria fisicità e divenire liberi. Da qui deriva anche il mito del sogno, sia normale che provocato (da stupefacenti), il quale allontana da se stessi poiché non ha coordinate temporali, svincola dalle catene.
Rousseau diceva: "Non c'è niente di bello se non ciò che non c'è".
Tick: "Il sogno è un modo per scendere nell'inconscio".
Jean Paul: "Il sogno è tornare al paradiso dell'infanzia".
Sempre per rispondere a questo bisogno d'evasione uno dei generi letterari preferiti era la fiaba. A tale proposito Novalis diceva: "Il mondo diviene sogno e il sogno diviene mondo".
Il senso d'evasione veniva oltretutto combattuto con la fuga nel tempo e nello spazio: hanno, infatti, viaggiato molto perché ciò produceva stordimento, da qui deriva la moda per l'esotismo e per l'America e il desiderio di proiettarsi nel futuro o di contemplare il passato e quindi anche l'amore per la Grecia Antica.
Il romantico viveva di ricordo e di desiderio. Sempre Novalis diceva "Nulla è più poetico che il ricordo o il presentimento o l'immaginazione dell'avvenire".

L'evasione nell'amore.
Molte sono le "storie d'amore" scritte in questo periodo: “Le ultime lettere di Iacopo Ortis” di Foscolo, “A Silvia” di Leopardi, “Adelchi” di Manzoni. Anche l'amore è, per i romantici, una via di fuga, perché è un'esperienza dello spirito. Loro si riferiscono ad un amore totalizzante, un amore visto come pienezza di vita attraverso cui si può uscire dal reale; l'amore è una possibile esperienza dell'infinito. La passione umana era quindi come una passione divina, vedevano l'amore come un'esperienza mistico-religiosa (questa visione, più precisamente, fu soprattutto propria del romanticismo tedesco). La donna era divinizzata e spiritualizzata ma era diversa dalla donna angelicata dell'umanesimo, poiché nel romanticismo è la donna che sale in cielo, mentre invece la donna umanistica dal cielo discendeva in terra. Il rapporto d'amore non è vissuto come un'implicita concretizzazione perché il godimento è possesso e quindi tale possesso riconduce al limite. Inoltre il senso di routine può distruggere le immagini che si erano create. Ma, nel caso in cui avvenisse tale concretizzazione, il fine è quello di una contemplazione intellettuale del piacere.
Schlegel, nella "Lucinde", dice: "Io non godevo semplicemente, ma sentivo e godevo il godimento". E questo è per loro il vero e proprio godimento.

Evasione nella natura.
Anche nella natura si può trovare una forma di evasione. Vi sono sostanzialmente due tipi di concezione della natura.
1. Natura nemica. La natura è spogliata di ogni contributo divino, in modo totalmente meccanicistico. La natura è vista come un mostro di perfezione a cui però si aggiunge la cattiveria (catastrofi, condizioni avverse, non risponde all'uomo). Da qui deriva, fra l'altro, sia l'atteggiamento del Titanismo che quello del Vittimismo (come contemplazione languida della natura). Leopardi si affiancò al filone del vittimismo in questo senso.
2. Natura amica. La natura è vista come una potenza che conforta, una grande consolatrice; l'uomo umiliato dalla società si può rifugiare nella natura. Di questa concezione il romanticismo tedesco ne fece un approfondimento con il mito dell'estasi naturale, della fusione io-mondo. Si percepisce che lo stesso spirito vitale che sta alla base della natura umana, sta anche alla base della natura delle cose. Infinito dentro se stessi è uguale a quello dello dentro le cose e quindi ogni fenomeno è simbolo di una vita interiore. Ma tale simbolismo è totalmente differente da simbolismo medievale, per il quale il significato era unico ed univoco. Per i romantici i simboli sono misteriosi e sfuggenti; è un modo per instaurare un rapporto di simpatia ( sentire insieme; sperimentare sensazioni profonde insieme): un vibrare all'unisono con la natura.
Da qui deriva anche il rifiuto della scienza: la quale non è vista come un contributo, perché aumenta i dubbi; la scienza ha la funzione di aumentare la problematicità dell'individuo. Ma quello che rifiutano i romantici è la presunzione della scienza di dare soluzioni e del fatto che si pone come maestra per gli altri. La scienza è limitata: dice i come, ma non i perché.
Il rapporto che può avvenire con la natura è quello della fusione; tale fusione può avvenire in più modi:
1. Mettendo da parte la vita pratica e l'azione, rinunciando al mito dell'uomo faber sui.
2. Rifiutando di volere e di pensare. Ritenevano infatti che la volontà fosse frutto di condizioni esterne e che il pensare fosse una cataloghizzazione, una schematizzazione, indipendente dall'individuo.
3. Eliminando il contatto con la propria fisicità.
4. Abbandonarsi ad uno stato di "passività" (che poi per loro era molto più attivo che il trovarsi in società), non essere più se stessi.

Evasione nell'arte.
L'arte era per loro una conquista d'infinito, la via maestra per evadere dai limiti, perché nell'arte l'uomo è veramente libero. L'arte è un superamento attivo, perché è una creazione. L'arte è vista come una trasposizione del soggetto; l'uomo crea una realtà simile alla propria soggettività; oltretutto nell'arte vi è anche più armonia.
Ma fra tutte le arti non era la letteratura la più apprezzata, questa, infatti, richiede una meditazione razionale, ma bensì la musica. La musica rapisce e sconvolge, proietta direttamente l'uomo nell'infinito.
La poesia era stata fino ad allora di puro stampo classicista (tipo quella dell'Ariosto o del Tasso), la poetica seguiva due criteri ben precisi:
1. L'imitazione dei grandi modelli antichi;
2. L'attenzione alle regole.
Questo perché prima si pensava che l'arte dovesse imitare la natura, e poiché si riteneva che gli antichi l'avessero imitata in modo superiore, bisognava riprendere da loro. Vi erano regole ferree; innanzitutto bisognava scegliere un preciso genere letterario e poi, per ogni genere, vi erano le proprie regole. L'originalità stava nell'abilità con cui si poteva introdurre elementi originali, pur all'interno delle regole.
I romantici in tale senso fecero una rivoluzione: smantellarono completamente e violentemente la poetica classicistica. Si opposero ad essa, che non era mai stata messa in discussione, eccetto che dall'Aretino, il quale diceva che "l'arte è un ghiribizzo della natura".

Alcuni concetti che poi i romantici ripreso riguardo alla poetica classicista erano già stati introdotti da Vico. Lui disse che la poesia era un lavoro di fantasia, non di ragione. Determinò i rapporti tra scienza e poesia, secondo lui avevano lo stesso scopo ma vi giungevano con metodi differenti. Il loro comune obiettivo era quello di aiutare l'uomo a capire meglio se stesso e il mondo, ciò che lui definì la percezione del vero. Mentre i mezzi della scienza sono schemi astratti, la poesia penetra le cose nel loro aspetto più profondo poiché la poesia si serve di immagini, miti, non di ragionamenti. Quello che loro intendevano per mito è un concetto leggermente differente dal nostro, visto che loro non vi vedevano solo le figure della mitologia, ma anche un linguaggio pittorico più concreto di quello razionale.
Vico analizzò inoltre come il rapporto fra scienza e storia si sia realizzato nella storia. Nei primi tempi l'unica scienza era la poesia: l'uomo primitivo non aveva la capacità del pensiero astratto, ma al contrario aveva una grande sensibilità e fantasia (come i bambini piccoli). Quindi l'uomo antico conosceva il mondo in termini poetici.
In una seconda fase vi fu l'inizio del pensiero filosofico: l'uomo ha iniziato a chiedersi il perché delle cose, inizia quindi a distaccarsi un po' dalla sua parte pittorica.
Da tutto questo deriva la sua idea che la poesia è viva soprattutto nel popolo. La poesia non morirà mai, ma bisogna regredire, con la coscienza degli uomini colti, al livello dei popolani e dei bambini. Il vero talento critico per giudicare la poesia può provenire dagli uomini comuni (il critico vero uccide la poesia). La poesia è un prodotto collettivo di un'intera nazione, poiché il poeta condivide il sapere collettivo che è proprio di tutti.
Se la poesia nasce dal popolo, il suo linguaggio non può essere che in continua evoluzione, non ha quindi senso parlare di una lingua letteraria. Inoltre Vico fece una graduatoria dei poeti, che influenzò poi il romanticismo. Pensava che i poeti più validi fossero quelli più primitivi, disprezzava quindi poeti come Virgilio o Petrarca, i quali proponevano una poesia d'imitazione. I poeti più apprezzati da Vico erano quindi Omero, Dante e Shakespeare, i quali divenirino i miti dei romantici, che incarnano un popolo.
Sul finire del '700 i preromantici si occuparono di poesia: il tedesco Herder (il quale faceva parte del movimento dello sturm und drang) propose i concetti di NATURPOESIE (poesie di natura) e quello opposto di KUNSTPOESIE (poesia d'arte).
Naturpoesie: la poesia di natura è il frutto di una creazione spontanea, non è frutto di cultura, è tipica del popolo, dei proverbi, della Bibbia e in particolar modo dell'Antico Testamento, che proprio i romantici hanno rivalutato poiché era secondo loro una poesia popolare. I romantici hanno creato molte raccolte di canti popolari, proverbi, fiabe, in sintesi tutto il sapere popolare europeo fu raccolto dai romantici.
Kunstpoesie: la poesia d'arte era la poesia classicista, fatta di cultura e di erudizione, e quindi una poesia vuota. Era una poesia inutile poiché non parlava allo spirito.
Herder partiva dal presupposto che la poesia deve parlare al cuore degli uomini, la poesia deve uscire dalle accademie, deve raggiungere il popolo. L'artista doveva partecipare al sentire del popolo e per questo l'artista, che aveva in più del popolo il genio, ovvero più sensibilità, aveva un sentire maggiore, doveva smascherarsi dalla concezione culturale e calarsi nelle forme del popolo. La reazione del popolo era su due livelli: il livello edonistico durante il quale doveva riconoscere nella poesia il suo sentire, doveva godere e il livello educativo, più maturo, nel quale cresceva perché ciò che legge è a un livello più alto.
Vi sono due implicazioni:
1. La poesia fa crescere il popolo attraverso il popolo. Gli illuministi sbagliavano perché partivano da verità che dovevano essere inculcate; invece crescere vuol dire imparare a conoscersi e riconoscersi.
2. La filosofia non aiuta la crescita spirituale di un popolo, perché parla con gli schemi concettuali che il popolo non capisce. È la poesia che fa crescere un popolo.
Da tutto ciò deriva che :
➢ Cade il canone d'imitazione e tutta la poesia che c'è stata finora.
➢ Non è che disprezzavano la poesia antica, ma diceva che non va presa per modello; dicevano che il gusto è relativo.
Cesarotti diceva: "Il buon critico, ecco un cittadino di tutti i popoli, intende tutti i linguaggi del bello". È questo un nuovo tipo di cosmopolitismo, in risposta a quello illuminista, che era universalizzante, secondo il quale siamo uguali perché tutti abbiamo la ragione. I romantici propongono un cosmopolitismo individualizzante, secondo il quale siamo tutti uguali perché siamo tutti diversi.
Lo strumento principale di unione era considerato l'arte. Il vero critico, il vero artista è cittadino del mondo e l'arte è un'ambasciatrice di pace. Cambia anche la figura dell'artista, il quale è un genio, una persona originale, spontanea, tutta natura, indipendente dalla tradizione, senza un legame con la società. Il genio crea opere individuali, che sono come la natura. Il poeta, per scrivere, entra in una concezione spirituale chiamata entusiasmo: un rapimento statico, una tensione eccezionale dei sensi. La sua creazione poetica era sempre scomposta, turbolenta, di qui lo stereotipo del poeta pazzo.
Un altro ideale era quello della bellezza, ovvero del sublime. Finora la bellezza era consistita nell'ordine, nell'equilibrio, nell'armonia; per esempio, nel '700, la musica aveva uno stile galante, fondato sul gusto della proporzione proprio di artisti come Tellemann e Mozart. Per i romantici invece la bellezza era contrasto, dramma, tensione, irregolarità, squilibrio. Poiché l'interiorità dell'uomo è in continua lotta, anche la bellezza non può essere che lacerazione.
Sublime è perciò tutto ciò che è irregolare, tensione e drammaticità. Il sublime va oltre la soglia. Infatti per i romantici il sublime nasce quando l'uomo vive una condizione di particolare tensione. E. Burke, un critico inglese, nel 1775 scrisse "Origini delle idee del sublime e del bello", in cui aveva studiato cosa genera il sublime.
Sublime erano considerati:
1. Gli spettacoli naturali grandiosi e sconvolgenti, ciò che è selvaggio. Ciò che nella natura è sublime deve essere sconvolgente e cancellare i limiti delle cose. Perciò occorre il coraggio e la disponibilità dell'uomo, seguiti da un senso di paura, così l'uomo si riempie di un sentimento che ci fa percepire l'infinito.
2. Un'altra fonte di sublime è la notte. Il rapporto tra l'uomo e la notte simboleggia il rapporto fra l'uomo e il mistero, nella notte l'uomo si sente solo, immerso in mondo sconosciuto, per questo riflette su se stesso. La Luna, con la sua luce scialba cancella i confini delle cose, metamorfosa la realtà. La luna quindi induce a un raccoglimento languido, fa meditare su se stesso, induce a un pianto liberatorio, a chiedere alla Luna stessa di parlare a lui e di accendere la sua emotività.
3. Un sublime di tipo storico è il medioevo, luogo di mistero, periodo religioso, è il periodo della storia buia, tenebrosa. Quindi per i romantici studiare il medioevo era come entrare in una parte misteriosa della storia. Di conseguenza l'epoca meno sublime fu sicuramente l'illuminismo. Tornò, al contrario, in auge il Barocco, visto come periodo della libertà, dell'irrazionale e quindi per questo bello. Molto ammirate furono le cattedrali gotiche, simboli del medioevo, erano apprezzate particolarmente per il loro aspetto tenebroso, alto, slanciato che rappresentava la tensione dell'uomo verso l'infinito. Il tema della notte in Germania fu approfondito in chiave mistico-religiosa. La notte era, secondo loro, l'oltre dove sta Dio, l'infinito di Dio. Novalis scrisse gli "Inni alla notte", che erano una vera e propria preghiera a Dio.
4. Anche l'uomo, con il contrasto fra le sue passioni, è sublime.
5. Il sublime è inoltre generato anche dalla società, dallo scontro fra la morale castrante e la legge del desiderio e del sentimento.
6. Importante è anche il sublime del suicidio, che è guardato con fascino ed orrore. Infatti il suicidio non è solo una forma di affermazione e di libertà, ma nell'interiorità dell'uomo il suicidio genera sconvolgimento, perché è una cosa contro natura. Genera allo stesso tempo fascino, perché l'uomo subisce un'attrazione dalla morte come via di fuga dal limite, e orrore perché significa sempre uccidersi, togliersi la vita.

Finora abbiamo parlato soprattutto dei preromantici, i romantici del periodo più maturo ripresero questi temi rielaborandoli e approfondendoli, in particolare si concentrarono su due concetti fondamentali:
1. Sostennero fortemente la tesi che la letteratura è relativa ai poeti e ai tempi, che non è universale, ma che è espressione di una ben precisa società. Questo vale per:
a) Per opere già scritte; imponendo così un metodo critico nello studio delle opere.
b) Per le opere da scrivere. La poesia poteva essere valida solo se rispecchiava le condizioni storiche contemporanee. La poesia deve nascere dall'animus di un uomo contemporaneo.
2. Originalità di qualsiasi opera d'arte, questo era per loro fondamentale trovare nelle opere. Era questo un completo rovesciamento del classicismo. Cercavano l'originalità sia nei contenuti sia nella forma, che doveva quindi essere libera da ogni schema. Un'opera era per loro un individuo, una creatura vivente che ha le sue leggi che non possono essere messe a confronto con quelle di nessun altro.

Per i romantici cambiò però la concezione del poeta: mentre per i preromantici il poeta era un genio, un uomo agitato, sconvolto e furibondo, per i romantici, questa figura si addolcisce, il poeta diventa più riflessivo, pur rimanendo sempre spontaneo; opera quindi può essere frutto anche di meditazione. Percepiscono che l'opera ha bisogno di una propria gestazione, fu questo un aspetto che influenzò moltissimo Manzoni. Per Manzoni non esistono regole in poesia, le regole sono generalizzazioni dei caratteri di un'opera geniale.
Nel romanticismo tedesco questo criterio ha prodotto dei poeti che hanno concepito la poesia fuori del mondo, d'evasione, una poesia del fantastico. In Italia ha invece prodotto la poesia del vero, la poesia patriottica. Questo avvenne per le differenti situazioni politico-sociali.
La situazione della Germania:
Il romanticismo qui esplorò soprattutto l'idea dell'infinito, del superamento del limite, e la poesia di magia. In proposito Novalis scrisse: "La cenere della rosa terrena è la patria di quella celeste", dove per cenere s'intende la decomposizione di tutto ciò che è terreno.
Si basarono in particolar modo sulla fantasia, lasciando a briglia libera il proprio spirito e facendolo vagare fuori dal tempo e dalla storia. Da qui deriva:
1. L'importanza della fiaba
2. L'importanza del racconto fantastico:
➢ Sia quello vero e proprio
➢ Sia il romanzo nero e gotico, il giallo fantastico, ambientato in un passato favoloso; tendenzialmente sono racconti del terrore, come quelli di Hoffmann e di Edgard Allan Poe).
Per Novalis la poesia era musica e natura, per questo la poesia doveva essere come la musica, doveva giocare sul ritmo; in altri termini per Novalis la poesia necessitava di uno sviluppo come quello di una sinfonia musicale.
Perché avvenne questo tipo di scelta in Germania? Perché i giovani dell'Europa settentrionale si trovarono in una situazione differente alla nostra. Era presente uno Stato con una politica accentratrice e assolutistica ed un sistema economico borghese e un'industrializzazione già ben sviluppati. L'intellettuale entrò in urto con questa società, e da qui nacque il bisogno di fuga.

La situazione dell'Italia:
In Italia il senso del limite non era avvertito, l'intellettuale non si sentiva esiliato, perché era ancora una figura importante. Questo perché:
1. Non c'era uno Stato italiano (e tutti ne sentivano il bisogno), non esisteva una classe politica o un programma politico. Per cui l'intellettuale aveva ancora un ruolo principale aveva un ruolo costruttivo, positivo sulla società. Il poeta aveva il compito di costruire una coscienza nazionale (in realtà non ce l'avevano, ma loro credevano di sì). Erano quindi tendenti alla costruzione, all'ottimismo, allo slancio eroico.
2. Il sistema economico era ancora quasi solamente agricolo. Non era quasi presente una borghesia, quel poco che c'è di borghesia è di tipo agricolo. Le fabbriche erano semplici manifatture e quindi non era ancora presente una civiltà moderna.

Vi furono altre due intuizioni fondamentali dei romantici che ebbero molta influenza in Italia. I romantici avevano favorito lo sviluppo dei concetti di storicismo e di nazione, non solo in Italia, ma in tutta Europa.
Storicismo: si sviluppò un diverso modo di valutare la storia (quello che poi diverrà il nostro modo).
➢ L'illuminismo vedeva la storia in relazione a se stesso e alla ragione: vedevano il passato simile ai principi illuministici positivamente, quello diverso negativamente. Valutavano la storia tramite un principio esterno: gli uomini sono tutti uguali perché tutti gli uomini possiedono la ragione, la ragione diviene quindi un criterio per valutare la storia.
➢ Per i romantici, invece, la storia deve essere valutata con un criterio inerente alla storia stessa. La storia è come un individuo e quindi non può essere giudicata con criteri universali, non valgono leggi a priori; valgono solo i singoli momenti e quindi, valutando la storia, si deve partire con un animo del tutto libero, cercando di capire il perché dei fatti. Questo non toglie che ebbero delle preferenze per le epoche oscure, dove c'è più primitività, il Medioevo fu infatti rivalutato al massimo.
In Italia quest'idea diede una spinta a studiare l'evoluzione della storia del nostro paese, si formò una maggior consapevolezza della propria storia, ma erano ancora ben lontani dal capire le reali condizione dell'Italia.
Nazione: l'Illuminismo era privo dell'idea di nazione, poiché si erano basati sull'idea di cosmopolitismo. Pensavano che le diversità fra gli uomini fossero dovute alla società e che quindi fossero negative. I romantici al contrario non avevano il presupposto del cosmopolitismo, per cui per loro gli uomini non erano tutti uguali, ma erano tutti diversi. Per loro contavano in positivo i tratti di diversità, la grandezza dell'uomo stava nella sua individualità. Per loro l'uguaglianza era frutto di convenzioni. Secondo i romantici, l'uomo non nasceva cittadino del mondo, ed il cosmopolitismo era inattuale. L'uomo era invece figlio di una patria, ogni uomo è improntato dalla propria patria. Il termine patria aveva per loro un significato molto più esteso del nostro, la patria era la lingua, la tradizione, la religione, l'arte e la letteratura: era i costumi di un luogo e di un tempo. La patria è la Nazione, un organismo spirituale; infatti, in tedesco si dice Volksgeist, spirito del popolo, la somma di tutte la manifestazioni spirituali di un popolo.
Ma la Nazione non è lo Stato, che è un dato fisico e che teoricamente dovrebbe essere la forma politica della Nazione. Lo Stato è un organismo istituzionale, che dovrebbe essere diretta espressione dello spirito di un popolo; e una forma geografica che dovrebbe essere quella che meglio si adatti ad un determinato popolo. Lo stato dovrebbe essere quindi espressione della Nazione. Invece, lo Stato e la Nazione non corrispondono perché lo Stato è opprimente. Lo Stato è una legittima aspirazione poiché la Nazione e il singolo hanno il diritto di lottare per una forma statale che sia propria. Da questi principi furono influenzate le rivoluzioni dell'800.
Sempre grazie a questi principi in Italia si formò il concetto "che siamo una Nazione". Ma le persone che potevano venire a contato con queste ideologie erano veramente poche. Si pensi che l'analfabetismo era circa dell'80 e toccava punte del 90 nelle isole. Per cui coloro a cui potevano pervenire tali idee erano solo il 15/20 / della popolazione; ma la maggior parte di queste persone erano di stampo conservatore, per cui, in definitiva, coloro che potevano accettare le idee liberali e farsene portavoce erano circa il 4/5 / della popolazione: un gruppo veramente ristretto.
Di qui diversi corollari, fra cui l'idea di nazionalismo che non era il rifiuto del cosmopolitismo, né un'affermazione di sé su gli altri, ma bensì una pacifica convivenza di Stati e Nazioni che si rispettino gli uni con gli altri. Nazionalismo come convivenza nella diversità.
➢ Sugli intellettuali fu decisiva l'influenza foscoliana, perché Foscolo seppe dar gloria alla tradizione romana, che prima, per gli intellettuali era solamente un bagaglio erudito. I nuovi intellettuali avevano posto Foscolo sull'altare, come modello per la nuova Italia.
Inoltre sugli intellettuali agì l'effettiva differenza con gli altri paesi, si rendevano conto, per esempio, che l'Inghilterra era molto più sviluppata, che lì vi erano giornali con alta tiratura e che il livello culturale era maggiore rispetto a quello italiano. Per questo avvertirono un senso di riscatto. Mentre l'intellettuale europeo era già industrializzato e quindi aveva sviluppato un'ironia verso se stesso e la società, l'intellettuale italiano si sentiva ancora combattivo, eroico. Ma questo non significa che l'Italia l'abbiano costruita gli intellettuali, ma bensì l'hanno costruita Cavour, gli stati italiani con il consenso e l'ausilio degli stati europei e un pazzo come Garibaldi.
Gli intellettuali intendevano reagire con un'attività culturale diversa, vera, moderna e concreta: una poesia moderna sia nei contenuti sia nello stile. Il poeta si presentava come sacerdote della libertà, come patriota. È ovvia in questo senso l'utopia degli intellettuali, perché non consideravano nemmeno che il 90 della popolazione non sapeva neanche leggere. Anche perché non consideravano i contadini come popolo, perché erano totalmente ignorati, per gli intellettuali erano una massa inerte strumentalizzata dalla Chiesa e che quindi dovevano portare dalla loro parte.
Quello che loro chiamavano popolo non esisteva, era ideale; questi intellettuali volevano educare un popolo che non esisteva. Ma perché si comportavano in questo modo? Perché gli intellettuali erano o ecclesiastici o nobili. Provenivano da classi sociali aristocratiche e quindi ignoravano totalmente i contadini; solo Foscolo era un poveraccio.
Gli intellettuali avevano una cultura formata o privatamente con precettori o nelle scuole religiose di Gesuiti. Erano quindi istruiti con una cultura classicista, fredda, fatta di regole, una scuola odiosa nei contenuti.
Nel 1816 esplose la situazione italiana per un intervento letterario straniero, questo ci fa intuire l'estrema sudditanza degli intellettuali italiana. Madame De Stäel, la quale aveva un grande valore per la diffusione delle idee romantiche, scrisse un articolo su la "Biblioteca Italiana", un giornale conservatore protetto dal regime asburgico. Tale articolo aveva come tema centrale le traduzioni: secondo la De Stäel, gli intellettuali italiani erano in ritardo, la letteratura era sull'orlo di un abisso. Il suo suggerimento era quello di cominciare a fare qualcosa di nuovo, per esempio tradurre opere straniere moderne. La De Stäel richiamava gli italiani a trarre elemento creativo dagli stranieri.
I classicisti la accusarono di negare le tradizioni, dissero che l'Italia non aveva bisogno di contributi stranieri. In effetti, era presente il pericolo di un imbastardimento della nostra lingua e della nostra letteratura. Infatti, i nostri letterati non avevano strumenti per valutare il contenuto di una cultura esterna, di una letteratura straniera. Vi era quindi il pericolo che copiassero, vi era il rischio di plagio. La polemica andò avanti fra i due giornali portavoce delle due correnti: "Il Conciliatore", il giornale romantico e la "Biblioteca Italiana".
Gli obiettivi dei romantici italiani erano:
1. Una letteratura moderna che avesse per il soggetto il vero, che parlasse di valori civili e morali e che affronti problemi razionali.
2. a) il rifiuto del canone d'imitazione
b) la ripresa del concetto che il bello è relativo alla storia di un popolo
3. Un'opera doveva essere originale.
La poesia doveva essere "popolare": spingere alla conquista di una propria identità. La poesia doveva rinnovarsi nella lingua.

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