Il picaro

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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IL PICARO

Il viaggio e l'avventura hanno sempre ispirato la fantasia degli scrittori, e anche il vagabondaggio ha avuto i suoi poeti. Tra tutte le figure di vagabondi e di avventurieri il picaro è quella che ha avuto la maggiore fortuna letteraria, avendo dato origine addirittura ad uno specifico genere letterario, il romanzo picaresco, che annovera alcuni grandi capolavori, prodotti soprattutto in Spagna tra il Cinquecento e il Seicento.
Picaro è un termine spagnuolo di etimologia incerta, che indica un personaggio di umile origine (spesso un trovatello), vagabondo, briccone, preoccupato solo di riempire una pancia eternamente vuota, che per sopravvivere fa qualunque mestiere, si piega a incarichi servili o ricorre a furti e imbrogli. Qualche volta il picaro chiede l'elemosina o si camuffa da pellegrino, ma non è un mendicante di professione: è piuttosto un maestro nella difficile arte di arrangiarsi. Spinto dalla fame, si sposta continuamente da una parte all'altra d'Europa, ma il suo è un peregrinare senza scopo e senza senso, guidato dal caso. Più che nello spazio il picaro viaggia attraverso le più disparate situazioni dell'emarginazione e dello sradicamento. Talvolta, nei romanzi, questo viaggio si conclude con il rientro del picaro nell'ordine, nella normalità e addirittura nell'agiatezza: neanche in questo caso, però, si tratta del giusto compenso per le privazioni sopportate, né tanto meno di una meritata conquista, ma, ancora e sempre, di un evento fortuito, tanto privo di senso quanto le sofferenze e le umiliazioni che lo hanno preceduto.
Il personaggio del picaro e la letteratura picaresca sono nati nel momento in cui l'impero spagnolo era all'apice della sua potenza e del suo splendore e per oltre un secolo hanno accompagnato il lento ma inarrestabile declino di quel paese. La Spagna di questo periodo era governata da una classe dirigente poco sensibile ai problemi dell'economia, ma soprattutto era dissanguata dalle continue guerre a cui la costringeva il suo ruolo di potenza egemonica in Europa.
Ai margini della società veniva ingrossando la schiera dei poveri, dei vagabondi e dei parassiti. Il fenomeno non era soltanto spagnolo. In Spagna, tuttavia, c'era qualcosa di più e di specifico, una sorta di stanchezza o di rassegnazione diffusa in tutti le classi. Queremos comer sin trabajar, «pretendiamo di mangiare senza lavorare», scriveva sconsolato agli inizi del Seicento un economista spagnolo analizzando vecchi e nuovi mali del suo paese: era la morale del picaro, che era però condivisa in larga misura dagli altri gruppi sociali.
Il capostipite del genere picaresco è il romanzo Lazarillo de Tormes, apparso anonimo nel 1554 e subito salutato da un enorme successo di pubblico (tre edizioni solo nel primo anno). E' l'autobiografia fittizia di un giovane che sin dall'infanzia è costretto a combattere con la fame e che proprio in forza della tranquilla naturalezza con cui accetta la propria condizione di miseria morale e materiale riesce alla fine ad aver ragione delle avversità. Lazarillo si guadagna la vita servendo personaggi poco meno miserabili di lui: un mendicante cieco, astuto e maligno, «un'aquila nel suo mestiere», che lo tiranneggia e gli è maestro di furfanterie e che Lazarillo abbandona con un crudele sotterfugio non appena ritiene di aver imparato abbastanza da lui; un prete avaro e affamato che mangia il pane dei poveri; un nobilastro squattrinato e vanesio che vive su quello che Lazarillo riesce a mendicare; e così via. Lazarillo tira a campare, passando da un padrone all'altro, fino a quando riesce a sistemarsi agiatamente pigliando in sposa una serva a cui il padrone-amante, un prete, assicura rendite e protezioni. Nonostante l'ambientazione popolare e la finzione autobiografica, il romanzo è certamente opera di un colto umanista, che si proponeva di rappresentare attraverso le avventure e le disavventure di Lazarillo la faccia cenciosa della Spagna imperiale.
Anche se è il prototipo del picaro, Lazarillo non è mai designato con questo nome dal suo anonimo creatore. Il termine compare invece, quasi mezzo secolo dopo, nella Vita del picaro Guzmàn de Alfarache (conosciuta in Italia anche con il titolo La vita del furfante), un ampio romanzo del sivigliano Mateo Alemàn (1547-1615?), pubblicato nel 1599. Vi si narrano le peripezie di un vagabondo che attraversa la Spagna e l'Italia facendo i mestieri più diversi, l'accattone, il mercante, il soldato, il lenone, il baro, il marinaio, il servitore e alla fine il galeotto. Ricco (quando riesce a ingannare qualcuno) o povero (quando è ingannato da furfanti più bravi di lui), il picaro Guzmàn è sempre disperatamente privo di ideali e privo anche di quella generosa vitalità che rende estremamente simpatica la figura di Lazarillo. Il Guzmàn de Alfarache è un romanzo cupamente pessimistico, pervaso dal sentimento della disillusione (il desengano proprio della cultura spagnola in questa età di crisi) e dal disprezzo per un mondo in cui, come scrive Alemàn, il pane che ti puoi aspettare dagli altri è invariabilmente «pane di dolore, pane di sangue, anche se ti vien dato da tuo padre».
Al genere picaresco appartiene una delle più belle Novelle esemplari che Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616),l'autore del Don Chisciotte, pubblicò a Madrid nel 1613: Rinconete e Cortadillo, che è la storia di due ragazzi, Pedro del Rincon, baro, e Diego Cortado, tagliaborse, che, uniti in società, vivono di furfanterie e sono alla fine accolti con tutti gli onori nella confraternita dei ladri di Siviglia. Altre celebri figure di picari sono state create da Francisco de Quevedo (La vita del pitocco, 1603), da Francisco Lopez de Ubeda (La pìcara Justina, 1605), da Vincente Espinel (Marcos de Obregòn, 1618) e, fuori della Spagna, dal tedesco Hans Jacob Grimmelshausen (L'avventuroso Simplicius Simplicissimus, 1669 e Vita dell'arcitruffatrice e vagabonda Coraggio, 1670, entrambi collocati nella Germania devastata dalla guerra dei trent'anni), dal francese Alain-René Lesage (Storia di Gil Blas di Santillana, 1715-35), ecc.

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