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Testo
IL MEDIOEVO
In un mondo che rimarrа per tutto il Medioevo fondamentalmente rurale, il nuovo millennio si apre sotto il segno dello sviluppo urbano.
Che si tratti della rinascita delle vecchie cittа romane - particolarmente numerose in Italia - o della formazione di nuovi agglomerati - piщ frequente nell'Europa centro-settentrionale - si impone con forza sempre maggiore una realtа inedita.
La cittа riprende tutta la sua funzione di centro politico; amplia il suo controllo sul territorio circostante, diviene il nodo di relazioni economiche in espansione.
All'interno delle sue mura, prende forma una societа i cui personaggi principali sono gli uomini d'affari, ma anche i professionisti del diritto e gli intellettuali; una societа che considera come valori la ricerca del profitto, il lavoro, il senso della bellezza, l'aspirazione all'ordine e al decoro.
Fra il X e il XIV secolo si verificт una forte espansione delle cittа.
Fu un fenomeno spettacolare e nuovo, che cambiт la fisionomia dell'Europa.
Fu anche un fenomeno complesso, dato che nella formazione delle cittа medievali nessun esempio sembra uguale all'altro.
Oltre a quelle mantenutesi tali nell'alto Medioevo, alcune cittа nacquero dall'evoluzione di centri di mercato o di castelli, altre da centri fortificati per motivi militari, altre ancora dallo sviluppo di localitа tappe di pellegrinaggi, o dalla programmata decisione di un signore.
Indubbiamente si trattт di un processo favorito dalla crescita economica: l'accresciuta produzione agricola permetteva di nutrire una popolazione in aumento, le attivitа artigianali occupavano un numero crescente di uomini e donne; lo slancio delle costruzioni attirava in cittа una piщ numerosa manodopera e le esigenze del commercio ne facevano un polo degli scambi.
Con la fine dell'Impero romano anche la rete delle cittа che ne costituiva l'ossatura aveva subito gravi contraccolpi. Abbandonate dai grandi proprietari terrieri che ne avevano costituito il ceto dirigente, private della loro funzione di centri d'inquadramento del territorio, fra IV e VIII secolo, molte cittа prima si spopolarono, poi scomparvero, mentre quelle che rimasero in vita furono fortemente ridimensionate. Pur nella decadenza delle strutture materiali ed economiche, tuttavia, si conservт la nozione della cittа come luogo d'esercizio di poteri pubblici. Soprattutto in Italia e in Gallia, inoltre, la presenza piщ o meno continua di funzionari dello Stato fu integrata da quella dei vescovi, che non soltanto incarnarono l'anima religiosa e piщ latamente civile della comunitа urbana, ma ne divennero i rappresentanti sul piano politico.
LA CITTA
La crescita demografica delle cittа si sviluppт con forza nella seconda metа dell'XI secolo e raggiunse un livello straordinario a partire dalla metа del secolo successivo, con percentuali d'incremento spesso doppie rispetto a quelle registrabili nelle campagne. Perchй questa differenza? Vi erano in cittа tassi di natalitа particolarmente alti rispetto al territorio? O tassi di mortalitа piщ bassi? Nessuna di queste due ipotesi puт essere dimostrata. In realtа, tutte le testimonianze disponibili inducono a credere che le popolazioni cittadine si accrebbero soprattutto grazie al trasferimento entro le mura di gente venuta dal contado. Questo movimento interessт sia i ceti piщ alti, gli esponenti dell'aristocrazia signorile, sia i contadini (poveri o agiati che fossero), sia quei personaggi di matrice piщ spiccatamente "borghese" come usurai e notai. Ci si dovrebbe allora chiedere il perchй di quest'attrazione esercitata dalle cittа. I motivi sono di ordine economico, sociale e anche psicologico. Le cittа rappresentavano un mondo "altro", con possibilitа di ascesa economica, sociale e politica diverse, con stili di vita differenti. "L'aria delle cittа rende liberi", diceva un proverbio tedesco, ed effettivamente i contadini che arrivavano in cittа lo facevano spesso anche per ricominciare un'esistenza libera dagli obblighi e dai vincoli di dipendenza, cui dovevano sottostare nelle campagne. Chi aveva capitali da far fruttare, d'altra parte, in cittа li poteva impiegare con maggior profitto nelle attivitа mercantili e manifatturiere. L'immigrazione dal territorio rendeva naturalmente piщ mista la compagine sociale della cittа, perchй, in ogni caso, metteva in contatto due mondi diversi.
Il concetto di cittа и, per il Medioevo, molto piщ complesso di quanto possa a prima vista apparire, perchй era il risultato del concorso di fattori molto diversi. Dal punto di vista ecclesiastico, come scriveva Jacopo da Varagine negli ultimissimi anni del Duecento (ma la sua idea era universalmente condivisa), una cittа non poteva dirsi veramente tale se non era sede di un vescovo. Dal punto di vista civile, il territorio, che alla cittа faceva capo, doveva trascendere l'ampiezza di una semplice circoscrizione castellana e anzi coincidere, di regola, con la diocesi stessa. Nel suo aspetto materiale, salvo il caso particolarissimo di Venezia, che fu sempre protetta dal mare, la cittа si distingueva dalla campagna e dagli abitati aperti per la presenza di mura. La loro possente mole salvaguardava i cittadini dai pericoli esterni e, al tempo stesso, ne limitava, quando era opportuno, la libertа di uscire: per questo, ogni volta che la popolazione urbana crebbe, le mura dovettero, prima o dopo, essere allargate per accoglierla tutta all'interno. Le porte che nella cinta muraria si aprivano, allo stesso modo, mettevano in comunicazione cittа e territorio, ma permettevano anche di filtrare il movimento di uomini e merci che fra questi due mondi si svolgeva. Sotto il profilo sociale, la cittа era contraddistinta da una popolazione articolata e stratificata in nobili, ricchi, poveri, mediani; in mercanti, artigiani, bottegai, professionisti, salariati, vagabondi, disoccupati. И questo un tratto che risultava particolarmente accentuato nelle cittа italiane rispetto a quelle delle altre regioni europee. Dal punto di vista economico, essa si presentava distinta dal territorio circostante per la presenza non solo di attivitа mercantili e manifatturiere, ma anche di mercati e fiere, per la sua capacitа di porsi come fulcro di relazioni economiche, nonchй come centro delle ricchezze di un territorio.
La cittа, per essere veramente tale, doveva anche essere percepita come civitas sia da chi viveva dentro le sue mura, sia dagli abitanti delle campagne e degli altri centri urbani, sia dai poteri superiori come il Papato, l'Impero, i regni, le cui cancellerie erano in genere abbastanza caute nell'uso del termine. A tale proposito, Roberto Sabatino Lopez, un grande storico di questo secolo, parlava un po' provocatoriamente della "cittа come stato d'animo". Piщ recentemente, un altro maestro della storia medievale, Jacques Le Goff, sottolineava come, a qualificare una cittа in quanto tale agli occhi dei suoi abitanti, concorrevano anche le memorie di un passato piщ o meno remoto, qualche volta addirittura mitico. Comune era, per esempio, il richiamo alle origini etrusche, romane, carolingie. A dare corpo a queste memorie vi era, per le cittа piщ antiche, la sopravvivenza dei segni fisici del passato: la presenza delle rovine di templi, teatri, anfiteatri, statue, tratti di mura costituiva per gli abitanti delle cittа medievali un continuo rimando ad un mondo piщ lontano, una fonte inesauribile per alimentare di rappresentazioni e di miti l'immaginario urbano.
Le cittа medievali presentavano ogni forma possibile cosм da adattarsi liberamente a tutte le circostanze storiche e geografiche. Troviamo quindi cittа lineari, ossia allineate lungo una strada, cittа nucleari, sorte cioи intorno ad un elemento generatore (un castello, un'abbazia, una cattedrale), cittа circolari, dove tutte le linee convergevano verso un centro, cittа ortogonali, la cui regolaritа era normalmente l'indizio di una fondazione programmata; in ogni caso, la maggior parte dei centri urbani risultava dalla combinazione di queste diverse tipologie. Oltre alla presenza delle mura, erano elementi comuni delle cittа medievali la cattedrale, il mercato, i palazzi del potere civile. Spesso questi tre elementi, che sintetizzavano la pluralitа delle funzioni caratteristiche dei centri urbani, si svilupparono intorno ad altrettanti spazi vuoti, ad altrettante piazze. Talvolta, invece, un'unica piazza vedeva convivere la sede dell'attivitа economica con quelle dell'autoritа politica e religiosa.
Fra la fine dell'XI secolo e l'inizio del XII, in quasi tutta l'Europa occidentale, gli abitanti della cittа si organizzarono per governarsi da soli giurando, a tal fine, di aiutarsi l'un l'altro: quest'associazione giurata, che non comprendeva soltanto mercanti e artigiani, ma anche nobili ed ecclesiastici, prese il nome di Comune.
A differenza di quello feudale, profondamente asimmetrico, questo giuramento fu di carattere egualitario, ma ciт non escluse l'esistenza di lotte e conflitti.
In effetti, nell'origine e nel successivo sviluppo del Comune, si bilanciarono due opposte tendenze: la coscienza dei cittadini di essere comunitа e l'aspirazione egemonica delle grandi famiglie in lotta fra loro.
Il Comune nacque da un compromesso provvisorio fra le due tendenze e realizzatosi all'interno della classe dirigente - la cui concordia, infatti, era fondamentale presupposto nella creazione degli organi governativi - e poi fra i cittadini piщ eminenti e il resto della popolazione.
L'Italia centro-settentrionale fu - insieme con la Provenza - l'area in cui l'autogoverno delle cittа raggiunse la maggiore pienezza. La specificitа della situazione vigente nella Penisola puт essere ricondotta essenzialmente a due elementi caratteristici. Il primo di essi и costituito dalla pluralitа dei ceti che concorsero alla creazione del governo comunale. Semplificando un panorama notevolmente vario e sfumato, vi si possono infatti riconoscere le componenti seguenti: gli uomini d'arme, ovvero le aristocrazie di tradizione militare spesso legate da un rapporto vassallatico al vescovo e detentrici di beni in proprietа o in feudo nel territorio; gli uomini del denaro, vale a dire mercanti, cambiatori e monetieri, la cui ricchezza si era formata principalmente grazie all'attivitа di scambio. Gli uomini di cultura, quei giudici e notai in possesso di un sapere di governo e della capacitа di dare al nuovo potere rappresentativitа sul piano del diritto. Il secondo tratto distintivo dell'esperienza comunale nell'Italia centro-settentrionale si concretizza in un'originalitа di rapporto fra la cittа e il territorio circostante. Giа all'indomani della sua nascita, infatti, il Comune italiano puntт all'affermazione della sua autoritа in ambito extra-urbano, sfruttando la forza delle armi, la persuasione del denaro e la copertura giuridica che gli derivavano dalla presenza nelle sue file di uomini in grado di fornire tutti questi apporti.
IL COMUNE
L'elemento-base del Comune, quello da cui si sarebbero sviluppate tutte le articolazioni successive, era costituito dall'assemblea, che и indicata (secondo le cittа e i momenti) con vari nomi: consilium, concio, colloquium, arengum. Originariamente era composta da tutti i cittadini, ma ben presto fu ridotta ai soli capifamiglia. Era convocata al rintocco della campana, al suono della tromba o per voce di un banditore e si teneva in piazza o nel palazzo vescovile oppure, talvolta, in chiesa; essa deliberava sugli affari di maggiore importanza: guerra e pace, alleanze, tributi, destinazione dei beni del Comune. Inoltre, nominava le magistrature e provvedeva ai singoli uffici. Era dunque la sede del potere deliberativo (oggi diremmo legislativo). Con il crescere della popolazione cittadina e il complicarsi della legislazione, l'assemblea fu rapidamente sostituita da Consigli meno affollati, eletti con i sistemi piщ vari. Normalmente due: uno piщ ristretto (detto dei Savi, degli Anziani, di Credenza), un secondo piщ largo, che arrivт a comprendere anche seicento persone (Maggiore, Generale, della Campana). Mentre i Consigli erano depositari del potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario erano affidati a quello che potremmo definire, con una similitudine un po' modernizzante, il governo del Comune. Fin verso la fine del XII secolo, la suprema magistratura fu quella dei Consoli, nome che richiamava direttamente i governanti dell'antica Roma. Si trattava dunque di una magistratura collegiale, designata per elezione, all'inizio in carica per periodi molto brevi (ciт che garantiva un'ampia rotazione), e poi solitamente per un anno. La comparsa dei Consoli nella documentazione и solitamente considerata come prova di una piena affermazione dell'istituzione comunale. Ciт avvenne a Pisa nel 1081-1085, ad Asti nel 1095, ad Arezzo nel 1098, a Genova nel 1099, a Pistoia, Lucca e Ferrara nel 1105, a Cremona nel 1112, a Piacenza e a Bologna nel 1123, a Perugia nel 1130, a Firenze nel 1138.
Al di lа delle Alpi, il Comune si affermт nelle Fiandre, nella Germania renana e in Francia settentrionale e meridionale, ossia in quelle regioni dove piщ intenso era lo sviluppo economico. I Comuni transalpini si distinsero per il carattere spiccatamente "borghese" e per la limitazione del loro potere all'interno delle mura urbane. Sul territorio circostante alle cittа, infatti, continuarono a dominare le aristocrazie rurali, che rimasero in gran parte estranee alla vita cittadina. Le autonomie cittadine furono il risultato dell'iniziativa di ceti eminentemente mercantili e non videro, come accadde nel caso italiano, un significativo concorso di forze signorili del territorio. In Francia la nascita dei Comuni fu favorita, oltre che dai privilegi e dalle franchigie concesse dai sovrani alla borghesia mercantile e artigiana, anche dalle paci giurate fra i cittadini promosse dalla Chiesa. Lo sviluppo dei governi comunali fu debole invece nelle zone dell'Europa centro-orientale, sulle quali piщ stretto era il controllo dell'Impero, della Chiesa e della feudalitа, ma anche in quelle regioni dove piщ marcata era l'autoritа dei regimi monarchici, come nella penisola iberica, nell'Italia meridionale e in Scandinavia. In Inghilterra, dove pure esistevano numerosi centri commerciali e manifatturieri, il movimento comunale fu quasi inesistente e soltanto Londra ottenne dai sovrani alcuni privilegi politici.
Non и raro sentire utilizzata, a proposito dei sistemi governativi nelle cittа italiane dei secoli XI-XIV, l'espressione "democrazia comunale". In realtа, sebbene si trattasse di governi che derivavano la loro autoritа "dal basso" e non da un'investitura di poteri superiori (il re, l'imperatore, il papa), il concetto designa una realtа assai diversa da quella delle democrazie moderne. И stato calcolato che erano al massimo il 20-25% coloro che godevano dei diritti politici, legati a requisiti come la maggiore etа, il sesso maschile, il possesso della cittadinanza, talvolta la proprietа di una casa in cittа. Dall'insieme della popolazione adulta, infatti, vanno sottratti i servi, le donne, gli immigrati poveri impossibilitati a pagare la tassa di cittadinanza o ad acquistare una proprietа in cittа, i lavoratori salariati, i senza fissa dimora, gli ebrei e i musulmani non convertiti.
ECONOMIA
Nella generale ripresa dell'economia europea registratasi intorno al Mille, lo sviluppo dei traffici rappresentт uno degli elementi piщ dinamici.
Pur continuando ad occupare direttamente soltanto una piccola minoranza della popolazione del Continente, infatti, tra X e XIV secolo, il commercio passт gradatamente dalla periferia al centro della vita economica.
Alla base di questa svolta vi furono la fine della tormentata stagione delle migrazioni, una ritrovata sicurezza sulle strade e sui mari, l'incremento della popolazione, ma soprattutto la crescita della produzione agricola, che rese disponibili prodotti in eccedenza da scambiare.
Messo in moto dalla trasformazione delle campagne, il commercio trovт tuttavia il suo punto di forza nelle cittа e nei loro punti di scambio, e, inoltre, nell'affermarsi di un'economia piщ spiccatamente urbana, monetaria e mercantile.
Il crollo dell'Impero romano nel corso del V secolo e l'affermarsi del dominio musulmano nel Mediterraneo a partire dal VII secolo avevano provocato una forte contrazione dell'attivitа commerciale a lunga distanza e, in particolare, dei traffici via mare. Il commercio dell'Europa continentale e occidentale con l'Oriente non si era, in ogni caso, interrotto completamente, ma aveva assunto un'altra configurazione, concentrandosi nell'Adriatico. Al commercio lineare, a quello cioи sviluppatosi in senso pressochй unico dall'Oriente verso Occidente, da Bisanzio a Roma, ormai estinto, si sostituм un commercio di natura circolare che aveva per centri vitali Venezia e la Valle Padana con Pavia. Trasportati dai mercanti della cittа lagunare, presenti sia sul mare, sia sul reticolo fluviale padano, dal mondo bizantino arrivavano in questa regione, crocevia dei traffici europei, le produzioni tradizionali dell'Oriente (tessuti di lusso, oggetti preziosi e ornamentali, spezie), mentre vi erano riesportate quasi soltanto derrate alimentari (principalmente grano), ossia merci voluminose e di minore pregio; conseguentemente la bilancia commerciale tra l'Occidente e Bisanzio era fortemente negativa per il primo. A riequilibrare i conti vi erano, perт, le relazioni economiche con gli Arabi, ai quali erano venduti beni di pregio quali pellicce, armi, schiavi e legno per imbarcazioni. Gli acquisti che gli Arabi facevano dai mercanti bizantini chiudevano il circolo. Piщ a settentrione, un'importante funzione commerciale era stata assunta dai Normanni, troppo spesso associati soltanto al saccheggio e alla pirateria. Dall'isola di Gotland, la loro principale base operativa nel Mare del Nord, essi si spingevano fino a Kiev, a Sebastopoli e a Costantinopoli, scambiando con Slavi e Bizantini pelli, pellicce, schiavi e cera in cambio di seta, spezie, vino e frutta.
AGRICOLTURA
Com'и stato giustamente affermato, l'espansione commerciale iniziт con il compimento dell'evoluzione agraria. Le produzioni aumentarono e si specializzarono entrando in contatto, soprattutto in Italia e nelle Fiandre, con i circuiti commerciali e con i capitali urbani. Tale incremento della circolazione si realizzт sia in ambito locale, sia su scala interregionale, sia, infine, su itinerari a lunghissima distanza. Sul piano locale, crebbero gli scambi fra la campagna, produttrice di derrate alimentari, e la cittа, le cui botteghe fabbricavano una gamma piщ o meno vasta di beni di consumo durevoli: per queste modeste transazioni, era sufficiente che i contadini si recassero direttamente nel centro urbano o, al massimo, che piccoli e medi mercanti fungessero da intermediari. Oltre ai traffici di breve raggio, si ampliarono sensibilmente le relazioni fra le diverse aree europee, ma ciт implicт lo sviluppo di nodi di scambio nei quali i mercanti di professione potessero incontrarsi e portare le loro merci: tali nodi erano rappresentati dalle fiere, che si tenevano in luoghi posti alla confluenza dei principali itinerari commerciali e, di solito, in coincidenza con le festivitа piщ importanti. Cosм i cereali siciliani e quelli provenienti dal territorio tedesco ad est del fiume Elba raggiungevano gran parte delle regioni povere di granaglie, il vino della Guascogna era esportato in tutto l'Occidente, le lane inglesi e castigliane rifornivano gran parte delle popolazioni europee. Si intensificarono, infine, i rapporti economici intercontinentali e, in particolare, quelli con l'Africa musulmana, l'Impero bizantino, l'Asia centrale e l'India. Tali traffici, nei quali erano impegnati grandi mercanti in grado di sopportare gli elevati costi dei trasporti e i non meno alti rischi connessi a queste imprese, assicuravano all'Occidente il rifornimento di beni di lusso quali seta e spezie.
COMMERCIO
Come durante l'apogeo dell'Impero romano, il commercio nel Mediterraneo trovava nella Penisola italiana il suo fulcro. Le prime a rianimarsi furono le cittа costiere che anche nei secoli precedenti avevano mantenuto un livello minimo di relazioni commerciali con l'Impero bizantino e l'Islam. Sull'Adriatico continuava la fortuna di Venezia, crocevia, fin dall'etа carolingia, dei traffici con il Levante. Con un privilegio del 1082, essa ottenne dall'imperatore bizantino Alessio Comneno, in cambio di assistenza navale, il diritto di commerciare nei territori dell'Impero in regime d'esenzione fiscale. I mercanti veneziani scambiavano la seta, le spezie, gli avori, l'allume di provenienza orientale con il ferro, il legname e gli schiavi dell'Europa settentrionale, ma anche con il vetro e il sale prodotti localmente. Nel Tirreno meridionale erano attive Napoli, Gaeta, Salerno e soprattutto Amalfi; fino alla conquista normanna (1073), che ne spense lo slancio, quest'ultima, con il suo singolare ceto di marinai-contadini, costituм un centro di scambi vivaci soprattutto con l'Egitto. La decadenza di Amalfi coincise con l'affermazione di due cittа portuali poste nel Tirreno superiore: Genova e Pisa. A partire dall'XI secolo, esse furono in grado di lanciare con successo le loro flotte alla riconquista delle basi mediterranee in mano ai musulmani. Nel 1087, con un'azione congiunta, le navi delle due cittа conquistarono il porto tunisino di Mahdiyah, considerato una delle principali basi commerciali del Mediterraneo. Pochi anni dopo la prima crociata (1096-99) offrм ai mercanti pisani e genovesi la possibilitа di acquisire nuove basi economiche e territoriali per i loro traffici.
Anche nel Mare del Nord e nel Baltico la vita economica aveva cominciato a pulsare piщ velocemente. Dopo l'epoca della dominazione dei mercanti-guerrieri scandinavi, l'iniziativa commerciale era passata nelle mani dei mercanti tedeschi dalle navi meno rapide ma piщ stabili e adatte al trasporto di merci pesanti. Fin dai primordi della loro attivitа, questi, per difendersi dai pericoli della strada e far fronte alle spese per l'organizzazione del viaggio, si riunivano in associazioni denominate hanse (in tedesco medievale hansa significa "societа commerciale"). La Hansa per antonomasia fu quella che, a partire dalla metа del XII secolo, riunм i mercanti di alcune cittа del nord-Europa produttrici di tessuti. Forte dei suoi collegamenti con l'Europa orientale, le fiere della Champagne e l'Italia settentrionale, essa svolse nel commercio del nord un ruolo comparabile, per importanza, a quello che ebbero i grandi porti italiani nel Mediterraneo.
Nella regione francese della Champagne le fiere, assai numerose, consistevano, nella maggior parte dei casi, in mercati locali simili a quelli che si potevano trovare nelle altre regioni dell'Occidente medievale. Soltanto sei fiere (che sorgevano a Troyes, Provins, Lagny-sur-Marne, Bar-sur-Aube), tuttavia, ebbero un'importanza internazionale cosм forte da divenire il fulcro di tutti i traffici commerciali e finanziari d'Europa. Lo sviluppo delle sei fiere principali deve essere attribuito soprattutto all'iniziativa dei conti di Champagne (e, in parte, a quella della monarchia francese), che, nella seconda metа del XII secolo, dettero loro un'organizzazione unitaria. Ciт avvenne grazie a molti accorgimenti e ad alcune importanti decisioni giurisdizionali, come, ad esempio, la creazione delle guardie delle fiere (gardes des foires) e la concessione di una speciale protezione a tutti i mercanti in cammino verso di esse (il cosiddetto conduit). In virtщ della loro localizzazione, le fiere di Champagne costituirono un'area di scambi privilegiata fra le merci settentrionali, trattate soprattutto dai mercanti tedeschi, e quelle provenienti dal Mediterraneo, il cui commercio era gestito principalmente dagli Italiani.
Fra gli ultimi decenni del XII secolo e i primi del XIV, il commercio medievale visse la sua stagione piщ prospera. Sostenuta dalla crescente produzione agricola e dallo sviluppo dell'artigianato e delle manifatture cittadine, si registrт, infatti, una crescente commercializzazione dei prodotti. Protagonisti sempre piщ importanti degli scambi e del prestito di denaro erano gli Italiani. La loro presenza andava dal mare del Nord all'Africa, dalla Spagna all'Asia. Nell'Europa occidentale dominavano soprattutto gli operatori economici delle cittа interne: quei mercanti e cambiatori di Asti, Chieri, Milano, Cremona, Piacenza, Pavia, Lucca, Siena, Firenze che in Francia (dov'erano numerosissimi) venivano genericamente definiti "lombardi". Verso Oriente erano le grandi Repubbliche marittime di Genova e Venezia, con le loro agguerrite flotte, a tracciare le rotte commerciali aprendo sempre piщ il Continente europeo alle relazioni con l'Asia. Nella seconda metа del Duecento, con rapiditа impressionante, crebbe il peso degli uomini d'affari fiorentini, la cui onnipresenza li avrebbe fatti definire "il quinto elemento del mondo".
Senza che le merci "ricche" smettessero di viaggiare, la tendenza piщ evidente di questo periodo fu quella ad una maggiore circolazione dei beni "poveri" e voluminosi. A questo proposito, non bisogna dimenticare che la domanda della gran parte della popolazione era costituita soprattutto da derrate alimentari; merci come i cereali e il vino, pur con i problemi che il loro trasporto e conservazione presentavano, circolavano a ritmi intensi. Un secondo gruppo di beni oggetto di traffico era quello che rispondeva direttamente o indirettamente alla richiesta di vestiario: pelli, pellicce, lino e soprattutto lana, la materia prima con la quale si confezionavano gran parte degli indumenti medievali; ma anche panni, giа rifiniti o da rifinire, che costituivano il grosso dell'esportazione occidentale in Oriente in cambio delle spezie, della seta e del cotone greggi, dei tessuti serici. Altri prodotti, significativamente presenti negli scambi, erano quelli destinati al settore edilizio (legname, pietra) e a quello delle costruzioni navali (legname, corde, pece, tela per le vele); e ancora, i cavalli, importanti per l'attivitа militare ed i trasporti, la cera per l'illuminazione, i metalli da lavorare, gli articoli dell'industria metallurgica.
I punti nevralgici del commercio europeo erano, in questo periodo, principalmente le cittа italiane e quelle fiamminghe, mentre le fiere di Champagne andavano perdendo d'importanza. Centri come Venezia, Genova, Pisa, Milano, e, soprattutto, Firenze e Siena, avevano visto crescere non solo un attivissimo ceto di mercanti, ma anche intraprendenti figure di mercanti-banchieri specializzati nella pratica del cambio tra le diverse monete e nel prestito di denaro a interesse. Il dinamismo delle economie cittadine italiane ed il loro primato nelle attivitа finanziarie si espresse anche nel ritorno alla coniazione di monete d'oro: tra queste la piщ apprezzata fu il "fiorino" di Firenze, coniato nel 1252. Se gli Italiani dominavano il settore commerciale e bancario, gli operatori delle Fiandre detennero, almeno fino all'inizio del Trecento, il quasi monopolio della produzione di tessuti di lana pregiata: un'industria altamente qualificata, che utilizzava l'ottima lana proveniente dall'Inghilterra, era, infatti, presente in centri come Arras, Saint-Omer, Douai, Ypres, Gand e Bruges. Quest'ultima era la maggiore cittа dell'Europa nord-occidentale ed uno dei nodi piщ importanti del commercio europeo. Al suo porto approdavano navi di tutte le provenienze, comprese quelle genovesi e veneziane, che vi scaricavano direttamente, senza passare per altri intermediari (come i mercanti delle cittа italiane dell'entroterra), le merci provenienti dall'Oriente. Nel commercio del Nord era poi ulteriormente cresciuto il ruolo della Hansa, cosм da raggruppare sempre piщ massicciamente i mercanti e le cittа del Baltico e del Mare del Nord sotto la guida della ricca e popolosa Colonia.
LA FIGURA DEL MERCANTE
Il mercante dei secoli XI e XII (e di parte del XIII) si spostava personalmente per concludere i propri affari. La sua vita quotidiana, pertanto, era ancora molto legata alle strade o alle rotte che doveva percorrere per comprare o vendere le proprie merci. Fu forse l'abitudine ai contatti fra mercanti che spinse alcuni a creare delle associazioni comuni quando risiedevano "all'estero" per commerciare. Essi tendevano anche ad abitare in locali contigui e solevano comunemente trattare con i poteri locali per mezzo di loro delegati ("consoli"). A partire dal XIII secolo, questa fase "eroica" dell'attivitа mercantile volse al termine e si ebbe un grande sviluppo del commercio stabilmente fissato nelle cittа, integrato nelle strutture delle Corporazioni. I mercanti tesero a diventare sempre piщ sedentari e a far viaggiare i loro agenti ("fattori"). Ciт era possibile perchй, soprattutto ai livelli piщ alti, l'attivitа commerciale era svolta sempre meno da singoli e sempre piщ da associazioni di due o piщ operatori economici. A seconda che fossero impegnate nei traffici marittimi o in quelli terrestri, si distinguevano due tipi fondamentali di societа: la commenda e la compagnia. La prima si fondava su un accordo, relativo ad un solo affare, tra una serie di soci fornitori di capitale ed un socio che effettuava il viaggio e le relative transazioni commerciali; alla buona riuscita dell'impresa i guadagni erano distribuiti fra tutti i partecipanti in proporzioni precedentemente stabilite, quindi la societа si scioglieva. La seconda, basata all'inizio su nuclei familiari e, successivamente, aperta anche ai piщ lontani consanguinei o estranei, era un'associazione stabile (anche se di durata variabile), nella quale ogni socio partecipava agli utili e alle perdite secondo la quota di capitali che aveva investito. In rapporto al loro giro d'affari e alla capacitа di proiezione "esterna", le compagnie svilupparono un piщ o meno esteso sistema di filiali, tutte dipendenti dalla casa madre. Societа di questo tipo furono quelle dei senesi Tolomei e Salimbeni e quelle dei fiorentini Bardi e Peruzzi, il cui fallimento, avvenuto tra il 1343 e il 1345, dimostrт che il sistema era troppo rigido e, conseguentemente, debole.
L'aumento del volume dei traffici e la prevalenza di un commercio di tipo sedentario, con le sue piщ complesse forme societarie, determinт l'affinamento delle tecniche commerciali. La contabilitа delle compagnie, all'inizio molto ridotta e schematica, ben presto si articolт in una serie di scritture (i libri contabili), divise tematicamente e topograficamente. I conti finali o quelli parziali erano comunque trascritti nel libro principale: il Libro Mastro. Nel Duecento questo registro era spesso chiamato Libro dell'Entrata e dell'Uscita o Libro del Dare e dell'Avere. Questa contabilitа, che si poteva articolare anche in una decina di libri per compagnia, era affiancata dalle "lettere commerciali". Queste, che nel Duecento spesso contenevano un insieme di dati anche non strettamente contabili, finirono per differenziarsi in tutta una serie di scritture "volanti" specializzate. Rendiconti settimanali, informazioni sui cambi di valute, richieste d'indicazioni operative, saldi, informazioni sui prezzi non erano piщ contenuti in uno stesso testo, ma in lettere diverse, che assumevano forme e aspetti di vario genere. Si assistй anche ad un cambiamento sostanziale delle pratiche creditizie e delle tecniche di gestione contabile: si affermarono e si perfezionarono la "lettera di cambio", simile ai moderni assegni circolari, e la "partita doppia". Lo schema della partita doppia и il seguente: uno stesso dato era inscritto due volte, la prima a credito e la seconda a debito (specificando creditori e debitori). Rispetto alla vecchia struttura della registrazione unica ("partita semplice"), il nuovo sistema consentiva una piщ esatta e veloce verifica dello stato contabile di ciascun articolo. La struttura a filiali delle societа, la lettera di cambio e la partita doppia costituiscono gli strumenti piщ preziosi che il mondo mercantile medievale ha lasciato in ereditа al commercio moderno e contemporaneo.
Nell'economia del basso Medioevo assunse un'importanza crescente la produzione di beni non agricoli.
Sebbene non fosse sconosciuta in ambiente rurale, dove operavano, per esempio, il fabbro di villaggio e il tessitore, и indubbio che essa venne progressivamente concentrandosi nelle cittа.
Le forme in cui tale attivitа si manifestт non furono, peraltro, sempre le stesse.
Secondo i luoghi e i momenti, si ebbero una produzione domestica e una imperniata sulla bottega, una produzione svolta da liberi artigiani ed una effettuata prevalentemente da manodopera salariata; una produzione promossa da privati ed una organizzata dallo Stato, una produzione su scala limitata ed una di grandi dimensioni.
E spesso i diversi sistemi di organizzazione del lavoro finirono per convivere e sovrapporsi.
ECONOMIA
Nei secoli XI e XII si assistй ad un forte risveglio delle attivitа artigianali e industriali, che, pur interessando anche le campagne, si rese particolarmente evidente in cittа. Tale espansione riguardт innanzitutto alcuni settori fondamentali. Un grande slancio ebbe la metallurgia, alimentata dalla ripresa dell'estrazione di minerali in varie regioni europee, nonchй stimolata dall'iniziativa di monasteri, signori e cittа. In Italia furono molto attivi i Comuni lombardi, i cui articoli metallici di qualitа trovavano nell'esistenza di un'importante piazza commerciale come Milano la possibilitа di essere esportati nel resto della Penisola e anche all'estero. Un altro settore che, a partire dal 950, risultava in decisa espansione era quello delle costruzioni. I progressi qualitativi sono i piщ evidenti, soprattutto se consideriamo la struttura degli edifici monumentali e delle grosse infrastrutture come i castelli, le mura cittadine, i ponti e, naturalmente, le chiese. Un terzo settore in espansione era quello tessile. Nel periodo compreso fra i primi decenni dell'XI secolo e la metа del XII, stimolata dall'esistenza di una tradizione artigianale risalente all'epoca romana, dalla disponibilitа di lana e da innovazioni tecnologiche come la messa a punto del telaio "orizzontale", si affermт nelle Fiandre e nell'Artois un'industria dei panni di lana decisamente orientata verso l'esportazione. In Italia gli inizi della produzione tessile cittadina sembrano invece legati al cotone. Laboratori per la produzione dei fustagni, alimentati dalla materia prima che Venezia importava dal Levante, esistevano a Pavia, Cremona e Piacenza giа nell'XI secolo. Quanto alla lana, la fabbricazione di panni leggeri и menzionata a Genova, Lucca e Pisa negli anni 1120-1130 e in Lombardia verso la metа del secolo.
ECONOMIA URABANA
Dalla fine del XII secolo la produzione di beni non agricoli si inserм piщ decisamente nelle economie urbane, allora in pieno rigoglio, organizzandosi in Corporazioni. Ogni centro, piccolo o grande che fosse, vide la crescita di attivitа simili, tese a soddisfare, con un'articolata varietа di beni e di servizi, la domanda del mercato locale, cosicchй, nelle cittа maggiori, si arrivarono a contare anche 100-150 differenti mestieri. Nello stesso tempo, tuttavia, alcune cittа intrapresero o perfezionarono produzioni piщ specializzate, i cui articoli erano destinati ad alimentare un commercio di raggio piщ vasto. Milano, per esempio, esportava le sue armature in tutta Europa e Pisa era una vera e propria capitale della lavorazione del cuoio. Il settore in cui l'orientamento verso il mercato esterno era piщ deciso restava comunque quello tessile. Se nei secoli XI e XII si era costituita la grande regione laniera fiamminga, il Duecento vide la crescita di una seconda importante area tessile: quella dell'Italia centro-settentrionale, imperniata sulle cittа padane (Milano, Como e Verona innanzitutto) e, dalla fine del secolo, su Firenze. Alla base di questo decollo, vi furono la disponibilitа di capitali accumulati grazie all'attivitа commerciale e all'esistenza di una rete di rapporti economici con l'Europa continentale e mediterranea. Ciт consentiva un facile reperimento della lana e la possibilitа di vendere i panni su mercati anche lontani. L'importanza del vestiario nella scala dei bisogni fondamentali dell'uomo medievale determinт anche il rafforzamento di altre industrie tessili, prima fra tutte quella del cotone. Nel XIII secolo essa era quasi un'esclusivitа dell'Italia settentrionale e solo a partire dai primi decenni del Trecento si diffuse nell'Europa centrale e soprattutto in Germania. Molto piщ lenta fu invece l'affermazione della seta, che, sebbene giа introdotta dagli Arabi in Sicilia e in Spagna, nel XIII secolo trovava la sua principale capitale occidentale in Lucca, da dove si irradiт piщ tardi nelle cittа del Nord-Italia.
Il mondo della produzione urbana appare indissolubilmente legato all'artigiano e alla sua bottega. L'artigianato puт essere definito come la forma di organizzazione industriale nella quale un lavoratore specializzato, dotato cioи di uno specifico sapere tecnico, produceva beni di consumo destinati ad una clientela piщ o meno vasta. La sua caratteristica principale era quella di fornire sia la propria capacitа di lavoro sia il capitale necessario allo svolgimento della sua attivitа, per quanto modesto esso fosse in taluni mestieri. Tale era il fabbro, il calzolaio, il sarto, il tessitore, l'orafo, il fornaio. Nella bottega artigiana lavorava talvolta qualche membro della famiglia e, non raramente, almeno un aiutante esterno. Il reclutamento e l'addestramento di questo personale avvenivano principalmente attraverso il peculiare sistema dell'apprendistato, un periodo di formazione alla fine del quale il discepolo era pronto per diventare a sua volta "maestro". In base ad un contratto stipulato fra l'artigiano e il padre dell'apprendista, quello che spesso era poco piщ di un bambino si trasferiva alle dipendenze della bottega per un numero di anni variabile in rapporto ai mestieri, ai luoghi e alle epoche. La sostanza dell'accordo stava, da un lato, nell'impegno dell'artigiano a insegnare lealmente al discepolo i segreti dell'arte e a mantenerlo, dall'altro, nella promessa di quest'ultimo di apprendere volenterosamente, di risiedere regolarmente con il maestro e di obbedirgli eseguendo ogni compito da lui stabilito. In linea di massima l'apprendista non percepiva nessun compenso, anzi, non era raro il caso, soprattutto nel XIII secolo, che fosse il padre a dover sborsare una somma affinchй il figlio fosse ammesso nella bottega. Al di lа di queste differenze, il periodo di discepolato era sempre piщ lungo di quanto sarebbe stato effettivamente necessario: era interesse dell'artigiano, infatti, prolungare la permanenza dell'apprendista nella bottega, perchй, una volta completata la sua formazione, questi era un valido aiutante a basso costo.
Nei secoli XIII-XIV vi erano in Europa regioni nelle quali esistevano vere e proprie costellazioni di cittа tessili: tali erano l'area fiammingo-brabantese, l'Italia centro-settentrionale e l'Inghilterra. Qui la produzione avveniva su grande scala e impegnava migliaia di lavoratori. A Bruges, nel 1340, i tessili costituivano quasi il 40% di tutti gli occupati, e questa percentuale saliva ad oltre il 50% nella vicina Ypres all'inizio del XV secolo; a Firenze, verso la fine del Trecento, la sola manifattura laniera assorbiva il 35-40% dell'intera popolazione attiva. In queste cittа dalla spiccata fisionomia industriale, dove la fabbricazione di stoffe di qualitа medio-alta implicava l'esistenza di un processo tecnologico lungo e complesso ed era essenzialmente finalizzata all'esportazione, aveva preso piede un modello di organizzazione del lavoro distinto dall'artigianato tradizionale: la cosiddetta industria disseminata. Come indica la stessa espressione, le diverse operazioni del ciclo tessile (variamente articolate secondo la natura delle fibre) non si svolgevano in un'unica sede di produzione, ma in tutta una serie di botteghe, abitazioni, laboratori gestiti ognuno da un artigiano. L'elemento di raccordo era costituito dal mercante-imprenditore, che gestiva il processo di trasformazione in tutti i suoi momenti. И evidente che in questo sistema l'autonomia degli artigiani veniva ad essere seriamente limitata. In contrasto con quanto accadeva per esempio ai fornai, ai fabbri, ai calzolai, proprietari dei loro strumenti e del prodotto della propria fatica, liberi di crearsi una propria clientela e di riunirsi in Corporazioni autonome, i lavoratori "a fase" del settore tessile erano costretti a prestare la loro opera essenzialmente per il mercante-imprenditore e a obbedire alle associazioni da questi create. Per quanto trovasse il suo luogo di elezione nelle attivitа tessili, l'industria disseminata interessava anche settori come la lavorazione dei pellami e dei metalli: era il caso della fabbricazione dei coltelli, dei chiodi, delle ferramenta in Normandia e nella Champagne o della produzione di strumenti di precisione a Colonia.
INSURREZIONI URABANE
Le insurrezioni urbane che costellarono la seconda metа del Trecento scoppiarono quasi tutte nelle cittа in cui piщ avanzato era lo sviluppo delle attivitа produttive e dove, conseguentemente, si erano formate vaste concentrazioni di lavoratori salariati: и il caso dei centri tessili fiamminghi e italiani. Ogni rivolta presenta aspetti peculiari, legati alle situazioni locali, ma и indubbio che le epidemie e le loro conseguenze economiche e sociali agirono un po' ovunque come detonatore delle tensioni giа presenti fra i datori di lavoro e i lavoratori. La dinamica dei salari, in ascesa fin verso il 1370 e poi caratterizzata da una tendenza opposta, ebbe il suo peso, e parola d'ordine comune ai vari movimenti insurrezionali fu quella di mantenere le retribuzioni ai livelli recuperati dopo la peste. A questo obiettivo si aggiunse spesso la rivendicazione di una maggiore partecipazione al potere politico da parte di artigiani e salariati. Episodi insurrezionali si ebbero nelle Fiandre nel 1379 e nel 1380-82, a Lucca nel 1369 a Siena e a Perugia nel 1371, a Firenze nel 1378, a Genova nel 1383 e nel 1399, a Verona nel 1390. Il piщ noto di essi scoppiт a Firenze nel 1378 e, dall'appellativo assegnato ai suoi principali protagonisti, i salariati meno qualificati della manifattura laniera cittadina, prese il nome di Tumulto dei Ciompi. Giа a fianco degli artigiani delle Corporazioni minori nella rivolta scoppiata in giugno contro il predominio del "popolo grasso", gli operai tessili impressero alla lotta contro i mercanti-banchieri al potere una decisa accelerazione in luglio, quando, riversatisi armati nelle strade e assediati i palazzi del Podestа e dei Priori, riuscirono ad imporre la formazione di un governo amico presieduto dallo scardassiere Michele di Lando e la creazione a vantaggio dei lavoratori senza diritti delle nuove Arti dei Ciompi, dei Tintori e dei Farsettai. L'esperimento "rivoluzionario" durт soltanto sei settimane, durante le quali la grave situazione economica conseguente anche al blocco della produzione laniera messo in atto dai proprietari delle botteghe e la radicalizzazione del programma degli insorti portarono ad un loro progressivo isolamento. L'estrema risposta dei ciompi fu, alla fine di agosto, una nuova insurrezione, che venne perт soffocata nel sangue per intervento di gruppi di lanaioli, beccai e tavernai. Subito dopo cominciarono per i capi della rivolta le esecuzioni capitali e i bandi di espulsione, mentre la maggior parte delle conquiste ottenute - prima fra tutte la creazione dell'Arte dei Ciompi - furono annullate.
CORPORAZIONI
Con la seconda metа del XII secolo, e, piщ ancora nel XIII, la maggior parte dei mestieri presenti nelle cittа dell'Europa occidentale si riunм in Corporazioni. La nascita di queste organizzazioni (dette Arti in Italia, Metiers o Guilde in Francia e nelle Fiandre, Guilds in Inghilterra, Gremios in Spagna) deve essere inquadrata nella piщ generale tendenza alla creazione di strutture associative che aveva trovato la sua massima espressione nella formazione dei Comuni. Come i Comuni, infatti, le Corporazioni erano il risultato di patti giurati, stipulati fra individui che esercitavano lo stesso mestiere e che sentivano l'esigenza di unirsi per tutelare i propri interessi. Pur con differenze notevoli secondo i tempi e i luoghi, si trattava di organismi che vantavano una loro sfera di autonomia: possedevano infatti beni propri e svolgevano una loro attivitа legislativa; inoltre esercitavano la loro giurisdizione sugli iscritti, i quali erano tenuti a sottoporvisi e ad accettare le sentenze di appositi magistrati. Organismi apparentemente egualitari, le Corporazioni accettavano come membri effettivi esclusivamente gli artigiani propriamente detti, mentre apprendisti e lavoranti ne restavano esclusi; fra gli stessi "maestri", poi, erano i piщ facoltosi a monopolizzare le cariche di effettiva responsabilitа. Nonostante questo, la politica corporativa tendeva a difendere il complesso degli associati su un punto fondamentale: l'affermazione del monopolio nell'esercizio del mestiere contro i produttori esterni. Altri obiettivi della politica corporativa erano quelli di regolare e ridurre la concorrenza fra i diversi maestri e di controllare, attraverso il disciplinamento dell'istituto dell'apprendistato, la formazione dei nuovi artigiani. Non bisogna inoltre dimenticare che le Corporazioni non erano istituzioni di carattere puramente economico, ma associazioni che promuovevano anche la solidarietа e l'assistenza fra i propri membri, nonchй la realizzazione di opere di caritа collettiva e l'organizzazione del culto religioso.
Nella seconda metа del XII secolo e in tutto il XIII continuт l'espansione dei Comuni italiani, ma la loro affermazione giuridica, politica ed economica non fu certo lineare.
Al loro interno, infatti, si accesero ben presto contrasti profondi fra le famiglie, le fazioni e i ceti sociali.
All'esterno una nuova conflittualitа, generata dalla costante ricerca di posizioni di egemonia, divise le cittа comunali in schieramenti che si scomponevano e ricomponevano senza sosta.
Queste vicende, in piщ, non avvenivano in uno scenario vuoto, ma si intrecciavano con quelle dei due maggiori poteri del tempo, il Papato e l'Impero, il cui antagonismo coinvolgeva in complesse strategie politiche e militari le nuove realtа cittadine.
GERMANIA
Dopo il Mille, gli imperatori tedeschi, a parte poche eccezioni, si erano generalmente disinteressati all'Italia, presi com'erano delle questioni interne della Germania. Tale situazione, che aveva favorito la diffusione del movimento comunale nell'Italia centro-settentrionale, cambiт con l'ascesa al trono di Federico I di Svevia, detto il Barbarossa. Il suo disegno politico aveva il triplice obiettivo di ristabilire l'autoritа imperiale sui Comuni italiani, riaffermare il primato dell'Impero sul Papato, realizzare l'antica aspirazione dei sovrani tedeschi: annettere ai loro dominii anche l'Italia meridionale. Dopo una prima discesa in Italia nel 1154, il Barbarossa tornт nel 1158 alla testa di un consistente esercito per recuperare quei diritti sovrani - come il battere moneta, il levare imposte, il dichiarare guerra - che sosteneva essere stati usurpati dai Comuni. Le campagne militari continuarono negli anni successivi, e si indirizzarono prevalentemente verso i centri padani che avevano rifiutato di sottomettersi all'autoritа imperiale, primo fra tutti, Milano. L'esigenza di opporsi a Federico I indusse le cittа ribelli ad unirsi prima nella Lega veronese (1164) e poi nella potente Lega lombarda (1167), entrambe appoggiate dal papa, preoccupato per le pretese egemoniche avanzate dall'imperatore. Nel 1176, a Legnano, l'esercito imperiale subм una sconfitta decisiva, alla quale seguм la fine delle ostilitа. Nel 1183, con la pace di Costanza, il Barbarossa riconosceva la Lega lombarda e rinunciava alla nomina di propri ufficiali nelle cittа, nonchй ai diritti regi fino a quel momento rivendicati. Per i Comuni, che accettavano di dichiararsi vassalli dell'imperatore entrando cosм a pieno diritto nella struttura dell'Impero, si trattava di una sostanziale vittoria: le cittа della Lega e ben presto tutte le altre, si videro infatti riconosciute tutte le piщ importanti prerogative di autogoverno e il diritto a mantenere un proprio esercito.
ITALIA
L'esito della lunga lotta fra i Comuni e Federico Barbarossa segnт l'inizio di una ulteriore fase di sviluppo delle cittа dell'Italia centro-settrentionale. Nel clima di euforia seguito alla Pace di Costanza (1183), i governi cittadini affermarono con maggiore decisione la propria sovranitа, estromettendo gli antichi titolari del potere cittadino (normalmente i vescovi) da ogni giurisdizione civile e perseguendo un'effettiva sottomissione del contado; intrapresero, inoltre, la sistemazione urbanistica delle cittа con la creazione di edifici pubblici destinati alla vita comunitaria e agli scambi economici. Di fronte a questa nuova stagione della storia del Comune, il sistema dei Consoli si rivelт perт insufficiente. A determinare la crisi della vecchia magistratura di governo furono soprattutto i contrasti fra diversi gruppi sociali che vivevano all'interno della cittа, ma anche le lotte fra le principali famiglie per ottenere maggiori quote di potere: ne risultarono veri e propri conflitti armati. In questo periodo, verso la fine del XII secolo, un po' ovunque cominciarono a emergere dai documenti i nomi di due fazioni antagoniste: quella dei nobili e quella dei popolani. Al di lа delle connotazioni di ceto che differenziavano i due schieramenti, certamente esistenti, una semplice, ma efficace definizione consiste nel vedere la nobiltа come la classe che deteneva e cercava di mantenere il potere; il popolo come l'insieme di coloro che miravano a sostituirsi alla vecchia classe dirigente. La soluzione per uscire da questa difficile situazione fu trovata nella creazione di una nuova magistratura, stavolta non collegiale nй cittadina: quella del Podestа. Almeno inizialmente, il nuovo magistrato fu scelto come mediatore tra le parti, come colui che poteva meglio garantire, in qualitа di esterno, il governo della cittа; ben presto, tuttavia, egli sarebbe divenuto lo strumento di potere e quasi rappresentante del partito di volta in volta dominante e sarebbe stato esclusivamente scelto nelle cittа dove prevaleva la stessa fazione.
L'affermarsi del governo podestarile comportт, senza dubbio, un rafforzamento del potere esecutivo, soprattutto nell'amministrazione della giustizia e nella conduzione degli affari militari, nonchй un suo piщ deciso distacco dal deliberativo. Tuttavia, l'autoritа del Podestа era tutt'altro che assoluta, essendo egli essenzialmente l'esecutore delle decisioni che venivano dai Consigli del Comune: questi, non il magistrato forestiero, erano gli organi veramente politici. Il compito del Podestа, in altri termini, consisteva nel tradurre in atti concreti una volontа collegiale, e il suo operato si svolgeva entro i limiti fissati dalle leggi locali. Funzionario stipendiato, inizialmente in carica per un anno, poi per sei mesi, il Podestа era solitamente un personaggio di nobile famiglia, per lo piщ cavaliere e, a volte, giurista, sempre comunque competente in questioni militari e giudiziarie. Il gran numero di Comuni esistenti nell'Italia centro-settentrionale, la rapida alternanza e il numero relativamente ristretto di famiglie sufficientemente illustri affinchй i loro membri potessero ottenere l'ufficio, fecero sм che molti Podestа svolgessero il loro compito in modo che si puт definire professionale. Passando ogni anno da una cittа all'altra, essi svilupparono un'esperienza in grado di contribuire notevolmente alla diffusione di una cultura politica omogenea all'interno del mondo comunale. Elementi fondanti di tale background erano l'uso sapiente della parola e la capacitа di maneggiare le tecniche della comunicazione, indispensabili per funzionari che dovevano presiedere assemblee e consigli e tenere discorsi pubblici in situazioni diverse.
Dopo la morte di Federico Barbarossa, avvenuta nel 1190, i tentativi di limitare le autonomie cittadine effettuati dagli imperatori tedeschi furono occasionali e inconcludenti. Le cose cambiarono con la comparsa sulla scena del nuovo imperatore, Federico II di Svevia. Nato dal matrimonio fra Enrico VI, figlio del Barbarossa, e Costanza d'Altavilla, ultima erede della monarchia normanna di Sicilia, Federico II aveva assunto la corona del Regno di Sicilia, quella di Germania e infine, dal 1220, quella imperiale. In buoni rapporti con papa Innocenzo III, suo precedente tutore, e con Onorio III, che gli aveva conferito la dignitа imperiale, il giovane nipote del Barbarossa riprese il progetto dei propri avi, puntando a riaffermare la piena autoritа imperiale sul regno d'Italia e il suo controllo sui territori della Chiesa. Ciт lo condusse a sostenere un duro scontro con i papi Gregorio IX e Onorio IV. Per essere piщ libero di agire, Federico fece eleggere sul trono di Germania, in qualitа di coreggente, il figlio Enrico e lasciт ai principi tedeschi ampi poteri, sperando di utilizzare il loro appoggio per ricondurre all'obbedienza le cittа dell'Italia. centro-settentrionale. Non tutti i Comuni, per la veritа, erano ostili all'imperatore: quasi ovunque, esistevano un partito filo-imperiale (o "ghibellino") e uno filo-papale (o "guelfo") e non raramente in base al gioco degli interessi locali, a prevalere fu il primo. Le divisioni all'interno delle cittа e fra Comune e Comune trasformarono l'Italia in un enorme campo di battaglia. Quando, nel 1237, l'esercito di Federico II sconfisse a Cortenuova le truppe della Lega lombarda, la vittoria dell'imperatore sembrava alle porte, ma i suoi errori politici e l'ostilitа del papa, che prima lo scomunicт (1239) e poi lo dichiarт deposto (1245) sciogliendo i suoi sudditi dal giuramento di fedeltа, ne decretarono la sconfitta. Federico II non fece in tempo a preparare la sua riscossa: la morte lo colse infatti nel 1250, all'etа di cinquantasei anni.
Federico II fu senza dubbio uno dei personaggi piщ affascinanti ed enigmatici del Medioevo, nonchй oggetto, fra i contemporanei, di sentimenti estremi e contrastanti. La propaganda ecclesiastica e guelfa lo bollт come "Anticristo", i suoi sostenitori, accogliendo pienamente una visione leggendaria della sua persona che egli stesso si sforzт di accreditare, lo identificarono con "l'Imperatore della Fine del Mondo", il giusto chiamato a restaurare l'Etа dell'Oro sulla terra. Federico II conosceva il greco, il latino, i volgari siciliano, provenzale e tedesco, un po' di arabo e di ebraico; era un poeta piacevole, un dilettante geniale di filosofia, un curioso di questioni astrologiche, geografiche, scientifiche. Professava estremo rigore ed una religiositа apparentemente profonda, ma fece mostra in piщ occasioni di speciale crudeltа e non disdegnт di impiantare nella sua corte di Palermo un harem e degli eunuchi. Amministrт il suo dominio italiano nel solco di una tradizione che da Bisanzio arrivava ai Normanni, costruendo uno stato accentrato, burocraticamente efficiente, con un coerente codice di leggi (le cosiddette "Costituzioni di Melfi", 1231); fondт l'universitа di Napoli, emise provvedimenti a sostegno delle attivitа economiche, coniт l'Augustalis (1232), ossia la prima moneta d'oro occidentale dai tempi dei carolingi.
Le fazioni dei guelfi e ghibellini, la cui lotta insanguinт, soprattutto nel Duecento, le cittа italiane, si disposero in campo traendo entrambe il proprio nome e la legittimazione politica dai due tradizionali schieramenti che, nello scenario dell'Europa occidentale, contrapponevano i fautori del papa e i sostenitori dell'imperatore. I primi si rifacevano ai conti di Baviera e di Sassonia, cioи ai discendenti di quel Guelfo IV che, verso la metа del XII secolo, si era invano opposto all'incoronazione di Corrado III, legandosi perciт alla volontа dei vescovi di Germania che volevano sul trono Lotario di Supplimburgo. I secondi sostenevano invece la casata sveva degli Hohenstaufen, signori del castello di Weiblingen. Guelfi e ghibellini erano, dunque, etichette europee che, nella realtа italiana, trovarono ragioni di rapida affermazione ed utilizzazione, contribuendo a far assumere alle dispute cittadine il duplice aspetto di lotta interna - legata agli equilibri ed agli interessi del ceto aristocratico - e di contrapposizione ideologica generale. Non si puт comprendere appieno quanto profonda potesse essere la frattura tra i cittadini aderenti ad una parte o all'altra, se non si considera quanto viscerale ed emotivo fosse il senso di appartenenza ed il vincolo che faceva aderire all'una o all'altra delle fazioni in campo, e quanto tale senso di "partecipazione" connotasse poi ogni atto, ogni minimo episodio della vita di ciascun cittadino. Tutto finiva per dipendere dalla catalogazione politica, da quei "maladetti nomi" di guelfo e ghibellino che inquadravano, dividevano, inducevano faide e dissidi profondi. Rose bianche, rose rosse, aquile, gigli, perfino la "frutta" - avrebbe esclamato ben due secoli dopo San Bernardino in una sua famosa predica - si suole dividere tra guelfa e ghibellina, cosм come i santi e gli angeli si pretende siano favorevoli ad una parte e avversi all'altra: "chi dice che santo Giovanni и guelfo, e chi dice che и ghibellino. E cosм dicono anco degli angioli, che so' partigiani", aggiunge il frate.
Nonostante le trasformazioni che avevano segnato il passaggio dal Comune consolare a quello podestarile, nell'epoca di insediamento e diffusione dei Podestа, il potere continuava a rimanere principalmente nelle mani dell'aristocrazia che controllava i Consigli. Il "popolo", nel quale si andava ingrossando la componente dei mercanti e degli artigiani, continuava a restare fuori della stanza dei bottoni. La sua forza diveniva perт sempre piщ consistente e si basava su due strumenti fondamentali: da una parte le Arti o Corporazioni, ossia le associazioni di mestiere nate per tutelare gli interessi dei ceti produttivi, dall'altra le societа armate, vale a dire le compagnie di difesa che si sviluppano su base rionale. Il conflitto fra nobiltа e popolo non trovт soluzione con l'intervento del Podestа, ma continuт a insanguinare molti Comuni dell'Italia centro-settentrionale nella prima metа del Duecento. Il quadro risulta complicato dalla ripresa dell'iniziativa dell'imperatore Federico II che, durante il secondo quarto del secolo, condusse l'offensiva contro il Papato ed i Comuni: l'antagonismo divise le cittа in guelfe e ghibelline e questo anche al loro interno. Per mettere un po' d'ordine, bisogna specificare che spesso la parte guelfa coincideva con il Comune popolare. In alcune cittа, particolarmente vivaci sotto il profilo economico, dopo il 1250, il popolo conquistт il controllo del governo. Il caso piщ esplicito и quello di Firenze, dove, dopo un'aspra lotta dalle fasi alterne, si arrivт nel 1282 alla costituzione del Priorato delle Arti e, nel 1293, all'emanazione degli Ordinamenti di giustizia, una severa legislazione destinata a colpire le famiglie di antica origine nobiliare. In altre cittа il popolo conquistт propri spazi, ovvero ebbe la prevalenza in uno dei due Consigli e insediт, accanto a quelli esistenti, propri magistrati.
Si ebbe una signoria cittadina quando i poteri di governo si concentrarono, piщ o meno durevolmente, nelle mani di un unico individuo. All'istituzione della signoria si giunse per vie diverse. Talora il Podestа o un altro magistrato cittadino, in particolare il Capitano del popolo, tramutarono il loro ufficio a tempo in ufficio a vita. Altre volte fu la fazione vincitrice a proclamare signore il suo leader. In altri casi ancora, si scelse un signore per avere un capo al di sopra delle parti, quasi ripetendo, a distanza di un secolo, ciт che era avvenuto con l'istituzione del Podestа. In certi casi il signore era un cittadino, in altri un forestiero. Talvolta qualche signore di castello o capitano di forze popolari s'impadronм del governo cittadino attraverso un vero e proprio colpo di mano. Tuttavia, indipendentemente dalla sua origine, il potere signorile fu sempre legittimato da un'acclamazione popolare o dalle assemblee comunali, cosм che, dal punto di vista formale, la volontа collettiva della cittа ebbe modo di esprimersi. La signoria fu la risposta al desiderio di pace interna delle cittadinanze, di rafforzamento militare, di concentrazione dei poteri, di capacitа decisionale contro il perpetuo scontrarsi delle fazioni, delle grandi famiglie, degli interessi organizzati nelle Corporazioni. La signoria fu, comunque, un naturale effetto della vita urbana, una risposta ai problemi generati dalla stessa evoluzione del Comune, al difficile rapporto tra centro urbano e territorio, tra cittа e cittа. Se i signori furono spesso rampolli di famiglie aristocratiche e feudali, questo avvenne perchй essi godevano di sufficiente prestigio, di legami familiari, di competenze militari e di governo da far sperare che avrebbero corrisposto bene ai compiti cui erano chiamati.
SIGNORIA
Le zone d'elezione del fenomeno signorile furono principalmente l'Italia settentrionale e le terre formalmente soggette al potere pontificio, come la Romagna e le Marche, dove, all'inizio del Trecento, le strutture comunali, anche se spesso formalmente intatte, avevano giа lasciato il posto al potere di uno solo. Cosм a Milano, giа nel 1240, avevano prevalso i guelfi Della Torre, appoggiati dalla parte popolare, mentre nel 1277 a loro subentrarono i ghibellini Visconti. Nello stesso periodo, dopo il fallimento del tentativo signorile di Ezzelino da Romano, Verona passт ai ghibellini Della Scala (o Scaligeri), Treviso ai guelfi Da Camino, Padova ai guelfi Da Carrara. Mantova fu soggetta prima ai ghibellini Bonacolsi, imparentati con gli Scaligeri, poi ai guelfi Gonzaga. Ferrara, dopo un effimero prevalere dei ghibellini Torelli, vide il trionfo, nel 1240, dei guelfi marchesi d'Este, la cui ambizione era di creare un dominio territoriale che controllasse le foci dell'Adige e del Po. Nella Romagna e nelle Marche si ebbe un proliferare di signorie, in guerra fra loro, che traevano la ragione del proprio sviluppo dalla debolezza del potere pontificio: i Malatesta a Rimini, i Montefeltro a Urbino, i da Varano a Camerino. Da questo movimento verso la signoria rimasero piщ lungamente immuni le grandi cittа marittime di Pisa, Genova e Venezia ed i Comuni toscani. Probabilmente la causa di queste differenze va ricercata nella piщ complessa struttura sociale di questi centri, dove la crescente importanza del capitale mobile e degli interessi bancari e mercantili di respiro internazionale favorirono semmai il sorgere di oligarchie di potere piuttosto che di esperimenti dittatoriali. И significativo, peraltro, che tentazioni in questo senso si siano avute anche nei centri a fisionomia piщ spiccatamente "repubblicana", come la stessa Firenze, dove, nella prima metа del Trecento, si ebbero i brevi esperimenti signorili di Carlo di Calabria e di Gualtieri di Brienne.
PAPATO E IMPERO
I secoli del conflitto fra Papato e Impero e dell'espansione dei Comuni italiani furono anche quelli in cui l'autoritа regia si affermт in Francia e in Inghilterra. La forma specifica di questa affermazione и tradizionalmente sintetizzata nell'espressione di "monarchia feudale", cioи un ordinamento in cui il re si avvaleva, per esercitare il suo potere, degli strumenti tipici del feudalesimo: il vassallaggio, simboleggiato dall'omaggio e dalla fedeltа, e il beneficio (feudo), bene materiale o diritto concesso in cambio di certi servizi. Verso la fine dell'XI secolo, il regno insulare assoggettato da Guglielmo di Normandia nel 1066 - che escludeva l'Irlanda, la Scozia e il Galles - presentava un modello di governo centralizzato, con solide istituzioni finanziarie e funzionari dipendenti dal trono. In Francia, invece, dove giа da un secolo regnavano i Capetingi, il potere del re era limitato, salvo che nei suoi domini diretti, dall'esistenza di autonomi principati territoriali. Per ambedue i Paesi l'evoluzione successiva fu condizionata dal sorgere della dinastia anglo-franco-normanna dei Plantageneti, che nel 1154 cumulт la Corona inglese e ingenti possedimenti in Francia. Solo dopo la battaglia di Bouvines (1214), combattuta dal francese Filippo II e dall'inglese Giovanni Senza Terra, i possessi della monarchia britannica in Francia si ridussero alla regione della Guienna. Allora Giovanni Senza Terra dovette accettare la limitazione delle prerogative reali sancite dalla Magna Charta. La monarchia inglese si risollevт nell'ultimo Duecento, quando Edoardo I conquistт l'intero Galles cercando la collaborazione di nobili, ecclesiastici e borghesi delle cittа. Ormai il potere era diviso con il Parlamento, rappresentante delle diverse comunitа nel regno, il cui consenso era necessario per qualsiasi imposizione fiscale.
In Francia, i successi di Filippo II, giustamente definito "Augusto" (dal latino augere = accrescere), si consolidarono nel Duecento sotto Luigi VIII, Luigi IX e Filippo l'Ardito. Crebbe l'importanza di organismi dell'amministrazione centrale quali il Consiglio del re, il Parlamento di Parigi (organo supremo della giustizia regia), la Corte dei Conti; la burocrazia periferica vide potenziate le proprie funzioni, scalzando il potere dei piccoli e grandi signori locali. Ulteriori annessioni furono realizzate da Filippo IV il Bello (1285-1314), protagonista di un aspro conflitto con il Papato, durante il quale ottenne il riconoscimento dell'assoluta indipendenza e sovranitа della monarchia. Nel 1328, alla morte dell'ultimo dei Capetingi, piщ dei tre quarti del regno facevano parte del dominio diretto del re.
Il Medioevo caratteri originali di un età di transizione G. vItolo per universitá degli studi di Udine
la città medievale i comuni