I promessi sposi

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Categoria:Letteratura

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I PROMESSI SPOSI
Di Alessandro Manzoni

1) Il romanzo è ambientato durante la dominazione spagnola in Italia, più precisamente, come ci fa sapere l’autore nel primo capitolo, nel 1628 è infatti il 7 novembre di quell’anno quando Don Abbondio tornandosene a casa incontra i bravi(pag.2 cap.I).
Oltre alla dominazione spagnola che tratterò successivamente, altri problemi rendevano il periodo ancor più difficile. Basti pensare alla carestia,per la prima volta viene nominata nel palazzotto di don Rodrigo (cap. V) alla presenza di Fra Crisoforo, del conte Attilio e del dott. Azzecca Garbugli e tutti sostengono che essa non è presente ma è solo una speculazione di fornai e incettatori. Alla carestia Manzoni dedica poi l’intero capitolo XII. In questo prima di descrivere l’assalto ai forni si sofferma sulla storia della carestia, attraverso una digressione con la quale da la colpa di questa prolungata carestia( nelle prime righe del capitolo ci fa sapere che è già il secondo anno di raccolto scarso) in parte al maltempo e in parte agli uomini ed alla guerra che dovevano fronteggiare, che toglieva i contadini dai campi. Il poco raccolto andava poi per buna parte alle truppe alloggiate nelle vicinanze, come viene detto nella terza pagina del capitolo, qui viene poi sottolineata la spregevole condotta di tali truppe che andava accrescendo l’amarezza del popolo. Si può notare poi leggendo il proseguo del capitolo come il tema della carestia sia il nucleo centrale della sommossa, la gente infatti chiede pane, ed è pronta ad andare contro la legge per averlo(fine capitolo) ciò è dimostrato anche nel cap.XV nel quale Renzo viene arrestato per aver partecipato ai tumulti; questo dimostra il livello di povertà e fame a cui si era giunti. Il problema della carestia ritorna poi nel cap XVIII, ma questa volta Manzoni afferma cause differenti per il problema: erano secondo lui stati i danni e lo spreco derivato dalla sommossa a far ricadere nuovamente Milano nella miseria dopo due giorni in cui ogni famiglia aveva potuto godere dei frutti derivati dall’assalto ai forni, quali l’abbondanza momentanea0 di pane, il prezzo basso di esso e l presenza in proporzione di farina ( prime righe cap.XVIII). La nuova ondata di carestia fa il suo arrivo più avanti, dalla prime pagine del capitolo fino alla sua metà, dove si sottolinea il fatto che un economia così è destinata a giungere al collasso in quanto la richiesta di pane, incentivata dal suo basso costo, era troppo elevata rispetto alle reali possibilità dei fornai dove la materia prima scarseggiava. Il panorama della città cambiò così rapidamente e di questo ne fa Manzoni una dura descrizione nelle pagine successive. Ne il governo ne la città erano pronti ad affrontare un problema del genere, Milano perciò decade, botteghe chiuse, fabbriche deserte, mendicanti che litigano per l’elemosina ecc… questa situazione, che durò fino alla raccolta delle nuove messe, portò ad un graduale aumento della mortalità, argomento che viene descritto nelle ultime pagine del capitolo.
Riferimenti alla carestia si possono poi ritrovare durante i dialoghi dei protagonisti o attraverso loro comportamenti(Cap.III le scuse che Lucia pone alla madre pone dopo offerta di noci fatta a Fra Galdino, inizialmente può sembrare insignificante come gesto, ma nel contesto storico assume una sua rilevanza, si capisce infatti il sacrificio fatto da Lucia).
Come precisato dal Manzoni già nel primo capitolo, il romanzo è ambientato durante la guerra dei trent’anni; vi sono perciò spesso riferimenti riguardanti il passaggio di eserciti nelle zone descritte, specie nel milanese. Il primo esercito che viene facilmente riconosciuto, è quello citato nella prima parte del capitolo XXVIII, ossia quello di Luigi XII re di Francia che discende in Italia sotto la richiesta del cardinale Richelieu, per dare un aiuto al ducato di Nevers. In queste pagine viene poi descritta l’avanzata delle sue truppe, lo scontro contro il duca di Savoia e la vicenda che portò poi don Gonzalo a togliere l’assedio da Casale e ad andarsene da Milano. Discese poi successivamente in Italia un ulteriore esercito, ne veniamo a conoscenza sempre nel capitolo XXVIII, era quello dell’imperatore Ferdinando, comandato dal conte Rambaldo di Collalto per pretendere il possesso degli stati del duca di Neveres. Il passaggio degli eserciti viene descritto anche se non specificatamente nella fine del capitolo quando si fa cenno allo spostamento delle truppe alemanne, ventotto mila fanti e sette mila cavalieri, verso il milanese, e si viene a conoscenza della loro crudeltà: essi saccheggiavano tutti i posti che incontravano durante la loro discesa, e quello che non potevano portare con se lo distruggevano. Nel capitolo XXIX, ci da una testimonianza diretto dell’arrivo dell’esercito il povero Don Abbondio il quale impaurito scappa con Agnese e Perpetua, per mettersi in salvo dalla crudeltà di quelle milizie.
Testimonianza del passaggio dell’esercito ne danno gli stessi protagonisti un capitolo più avanti( cap. XXX), i quali rientrando al paese, dal castello dell’Innominato, ritrovano le loro case distrutte e saccheggiate: “Don Abbondio e Perpetua rientrarono in casa senza usare chiavi” trovarono l’orto distrutto, le cose preziose che erano state da loro nascoste, rubate e i muri scarabocchiati. Altro segno indiscutibile del passaggio degli eserciti è dato dalla peste, perché come viene affermato nel capitolo XXXI, fu un soldato Spagnolo in passaggio da Milano a dare inizio alla pestilenza.
Questo è un altro argomento che viene trattato spesso dall’autore per tutta la durata del romanzo, attraverso cenni e supposizioni( cap.XII ) e poi più specificatamente nel corso del capitolo XXVIII quando il tribunale della sanità inizia a mandare i primi segnali di pericolo in vista della discesa ormai imminente degli eserciti in Italia, non curante di questo però il tribunale di provvigione raduna nel lazzaretto tutti gli accattoni e gli infermi, pensando di evitare la diffusione di malattie; avviene però il contrario e centinaia di persone troveranno proprio li la morte. Nel capitolo XXXI e XXXII poi si parla del tipo di peste, si fanno riferimenti alla peste passata, quella del 1576, e si iniziano a ricercare i colpevoli di questa; essi vengono indicati negli eserciti alemanni che discesi nel Milanese avevano portato con loro il seme della pestilenza, che in un periodo di alta mortalità e vagabondaggio per colpa della carestia, si diffuse rapidamente. Fino alla fine del capitolo si parla poi del tentativo del tribunale della sanità di mettere un freno alla pestilenza, esso non riesce però a trovare una soluzione ed è perciò costretto ad affidarsi a cappuccini, i quali si davano da fare per migliorare al vita nel lazzaretto,: “ la maggior parte di essi vi lasciò la vita, ma tutti con allegrezza.”
Nonostante tutto il popolo non crede ancora nella peste, e il tribunale della sanità, alla fine del capitolo, svela a tutto il popolo i cadaveri dei morti per la nuova epidemia, era ormai impossibile non credervi. La paura ossessionava i cittadini tanto da portarli alla pazzia come si può leggere nel capitolo XXXII.
Sono poi molto ricorrenti i tentativi d’aiuto che i cittadini mandano al governatore perché li aiuti a pagare le spese derivanti dall’arrivo della peste,: “ ma esso era troppo impegnato nella guerra per poter far qualcosa.”
Nei capitoli precedenti si avvertiva già la presenza di una pestilenza dovuta alla carestia, e ai morti i quali cadaveri erano posati sul ciglio della strada, ma si sperava che con la fine della carestia anche la pestilenza avesse fine (cap. XXVIII), fu perciò un peso insostenibile per la popolazione sapere dell’arrivo degli eserciti alemanni, portatori di peste, che si andavano aggiungendo alle già numerose guarnigioni spagnole.
La presenza di una dominazione spagnola viene sancita già nel primo capitolo quando descrivendo Lecco Manzoni si sofferma sul vantaggio non invidiabile per la città di essere una fortezza, luogo di residenza di un comandante e di una guarnigione di soldati spagnoli, presenza confermata poche pagine più avanti quando si fa riferimento alle grida contro i bravi che avevano emanato prima, rafforzato e contestato poi illustrissimi capitani e governatori Spagnoli, incaricati di governare in Italia, nella Stato di Milano per la precisione.
La presenza spagnola in Italia è poi riconfermata sia nel capitolo XXVIII, quando in occasione del passaggio degli eserciti si narrano le problematiche del governo spagnolo in Italia, e nel capitolo XXXI quando si afferma che fu un soldato spagnolo a portare la peste in Italia. Sono poi una prova indiscutibile i nomi dei vari personaggi politici presenti in Italia, tutti di origine Spagnola: Ferrer, don Gonzalo Fernandez di Cordova,il marchese D’Aymante ecc…
Associate proprio a questo governo straniero sono alcune delle rivolte e sommosse cittadine. Un esempio lo ritroviamo nel capitolo XII, durante l’assalto ai forni della popolazione, che lamenta una finta carestia da parte dei fornai e un non intervento deciso del potere centrale; vengono perciò descritte in questo capitolo varie situazioni atte a descrivere la rabbia del popolo: i vari focolai della rivolta, un primo davanti al forno delle grucce, un secondo in piazza del duomo, un terzo in piazza Cardusio e per finire un quarto o per meglio dire tutti e tre insieme sotto la casa del vicario di provvisione, sfogare la loro rabbia su di lui, ritenuto da loro unico responsabile della carestia. Solo l’arrivo di Ferrer ritenuto l’amico del popolo: “colui che abbasserà il prezzo del pane e metterà il vicario in prigione” salva lo sventurato da una morte certa. La folla rassicurata dalle parole di Ferrer si scioglie in gruppetti, per godere del bottino ottenuto.
Le conseguenze inaspettate di questa rivolta le ritroviamo però nel capitolo XXVIII, dove si indica la sommossa come principale causa della nuova carestia in corso.
2) Alle problematiche fino ad ora descritte se ne legano altre: come detto l’inquadratura storica del
romanzo è quella del 1600, della dominazione spagnola in Italia, ed è proprio questo un elemento che spesso ritorna. Legato a questo è da sottolineare il profondo pessimismo descritto dal Manzoni verso il governo spagnolo, ritenendolo responsabile della crisi che attraversava l’Italia. Basti pensare che Manzoni nel cap XII accusa questo governo di essere una delle cause della carestia, perché la guerra che portava avanti sottraeva forza lavoro dai campi lasciandoli incolti; o nel proseguo del capitolo accusa le truppe di comportamenti spregevoli e oppressivi verso la popolazione, la quale aveva già abbastanza problemi, tra i quali i gravami fiscali troppo elevati per una popolazione in crisi(assalto ai forni). È proprio questo che sottolinea il malgoverno spagnolo, il fatto che non seppe reagire e trovare soluzioni contro una carestia che anzi prolungarono con le loro decisioni, allo scopo di accaparrarsi il piacere del popolo( cap. XII Ferrer). Oltre a non essere in grado di risolvere problemi economici, in quanto essi pensavano ai propri interessi, i governatori non era in grado nemmeno di proteggere il popolo dalle invasioni di altri eserciti , pur essendo consapevoli che questo avrebbe favorito la venuta della peste (capXVIII).Anche nei capitoli successivi quali il XXXI e XXXII non curante della presenza della peste, come il tribunale della sanità gli aveva fatto sapere, il governatore di Milano proclama feste, e quando viene avvertito dal marchese d’Aymonte delle condizioni della sua città sperando in aiuti per finanziare i soccorsi ai malati la risposta del governatore è un no, e lascia tutte le spese a carica della popolazione e del fisco.(pag.2 capXXXII), in compenso però il governatore offre premi in denaro ai suoi soldati per meriti speciali, e spreca denari in divertimenti. Elemento che contraddistingue poi il governo spagnolo è la sua debolezza: le grida non sono prese in considerazione ne dal popolo(cap.XII) ne dai bravi ( cap. I), il popolo si mette contro questo governo e ne ha ragione, è un governo per buona parte corrotto (cap. XXXVI) ne è testimonianza la vicenda di Renzo il quale riesce ad entrare in Milano e poi nel lazzaretto comprando con una moneta la guardia. Un fatto che viene poi sottolineato spesso nel romanzo è il grado di importanza che il governo spagnolo assegna alla gente italiana, questo grado è minimo, perché esso mette al primo posto la guerra e la sua superiorità sugli altri stati; questa affermazione possiamo ricavarla leggendo i capitoli (XXVI, XXXI e XXXII)
Nel primo infatti i numerosi pensieri che don Gonzalo aveva per la testa non gli permettevano di pensare alle vicende di Renzo; nel secondo e nel terzo invece ci si riferisce prima alla non volontà del governatore di fermare l’esercito alemanno, e poi alla sua noncuranza verso il problema della peste.
Il grave problema del tempo era dato da come amministrare la giustizia. Noi veniamo a conoscenza già nel primo capitolo della risposta, la giustizia era amministrata da grida, leggi emanate sia dai capitani che dai governatori spagnoli, che venivano a conoscenza del popolo per mezzo della voce, esse erano infatti gridate. La prima che incontriamo è relativa ai bravi (cap.I) essi erano tenuti ad abbandonare la città, ma proseguendo nella lettura ne ritroviamo altre come quella relativa alla registrazione del nome e del cognome di colui che soggiorna in una locanda( cap. XIV, quando Renzo si reca nella locanda della Luna per passare la notte dopo i tumulti); sono poi diverse le grida che ritroviamo nel capitolo XII, durante la sommossa e XXVIII, atte a regolamentare i comportamenti della popolazione durante la carestia; ultima grida che ritorna nel romanzo è quella emanata dal governatore per dare un valore politico e di pubblicità verso le feste pubbliche proclamate(cap. XXXI). Altro modo di amministrare la giustizia era quello attraverso i processi come avviene nel cap.XXXII nel quale i magistrati danno la caccia agli untori, evento rimasto vivo nella storia.
Queste grida come già ricordato erano spesso ignorante e ne venivano dunque proclamate altre più rigide e severe (cap I).
Queste grida avevano poi un valore diverso a secondo della persona che le sentiva: se era un nobile o ecclesiastico egli si poteva ritenere escluso da esse( cap.I).Vi era poi un'altra categoria di persone i signorotti locali(don Rodrigo e L’Innominato)i quali erano così potenti da permettersi di andare contro ad esse, ne è un esempio la presenza dei bravi di Don Rodrigo in paese dopo che le grida contro di loro erano gia state emanate da parecchio tempo,e ne è un ulteriore esempio la vicenda stessa, è solo la potenza e la paura che mette don Rodrigo a far rimandare le nozze e a dar l’inizio alla vicenda. Questo potere è però limitato in un ambito territoriale, perché persino il capo dei bravi di don Rodrigo, il Griso aveva paura di recarsi a Milano perché li un altro signorotto comandava e il suo capo non aveva più alcun potere(cap XI), tanto che lo stesso Griso aveva paura della taglia posta sulla sua testa a Monza.
Oltre ai signorotti godevano di una posizione privilegiata i nobili, ed a questo proposito è interessante conoscere una tradizione nobiliare che Manzoni ci relaziona nel capitolo IX, nel quale afferma che i possedimenti e le ricchezze dei nobili erano destinate al primo genito mentre per gli altri figli era obbligo la vita ecclesiastica. Esempio di tutto questo è Gertrude, personaggio inserito nel IX e nel X capitolo, che per volere del padre entrò in monastero a soli 6 anni. Una seconda tradizione nobiliare è quella che ci viene raccontata dall’autore attraverso una digressione riguardante la vita di Fra Cristoforo, leggendo ciò nel capitolo IV, si viene a sapere che quando si incontrava un nobile per la strada bisogna cedergli il passo lasciando libero il transito a fianco del muro, in modo tale che egli potesse continuare il suo tragitto.
La vita di un secondogenito era perciò simile a quella di un umile, ciò di quelle persone costrette a sottostare alla volontà dei potenti. Essi costituivano la maggior parte della popolazione, e non avevano possibilità di scelta: lo stato non li tutelava e loro non erano in grado di difendersi da soli. Esempio di persone umili è quello di Renzo e Lucia, essi si amano ma sono costretti a fuggire per coronare il loro sogno d’amore, non vi era nulla da fare, nessuno era in grado di aiutare una persona umile quando contro di lei si era messo un signorotto locale (cap. II), è stato infatti vano il tentativo di un giudice prima, il dottor Azzecca Garbugli a colloquio con Renzo non sa trovare una grida che potesse incriminare don Rodrigo( cap III), e di fra Cristoforo poi (cap V) il quale pensava che almeno Dio sarebbe stato in grado di toccare la coscienza del signorotto. Ma come si sa la gente umile, deve lottare sempre da sola, nel capitolo XVII infatti all’interno dei tumulti non si registra presenza di signori, era solo la povera gente che scendeva a protestare, perché qualsiasi carestia, pestilenza o guerra è logico che colpisca loro per primi perché ad essi manca lo possibilità di sopravvivere a lungo con i soli propri mezzi. Un ulteriore esempio che descrive la condizione degli umili, è quello di Lucia la quale, pur di mettere fine a questa storia si consacra alla Vergine , pensando che questo sacrificio l’avrebbe avvicinato a lei e che le sue preghiere sarebbero state ascoltate. Una cosa che ha sempre accomunato la povera gente è la fede in Dio ne Agnese e ne tanto meno Lucia hanno mai smesso di pregare e di credere che prima o poi Dio avrebbe messo fine a questa situazione.
Non è però vero che le persone erano lasciate sole al loro destino, almeno per i protagonisti della nostra storia; vi era in città una persona fra Cristoforo il quale dopo essere venuto a conoscenza della faccenda di Renzo e Lucia (cap V) si impegna in tutti i modi a sua disposizione per far celebrare le nozze il più presto possibile. Egli è pronto a sfidare in prima persona la furia di Don Rodrigo (cap. VI), va infatti a discutere della situazione direttamente nel suo palazzotto e anche se poi da li viene cacciato e minacciato egli non si ferma, fa di tutto per trovare a Renzo e Lucia una sistemazione in tanto che si calmano le acque: manda perciò Renzo a Milano e Lucia a Monza, consegnando loro lettere di raccomandazione da consegnare al loro arrivo. Lo si ritrova poi a fine libro, nel capitolo XXXV nel lazzaretto al giaciglio di don Rodrigo, e aiuta ulteriormente Renzo a ritrovare Lucia.
Altro personaggio difensore degli umili fù Federigo Borromeo il quale spesso si accaparrò spese e debiti della povera gente( capitolo XXIII e XXIV) spese che il governo locale non si voleva accaparrare soprattutto per quanto riguarda gli aiuti per la carestia(cap XXVIII). Non curante del pericolo di perdervi la vita il cardinale entra poi nel lazzaretto dove porta aiuto agli infermi, ma il suo impegno va oltre, pur essendo una figura di rilievo, gira in prima persona per le case per portare aiuto ai poveri rinchiusi in casa (cap.XXXI). Egli riesce poi a far cambiare vita ad un potente signorotto quale era l’Innominato (Cap XXIII) e con ciò dispone per la liberazione di Lucia dal castello. Da dopo l’incontro con il cardinale, l’Innominato cambia vita, e fa di tutto per aiutare Renzo e Lucia (dona a loro 100 scudi)e accoglie nel suo castello numerose persone per aiutarle a sopravvivere all’arrivo degli eserciti stranieri(capitolo XXIX)
3)I personaggi presenti nei promessi sposi si possono distinguere in due categorie: personaggi d’invenzione e personaggi realmente esistiti. Descriverò ora la prima categoria:
Renzo: il suo vero nome era Lorenzo Tramaglino, era un giovane filatore di seta che accecato dall’amore per Lucia era disposto a far qualsiasi cosa per poterla prendere in moglie (cap II), anche affrontare in prima persona un signorotto potente come Don Rodrigo. Viveva in lui una forte bontà e credeva molto nella giustizia anche se non sapeva accettare forse per cocciutaggine il consiglio che Lucia da a lui, ciò quello di non affrontare in modo diretto don Rodrigo. Caratteristica del personaggio è una forte impulsività, la quale spesso gli fa compiere scelte errate come quella di entrare nei tumulti a Milano (cap.XII).Si dimostra però in grado di uscire da tutti gli impicci nei quali con maestria si va cacciando.
Lucia Mondella: descritta nel secondo capitolo ci appare ragazza dalla infinita bellezza e delicatezza, cose che fanno perdere la testa anche a don Rodrigo il quale si mette contro tutti pur d’averla. Possedeva in oltre una smisurata fede in Dio (cap.XXI) la quale le fa vedere un lieto fine nella storia. Prova inoltre un puro amore verso Renzo tanto da ritenerlo la cosa più importante che ha.(cap XXI).
Agnese: madre di Lucia viene descritta in più capitoli (III, IV e VIII)nutre un sentimento fortissimo verso la figlia ed è disposta a seguirla in qualunque luogo per aiutarla a venire fuori dalla disgrazia. Nei primi capitoli si noto poi la gioia che ha nel cuore, gioia che non le fa veder l’ora delle nozze tra i due innamorati, gioia che le fa tentare anche azioni disperate per trovare una soluzione( cap. III manda Renzo dal dottor Azecca Garbugli).
Don Rodrigo: potentissimo signorotto locale, alle quali dipendenze stavano i bravi il Griso , Tiradritto ecc… furfanti pronti a tutto per il loro padrone il quale dava loro in cambio protezione.
Era di animo crudele e non si fermava davanti a nulla, questo viene dimostrato dall’amore che prova verso Lucia(capI)pur sapendo di non poterla possedere la perseguita per sfizio, per una stupida scommessa fatta con il conte Attilio.
L’innominato: altro potente signorotto milanese il quale ci viene descritto nel capitolo XIX, esso a differenza di don Rodrigo quando viene a contatto con Lucia( cap. XXIV) capisce che la sua vita era stata errata, prova a porvi rimedio aiutando gli altri e liberando Lucia.
Don Abbondio: ci appare gia nel primo capitolo un uomo pauroso, che non sa affrontare i problemi e prova perciò ad aggirarli, viene meno anche ai suoi doveri di sacerdote, quando per timore in don Rodrigo non celebra le nozze tra Renzo e Lucia (cap.II), colpa che il cardinale gli fara poi verso la fine del Romanzo: è proprio la sua paura che da il via alle varie avventure dei due innamorati. Era sicuramente un uomo istruito come dimostra il latino parlato con Renzo nel capitolo II.
Perpetua: come ci viene descritto nel primo capitolo, essa era una zitella molto affezionata a don Abbondio, anche se spesso lo rimprovera per il suo carattere un po’ fastidiosa. Pur essendo un personaggio di poco rilievo essa interviene nel romanzo in modo forte dando suggerimenti a don Abbondio sul da farsi. Per il resto svolge i suoi compiti di perpetua in maniera diligente, e ha piena fiducia nel curato.
Fra Cristoforo: è descritto in modo particolareggiato dal Manzoni nel capitolo IV “era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant’anni. Il suo capo era raso , salvo la piccola corona di capelli che vi girava intorno[…]la barba bianca e lunga gli copriva le guance e il mento…” con il proseguo del capitolo si scopre poi la storia di Cristoforo, prima della conversione Ludovico, e il fatto ( un omicidio) che gli ha aperto gli occhi verso il mondo ecclesiastico, con un particolare impegno verso l’aiuto dei poveri, dei malati e dei bisognosi. Era insomma una persona veramente buona, tanto che è lui stesso nel capitolo XXXV a chiedere di essere trasferito nel lazzaretto per poter aiutare i malati pur sapendo di potere rischiare la morte.
Tra i personaggi realmente esistiti troviamo poi nel racconto:
Gertrude: alla quale Manzoni dedica quasi interamente i capitoli IX e X, risulta essere descritta come figlia di un nobile milanese il quale la costringe a intraprendere la vita monastica, come voleva la tradizione del tempo. Nel corso dei due capitoli l’autore racconta in modo dettagliato la vicenda che la condotta a diventare monaca, questo la segna nel profondo perché vede svanire tutti i suoi sogni di divenire badessa. Il dolore che racchiude nel cuore Gertrude è dato anche dal fatto che non riesce a scordare l’errore che ha commesso non opponendosi, per paura, al volere del padre. Vive nel convento dove conduce una vita non esemplare, ha incontri con il suo amante Egidio, e non prova emozioni se non nei confronti di quel poco di buono. Solo Lucia è in grado di fargli provare il sentimento della compassione, tanto che Gertrude le offre la sua protezione..
Federigo Borromeo: è un altro personaggio storico realmente vissuto che il Manzoni inserisce nel racconto. Vescovo di Milano, compare in diversi capitoli (VIII,XXII,XXIII) e sempre ci appare come figura buona rivolta cioè a far del bene. Si offre in prima persona di andare a curare i bisognosi nel Lazzaretto e fa di tutto per rendere l’innominato persona diversa, ci riesce, diventa così il mito del popolo. Non fu solamente un uomo buono ma bensì anche un uomo dotto, e come riferitoci a fine capitolo XXII, “egli lasciò circa cento opere tra grandi e piccole, tra latine ed italiane, tra stampate e mano scritte: trattati di morale, orazioni, dissertazioni di storia antica, di letteratura, di arti ed altro…” All’inizio del capitolo abbiamo invece informazioni relative alla vita del vescovo: egli nacque nel 1564 e fu uno dei pochi, di quel tempo, ad utilizzare i suoi pregi per far del bene e fin da bambino pensò che per far questo non vi era vita migliore se non quella ecclesiastica. Prende l’abito nel 1580 a soli sedici anni ed entrò poi nel collegio Borromeo di Pavia. Divenne arcivescovo di Milano nel 1595 grazie a Papa Clemente VIII. Importante è anche la fondazione della biblioteca Ambrosiana, con la quale si impegnò nella promulgazione della cultura. Visse il resto della sua vita da uomo nobile nei sentimenti e devoto alla carità.

Data creazione 29/07/00 10.52
Autore Michele Rongoni classe 4ªC

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