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Categoria: | Letteratura |
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Giosue Carducci
Il Carducci si formò nell'ambiente toscano, a contatto con una realtà dove il Romanticismo era penetrato in modo indiretto. Egli, ancora giovanissimo, intrecciò una forte polemica contro questo movimento, che gli sembrava estraneo alla spiritualità ed alla cultura italiana, presentandosi come il sostenitore dei classici. In nome del decoro stilistico e formale, alla letteratura popolare sostenuta dal Romanticismo egli oppose l'esigenza di una letteratura dignitosa e profonda sul piano del contenuto e della forma. Lottò anche contro il Verismo e contro il Decadentismo.
Alla polemica contro la moda romantica si aggiunge in lui con analogo vigore ed impegno la condanna dell'Italia del suo tempo, che egli giudicava priva di ideali, di slanci, insensibile verso la grandezza e gli eroismi, indegna della gloria del passato e degenere nei confronti della generazione precedente, che aveva realizzato l'unità nazionale. Contro gli atteggiamenti mediocri e prosaici degli italiani rivolse le sue invettive assumendo spesso toni retorici e non accorgendosi del fatto che in quegli anni, completato il Risorgimento, non c'era più spazio per gli eroismi e iniziava un periodo di assestamento laborioso ed impegnativo per l'urgenza di problemi enormi e di difficile soluzione. Va anche detto però che l'atteggiamento degli italiani contrastava decisamente con il temperamento del poeta, che ebbe profondi sentimenti e coltivò ideali eroici, fra i quali l'importanza e la dignità della vita umana ed il ruolo fondamentale assegnato alla poesia.
La vita è per lui qualcosa di grande, perchè è illuminata dalla azione, dalla volontà, che sono ì mezzi che permettono all'uomo di costruire, di raggiungere la gloria, di consolidare la sua fama presso i posteri. Carducci ebbe una visione della vita simile al modo di sentire dei classici; di essa infatti celebra gli aspetti più belli, come la luce del sole, il calore, i profumi e le bellezze della natura. La sua spiritualità classica e pagana si nota anche nel modo come egli vede la morte, che è simboleggiata dal freddo, dall'umido (che sono le caratteristiche del Tartaro dei Greci e dei Romani), dal buio, dalla mancanza di amore, dal putrido, dal senso di disfacimento. La vita è invece considerata come una fiaccola, che la generazione dei viventi ha in consegna per un breve periodo e che passerà fino alla fine dell'universo, di generazione in generazione.
Un ruolo fondamentale è svolto nella vita dalla poesia, che celebra ciò che è splendido sul piano estetico e morale tramandandone il ricordo ai posteri. Per il Carducci il poeta ha inoltre il compito di educare gli uomini, è poeta vate, ossia conserva e diffonde ideali. Questo compito è stato svolto dai grandi poeti, dei quali è necessario riscoprire e rivalutare il messaggio. Il Carducci propone infatti un ritorno a quelli che egli considera i grandi maestri, ossia alla tradizione segnata dall’Alfieri e dal Foscolo. In questo ambito è fondamentale il messaggio dei classici, che gli appare l'unico mezzo in grado di rendere possibile la rigenerazione degli italiani sul piano morale e letterario.
Per quanto riguarda le concezioni politiche, va detto che Carducci presenta un approfondimento ed una revisione costante delle sue idee, per cui dall'acceso giacobinismo e mazzinianesimo che caratterizza la sua giovinezza, approda gradualmente ad una visione sempre più pacata e conservatrice, che in alcuni casi appare reazionaria. In ciò, egli seguì la parabola percorsa dalla classe dirigente italiana, dalla sinistra in particolare, simboleggiata in primo luogo dall’atteggiamento del Crispi, che dal mazzinianesimo giovanile passa ad un atteggiamento intransigente in politica interna e megalomane ed imperialistico in politica estera.
Per quanto riguarda la poetica, va detto che il Carducci rappresenta, insieme ad altri autori minori, una ferma reazione al Romanticismo ma che, diversamente dagli Scapigliati, la sua opposizione è equilibrata, consapevole e sistematica. Nel ritorno ai classici egli individua la possibilità di creare una poesia profonda e costruttiva e più ricca, rispetto al Romanticismo, di valori morali e civili. La sua poetica trova il motivo centrale nella necessità di salvaguardare e di arricchire la tradizione letteraria italiana. Egli svolge temi nuovi ed interpreta in modo originale temi che appartengono alla tradizione; tra questi i più importanti sono la storia, il paesaggio, la vita, le memorie. La storia è vista non, come avviene nel Vico o come volevano i Romantici, come una vicenda complessa e sofferta e determinata dagli slanci, dalle sofferenze, dagli ideali, come un processo guidato da leggi precise, bensì come scontro, spesso epico, di forze pure e generose, come una serie di svolte, di momenti splendidi per la nobiltà di ideali da cui furono caratterizzati.
Perciò egli approfondì la sua analisi a proposito di precisi momenti storici, come l'età comunale in Italia, il mondo classico, che gli apparve come un'isola ideale di bellezza, di armonia e di forza, come il frutto di ideali generosi e di concezioni eroiche. Nello studio della storia egli non seppe formulare vaste sintesi e riuscì solo a creare concetti e ad elaborare teorie come la "nemesi storica", caratterizzate da schematicità e debolezza. Il tema del paesaggio, svolto anche dalla poesia romantica, acquista nel Carducci un significato nuovo. La natura è descritta come qualcosa di vivo, di ricco, di intenso per i colori e i profumi e riflette gli stati d'animo dei personaggi a cui fa da sfondo. Ad essa, il più delle volte, sono legati i sentimenti del poeta.
Le meditazioni sulla vita e sul destino dell'uomo offrono al Carducci spunti significativi per la creazione di concetti e di immagini spesso classicamente delineati, a volte malinconici, ma di una malinconia contenuta e virile. Il tema delle memorie è frequente nella poesia carducciana e dimostra la profondità e la sensibilità del poeta che, accanto ai temi ufficiali e solenni, seppe trattare con ricca sensibilità i motivi più umani e commossi. Egli evita i toni propriamente romantici del rimpianto e della malinconia e supera in modo armonioso i pensieri tristi quando ricorda, per esempio, le persone care defunte, o quando rievoca la sua infanzia, giungendo a conclusioni dignitose e composte.
Spesso, dal ricordo trae conforto e dolcezza, come vediamo in Davanti San Guido, in Traversando la Maremma toscana, in Sogno d'estate e in Idillio maremmano. Tutti questi temi non sono isolati l'uno dall'altro, ma a volte sono compresenti. Dopo la raccolta Iuvenilia, nella quale prevale l'intento di svolgere la funzione di "scudiero dei classici", la raccolta Levia Gravia testimoniano il nuovo orientamento del Carducci (‘61 ‘71) verso temi politici e sociali. L'Inno a Satana (‘63), pur con ingenuità e intemperanze retoriche, testimonia una precisa svolta nell’opera carducciana e rappresenta un esempio della personalità vigorosa e risentita dell'autore. La raccolta Giambi ed epodi (‘67 ‘87) è dominata dalla polemica politica e letteraria, ma contiene esempi di profonda poesia.
La parte migliore della produzione carducciana è raccolta nelle Rime nuove (‘61 ‘87), nelle Odi barbare (‘77 ‘93) ed in parte in Rime e Ritmi. Nelle Rime nuove appaiono i grandi temi carducciani, rappresentati dalle reminiscenze storiche e dai ricordi personali. Nelle Odi barbare, che egli definì così perchè in esse volle riprodurre la metrica greca e latina raggiungendo effetti ed espressioni che, secondo lui, i Greci definirebbero barbari, il poeta volle rivivere lo spirito della classicità, che per lui consisteva in un'intima armonia tra uomo e natura, in un'armonica fusione di grazia, di vigore, di eroismo, di bellezza, in un'accettazione serena e virile della vita, dei suoi doveri, delle sue responsabilità, delle sue amarezze. Le parti migliori di questa raccolta si ispirano in effetti alla romanità ed alla grecità, ossia al mondo in cui questi ideali si sono realizzati. Roma però non è per lui qualcosa di morto, ma una presenza viva e operante nello spirito italico, ossia del popolo per il quale egli vagheggia una nuova grandezza.
Rime e Ritmi è la raccolta in cui più si sente la stanchezza del poeta. Vi troviamo le sintesi storiche, le grandi rievocazioni, ma avvertiamo anche il peso della retorica. È notevole comunque il tono malinconico che la caratterizza.
Il Carducci svolse un'intensa attività critica, di cui i frutti maggiori sono i discorsi Dello svolgimento della letteratura nazionale, i saggi L'opera di Dante, Il Parini maggiore, Il Parini minore, gli studi su L. Ariosto e T. Tasso, le pagine sul Petrarca e sul Boccaccio. Avverso al De Sanctis, egli aderì alla scuola storica, che alle sintesi romantiche e desanctisiane sostituisce l'indagine meticolosa circa la cultura degli autori ed il tempo in cui operarono e l'analisi diligente del testo. Pertanto giunge alla piena intelligenza della poesia, anche perchè come poeta è in grado di risalire alle motivazioni, ai sentimenti ed ai travagli da cui essa nasce.
Nel Carducci è inoltre importante il vigore del linguaggio; la sua prosa si contrappone nettamente a quella manzoniana e si ricollega alla più dotta tradizione italiana. Se si prescinde dagli eccessi polemici e dalla retorica che dominano una parte della sua produzione, si può affermare che il Carducci svolge un ruolo importante nel rinnovamento della letteratura, con la sua lezione di impegno e di profondità, evidente soprattutto nel modo di approfondire e di attualizzare i classici.
Carducci Giosuè
Valdicastello 1835, vive nella Maremma. A 25 anni ottiene la cattedra di letteratura italiana all’università di Bologna ove ebbe Pascoli quale studente. E’ tra i maggiori poeti e prosatori della nostra letteratura, per la quale ricevette il Premio Nobel nel 1906, cui seguirà la morte l’anno successivo. Si laureò a soli 20 anni alla Normale di Pisa. Repubblicano e giacobino per temperamento, si riconcilia nel 1880 con la monarchia e tempera in un conformismo sempre più ortodosso i suoi principi politici. “Schiaffeggiatore” dei privilegi e bassezze borghesi diventa poeta eroico ufficiale. Tra le tante opere, l’Inno a Satana, Giambi ed epòdi, Odi barbare, Rime e ritmi.
ODI BARBARE
Composta tra il 1877 e il 1887, questa raccolta di poesie, non aliena dai temi di Rime Nuove, vuole riaffermare, anche tramite l'uso della metrica antica, un ideale di composta classicità. "Barbare" queste odi raccolte in due libri, perché, nonostante l'imitazione dei metri latini e greci, sarebbero suonate agli orecchi degli antichi come estranee, 'barbare' appunto.
RIME E RITMI
Per rispettare la volontà dell'autore in questo archivio è presente anche "Il parlamento", che nell'edizione del 1901 venne collocato, come parte integrante, dopo "Rime e ritmi". Scritto nel settimo centenario della battaglia di Legnano, "Il parlamento" doveva far parte di un poemetto che voleva celebrare quel momento della storia italiana, e che si sarebbe dovuto sviluppare in tre parti ("Il parlamento", "La battaglia" e "La fuga dell'imperatore"). Carducci non riuscì mai a terminare il poemetto, benché vi avesse lavorato a più riprese fino agli ultimi anni della sua vita.
Cenni biografici
Errore. Il segnalibro non è definito.Le prime esperienze letterarie di Giosue Carducci, nato nel 1835 a Valdicastello nei pressi di Lucca, risalgono agli anni dei suoi studi presso la Normale di Pisa, dove otterrà il diploma in magistero nel 1856.
Si tratta del periodo dei famigerati "amici pedanti", un gruppo di giovani che propone il ritorno al classicismo in opposizione alla nouvelle vague romantica, egemone in quel periodo. E' proprio su questa linea di recupero delle forme e dei modi della tradizione letteraria italiana che avviene l'esordio poetico di Carducci, nel 1857, col primo volume di Rime.
Allo stesso modo, negli anni successivi, difficili dal punto di vista della sua situazione economica e affettiva (muoiono, a un anno di distanza l'uno dall'altro, il padre e il fratello) sono dedicati dello studio dei classici e della sperimentazione dall'interno del classicismo. Il 1860 è l'anno dell'unità d'Italia, e Terenzio Mamiani, il primo ministro italiano della pubblica istruzione, gli affida la cattedra di eloquenza dell'università di Bologna, che terrà fino al 1904.
E' il momento in cui, da una parte, incomincia ad impegnarsi politicamente nell'estrema sinistra di allora, quella Mazziniana, e dall'altra continua la sua ricerca poetica, fino a pubblicare il suo secondo libro, Poesie, nel 1871. Da questo punto in poi comincia la stagione del suo successo letterario, nonché il suo riflusso politico che lo porterà, proprio negli anni in cui la sinistra va al potere, verso posizioni decisamente conservatrici e monarchiche.
Col suo libro successivo, le Odi barbare, del 1877, questa sua trasformazione è oramai compiuta: si tratta di un libro di poesia civile nel quale determinati momenti storici (Roma antica, i Comuni) vengono proposti come modelli etici da ritrovare nella nuova Italia che si sta formando. La posizione di Carducci-vate della monarchia e della patria si rafforza sempre più con gli anni. Nel 1878 con l'ode Alla regina d'Italia, diventa anche il poeta ufficiale di casa Savoia, e fa ancora peggio nel 1882 con l'articolo Eterno femminino regale.
Nello stesso anno pubblica Giambi ed epodi, ancora poesia di impegno civile, ma questa volta più di stampo satirico e polemico. Un relativo cambiamento lo abbiamo con la sua raccolta successiva, Rime Nuove, del 1887. I toni accesi e oratori lasciano (in parte) il posto ad una poetica più intimista e riflessiva, che produce buona parte dei classici che ritroveremo nelle antologie scolastiche del secolo successivo: Pianto antico, Il bove, Idillio Maremmano, San Martino.
Nel 1890 esce l'ultima raccolta, Rime e ritmi, e nello stesso anno viene nominato senatore del regno: è la definitiva consacrazione a poeta ufficiale dell'Italia Umbertina. Il riconoscimento più grande gli arriverà però nel 1906, col premio Nobel, un anno prima della sua morte a Bologna.
Note biografiche a cura di Maria Agostinelli
GIOSUE' CARDUCCI
(Valdicastello 1835/ Bologna 1907)
Trascorse l'infanzia a Bolgheri e Castagneto nella Maremma toscana, ove giunse con la famiglia nel 1838 dal momento che il padre era stato nominato medico condotto. Nel 1848 i Carducci si trasferirono a Castagneto, ma l'anno dopo lasciarono definitivamente la Maremma per tentare maggior fortuna altrove: Firenze, Santa Maria a Monte. Giosue' laureatosi intanto alla Scuola Normale di Pisa, fu chiamato a venticinque anni a tenere la cattedra di letteratura italiana nell'Universita' di Bologna, ove rimase per tutta la vita.
La presonalita' di Giosue' Carducci - poeta, prosatore, storico della letteratura - è tra le più vigorose della storia letteraria italiana. Il Carducci si impone per la compattezza della ricerca storica e filologica, per il sentimento innovatore della classicità, per l'ampio e articolato mondo della sua lirica.
In sede critica egli fu di certo il più alto esponente della scuola storica. Pensare al Carducci, anche per il più comune dei lettori, significa risentire il baleno di uno sdegno, significa avvertire nella propria memoria un verso d'epopea o di esultanza, o di pianto. Un arco di voci e di risentimenti e di evocazioni che dà alla poesia un timbro inconfondibile. Ma proprio per la varietà di ispirazioni e di accenti che stanno tra la leggenda epica e l'intimità di una nota familiare, la poesia carducciana chiede al lettore un'intelligenza unificatrice e insieme semplificatrice: capace di avvertire la vicinanza di regioni dello spirito apparentemente remote e di filtrare una certa vastità di strutture e di suoni fino alla nota autentica e genuina.
"Carducci è l'ultima tempra d'uomo che abbia avuto la nostra poesia, l'ultimo poeta che nel mondo non abbia veduto solo se stesso, ma anche il prossimo" (Momigliano).
POESIE MAREMMANE
"Idillio Maremmano"(da Rime Nuove) ,1867/1872
Nel contrasto tra natura e storia,tra ragione e sogno, si percepisce il contrasto tra un lontano e piacevole passato,intatto,genuino e l'attualita' di allora triste e mediocre.Emerge in piena luce la figura bella e concreta della "bionda Maria"(Maria Banchini).
"oh come fredda indi la via , come oscura e incresciosa , è trapassata!"
"oh lunghe al vento sussurranti file de' pioppi! Oh a le bell'ombre in su'l sacrato, ne i di' solenni
rustico sedile, onde brume si mira il piano arato, e verdi quindi i colli e quindi il mare,
sparso di vele e il campo santo e' a lato!"
"Oh dolce tra gli eguali il novellar sul quieto meriggio e a le rigenti sere accogliersi intorno
al focolare!"
"Il bove" (da Rime Nuove), fine 1872
Osservazioni della vita georgica dei campi di Bolgheri.
T'amo pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m'infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
O che al giogo inchinandoti contento
L'agil opra de l'uom grave secondi:
Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento
Giro de' pazienti occhi rispondi.
(....)
Edel grave occhio glauco entro l'austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.
"Nostalgia"(da Rime Nuove), 1874
Il desiderio di ritornare in Maremma e' affidato a un temporale che sale verso Appennino
"La' in Maremma ove fiorio
La mia triste primavera,
La' rivola il pensier mio
Con i tuoni e la bufera:
La' nel cielo librarmi
La mia patria a riguardar,
Poi co'l tuon vo' sprofondarmi
Tra quei colli ed in quel mar."
"Pe'l Chiarone da Civitavecchia"(da Odi Barbare),1879
Il Carducci aveva da tempo programmato la sua prima visita ufficiale a Castagneto per i giorni 25 e 25 aprile. Partì da Roma alle prime luci dell'alba e scese a Civitavecchia; qui noleggiò una carrozza e si fece portare al Chiarone, sul confine fra Lazio e Toscana. Era quella la Maremma più orrida e inoltre fu attraversata sotto un acquazzone continuo. Per rendere ancor più lugubre l'atmosfera, il Carducci lesse Marlowe, un tragico drammaturgo del cupo Cinquecento inglese. Giunto al Chiarone, vide nello sfondo un po' di sole sull'argentario e il cuore gli si aprì; così buttò nel fiume Marlowe e compose quest' ode.
"Il sole illustra le cime.La' in fondo sono i miei colli,
con la serena vista,con le memorie pie."
"Sogno d' Estate"(da Odi Barbare),1880
Mentre legge l'Iliade si addormenta e sogna di ritrovarsi a Bolgheri : rivede la sua fanciullezza, la madre, il fratello Dante, il sole di luglio, i carri rotolanti sul selciato, i cari selvaggi colli, i meli e quattro candide vele sul mare.
"Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.
non piu' libri: la stanza da'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato
da la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioria."
"San Martino"(da Rime Nuove),1883
Anche se il ricordo della Maremma era spesso legato al sole, tuttavia la stagione preferita per venire a Castagneto era l'autunno. L'11 novembre 1883, San Martino, il poeta si trovo' a Castagneto. L'8 dicembre successivo compose questo bel quadretto macchiaiolo del borgo castagnetano.
"La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
Esotto il maestrale
urla e biancheggia il mare;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de' tini
Va l'aspro odor de i vini
L'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l'uscio a rimirar
Tra le rossastre nubi
Stormi d'uccelli neri,
Com'esuli pensieri,
Nel vespero migrar."
"Traversando la Maremma Toscana " (da Rime Nuove), 1885
Il 10 aprile partì da Livorno per Roma, passò davanti alla sua Maremma, vide Castagneto e si commosse. Tornato a Bologna, compose questo famoso sonetto. Uno sguardo profondamente nostalgico al paese dove visse fanciullo, alla cara, selvaggia, Maremma toscana; i sogni non sono diventati realtà e restano irraggiungibili. La visione della morte si stempera in un sentimento di dolcezza e di pace, che si diffonde dalle note colline e dal verde piano.
"Dolce paese, onde portai conforme
L'abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov'odio e amor mai non s' addorme,
pur ti riveggo e il cuor mi balza tanto.
(...)
Pace dicono al cuor le tue colline
Con le nebbie sfumanti e il verde piano
Ridente ne le pioggie mattutine."
"Davanti a San Guido" (da Rime Nuove),1885/1886
Lo stradone di Bolgheri cominciò a vedere i cipressi nel 1832, intorno al 1855 fu ultimato fino alle Capanne, e solo nel 1907, dopo la morte del poeta, fu proseguito fino a Bolgheri, ultimato nel 1911. I cipressi sono circa 2540. Delle poesie che rievocano il dolce paese e la dolce età, nessuna raggiunge la pienezza significativa e suggestiva di questa che ha due momenti distinti:
l'impressione fresca e improvvisa alla vista dei cipressi, che si traduce in un dialogo familiare e brioso e l'apparizione della nonna, che fa traboccare il patetico.
"Cipressi che a Bolgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
(...)
Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d'un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei
............................................................
Ma cipressetti miei , lasciatem'ire:
Or non e' piu' quel tempo e quell'età.
Se voi sapeste!..via non fo per dire,
Ma oggo sono una celebrità".
Giosuè Carducci, primo premio Nobel italiano
"Il grande vecchio è stato, oltre che un poeta e un letterato, una guida e un maestro per gli italiani; è riuscito a dare a tutta una generazione la sua impronta, un suggello spirituale austero ed eroico, a cui nessuno ha potuto sottrarsi. L'esempio della sua persona ha acquistato un valore storico".
Così ebbe a dire un assiduo frequentatore delle "lezioni bolognesi" del Carducci, Renato Serra, qualche anno dopo la sua scomparsa. Le sue parole rispecchiano il pensiero degli intellettuali ialiani della generazione fra i due secoli: una guida morale, un punto fermo nel quale molti si erano riconosciuti ed avevano guardato con tante fiduciose speranze.
Oggi, a distanza di quasi un secolo dalla sua scomparsa, si può dire che tutta la poesia carduccianam vista nel suo insieme è nel complesso poesia di ispirazione civile, con una decisa ambientazione geografico-cronologica nelle varie epoche del passato della nostra storia, dal tempo idealizzato dell'antica Roma, ai sentimenti democratici dell'età comunale, al periodo splendido del Rinascimento. Una poesia, questa, che doveva dare risposte concrete e precise a quei lettori impegnati prima nella vicenda risorgimentale ancora in corso, e poi nei gravi problemi sorti con l'unificazione d'Italia.
Il Carducci è ricordato anche per la sua attività di prosa, sia quella dedicata (come spesso nelle "Lettere") a questioni private o a fatti attinenti al suo insegnamento ed al suo lavoro, sia quella, cospicua, di saggista e critico, che gli valsero il conferimento del Premio Nobel per la Letteratura, il primo attribuito ad un autore italiano.
BIOGRAFIA
Giosuè Carducci nasce a Valdicastello (LU) il 27 luglio 1835 e trascorre l'infanzia e l'adolescenza nella Maremma. Il padre, medico condotto di professione, "carbonaro-mazziniano" in politica e "manzoniano" in letteratura, fu costretto a trasferirsi in molti paesi della Versilia, a causa di disavventure politiche, finché venne definitivamente licenziato e costretto a raggiungere Firenze nel 1849.
Qui Carducci inizia gli studi classici presso i padri Scolopi; nel 1853 vince il concorso per l'ammissione alla Scuola Normale di Pisa. In questo periodo fonda la società degli "Amici pedanti", una sorta di club letterario che propone il ritorno al classicismo: difensori della grande tradizione letteraria italiana, dispregiatori del romanticismo, considerato una teoria straniera, si oppongono, sia in letteratura sia in politica, ai moderati ed è proprio su questa linea di recupero delle forme e dei modi della tradizione letteraria italiana che avviene l'esordio poetico di Carducci nel 1857 col primo volume di "Rime".
Laureatosi nel 1856, inizia la carriera d'insegnante al ginnasio di San Miniato, vicino a Pisa, ma vi resta solo un anno: a causa dei debiti contratti è costretto ad andarsene. Vince, nel '57, la cattedra di greco ad Arezzo ma le autorità granducali non ratificano la nomina, considerandolo un oppositore politico con l'aggravante di essere ateo. Seguono anni difficili, di studio e di miseria, rattristati da gravi lutti familiari: nel 1857 muore suicida il fratello Dante e l'anno successivo, per il dolore si spegne il padre, lasciandolo unico sostegno della famiglia.
Nel 1859 sposa Elvira Menicucci, dalla quale avrà quattro figli: Bice, Laura, Libertà e Dante. Nel 1860 Terenzio Mamiani, primo ministro italiano della pubblica istruzione, gli affida la cattedra di eloquenza dell'università di Bologna, che terrà fino al 1904.
Carducci durante gli anni d'insegnamento affianca, all'attività di docente solerte ed autorevole, quella di polemista e saggista, creando la cosiddetta "scuola storica" della critica, che dava spazio sia al rigore dell'informazione ed alla ricerca erudita, sia all'attenzione stilistica.
I primi dieci anni a Bologna sono un periodo di evoluzione: da un ideale tutto letterario di repubblica, passa a una concezione giacobina con sfumature anarchiche e socialiste; dal classicismo un po' chiuso dei primi anni allarga gli orizzonti culturali assimilando atteggiamenti e forme del romanticismo straniero; giunge all'aperta professione dell'ateismo ("A Satana" del 1863 ed in seguito le "Polemiche sataniche" del 1869) mentre i suoi furori giacobini sono presenti in "Giambi ed epodi" in cui il poeta esprime uno stato d'animo irritato e sarcastico, avendo l'intenzione esplicita di convincere il lettore che il nuovo Stato ha tradito le attese di coloro che l'avevano realizzato, disapprovando i compromessi con la Prussia e l'Austria. Il Papato è al centro delle violente polemiche del poeta che teorizzava una Società di persone libere ed uguali, disposta a concedere pochi poteri allo Stato. In questa fase Carducci manifesta il suo forte patriottismo sostenendo che il poeta deve essere impegnato politicamente e moralmente responsabile delle proprie azioni.
Giosuè Carducci è uno dei pochi poeti che con i suoi scritti ed i suoi comportamenti influenzerà notevolmente gli intellettuali italiani: a Bologna le sue lezioni attrassero molti studenti e le odi "Sicilia e rivoluzione" e "Dopo Aspromonte" furono molto apprezzate.
Nel 1868, a causa delle violente polemiche letterarie e politiche, è sospeso dall'insegnamento universitario; al rammarico si uniscono altri gravi lutti: nel 1870 muoiono la madre ed il figlioletto Dante. Due anni dopo inizia la lunga e tormentosa passione per Carolina Cristofori Piva, la Lina di "Primavere elleniche" e la Lidia delle altre poesie.
Pubblica in questo periodo, con lo pseudonimo di Enotrio Romano, "Levia gravia", "Poesie", "Nuove poesie" che confluiranno successivamente nelle "Rime nuove" consacrandone la fama di poeta e confermando la già vasta popolarità di cui gode negli ambienti letterari di Francia, Germania, Austria e Russia.
Dopo il 1874 scomparsi dalla scena politica i maggiori esponenti della democrazia risorgimentale, si pone, politicamente, in posizioni più moderate, aderendo, come molti atri uomini della sinistra, alla monarchia sabauda: l'ode "Alla regina d'Italia" dedicato a Margherita di Savoia suscita polemiche ed è accusato dai suoi amici di aver abbandonato gli ideali giacobini e repubblicani; ciò non gli vieta comunque di capeggiare le proteste, nel 1882, contro l'impiccagione di Oberdan, accusato di aver organizzato un attentato contro l'imperatore Francesco Giuseppe.
In questi anni, spenta la polemica giacobina che infiammava le sue opere, il Carducci perfeziona lo stile; affiorano nelle sue poesie i temi dell'evocazione del paesaggio maremmano, la malinconia, l'accorata nostalgia della passata grandezza.
L'espressione più significativa di questo periodo si ha nelle opere "Rime nuove" (1861 - '87) e "Odi barbare" (1877 - '89). Nella prima raccolta il poeta tratta alcuni dei temi fondamentali della propria lirica: il canto delle memorie autobiografiche, le poesie dedicate al figlio morto, ai ricordi maremmani e la contemplazione ammirata delle grandi memorie storiche.
In "Odi barbare" si aggiungono altri temi a quelli già ricordati: il mito della romanità, il senso religioso congiunto ad una misteriosa presenza superiore (Canto di marzo, La madre) ed infine poesie in cui alla realtà si affiancano il mistero e l'imponderabile a cui questa realtà è sempre unita. (Nevicata, Alla stazione in una mattina d'autunno).
L'ultima raccolta poetica "Rime e ritmi" (1899) rivela la duplice veste del poeta ufficiale e di uomo solo e profondamente deluso: il Carducci decadente.
La vecchiaia del grande poeta fu triste anche se carica di onori: fu nominato senatore nel 1890 ed appoggiò pienamente la politica di Crispi; fu il primo scrittore italiano insignito del premio Nobel nel 1906 e riconosciuto vate dalla terza Italia; costretto a lasciare l'insegnamento a causa di una grave malattia, il Parlamento gli assegna una pensione annuale definendolo "il glorioso poeta dell'Italia rigenerata".
Muore a Bologna, nel 1907 a causa di una polmonite.
Poesie di Giosuè Carducci