Fortuna critica e letteraria del Boccaccio

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Categoria:Letteratura

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FORTUNA CRITICA E LETTERARIA DEL DECAMERONE

Anzitutto è l’eccezionale successo del Decamerone come libro di lettura amena e di interpretazione dell’epopea mercantesca nell’età immediatamente precedentemente. Invece tra ‘300 e ‘400 una singolare freddezza sembra irrigidire gli ambienti più propriamente letterari di fronte al Decamerone. Si cerca invano, anche dopo vari anni, anche dopo il riconoscimento più ufficiale della fama del Boccaccio, una testimonianza di origine colta che in qualche modo risponda a quell’esplosione di entusiasmo borghese o a quei penetrati giudizi petrarcheschi.
Nella generazione seguente: lode ed esaltazione del boccaccio umanista. L’eccezionale diffusione del Decamerone è attestata da un numero molto alto di manoscritti: i primi copisti e i primi possessori di copie furono soprattutto dei mercanti; molte copie su carta di piccolo formato, con scrittura mercantesca rapida e leggibile. Ma l’opera penetrò anche in ambienti molto diversi, e se ne produssero eleganti copie illustrate. Subito si ebbero anche numerose traduzioni.
Alcuni di loro (ES. BRUNI – LOSCHI – FAZIO) traducono in latino quelle novelle che ostentano di ignorare. E al di là delle alpi i più autorevoli araldi della cultura italiana le esaltano, le imitano, le volgono nelle loro lingue.
Ma già dalla metà del ’400 il rivolgimento di interessi e la rivincita del volgare pongono l’opera del Boccaccio in un nuovo quadro culturale. ES: BEMBO (PROSE DELLA VOLGAR LINGUA, 1525) – egli pone a sommo modello di prosa il Decamerone, accantonandone per sempre i pregiudizi contro. Inoltre con il nascere della stampa nel 1470 il D divenne immediatamente uno dei libri più stampati e diffusi.
Così fra primi ‘400 e primi ‘500, alla devozione per il Boccaccio dotto e preumanista succede la devozione per lo scrittore in volgare. Quindi presenza del Boccaccio nella nostra letteratura creativa non più soltanto nella Toscana ma nell’Italia intera, nell’Europa:
ARIOSTO nei SUPPOSITI o nell’ORLANDO
BEMBO nei suoi ASOLANI
Si compiacciono di rispecchiare i toni e i colori della “cornice” del Decamerone.
Nel pieno del ‘500 la presenza del Boccaccio diviene quasi soverchiante. Il rivolgersi a lui come a sommo modello di lingua discorsiva e di stile prosastico, favorisce l’imitazione, e non soltanto contenutistica. Accanto alla novella si pongono il teatro, il poema narrativo e perfino il trattato. In questo entusiasmo, che giunge all’iperbole, negli ultimi decenni del ‘500 intervengono decisivi due atteggiamenti di origine diversissima, ma in qualche modo concorrenti nei risultati: da una parte i complessi movimenti spirituali e culturali legati alla Riforma protestante e a quella cattolica; dall’altra un nuovo atteggiamento critico e filologico che non ammira più soltanto quel tesoro di prosa e di lingua ma vuole scoprire ed esaminare meglio le ragioni di quella devozione come a modello.
L’episodio più clamoroso di quei decenni è la famosa correzione del Decamerone nel 1573 che volle purgarlo di ogni nota ritenuta nociva alla fede e alla reputazione del clero: si vuole salvare il Decamerone in nome del suo valore linguistico e si vuole rendere più sicuro il testo con l’attenta esplorazione della tradizione manoscritta e del tessuto morfologico e sintattico. Riguardo questa correzione il FOSCOLO afferma: “si esortava a rifare alcune novelle di pianta: non vi si provarono e anteponevano di lasciarle del tutto. Così nel 1573, con le badesse e le monache innamorate de’ loro ortolani, mutate in matrone e damigelle; e i frati impostori di miracoli, in negromanti; e i preti adulteri delle comari, in soldati, e mille altre trasformazioni, ed interpolazioni inevitabili, riuscì agli accademici dopo quattr’anni di pratiche di pubblicare in Firenze il Decamerone illustrato da’ loro studi. D’allora in poi prescrissero le loro edizioni come unici testi di lingua a tutta l’Italia.”
Da quest’atteggiamento più critico che ammirativo prende le mosse, nell’inquieta atmosfera del secolo XVII, la rivolta al troppo assoluto dominio linguistico e letterario del Boccaccio. E’ una rivolta che ha il suo uomo di punta nel BENI che trova il Boccaccio “gonfio, artifizioso, pieno di mende di grammatica e di sintassi, di parole strane, disusate e plebee”. Ma già grandi spiriti come GALILEO, TASONI, BOCCALINI gli avevano dato contro. Non mancano infatti le esaltazioni tradizionali e le difese appassionate.
Tutto ciò preannuncia la grande critica del ‘700. Ci sono linee di rinnovamento della critica boccacciana. Si vuole da una parte riscattare l’autore dallo stato d’accusa morale in cui si trovava e dall’altra lo si vuole coronare delle magnifiche insegne della veridicità storica. Questi più nuovi e fecondi indirizzi suscitano e regolano anche la ricca fioritura editoriale: il moltiplicarsi delle trattazioni di carattere generale o enciclopedico, mentre continuano, in tono sempre più critico, le dispute linguistiche, cui partecipano i migliori eruditi e teorici e scrittori, come MURATORI, BETTINELLI, BARETTI , VERRI.
Se il rinnovamento della ricerca critica e storica fu l’avvenimento più decisivo nella fortuna del Decamerone nel ‘700, nell’800 e fino ai giorni nostri è proprio la fioritura in direzioni diverse degli studi sul Boccaccio a caratterizzarla. L’interesse si amplia (anche al di là delle alpi) a tutta l’opera e lo stesso Decamerone è visto come il momento culminante di un’esperienza artistica e come il punto di confluenza di grandi correnti culturali e popolari.
Troviamo quindi nuovi studi:
-lavoro di ricerca e di ricostruzione storica
-significato filologico e di ricostruzione dei testi ricercando per tutte e per ciascuna novella quelle che sono chiamate orgogliosamente le fonti.
Critica quindi più risolutamente letteraria: FOSCOLO e romantici, DE SANCTIS, CARDUCCI. Il Decamerone diventa il manifesto ideale di una nuova età è “il distruttore dei sogni danteschi, il beffatore del medioevo, colui che per primo inizia ai sentimenti prosaici” (QUINET) è cioè “il rovescio della commedia divina di Dante” (CARDUCCI).
Nella critica immediatamente posteriore il Boccaccio diventa così il “gaio buontempone del trecento” (DE SANCTIS):la novità del suo mondo sarebbe proprio in questi suoi atteggiamenti da gaudente e, con le novelle più licenziose, farebbe sentire “la fresca primavera del mondo civile, che finalmente esulta liberandosi dai lunghi e foschi terrori del Medioevo” (MASSARINI). Si tende a vedere il Boccaccio, con il Petrarca, il primo che alimenta un nuovo spirito di studio e di comprensione dell’antichità con la sua vasta opera in favore della cultura classica.
La critica del pieno ‘900 tenta di esaminare le opere giovanili non più solo con intenti biografici ma con la volontà di seguire lo svolgimento artistico che culmina nel Decamerone.
Quindi troviamo:
-SAPEGNO per l’equilibrio generale e per lo sforzo di stabilire un’armonia fra il narratore e l’eroe della cultura
-LEVI che imposta il problema morale e artistico su una base storico-letteraria più comprensiva
-PETRONIO che vede nel Decamerone il poema vario e appassionato della spregiudicatezza e della saviezza *
-BRANCA che mette in rilievo un bilinguismo stilistico e sentimentale continuo e caratteristico nel Boccaccio *
-GETTO che ha visto il Decamerone come un poema “della umana iniziativa per il trionfo del proprio utile o della propria intelligenza o della propria virtù”, come un “dramma dell’umano agire nel gioco con i limiti e le sollecitazioni che la sorte e gli altri uomini, entro la trama complessa dei rapporti sociali, propongono”

Questo rinnovato e complesso sforzo critico e storico è sostenuto sempre e nutrito da un vasto impegno filologico soprattutto da BRANCA, RICCI, QUAGLIO, PADOAN, BALDUINO, LIMENTANI, ZACCARIA.
Quindi si fa ricorso al Decamerone come a uno dei testi letterari più esemplari e redditizi che fanno le metodologie più nuove ed avventurose.
Troviamo esempi di
-applicazioni psicanalitiche
-analisi strutturalistiche e semiologiche
-ricerche simbologiche e numerologiche
-prospettive ricerzionistiche.

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