Dante Alighieri

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

Voto:

2 (2)
Download:72
Data:03.11.2000
Numero di pagine:9
Formato di file:.txt (File di testo)
Download   Anteprima
dante-alighieri_3.zip (Dimensione: 6.53 Kb)
trucheck.it_dante-alighieri.txt     14.17 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Dante, poeta (Firenze 1265-Ravenna 1321). Considerato il piъ grande poeta italiano e uno dei maggiori nel mondo. Nato a Firenze da donna Bella e da Alighiero di Bellincione, ebbe il nome di Durante, abbreviato familiarmente in D. La stirpe degli Alighieri era un ramo della nobile casata degli Elisei. La famiglia di D. si dedicava ad attivitа bancarie e ad altri negozi per poter mantenere un certo decoro signorile. Ma D. fu fierissimo della generosa nobiltа del suo sangue, cui piъ volte accenna nelle sue opere, ravvisando nella tradizione domestica una fonte di virtъ civili, uno stimolo all'educazione morale, un presidio contro gli assalti e le tentazioni dell'egoismo, vizio considerato plebeo ed ignobile. Nell'infanzia e nella prima giovinezza, frequentт, pare, le scuole dei Francescani di Santa Croce, ma piъ che nella scuola, la retorica e specialmente l'ars dictandi, le apprese dall'amicizia con Brunetto Latini. Completт poi gli studi probabilmente a Bologna e forse anche a Parigi. Non и improbabile che fin d'allora, oltre che alla retorica, si avvicinasse anche al diritto. Ma ben piъ che le Istituzioni e le Pandette, amт in giovinezza, e poi per tutta la vita, i classici latini che allora si leggevano nelle scuole: Boezio e Livio, Cicerone e Seneca, Ovidio e Orazio, ma soprattutto Virgilio, maestro ed autore dal quale derivт "lo bello stile". Si dilettт anche nell'apprendimento della musica e del disegno. Alla poesia volgare si accinse quando era ancora giovinetto e da sй apprese l'arte 'di dire parole per rima' ("Vita Nuova", III, 9), e fu presto in grado di entrare in corrispondenza e in gara coi migliori poeti del suo tempo, non solo fiorentini: piъ che con gli altri si legт d'amicizia con Guido Cavalcanti e Lapo Gianni. Si giovт specialmente della maggior esperienza del primo, soprattutto agli inizi; poi, sotto l'influenza del Guinizelli, (dopo che ne fu divulgata la canzone "Al cor gentil") egli stesso divenne maestro dei suoi amici ed elaboratore della poetica del "dolce stil novo". Questi studi e questi saggi poetici (sebbene da lui, come da Guido Cavalcanti e dagli altri migliori, elaborati con profondissimo impegno morale) costituirono un aspetto della sua educazione e della sua vita di giovane gentiluomo, che si preparava a prender parte attiva alla vita del Comune. Si esercitт nelle armi, combattй fra i feditori (truppe a cavallo) a Campaldino e fu presente alla presa del castello di Caprona. Fu tra i gentiluomini deputati dal Comune a far corte al giovane principe Carlo Martello d'Angiт quando, nel 1294, si fermт a lungo in Firenze, e se ne cattivт la stima e l'amicizia (Parad., VIII, 54-57). Di questi anni sono gli amori di D. Il padre, fin dal 1277, aveva fatto per lui, fanciullo, un contratto di nozze con la piccola Gemma, figlia di Manetto Donati (un cugino del potente Corso, ma di un ramo finanziariamente decaduto e che si teneva piuttosto lontano dalla politica); seguirono le nozze celebrate attorno al 1295. Da questo matrimonio (che forse non fu molto felice: D. non nomina mai la moglie nelle sue opere, e la moglie, che non lo seguн nell'esilio, anche dopo che i figli furono grandicelli e anche essi banditi, probabilmente non lo rivide piъ), nacquero vari figli: Pietro, Jacopo, Antonia (che forse и la stessa suor Beatrice, che, fattasi monaca a Ravenna, gli fu vicina nell'ora della morte) e pare anche un Alighiero, un Gabriello, un Eliseo, morti. Se il Johannes Dantis Alagherii de Florentia, che compare in un atto del 1308 и, come pare probabile, un figlio di D., egli gli nacque prima e fuori del matrimonio. Ma D. ebbe altri amori in giovinezza: particolare interesse riveste soprattutto il primo, lungamente rivissuto nella sua memoria, in quanto permea tutta l'opera del poeta: l'amore per Beatrice. Questa и una dolcissima creatura d'arte e di sogno, da riconoscere nella vivente realtа di una Bice de' Portinari, figlia di Folco, coetanea del poeta, andata sposa (1288) a Simone de' Bardi e prematuramente morta nel 1290. Durante la desolazione oscura per la morte della donna segretamente e castamente amata, D. ebbe conforto da una "donna gentile", nella quale qualcuno ha voluto vedere quella che poi fu sua moglie, Gemma Donati. Altri amori per una Lisetta, per una Pargoletta, per una Pietra (questo di natura intensamente sensuale) hanno lasciato tracce nelle poesie di D. Ma piъ che in tutte queste esperienze d'arte e di vita, armi ed amori, ansie e trepidazioni per il nuovo focolare, D. trovт conforto alla sua insoddisfazione interiore e ai suoi lutti nello studio della filosofia. Ormai giovane maturo, poco dopo il 1290 si avviт alle scuole 'de li religiosi, a le disputazioni de li filosofanti' (Conv. II, XII, 7). Fiorivano in quegli anni a Firenze gli "studi" dei Domenicani, dei Francescani, degli Agostiniani e vi insegnavano illustri maestri; fresca era la memoria dell'Olivi che aveva tenuto cattedra proficuamente fino al 1289. D. attese intensissimamente allo studio sistematico della filosofia, e vi prese tanto diletto che 'lo suo amor cacciava e distruggeva ogni altro pensiero'. Di questo studio и testimonianza il "Convivio". In questi stessi anni D. cominciт a prendere parte viva alla cosa pubblica, e quando l'ordinanza del Comune del 6 marzo 1295 consentн che anche i nobili potessero essere eletti ad alcune cariche pubbliche, purchй iscritti alle Arti, egli subito s'immatricolт in quella dei medici e degli speziali, forse come cultore di filosofia naturale o forse, come qualcuno ha supposto, come dilettante di pittura (i pittori erano iscritti infatti fra gli speziali). Fu eletto nel Consiglio del popolo per la sessione dal novembre 1295 all'aprile 1296, fu dei Savi scelti nel dicembre del 1295 per riformare le norme dell'elezione dei Priori; dal maggio al settembre del 1296 fu membro del Consiglio dei Cento. Poichй sono andati distrutti i verbali delle Assemblee Fiorentine dal 1298 al febbraio del 1301, non и possibile sapere con precisione tutte le cariche pubbliche che D. ricoprн in quel periodo. Sappiamo tuttavia che nel maggio del 1300 fu ambasciatore del Comune presso quello di San Gimignano per sollecitarlo a partecipare al consiglio per il rinnovo della Lega guelfa fra le cittа di Toscana, e che quell'anno stesso fu eletto fra i Priori per il bimestre 15 giugno-15 agosto. Poichй allora il nemico della libertа del Comune fiorentino era papa Bonifacio VIII, D. si battй a viso aperto contro tutte le richieste che il Legato pontificio (venuto a Firenze) avanzт via via ai Rettori e agli altri maggiorenti e pubblici ufficiali. La situazione politica, della quale la "Cronica" di Dino Compagni и specchio fedele, divenne torbida e pericolosissima. D. fu guelfo bianco con Vieri de' Cerchi, cioи col partito della libertа. All'avvicinarsi di Carlo di Valois (chiamato da papa Bonifacio per dargli in feudo il regno di Sicilia e per sottomettere prima ai suoi voleri la Toscana), la Signoria pensт di mandare un'ambasceria al Papa: D. fu uno dei tre ambasciatori che partirono nell'ottobre del 1301 alla volta di Roma. Il Papa rimandт gli altri due ambasciatori con controproposte e trattenne presso di sи il piъ pericoloso, D., il quale cosн fu assente da Firenze nell'ora cruciale in cui i Bianchi, per l'incertezza e la inettitudine di Vieri de' Cerchi e di altri capi, si lasciarono soffocare senza combattere dal partito di Corso Donati, sostenuto dal Papa e dal suo fido Carlo di Valois. Riuscito a lasciare la Corte pontificia nei primi giorni del 1302, sostando a Siena in attesa di notizie, lo raggiunse l'annunzio ai primi di febbraio che i Neri vincitori avevano devastato e depredato le sue case e lo avevano, il 27 gennaio, accusato di baratteria, di guadagni illeciti e di opposizione al Papa, condannato a due anni di esilio, all'ammenda di 5.000 fiorini e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Incominciava a Siena la sua vita di esule. Non essendosi presentato a pagare l'ammenda, il 10 marzo, con un'altra sentenza, assieme ad altri quindici concittadini, veniva condannato ad essere arso vivo quando fosse caduto in potere del Comune. Nei primi tempi pensт di rientrare vincitore in Firenze e si adoprт per ridar lena e metter d'accordo gli esuli; partecipт al conciliabolo di S. Godenzo in Mugello; nel 1303 fu a Forlн segretario di Scarpetta Ordelaffi e uno dei dodici consiglieri di Parte Bianca, e in tal duplice veste andт anche ambasciatore a Verona alla Corte degli Scaligeri. Nel 1304, sempre come uno dei dodici di parte Bianca, partecipт alle infruttuose trattative condotte dal Cardinale Da Prato per concludere una pace fra Firenze, il Papato e i Bianchi. Convintosi sempre piъ della inettitudine degli uomini del suo partito, lo abbandonт e per il resto della sua vita si dedicт ad altri interessi. Si rifugiт negli studi e per rialzare la sua fama, giа illustre per le poesie giovanili e per la "Vita Nuova", ora oscurata dall'esilio, si dedicт al comporre. Fra il 1304 e il 1307 circa, scrisse il "Convivio" e il "De vulgari eloquentia", rimasti entrambi incompiuti, e per sopravvivere condusse l'esistenza umiliante dell'uomo di Corte. Non и possibile seguirlo in tutte le sue peregrinazioni. Nel 1306 fu presso i marchesi Malaspina di Lunigiana e per loro trattт la pace col Vescovo di Luni; a partire dal 1311 fu a lungo ospite dei conti Guidi di Battifolle in vari loro castelli nel Casentino; fra il 1313 e il 1321 presso Uguccione della Faggiuola, a Verona presso Cangrande, a Ravenna presso Guido da Polenta; ma molti di piъ furono certamente i luoghi che toccт. Egli stesso confessa di essere stato 'per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando', come 'legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade'. Sebbene nel "De vulgari eloquentia" affermasse con orgoglio che per lui la patria era ormai il mondo, come per i pesci il mare, e sebbene indubbiamente l'esilio allargasse i suoi orizzonti e lo aiutasse a diventare consapevolmente il primo cittadino d'Italia, il desiderio di Firenze non si assopн mai nel suo cuore. Fu condannato ancora nel 1303, e furono condannati all'esilio anche i figli appena avessero raggiunto il quattordicesimo anno d'etа. Visti vani i suoi tentativi di essere onorevolmente richiamato, nonostante avesse sollecitato in tal senso amici autorevoli in Firenze ed essendosi indirizzato allo stesso popolo fiorentino con l'epistola "Popule mei quid feci tibi?" e con una canzone ("Rime", CIV), tutte le sue speranze si concentrarono nella venuta di Arrigo VII, annunciata nel 1310 e seguita l'anno appresso. Nell'Imperatore egli vedeva non solo il suo salvatore, ma il salvatore d'Italia e della Cristianitа, l'inviato della Provvidenza, il Vicario di Dio conscio della sua alta funzione di Re dei Romani (tanto dimenticata dai suoi predecessori). Poichй Firenze non solo si opponeva all'Imperatore, ma incitava il resto d'Italia alla ribellione, egli scrisse una lettera tutta fulmini 'agli scelleratissimi fiorentini' e poichй Arrigo indugiava nell'Italia settentrionale gli scriveva ammonendolo che non in Val di Po ma sulla riva dell'Arno era il centro delle ribellioni che bisognava schiacciare. Ma quando finalmente Arrigo accorse al richiamo, in D. prevalse la pietа del figlio e non corse nel campo dell'Imperatore a prender le armi contro la sua patria. Questo tuttavia lo escluse (settembre 1311) dall'amnistia di Baldo di Aguglione. D. non ebbe incarichi o uffici dall'Imperatore; rimase, pare, in Casentino, ma il suo cuore fu sempre con Arrigo e per difenderne il buon diritto scrisse il trattato "Monarchмa". Nй il fallimento dell'impresa dell'Imperatore, nй la sua triste fine a Buonconvento (1313) scossero l'intimo di D. dal convincimento sostenuto, con tanta dottrina e tanta passione, nel "Monarchмa" sulla necessitа e la funzione dell'Impero e della Chiesa. Nel 1314 indirizzava una lettera ai Cardinali riuniti in conclave, dopo la morte di Clemente V, incitandoli a provvedere a Roma, a far cessare lo scandalo avignonese e riconfermando le sue idee sul Papato e l'Impero. Intanto, poichй la fama di D. era ormai chiarissima in ogni luogo d'Italia, s'illusero i suoi amici, e forse egli stesso, che Firenze gli avrebbe riaperto le sue porte. Lo si invitт ad approfittare dell'amnistia decretata nel 1315 ma, poichй fu esonerato soltanto da alcune delle umilianti cerimonie che avrebbe dovuto compiere secondo il rito tradizionale per rientrare, piuttosto che piegarsi preferн ancora il duro pellegrinaggio dell'esilio. Allo stesso modo si comportт poco dopo, in seguito alla sconfitta di Montecatini, quando il Comune di Firenze pensт seriamente ad una pacificazione generale e offrн condizioni agli esuli. Il risultato di queste sue fiere e nobili ripulse fu una nuova condanna a morte (6 novembre 1315) estesa anche ai figli come prole di ribelle. Fra le Corti di Verona e di Ravenna, l'ultimo e piъ tranquillo rifugio, attese all'iniziata Commedia, sperando ancora che essa gli avrebbe ridonato la patria. Lo colse la morte poco dopo aver scritto la parola fine sotto l'ultimo endecasillabo della sua opera, reduce da una ambasceria a Venezia per conto di Guido da Polenta. Morм all'alba del 14 settembre 1321. Ebbe funerali solenni e sepoltura a Ravenna in S. Pier Maggiore, chiesa poi intitolata a S. Francesco, in una celletta, successivamente trasformata in cappella, dove ancora le sue ceneri sono conservate. Del suo aspetto ci dice il Boccaccio: 'Fu il nostro poeta di mediocre statura, ed ebbe il volto lungo e il naso aquilino, le mascelle grandi, e il labbro di sotto proteso tanto, che alquanto quel di sopra avanzava, nelle spalle alquanto curvo, e gli occhi anzi grossi che piccoli, e il color bruno, e i capelli e la barba crespi e neri, e sempre malinconico e pensoso'. Oltre alla "Divina Commedia", D. scrisse in volgare la "Vita Nuova", il "Convivio", e i versi raccolti nelle "Rime" (gli и attribuito da alcuni un poemetto di 232 sonetti, il "Fiore", libera riduzione del "Roman de la Rose", rubricato nei codici come opera di un ser Durante); in lingua latina l'incompiuto trattato "De vulgari eloquentia", il trattato politico "Monarchia", la lezione "Quaestio de aqua et terra", alcune "Epistole" e inoltre, in versi, due "Egloghe" in risposta ad altrettanti carmi di Giovanni del Virgilio, che lo invitava a Bologna e lo consigliava a scrivere la Commedia in lingua latina, come piъ nobile e piъ espressivamente matura.

Esempio