Dante Alighieri

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Categoria:Letteratura

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Testo

"La Divina Commedia"
Dante Alighieri
"Firenze, i suoi cittadini e la sua politica"
La "Commedia" nasce dal contrasto che Dante avverte fra la realtа, della quale egli stesso и partecipe, e gli ideali che lo animano.
Il poeta infatti vede dinanzi a sй un mondo immerso nel caos e nella violenza, che rischia sempre di piщ di allontanarsi dall'ordine voluto da Dio, che и il solo che puт assicurare agli uomini la pace e la giustizia. Questo perchй le due supreme istituzioni del mondo non sono piщ in grado di svolgere la loro funzione, a causa di continue "interferenze" fra i ruoli dell'imperatore e del Papa. Cosм gli uomini non avendo piщ stabili leggi da seguire si allontanano dai veri valori che li hanno sempre guidati, finendo per essere condannati dalla Giustizia Divina.
Tuttavia Dante (nel I canto) confida nell'intervento della provvidenza Divina, che invierа sulla terra un Veltro, una forza della virtщ che infine avrа ragione dei vizi dell'uomo, simboleggiati dalla lupa, e riporterа gli uomini sulla "diritta via".
Dante affronta questo tema di carattere politico, riguardante in particolar modo la sua cittа di Firenze e i suoi concittadini, soprattutto nel VI canto di ciascuna delle tre parti in cui и divisa la "Commedia": Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Nel Vi canto dell'inferno Dante pone i golosi, ovvero i peccatori collocati nel livello piщ basso e subumano poichй il peccato di gola riduce l'uomo a sola fisicitа. Questo peccato и, per Dante, frutto dell'ingordigia che chiude l'uomo in un individualismo ossessivo e corrompe le sue qualitа superiori. Per questo viene paragonato da Ciacco stesso, cosм come veniva chiamato a Firenze a causa del suo peccato di gola, alla cupidigia che distrugge la societа civile, portando a lacerazioni e contese, di cui и un chiaro esempio la situazione politica di Firenze, frutto di un disordine morale: la cittа del poeta и infatti divisa da invidie insorgenti fra le parti guelfe e ghibelline, tra la superbia e la smania di dominare di molti suoi cittadini e tra l'avarizia e la cupidigia mercantile ("La tua cittа, ch'и piena / d'invidia sм che giа trabocca 'l sacco").
Ciacco, appartenente alla Firenze antica, che Dante sogna utopicamente di poter rivedere in futuro, profetizza che dopo lunghi contrasti e lotte Firenze verrа divisa in due fazioni opposte (i Guelfi e i Ghibellini), una delle quali verrа poi cacciata per sempre dalla cittа, profetizzando cosм anche l'esilio del poeta da Firenze ("Dopo lunga tencione / verranno al sangue, e la parte selvaggia / caccerа l'altra con molta offensione"). Il dannato infatti afferma che in questo tipo di situazione politica i giusti sono talmente pochi che non vengono neppure ascoltati, poichй i cuori di tutti sono accesi da tre ardenti passioni: la superbia, l'invidia e l'avarizia ("superbia, invidia e avarizia sono / le tre ardenti faville c'hanno i cuori accesi").
Legato a questo tema politico emerge nel dialogo con Ciacco la rievocazione di alcuni celebri fiorentini che "a ben far poser gli ingegni" e che ora Ciacco rivela essere "fra le anime piщ nere".
Dante, in questo modo, pone in luce l'insufficienza delle virtщ civili; anzi l'impegno esclusivamente legato all'azione civile e politica appare una realtа demoniaca (infatti molti aspetti della figura di alcuni dannati richiamano quelli dei mostri demoniaci da cui sono sorvegliati, come nel caso di Ciacco e Cerbero), che per riscattarsi avrebbe bisogno di veri e profondi valori religiosi.
Tra queste "anime nere" vi sono Farinata degli Uberti e Cavalcante de' Cavalcanti, entrambi incontrati da Dante tra gli eretici nel X canto, poichй accomunati dallo stesso peccato: un ossessivo attaccamento a realtа umane di limitato valore (la passione politica per Farinata e l'affetto familiare di Cavalcante).
Farinata e Cavalcante, appartenenti a due nobili famiglie fiorentine, sono infatti colpevoli dello stesso peccato di eresia e sono dannati nella stessa tomba infuocata. Colti di sorpresa dal sopraggiungere del fiorentino Dante Alighieri, emergono dal loro "letto" di fuoco, animati perт da diverse passioni: Farinata и presentato da Dante nell'atteggiamento di sfida che ha caratterizzato tutta la sua vita ("el s'ergea col petto e con la fronte / com'avesse l'inferno a gran dispitto"), atteggiamento che adesso rivolge contro il cielo che lo ha condannato; Cavalcante invece rappresenta la forza dell'affetto paterno. Infatti vedendo Dante gli domanda perchй non c'и con lui anche suo figlio Guido, amico di Dante che non esitт tuttavia a bandirlo da Firenze. Dante gli risponde che "Da me stesso non vegno: / colui ch'attende lа, per cui mi mena / forse cui Guido vostro ebbe a disdegno". Il poeta sottolinea cosм che l'altezza dell'ingegno non и sufficiente se non c'и accanto a sй una guida morale e dottrinale. Guido, infatti, ateo, rifiutт di essere condotto all'umana ragione (Virgilio) e alla fede cristiana (Beatrice).
Ancora, nel XXVI canto, Dante parla della sua cittа di Firenze. Il poeta, con una sarcastica invettiva, predice che la cittа и destinata ad essere perseguitata da numerose guerre e che avrebbe ben presto provato quei "mali" che Prato e altre cittа le augurano.
Questi "mali" sono dovuti, secondo Dante, oltre che all'invidia, alla superbia e all'avarizia, anche a "la gente nova e' subiti guadagni".

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