Commento ai promessi sposi

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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Testo

L'addio ai monti, descrizione di Don Abbondio, descrizione di fra Cristoforo, un montanaro in citta'

L'ADDIO AI MONTI

Alla fine dell'ottavo capitolo dei Promessi Sposi, Manzoni realizza una descrizione paesaggistica di grande effetto: l'addio ai monti. Il paesaggio chiude la sezione del Borgo, ed è forse per questo che Manzoni conclude senza lasciare suspense. La descrizione è molto poetica, capace di rendere un'elevata musicalità, anche grazie all'utilizzo di parole onomatopeiche. La descrizione rappresenta il triste pensiero di Lucia, costretta da un giorno all'altro ad abbandonare la sua terra natia. Nel completo silenzio, quando l'occhio cade sul palazzotto di Don Rodrigo e sulle sue proprietà, l'immagine corrisponde a una minaccia. Nella descrizione del paesaggio, Manzoni ritrae tutti i minimi dettagli dell'ambiente circostante, come si fa sempre quando si deve lasciare qualcosa di amato. Per Lucia, la sua casa e quei luoghi, sono gli unici posti mai conosciuti. Manzoni mette poi in parallelo due diverse situazioni: un emigrante, che lascia la terra natia per andare a fare fortuna altrove, e un individuo (Lucia), costretta ingiustamente a fuggire dal suo paese. L'emigrante, alla vista di quei monti vorrebbe restare e poi, trovandosi spaesato in una grande città, maledirà il giorno della sua partenza. Lucia, dando l'addio ai posti che l'hanno vista crescere, personifica il paesaggio, salutando ad uno ad uno i suoi ricordi. Alla fine pensa anche a Dio, nella fede che Egli sia ovunque e che l'assista. E' la prima volta che nel romanzo, la protagonista sia Lucia. Devo aggiungere che è protagonista, ma solo nell'interiorità. Per la ragazza tutto è riservato, tutto è intimo.
Alla fine del capitolo, Manzoni interviene con un commento nella vicenda (…Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia, e poco diversi i pensieri degli altri due pellegrini…).Con questo intervento, l'autore si "giustifica"; ha capito di essersi fatto prendere troppo la mano e spiega che tutti (Lucia) hanno dei sentimenti, è il modo di esternarli che cambia. Inoltre Manzoni dimostra ancora due cose: la prima è la sua emotività, la seconda sta nel ribadire il fatto che il suo ruolo è quello di narratore onnisciente

DESCRIZIONE DI DON ABBONDIO

Don Abbondio è il curato della chiesa di Como .E' un uomo di circa 60 anni, che Manzoni descrive in pochi passi come piccolo e rotondetto .Il carattere del curato è molto ben descritto da Manzoni .Don Abbondio è codardo, vile e timoroso ma si comporta diversamente a seconda di chi gli sta davanti. Con i potenti è obbediente e servizievole (….disposto, disposto sempre all'ubbidienza) mentre al contrario con i deboli si dimostra prepotente (….in una disputa si schierava sempre dalla parte del più forte….).
Il linguaggio del curato è forte con i deboli mentre contro i bravi di Don Rodrigo è timido impacciato (….Cioè…fanno i loro pasticci tra loro e poi…e poi…).
Il motivo della vocazione di Don Abbondio consiste in un consiglio dei genitori che consideravano la chiesa come l'unico rimedio al basso ceto sociale a cui apparteneva e a causa del suo scarso coraggio (…Don Abbondio non era nato con un cuor di leone….un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro).

DESCRIZIONE DI FRA CRISTOFORO

Cristoforo è un cappuccino, un ordine inferiore rispetto a Don Abbondio. Come il curato è sulla sessantina, magro e provato dal digiuno. Il suo carattere è buono con i deboli, aiuta infatti Lucia con Don Rodrigo. La sua vita è vissuta cercando di farsi perdonare da Dio per un omicidio. Il suo linguaggio è compassionevole e composto con i deboli mentre diventa rispettoso e pacato con i potenti. A differenza di Don Abbondio la sua vocazione è stata puramente spirituale .A causa di una disputa tra lui e un nobile, questo viene ucciso. Per il popolo è un eroe ma questo gesto ha per lui un forte peso sulla coscienza .Prima di far parte del clero Fra Cristoforo era un mercante molto ricco, forse più dei nobili .

UN MONTANARO IN CITTA'

C'è una costante delega, da parte del Manzoni, al suo personaggio come al testimone della condizione colpevole e insensata della città in tutto ciò che si riferisce al privato.
Renzo è nella condizione di chi può dare ancora un giudizio razionale sull'irrazionalità del comportamento della folla: non è stato ancora coinvolto nell'inganno e nella confusione della parola nella città, come gli accadrà più tardi, quando entrerà in campo Ferrer con la sua parola ambigua e contraddittoria (...), di fronte a cui Renzo si troverà completamente disarmato, mentre disarmato non è di fronte allo spettacolo della distruzione e del saccheggio dei forni e dei falò degli strumenti per fare il pane, e neppure di fronte alle parole non ambigue del vecchio mal vissuto e di tutti i violenti che vogliono uccidere il vicario di provvisione, proprio perché fatti e parole sono chiari, univoci, non si sviluppano in nessuna ambiguità, e Renzo, estraneo alla città, e proprio per questo testimone libero e non condizionato, può allora dare di tutto il giudizio giusto, razionale.

Accade allora a Renzo, come inevitabile conseguenza, di essere scambiato per altro da quello che è. (...) Renzo viene scambiato per un servitore del vicario, per una spia, addirittura per il vicario che scappa travestito da contadino. Non ci può essere un vero contadino sotto gli abiti da contadino, né le parole dell'umanità possono essere semplicemente quello che sono, nella città, ma, agli orecchi di chi le ascolta, non possono che apparire dettate da un travestimento, da un tradimento, da un inganno che proprio con le parole dell'esecrazione del delitto e della pietà umana si voglia compiere, tanto stravolta è la realtà della città.

Renzo, che già presso il dottor Azzeccagarbugli, del resto servo del potere, in quanto innocente e vittima è stato scambiato per colpevole, viene ad apparire esattamente l'opposto di quello che è: non un semplice contadino può essere chi parla di Dio e di carità cristiana, ma una spia e un traditore, in quanto la verità delle cose e delle parole non ha spazio nella città, dove, invece, l'equivocità della parola riesce a ottenere i risultati che l'ingenuità e la sincerità non raggiungono, e Ferrer, che vuole ingannare, trova le persone da ingannare proprio in coloro che hanno accolto come false e ingannevoli le parole vere di Renzo.

La città è, insomma, il luogo dell'inganno e dell'ambiguità, lo spazio dove i valori vengono capovolti o parodicamente rappresentati in una vicenda che sembra di commedia, ma che è, in realtà, di violenza, di tradimento, di inganno, di prevaricazione, cioè è rappresentata, sotto l'apparenza dei sorrisi, dei saluti, dei vocativi "signori", della "decorosa vecchiezza", con l'intento di capovolgere ancora una volta il vero significato dei valori, diabolicamente, come compete alla città quale nuova Babele, di dare miseria e carestia invece di pane e di abbondanza, come in effetti accadrà, e di violentare ancora una volta la giustizia, trasformandola nel suo contrario. Renzo appare come l'unico che, proprio per non essere cittadino, ma, anzi, per essere venuto in città dalla campagna, mantiene il dominio di sé e il buon senso.

Esempio



  


  1. peppino

    carattere di don abbondio