Baudelaire

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Testo

Charles Baudelaire
Biografia
(Parigi 1821-1867)
La sua è la personalità di un uomo ribelle e impulsivo. Assetato di umanità, ma respinto da essa. Sincero e rispettoso della verità fino all’estremo, tanto da dichiarare che nella poesia "Il mio cuore è messo a nudo". Secondo Gautier (Souvenirs romantiques, Paris, 1883, p. 297) la sua natura era "sottile, complicata, ragionatrice, più filosofica di quanto possa esserlo quella dei poeti. Verlaine lo definisce cantore dell'uomo moderno, caratterizzato dai "sensi acuti e vibranti".Nasce dal secondo matrimonio del sessantaduenne Joseph-François, funzionario al Senato, con la ventisettenne Caroline Archimbaut-Dufays. Orfano di padre a sei anni, non tarda a risentire di un doloroso malinteso nei rapporti con la madre e il patrigno, il maggiore Jacques Aupick, emblema del borghese amante dell'ordine e sordo all'arte.Già nel periodo degli studi rivela una personalità inquieta e ribelle, tanto che viene espulso dal Collège Louis-le-Grand alla vigilia del baccalauréat. Compiuti gli studi, frequenta a Parigi Balzac, Nerval, Gautier (cui dedicherà I fiori del male ), Banville. Da un viaggio nell'Oceano Indiano, organizzato dai suoi nella speranza di distorglierlo dalla vocazione letteraria, nasce l'attrazione per l'esotismo che ritornerà frequentemente nelle sue opere..Nel 1842 comincia anche il lungo appassionato rapporto d'amore con la mulatta Jeanne Duval, ispiratrice di erotici sentimenti, ma a lui vicina anche nei penosi momenti della malattia. Continuano i contrasti con la famiglia. Privato per volontà dei suoi, dalla facoltà di disporre delle proprie sostanze, egli giunge a tentare il suicidio (1844). Nello stesso anno escono le prime critiche d'arte e poesie. Nel 1848 partecipa alle giornate di febbraio e ai moti operai del giugno, aderendo al gruppo di Louis-Auguste Blanqui ; ma in seguito abbandona l'idea di un attivo impegno rivoluzionario e si chiude in un amaro sarcasmo isolamento di fronte alla vita sociale e politica del tempo. In una lettera di dicembre scrive di sentirsi "fisicamente depoliticizzato". Più tardi arriverà a sostenere idee reazionarie. Nel 1850 è tra i primi ammiratore di Wagner ; è anche lucido interprete dell'esperienza di , del quale traduce opere poetiche, narrative e teoriche. Oppresso dalle ristrettezze e dai rapporti sempre più aspri e penosi coi familiari (testimoniati dalle strazianti lettere alla madre), in preda a un angoscioso disordine interiore che si rifletteva nell'irrequieta ambiguità della sua vita sentimentale, Baudelaire rimane incompreso.
Opere
Il Salon de 1845 è una rassegna dell'esposizione annuale (Salon) di pittura e scultura al Louvre; nel frattempo escono su periodici le sue poesie. L'Art Romantique. Curiositée Esthétiques. Nel 1855 scrive i primi Poemetti in prosa, la cui raccolta esce nel 1869 col titolo Le Spleen de Paris. Essi sono il primo esempio di un genere assai fortunato nel tardo Ottocento e nel primo Novecento e presentano una poesia lirica regolata da un ritmo musicale che segue i più sottili movimenti del sentimento. Nel 1857 viene editato, con una dedica a Gautier , il volume che raccoglieva la sua produzione poetica, I fiori del male . Nel 1860 esce I paradisi artificiali . Lo scrittore lascia inoltre progetti, abbozzi e note di diario raccolte nel Journaux intimes.
Il poeta come selvaggio
Nella "dottrina" di Baudelaire c’è un fondo di purezza che appartiene equamente alla dignità del letterato annunciatore di un verbo e all’intransigenza dell’uomo morale che sollecita lo scandalo. Egli sente che la letteratura è in pericolo; i suoi affanni rivelano insieme un bisogno di difesa e di rivolta. La letteratura non può voltare le spalle ai vizi, alle crudeltà, alla ferocia dell’uomo, al piacere: è questa la terribile condizione della sua verità per cui essa ha diritto di sopravvivere. E dinanzi all’autenticità del selvaggio, come preferire il miserabile ipocrita corrotto civilizzato? Il selvaggio di Baudelaire è l’incarnazione in senso positivo di ciò che il civilizzato non è: è da quel "non essere " che egli riceve tutte le virtù, e da quel " non essere " un civilizzato che lava le macchie di sangue deposte sul corpo dalla sua limpida ferocia. Se dalla parte del selvaggio c’è il sangue (con il quale difende l’ideale di onore, coraggio e dovere), dall’altra, dalla parte dell’uomo civile, c’è l’oro. E’ forse quel senso dell’onore, del coraggio, che liberava il selvaggio dall’essenza naturale, cioè dall’infame e satanica del commercio ("il commercio è il prestito con il sottinteso: rendimi più di quanto ti do ". Giovanni Macchia, Introduzione a Baudelaire, in C. Baudelaire, Opere, Mondadori, 1996, p. XXI).
La novità di Baudelaire
Ma al di là delle correnti letterarie ottocentesche, è in tutto il movimento poetico del nostro tempo che si riflettano le fondamentali acquisizioni dell'opera baudelairiana: L’affermazione dell’io attraverso l'esperienza del male. L’autonomia della ricerca poetica rispetto alla morale e al senso comune.
La poesia come ebbrezza. "Bisogna essere sempre ebbri.....Divino, di poesia o di virtù, come preferite ...".
La consapevolezza e autocritica (ogni sua opera è volontaria, ogni sua conclusione non accidentale) e critica. "E' impossibile che un poeta non contenga in sé un critico".
L’interesse per le arti dell’immagine e del suono. Sono assai acuti e anticipatori i suoi giudizi su Wagner , Corot, Manet , Delacroix.
Il poeta nel mondo borghese
Nel mondo moderno il ruolo dell’artista è cambiato; il poeta ha perso la sua funzione sacrale di sacerdote della Bellezza e della Poesia, che lo aveva sempre celebrato nella società aristocratiche del passato.
La condizione di prestigio non è più assicurata perché sono cambiati i valori dominanti; in una società che ha come valori fondamentali l’utile, l’interessante, il senso pratico e che culturalmente è improntata al Positivismo , il poeta è diventato un uomo come tutti gli altri. Le numerose affermazioni di poetica di Baudelaire rivelano l'esigenza di giustificare la propria funzione di poeta, ora che la fede romantica nella poesia appare dissacrata dalia ricerca dell'utile e del piacere materiale, dall'egoismo sfrenato.
Nello Spleen di Parigi, Baudelaire descrive un dialogo con un amico che si meraviglia di incontrarlo in un luogo malfamato. Il poeta spiega che può frequentare quei luoghi come un comune mortale perché ha perso l’aureola che contrassegnava la sua sacralità "Ora posso andare a zonzo in incognito... abbandonandomi alla crapula della carne come i semplici mortali "
Questo poemetto è importante perché coglie con acutezza il mutamento del ruolo dell’artista nel mondo moderno. Baudelaire ha perso l’aureola che gli garantiva una condizione di privilegio e ora la società borghese non assicura più al poeta una dignità spirituale. Il poeta finge ironicamente di accettare questa nuova condizione; in realtà si getta nel vizio per accentuare la sua diversità dalla gente " normale". Così al posto di un privilegio spirituale di un tempo ottiene almeno un privilegio negativo: quello del male.
Un altro riferimento importante quanto alla diversità del poeta è nella poesia L'albatro .
I fiori del male
(Les Fleurs du Mal)
L'opera è divisa in sei sezioni che rappresentano una storia del destino umano dall'angoscia alla ricerca di conforto nei piaceri dell'ebbrezza alla disperata coscienza delle attrattive e della perversione del male, al rifugio nel grembo della morte. Si effettua un'indagine nelle sfere più profonde e torbide della vita interiore, propiziata spesso dall'oppio.
I fiori del male presentano ricchezza di immagini, evocazioni, fantasie, stile intenso e allusivi, carico di simboli, ricco di musicalità.
Le esperienze dello spleen (definito da Baudelaire come una sorta di malattia dello spirito), della miseria, del dolore, del vizio, vi sono espresse in immagini di inconsueta evidenza, e poste a riscontro di una coscienza tormentata dal sentimento della morte e della ricerca dell'assoluto.
Il libro fa scandalo, ed è subito sequestrato; l'autore è condannato a una forte ammenda, per l'oltraggio alla morale e al buon costume; sei poesie sono soppresse perché giudicate oscene. In compenso nuovi componimenti arricchiscono una seconda edizione del libro.
Baudelaire, con questa prima raccolta poetica, dà inizio ad una nuova concezione della poesia, intesa come fonte di conoscenza e mezzo di fuga dalle ipocrisie a cui la società costringe l’uomo. Per esprimere, in questa prospettiva, tutte le potenzialità della parola poetica, Baudelaire accentua l’importanza dei simboli e delle figure analoghe; della sua opera trarrà origine il movimento del Simbolismo , destinato a rivoluzionare la poesia europea.
Attrazione al male e aspirazione a Dio
Il personaggio decadente non è univocamente definibile. Esso ci appare lacerato da spinte contraddittorie, spesso sospeso nel dubbio, spesso proteso a sondare il mistero del proprio io. Sono forti perciò gli interessi psicologici che portano l’attenzione verso le zone profonde dove agiscono impulsi oscuri e moventi inconfessati.
Baudelaire è consapevole di essere lacerato, di essere richiamato dagli opposti. Questi sono:
1) Dio, ossia l’aspirazione a salire verso l’alto, l’infinito.
L’uomo si merita il paradiso, senza ricorrere a strumenti che danneggiano la sua volontà.
2) Satana, ossia il gusto del peccato, la gioia di discendere in basso.
Quest’ultimo impulso, che ci porta a ricercare anche un "paradiso provvisorio" al tempo stesso "pericoloso e delizioso", sembra prevalere. Baudelaire ha una visione pessimistica della condizione umana, che si può notare ad esempio in Al lettore . L’essenza dell’uomo è profondamente corrotta, preda d’istinti abbietti, tutto ciò che appare onesto e positivo si rivela frutto di ipocrisia, il solo sentimento capace di distogliere dal crimine è la viltà. Lo stesso dolore non è momento di catarsi, ma puro sintomo di disagio.
Certo, come egli dice, l’uomo non è così derelitto, e così privo di strumenti onesti per meritare il cielo, da dove ricorrere alle droghe a danno della propria volontà. Ma tuttavia il poeta nei suoi momenti di debolezza, di impotenza creativa (e Baudelaire ne aveva spesso), può aver bisogno di ricorrere agli eccitanti specie a quelli che procurano l’infinito nel finito, che ci trasportano in un sogno inverosimile. Fondamentale dilemma è quello fra la voluttà illusoria volutamente perseguita e la coscienza delle sue vanità e del suo "peccato" (coscienza del male)
Concetto di morte: è vista nel suo agguato improvviso, che spazza via con un colpo d’ala tutti i sogni, i piani, la gloria dei nostri ultimi giorni: alla fine del viaggio dell’esistenza umana, il poeta invoca la morte come liberatrice per inabissarsi nel fondo dell’ignoto, non importa se finirà in cielo o all’inferno.
Lo spleen
Il termine inglese significa propriamente "milza": le concezioni mediche antiche infatti, ritenevano quell’organo sede della cupezza e malinconia.
Con questa parola Baudelaire indica la noia, la malinconia senza nome, la tristezza senza cause specifiche che gli antichi chiamano taedium vitae (la noia della vita).
Il poeta ha scritto diverse liriche con questo titolo, tutte inserite nella prima sezione dei I fiori del male , intitolata Spleen e ideale.
I due opposti sentimenti del poeta sono da un lato il disgusto per la vita distrutta dalla noia, da una tormentosa inquietudine, e dall’altro l’aspirazione, destinata allo smacco ma caparbiamente presente, verso l’infinito e l’assoluta purezza.
Il poeta si sente oggetto di un conflitto tra Cielo e Inferno: per lui nell’uomo vi è un bisogno di purezza, di spiritualità, di elevazione a Dio. Dall’altro invece vi è una cupa attrazione per il vizio, il male, la degradazione.
Questo conflitto ha alla base una concezione religiosa; il poeta tenta di sfuggire allo spleen protendendosi verso l’ideale, la bellezza, la purezza; anche se la tensione è vana perché egli ripiomba in basso per una sorta di voluttà della degradazione e della colpa. Ecco allora che si rivolge a mezzi di evasione, ai paradisi artificiali, a Satana ("Satana, abbi pietà della mia lunga miseri", litanie di Satana, nella sezione V de I fiori del male ) e infine si rivolge alla morte vista come possibilità di esplorare l’ignoto ("Al fondo dell’ignoto per trovare del nuovo!" Il viaggio , nella sezione IV, La morte )
Romanticismo negativo
Con Baudelaire si impone, sulla scena della poesia, un sorta di "romanticismo negativo" che nasce dall’amara esperienza della condizione umana in un mondo sempre più privo di riferimenti ideali.
Il poeta non è più il vate capace d’interpretare le esigenze della società, ma un solitario, un "maledetto", condannato ad aspirare a un irraggiungibile bellezza, esprimendo soltanto la propria impotenza di vivere.
Si delinea così un divorzio insanabile fra la vita, groviglio abietto e causale di eventi angosciosi, e l’arte, estremo rifugio in universi di forme sempre più perfette e autosufficienti. Questo aspetto di Baudelaire influenzerà molto la poesia dei Parnassiani .
Trasgressione: l’artista come maledetto
L’artista è per natura un "maledetto" che viola le condizioni, i valori, le evidenze normalmente diffuse dalla società e consapevolmente ne ricerca la "scomunica".
Si spiegano le vite paradossali di tanti artisti dell’epoca: la ricerca della contraddizione la troviamo nel gesto violento e distruttivo (cfr. Verlaine e Rimbaud , oltre che il ferimento di da parte di Van Gogh ) nell’omosessualità, nell’abuso dell’alcool e delle droghe, nella sessualità sfrenata, nella miseria materiale.
L’archetipo di questa vita negativa era stato appunto Baudelaire, l’unico che riuscì a destare con grande interesse parlando sotto forma filosofica e morale delle droghe, dell’alcool e dei loro effetti.
Baudelaire inoltre con la "cannabis" pecca di superbia, portato al parossismo di ritenersi "Divenuto Dio", ma condanna pesantemente sia il peccato, sia la droga che lo ha provocato.
Infatti egli stesso ammette che l’hascisc è molto nemico della vita regolare: l’intelligenza ne è resa schiava e il ragionamento è caratterizzato da un susseguirsi di pensieri scoordinati.
L'esplorazione dell’inconscio
Le forme materiali della natura non sono che simboli di una realtà più profonda e autentica, che si colloca al di là delle cose. Ma nella sua esperienza quotidiana l’uomo non riesce a cogliere questi legami, anche se i simboli gli suonano famigliari perché corrispondono a qualche cosa che giace nel profondo di ognuno. Per decifrare questo linguaggio segreto occorre rinunciare alla visione razionale che si ferma solo alla superficie delle cose, e abbandonarsi alle sensazioni che, nella loro essenza non razionale, mettono in comunicazione col profondo.
In concreto, questa esplorazione dell’irrazionale si manifesta in un’attenzione per la vita dei sentimenti, per la passionalità, ma soprattutto per gli stadi della psiche che escono dalla normalità razionale: il sogno, la fantasticheria, l’ebbrezza, il delirio, la follia.
Questa esplorazione dell’irrazionale, della zona d’ombra fa si che si tenda a sprofondare negli abissi dell’interiorità, concepita come unica realtà esistente.
C’è quindi l’esplorazione di zone ulteriori dell’esperienza. Perenne conflitto tra la tendenza all’ideale e le sollecitazioni dei sensi, tra spirito e materia, Dio e Satana; ribellione alle convenzioni, anticonformismo fino allo scandalo.
Il sogno
Il sogno occupa gli spazi che dividono il poeta dalla bellezza: allaccia la natura con il sovrumano.
Poeticamente, la verità non è il reale, la verità è il possibile. Il realismo è insufficiente a diventare poesia; Baudelaire così aderisce al sovrannaturale, che muta forma e luogo secondo l’acutezza degli sguardi umani.
La sfiducia nella ragione ha portato Baudelaire a mescolare magia e religione, pratiche occulte e divine fino a vedere nella preghiera un’operazione magica.
Baudelaire non aspira alla registrazione automatica di un segno; se il segno è diventato poesia, è perché ancor prima è stato storia. Acquista il rilievo, l’unità, la prospettiva, il tono, creati dalla lontananza; storia poetica, cioè la memoria.
Questa memoria baudelairiana non ha senso biografico, psicologico ma è una virtù rasserenatrice che mette tutto al suo posto, tutto a misura. Attraverso la memoria sono conciliabili surrealismo e melanconia, tristezza e delirio; il sogno resta l’espressione più alta della malinconia.
Il conflitto tra morale ed estetica
Il punto di vista morale di Baudelaire, che giudica e interpreta la reciproca esclusione di Bene e Male, cerca invano dei fondersi con il punto di vista estetico, che oppone Bello e Brutto.
Baudelaire oscilla fra il primo e il secondo punto di vista, mettendo spesso provocatoriamente in conflitto un tipo di morale con un tipo di estetica.
Con i suoi scritti sul vino e sull’hascisc, rivoluziona e scardina i canoni dell’estetica tradizionale, aprendo la strada a una concezione del bello totalmente nuova: al fumatore dell’hascisc si offre infatti per Baudelaire la possibilità ad un’esperienza estetica estremamente più ampia di quella concessa all’individuo in condizioni di completo controllo delle proprie facoltà psichiche.
In questo nuovo universo vengono accolti oggetti apparentemente insignificanti e talvolta "brutti", che fanno comunque parte del quotidiano e che l’immaginazione creativa dell’uomo può rendere interessanti.
Il giudizio sul "bello" si libera dunque dai vincoli imposti e tramandati.
Le droghe
Era prevedibile che quest’uomo solo, cercatore d’infinito e militato del quotidiano, innamorato del piacere e spronato da un’intelligenza meravigliosamente acuta, vigile e serena a veder chiaro anche in ciò che non accadeva sotto i suoi occhi; abbandonato alla forza del sogno e prostrato dal dolore, della malattia, dal vizio, dall’impotenza; attratto dall’esperienza dell’abisso e pur sempre sorretto da uno straordinario equilibrio: che quest’uomo dovesse solo occuparsi a varie riprese della droga, lo spirito di poeta e con spirito tecnico, quasi professionale, come se si trattasse di un problema così vitale e che investiva anche l’intelletto e la morale.
La droga non era un surrogato dell’amore: un qualcosa che dà ciò che l’amore non può dare.
E’ un paradiso conquistato senza bisogno dell’altro, dove non c’è nessun chirurgo e nessun paziente.
Quel che più colpisce chi legge Baudelaire sull’hascisc e sul vino è che esse appaiono come realizzazione circostanziate di un viaggio in paesi immaginari, ove la ragione sembra ancora resistere dinanzi ad uno spettacolo che affonda i nostri sensi fino a farci dimenticare di essere.
La personalità che scompare, il senso dell’oggettività che giunge a farci confondere con la natura circostante, planate nell’azzurro immensamente disteso, fino alla scomparsa del dolore e della nozione del tempo, o fino a che la musica e l’esistenza delle immagini note dall’acqua ci conducano ad ebbrezza vertiginosa: tutto questo è seguito e descritto da chi, immerso in una felicità assoluta, riesca subito dopo a ricordare con una lucidità che non ha subito scosse.
Tutti i problemi filosofici sembrano risolti. Tutte le ardue schematologie dei teologi sono limpide e chiare. Eppure la contraddizione non si spegne nel suo spirito pervenuto a un così alto grado di " "virtù "e d’intelligenza che vive nella solitudine e nel pensiero. La distanza tra la notte e la luce si fa più acuta, nel momento in cui l’ivresse sta per assolversi. Alcune poesie di Baudelaire che sembrano generate dalle vertiginose concezione dell’oppio hanno un risalto, un segno, una precisione che solo può dare intelligenza esaltante del ricordo. Sveglio, egli scava in se stesso la distanza incommensurabile tra i due mondi: uno dominata dal tempo, e l’altro in cui il tempo è scomparso.
Baudelaire non aspira cioè alla registrazione automatica di un sogno Il surrealismo è ancora lontano per quanto riguarda il titolo del libro dedicato alla droga, I paradisi artificiali , possa far pensare ad una definizione della poesia, il poeta propone delle equazioni, mentre l’oppiomane impone delle identificazioni, delle verità assolute. E il sogno occupa solo una zona nella geografia poetica di Baudelaire. Egli non è un poeta puro; la sua poesia si muove in un’ampiezza di registri in cui ha pieno diritto d’ammissione anche il riso: forza satanica, segno d’una grandezza infinita e d’una miseria infinita.
I paradisi artificiali
L’autore lo presenta come uno scritto di morale; anche se manca qui una vera "morale", cioè una condanna precisa dell’uso degli stupefacenti.
L’Inferno, da cui Baudelaire ci vuole mettere in guardia è quello della degradazione e dell’impotenza che possono derivare dagli abusi e dalle overdosi. A chi viene attratto dagli effetti "meravigliosi" delle droghe, lo scrittore ne mostra le deleterie e funeste conseguenze finali, cioè gli spaventosi risvegli del giorno dopo, le ebbrezze del sogno.
In queste pagine Baudelaire non intende scrivere un trattato scientifico, bensì raccoglie le sue esperienze personali e morali. L’autore cita spesso una frase di Barberau, che non sa spiegarsi come l’uomo razionale possa servirsi di mezzi artificiali per raggiungere la beatitudine. Nella prima parte de Il poema dell’hascisc chiamata Il gusto dell’infinito, Baudelaire spiega gli elementi che spingono l’uomo a ricercare i presupposti capaci di innalzarlo sopra se stesso, identificandoli "nei momenti di beatitudine che nulla sembra umanamente giustificare né meritare, una vera e propria grazia paradisiaca". In parole povere l’elevazione spirituale è un dono gratuito in senso religioso.
Le droghe possono far vivere l’uomo nel mondo dell’inconscio per alcuni momenti, ma quando l’effetto finisce lasciano un senso di vuoto e di insoddisfazione. Tra le sostanze considerate, condanna l’hascisc, una droga che egli gustò poco, ma esalta il vino, considerandolo il più sano e sociale fra gli strumenti che l’uomo adopera per esalare la propria personalità, per ravvivare le sue speranze ed elevarsi all’infinito.
1) il vino esalta la volontà
2) l’hascisc annulla la volontà
Tuttavia l’hascisc, pur condannato e disprezzato, non viene respinto totalmente. Anche l’hascisc dà le sue immagini in Baudelaire, le quali costituiranno in seguito i principi della sua poetica (es. La scomparsa del tempo).
La "sregolatezza dei sensi"
Gli stati della coscienza alterata ci sottraggono al controllo paralizzante della ragione e ci proiettano in zone della coscienza normalmente inesplorate.
Essi possono pervenire all’uomo a causa di diverse circostanze: malattia, neurosi, sogno, allucinazioni, delirio.
Ma la coscienza può essere alterata anche artificialmente tramite l’uso di alcool oppure di droghe come l’hascisc, l’oppio o la morfina.
Già in epoche precedente, l’uso di oppiacei era diffuso nelle classi privilegiate: Le confessioni di un oppiomane di Thomas de Quincey sono del 1821.
Ma in un’epoca decadente, a partire da Baudelaire, l’uso delle droghe viene teorizzato come una via efficace per il potenziamento delle facoltà conoscitive umane, come una scorciatoia verso orizzonti inauditi e affascinanti.
Baudelaire non è stato né il primo né l’ultimo ad affrontare da un punto letterario il problema delle droghe, ma le sue opere hanno sempre destato un grande interesse, in quanto esprimono particolari sensazioni e profondi giudizi filosofici e morali procurati da esperienze dirette.
Nella prima parte de I paradisi artificiali , cioè ne Il poeta dell’hascisc egli afferma che il vino è "un meraviglioso liquore" nel quale tutti i dispiaceri possono essere annegati.
Invece "l’hascisc non si addice all’azione. Non consola come invece fa il vino; esso non fa altro che accentuare oltre misura i tratti della personalità umana nelle circostanze del momento".
Egli descrive in quattro fasi gli effetti dell’hascisc.
Baudelaire riferisce l’antinomia tra delitto e castigo: l’uomo che nella terza fase è "promosso da Dio", alla fine della quarta ha un "senso di totale prostrazione appena si mette ai piedi"
Baudelaire, nonostante il giudizio negativo che nutre nei confronti dell’hascisc, lo accomuna al vino poiché entrambi capaci di eccessiva esaltazione poetica.
Il simbolismo
Un testo fondamentale e simbolista è quello delle Corrispondenze :
"E’ un tempio la Natura …". Qui la natura è vista come un tempio (animato da una presenza divina) dove le cose, pilastri viventi, rimandano a enigmatiche rivelazioni.
L’universo è una foresta di simboli che alludono al mistero d’una vita più alta, oltre il tempio e la contingenza: una vita di cui l’uomo e le cose sono insieme compartecipi.
I colori, i profumi, i suoni, i dati sensoriali appaiono un messaggio che va dalle cose all’animo umano, facendogli presentire l’unità profonda dell’essere.
In questa contemplazione poetica si rivela l’unità di natura e spirito, di uomo e di mondo. Così i profumi esaltano una suggestione indefinita che coinvolge insieme i sensi e l’animo e coincide col protendersi dell’io verso l’infinito.
Il tempio della natura, in cui l’uomo cerca di addentrarsi, è misterioso; per lui è difficile orientarsi, anche se i simboli sono familiari.
Al mondo visibile può corrispondere qualcosa di "sotterraneo", spirituale; la notte, contrapposta al chiarore, ribadisce il concetto che rimanda alla foresta di simboli cioè alla relazione fra certezza e mistero.
Ogni forma visibile è un simbolo di qualcosa di più profondo che sta al di là di essa e si collega con infinite altre realtà in una "rete segreta" che solo la percezione del soggetto può individuare. L’unità delle cose è espressa attraverso la sinestesia . In questa pratica della "fusione delle sensazioni" il profumo (sensazione dell’olfatto) viene accostato alla freschezza di un bambino (percettibile con il tatto), alla dolcezza del suono dell’oboe (percettibile con l’udito) e al verde delle praterie (percettibile con la vista).
Il culto della forma
La poesia di Baudelaire, ricca di echi romantici (Hugo), sembra anche apparentarsi alla scuola parnassiana per lo scrupoloso culto della compiutezza formale; il movimento del Simbolismo riconobbe d'altra parte in Corrispondenze , un celebre sonetto de I fiori del male , la virtuale enunciazione dei termini fondamentali della propria poetica.
La caratterizzano il rigore formale, l'attenzione alla perfezione della forma poetica, unica legge, l'affermazione che l'arte è autonoma da ragione, logica, morale.
Corrispondenze e analogie
L’arte di corrispondenze coinvolge anche l’uomo: la visione decadente propone una identità tra io e mondo, tra soggetto e oggetto, che si confondono in un’arcaica unita’.
Abbiamo la consapevolezza che nasce da un sommovimento dell’io profondo sulla scia di sensazioni intensificate dalle ardite trasposizioni analogiche.
"Quando come un coperchio..."
Analizzando il brano possiamo notare che le ultime immagini sono esempi di analogie.
Infatti non viene stabilito un paragone concettualmente preciso fra realtà fisica e spirituale, ma una totale identificazione.
Le campane urlanti evocano l’intimo spasimo, i funerali silenti un senso di morte e desolazione, nel suo emergere dalla coscienza profonda e condensarsi in un’immagine che è, al tempo stesso, percezione esistenziale immediata e decisiva.
Il valore della donna
Tutto ciò che Baudelaire ha scritto sulla donna è dominato da un desiderio di purezza impossibile e dalla volontà di non sottrarsi alla denuncia anche brutale della cruda verità. Una delle fantasie ridicole di cui si era macchiata l’epoca in cui gli era toccato di vivere era stata quella di abolire le tracce del peccato originale. Il peccato che l’uomo vive non può essere abolito, è legato al piacere e al rimorso. Il piacere, fratello del disgusto, invade la coscienza di chi ha incontrato il male.
La donna, simbolo del peccato, diventa per il demone della contraddizione da cui egli è torturato oggetto di culto e di esecrazione. L’adorazione della donna si confonde con un’ossessiva forma di misoginismo. Questo atteggiamento di avversione o repulsione per la donna ha una ragione ora tragica ora satirica.
La donna è vicina alla natura, cioè abominevole; è sempre volgare e quindi l’opposto del dandy, meraviglioso simbolo di lotta estetica alla natura. Fa orrore perché legata ai propri bisogni; se ha sete beve, se ha fame mangia.. Ella non sa separare l’anima dal corpo.
Baudelaire riconosce nell’eterna Venere (nella sua convinzione di capriccio, d’isterismo, d’immaginazione) una delle forme più seducenti del diavolo, della cui esistenza è ben convinto. Egli si meraviglia che alle donne sia permesso di entrare nelle chiese. Di che cosa possono parlare, si domandava, con Dio?
Per ribadire la ferma opposizione dei due sessi, che si guardano come nemici e che il caso, cioè l’amore, rende complici, almanacca che amare le donne intelligenti sia un piacere da pederasti: dovremmo amare le donne quanto più esse le sentiamo diverse da noi.
L’atto dell’amore somiglia a una tortura o a un’operazione chirurgica. Anche quando due amanti sembrano fortemente presi l’uno dall’altro e pieni di reciproco desiderio, l’uno dei due sarà sempre più calmo o meno indemoniato dell’altro. Uno è il chirurgo, l’altro il paziente.
Nella proclamazione di un silenzio, che è il sadismo, la voluttà unica e suprema dell’amore consiste nella certezza di fare il male, e l’amore un delitto in cui non si poteva fare a meno del complice.
L’Inferno, il Diavolo, il peccato, fonte di piacere e di dolore, l’amore che si allontana sempre di più dalla semplicità e dal candore della natura, e nessuna volontà di cancellare quelle macchie depositate dal male e averne alcuna consolazione, a vivere nel proprio inferno fino all’ultimo: questo fu il destino di Baudelaire, il destino di un uomo solo. Questi furono i suoi grandi temi.

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