Achille e Agamennone

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Testo

LA CONTESA FRA AGAMENNONE E ACHILLE
PROEMIO
Cantami, o Dea, dell’ira funesta di Achille, che causò infiniti lutti ai Greci, travolse anzitempo all’inferno le anime generose degli eroi, e abbandonò le loro salme all’orrido pasto di cani e di uccelli (così l’altra deliberazione di Giove si svolse), da quando una lite violenta divise il re Agamennone e il divino Achille.
IL RISCATTO NEGATO
Quali divinità li rese nemici? Apollo arrabbiato con Agamennone, quel dio mandò nel campo una malattia mortale che fece morire la gente: la colpa è di Agamennone che fece al sacerdote di Apollo nella città di Crise un oltraggio.
Crise era venuto alle navi dei Greci a riscattare la figlia a caro prezzo. Aveva in mano le bende e lo scettro aureo dell’arciere
Apollo; egli supplicava tutti i Greci, e soprattutto i due supremi condottieri Agamennone e Menelao: o Atridi, gli disse, o coturnati Greci, gli abitatori immortali del cielo vi concedono di espugnare la cittadina di Priameia per far sì che torniate in patria sani e salvi. Liberate la mia diletta figlia e ne riceverete il riscatto. Vecchio fa che io non ti veda mai vicino a queste navi; perché nulla ti varrà lo scettro né la sacra benda del dio.
Ora va, non mi irritare se vuoi andartene sano e salvo.
LA VENDETTA DI APOLLO
Il vecchio si impaurì e obbedì al comando. Silenzioso si incamminò lungo la riva; venuto in disparte fece ad Apollo questo prego: dio dall’arco d’argento tu che proteggi Crise e la sacra Cilla e sei il grande imperatore di Tenedo, protettore dei campi.
Ascoltami: se qualche volta ho adornato il tuo bel tempio di corone di fiori dimostrandoti la mia devozione fammi questo voto: per mezzo delle tue frecce paghino i Greci del mio pianto. Così disse pregando.
Lo udì Apollo e scese dalle cime dell’Olimpo molto arrabbiato con l’arco sulle spalle e la faretra chiusa. Si fermò davanti alle navi dei Greci quindi scoccò una freccia dalla corda dell’arco, e l’arco d’argento mandò un terribile ronzio. Prima prese di mira i muli e i cavalli e i veloci cani e poi i soldati Greci e dappertutto ardevano i roghi dei cadaveri. Per nove giorni volarono le frecce nel campo. A parlamento Achille chiamò nel decimo giorno le truppe.
L’ASPRA CONTESA
Tacque e si sedette. Allora l’eroe Atride , il supremo re Agamennone si levò adirato; egli prima guardò Calcante in modo torvo quindi disse: iettatore, mai una parola gradita uscì dalla tua bocca. Al tuo cuore maligno fu sempre dolce predire disastri fra gli Argivi ora parli che Apollo li uccide causando una pestilenza con le sue frecce solo perché io rifiutai il riscatto di Criseide; e va bene sia pure libera se questo è il meglio perché io cerco la salvezza e non la morte del mio popolo. Ma voi mi preparate subito il compenso.
Achille gli rispose: tu la prigioniera restituisci ad Apollo che avrai tre o quattro volte la ricompensa se un giorno Giove ci concederà di saccheggiare la grande Troia.
Agamennone: tu imponi che Criseide sia resa? E sia. Ma concedimi un’altra prigioniera che si adegui e che risponda al mio desiderio. Se non me la darai la rapirò io stesso, che sia la schiava di Aiace, di Ulisse o anche la tua; e loro non riusciranno a fermare la mia ira.
Achille lo guardò con odio minaccioso e gli rispose: anima spudorata, anima avara, per odio dei Troiani, io non venni a portare la guerra perché a me sono innocenti.
Ma solo per tuo profitto, o svergognato, e per l’onore di Menelao, per te medesimo, o brutale ceffo ti seguimmo a Troia per vendicare il rapimento di Elena. Bene ora io me ne vado non sto qua a farmi portar via il mio bottino di guerra.
Fuggi dunque, rispose Agamennone. Io non ti trattengo poiché Apollo mi toglie Criseide io stesso verrò nella tua tenda a portarti via la figlia Briseo, la bella tua prigioniera.
L’INTERVENTO DI ATENE
Queste parole fecero infiammare l’animo di Achille. Due pensieri si combattevano nel suo petto: se uccidere l’Atride o se domare la sua ira e il tempestoso cuore.
Giunone affezionata a entrambi gli eroi mandò Atena per proteggere Agamennone e persuadere Achille a non ucciderlo.
Achille le rispose che le obbediva anche se in cuor suo non lo voleva, detto questo Atena tornò sull’Olimpo.
IL GIURAMENTO DI ACHILLE
Achille allora con parole cattive rinfrescò la lite con Agamennone: ubriaco hai lo sguardo minaccioso di un cane ma l’animo di un timido uccello. Io bene ti annuncio ed altamente ti giuro: verrà una stagione che nei Greci si sveglierà il desiderio di Achille, e tu misero non potrai salvarli quando la spada di Ettore farà rossi i campi per tanta strage : allora ti roderà il cuore di rabbia perché facesti una così villana cosa al più forte dei Greci.
PARIDE E MENELAO
GRECI E TROIANI IN MARCIA
E dunque, dopo che furono schierati in ordine di battaglia, ciascuno con i capi, i Troiani avanzavano verso i nemici con grida e richiami, come gli uccelli, come il grido delle gru che si aggira sotto il cielo quando fuggono dall’inverno, dalla pioggia infinita volano con grida sul mare ondoso portando stage e morte ai Pigmei.
Ma gli altri avanzavano verso i nemici in silenzio, gli Achei che spirano furia bramosi in cuore di aiutarsi l’un l’altro. Come sulle vette dei monti il noto verso la nebbia, nella nebbia lo sguardo non va al di là della distanza a cui si può lanciare un sasso; così mentre marciavano un nembo di polvere si alzava sotto i loro piedi.
PARIDE PROVOCA E FUGGE
Quando furono vicini, marciando gli uni sugli atri si fece davanti ai Troiani Paride, bello come un dio, con pelli di pantera sopra le spalle, con arco ricurvo e spada scuotendo due lance a punta di bronzo, sfidava tutti i campioni degli Achei a lottare in duello nella mischia orrenda. Menelao godette vedendo Paride; vendetta gridò al colpevole. Ma quando Alessandro lo scorse apparire fra i primi campioni sbigottì in cuore, si trasse indietro verso i compagni fuggendo dalla morte. Come uno quando vede un serpente fa un balzo indietro fra le gole dei monti, gli tremano le ginocchia, fugge e il pallore gli invade le guance; così il figlio di Atreo temendo si immerse tra il folto dei Teucri alteri.
IL DUELLO
Quando si furono armati e fuori dalla folla avanzarono in mezzo ai Troiani e agli Achei, vi era stupore tra i Troiani domatori di cavalli e gli Achei schinieri robusti.
I due si fermarono vicini, scuotendo le aste arrabbiati uno contro l’altro; prima Alessandro scaglio l’asta e colpì nel centro lo scudo dell’Atride, ma non perforò il bronzo, la sua punta si conficcò dentro lo scudo; allora l’Atride Menelao balzò in avanti imbracciando lo scudo di bronzo e pregando il padre Zeus: Zeus signore fa che mi vendichi di chi mi ha fatto male per primo, di Alessandro glorioso, uccidilo per mano mia, perché ciascuno abbia timore, anche gli uomini che verranno, a far male ad un’ospite che abbia mostrato amicizia.
Disse e impugnando l’asta dall’ombra lunga la scagliò e colpì lo scudo rotondo del figlio di Priamo; l’asta pesante passò attraverso lo scudo lucente, si infisse nella corazza lavorata e diritta e lungo il fianco stracciò la tunica; ma Paride chinandosi fuggì dalla Moira nera.
L’Atride allora, traendo la spada a borchie d’argento l’alzò, colpì il frontale dell’elmo ma intorno all’elmo la spada si infranse in tre o quattro pezzi e gli cadde di mano. L’Atride gemette, rivolto al largo cielo: padre Zeus, nessuno degli dei è più rovinoso di te. Credevo di aver punito nel suo delitto Alessandro, e mi si spezza la spada in mano, l’asta è fuggita dalle mie mani lontano e non l’ho colpito.
Disse e afferò Paride con un balzo per l’elmo piumato, lo rigirò si mise a tirarlo verso gli Achei dagli schinieri robusti; e il sottogola di cuoio teso sotto il mento gli stingeva la tenera gola. Ormai riusciva a tirarlo e acquistava gloria infinita ma pronta lo vide Venere, la figlia di Zeus che spezzò il sottogola fatto di cuoio di un bue ucciso.
L’elmo vuoto seguì la forte mano e l’eroe lo gettò facendolo roteare fra gli Achei; e i fedeli compagni lo presero. Egli si voltò subito, impaziente di ucciderlo con la lancia di bronzo; ma Venere, come una dea, lo portò via agevolmente. Lo nascose tra la nebbia e lo posò in un letto nuziale odoroso di balsamo.
ETTORE E ANDROMACA
ETTORE A CASA
Così dicendo, Ettore dall’elmo abbagliante partì e giunse in breve alla sua comodo casa; ma nella sala non trovò Andromaca dal braccio bianco perché lei con il bambino e un’ancella con un bell’abito, stava sopra la torre, desolata, gemente. Ettore, come fu dentro non vide la sposa, si fermò sulla soglia e si rivolse alle schiave: schiave, presto, ditemi sinceramente dov’è andata Andromaca dalle braccia bianche. Dalle mie sorelle o dalle cognate dai bei vestiti, o forse è andata al tempio di Atene dove le altre Troiane dai riccioli belli placano la dea terribile?
La solerte schiava gli rispose: Ettore, che dici cose vere, lei non è andata dalle tue sorelle o dalle cognate dai bei vestiti e non è andata al tempio di Atena dove le altre Troiane dai bei riccioli placano la dea terribile; si è recata sulla gran torre d’Ilio perché ha sentito che i Troiani, grande è la forza Achea, sono sconfitti; ed elle è accorsa alle mura tutta affannata, come una pazza; la balia le porta dietro il bambino:
IL PIANTO DI ANDROMACA
Disse la schiava ed Ettore si lanciò fuori di casa, per la medesima via, giù per le strade ben fatte. Quando, attraversata la grande città, giunse alla porta Scea, da cui doveva uscire nella piana, la sposa dai ricchi doni gli venne incontro correndo, Andromaca figlia di Eezione magnanimo, Eezione che abitava sotto il placo selvoso di Tebe Ipoplacia, signore di gente Cilica; sua figlia appartiene ad Ettore dall’elmo di bronzo.
Dunque gli venne incontro, e con lei andava l’ancella, portando in braccio il bimbo dal cuore ingenuo e piccino, il figlio amato da Ettore simile a vaga stella. Ettore lo chiamava Scamandrio, ma gli altri Aianotte, perché Ettore aveva salvato da solo Ilio. Egli, guardando il bambino, sorrise in silenzio ma Andromaca gli si fece vicino, piangendo, gli prese la mano e disse: misero, il tuo coraggio ti ucciderà, tu non hai compassione del figlio così piccino, di una sciagurata che sarà presto vedova, balzando contro tutti gli Achei ti uccideranno; meglio per me scendere sotto terra , perché se soccombi al destino non avrò mai nessun’altra dolcezza, solo pene! Non ho il padre e la nobile madre. Mio padre lo ha ucciso il glorioso Achille, ha raso al suolo la città ben fatta dei Cilici e Tebe dalle alte porte; uccise Eezione, ma non gli prese le armi perché ebbe timore di commettere un sacrilegio; lo fece bruciare con le sue belle armi, e gli versò sopra la terra del Tumeo; le ninfee montane piantarono intorno olmi. Erano sette i miei fratelli dentro il palazzo e tutti morirono in un giorno uccisi dalle frecce di Achille glorioso dal piede veloce, accanto ai buoi dalle gambe storte, alle pecore candide. La Mooka, che regnava sotto il placo selvoso, la condusse nel campo greco con tutte le ricchezze, la liberò accettando un riscatto infinito, ma a Tebe in casa del padre, la colpì Artemide arciera.
Ettore, tu per me sei padre e nobile madre e fratello, tu sei il mio sposo fiorente, dunque abbi pietà, rimani qui sulla terra non rendere orfano il figlio e vedova la sposa; ferma l’esercito presso il fico selvatico là dove è molto facile assalire la città ed è più accessibile il muro; l’hanno tentato per tre volte venendo in questo luogo, i migliori compagni dei due Aiaci, Idiomede famoso, i compagni degli Atridi il forte figlio di Tideo: o gli ha parlato un indovino o li spingeva l’animo stesso.
LA RISPOSTA DI ETTORE
E allora il grande Ettore le disse: donna anch’io penso a tutto questo ma ho troppa vergogna dei Teucri delle Troiane, se resto come un vile lontano dalla guerra. Non lo vuole il mio cuore perché ho imparato ad essere forte sempre, a combattere in mezzo ai primo Troiani, procurando grande gloria al padre e a me stesso. Lo so bene dentro l’anima e il cuore verrà il giorno che la sacra Ilio perisca e Priamo e la gente valorosa e nobile nell’uso delle lancia : ma non avrò tanto dolore per i Teucri, per la stessa Ecuba , per il re Priamo e per i fratelli che in molti valorosi cadranno nella polvere per mano dei nemici, quanto per te quando qualche Acheo ti trascinerà via piangente togliendoti la libertà; allora, vivendo in Argo dovrai tessere la tela per un’altra e portare acqua costretta a tutto; su di te c’è un grande destino.
E qualcuno dirà quando ti vedrà lacrimosa ecco la sposa di Ettore che era il più forte e combatteva con i Troiani domatori di cavalli, quando lottavano per Ilio. Così dirà qualcuno e sarà dolore nuovo per te privata dell’uomo che avrebbe potuto evitarti la schiavitù. Sia però morto e la terra mi imprigioni prima che io conosca le tue grida e il tuo rapimento.
LA PREGHIERA PER IL FIGLIO E L’ADDIO
Così dicendo Ettore tese le braccia al figlio, ma il bambino si piegò indietro con un grido sul petto della balia dalla bella cintura, atterrito dall’aspetto del padre dalla corazza di bronzo e dal pennacchio a cresta che vedeva ondeggiare terribilmente in cima all’elmo. Sorrise il caro padre e la nobile madre e subito Ettore si tolse l’elmo e lo posò per terra lucente; baciò il caro figlio, lo sollevò tra le braccia e disse supplicando Zeus e gli altri dei: Zeus e voi dei tutti fate che questo figlio cresca come sono io, segnalandosi per valore pieno di forza e regni su Troia e un giorno qualcuno dica quando tornerà dalla lotta che è molto più forte del padre. Porti le armature insanguinate sottratte al nemico ucciso e la madre gioisca.
Dopo di ciò mise suo figlio in braccio alla sposa, lei costrinse al seno sorridendo fra il pianto; lo sposo s’intenerì a guardarla la accarezzò con la mano e le disse: misera non ti affliggere troppo nel cuore, nessuno contro il destino potrà gettarmi nell’Ade ma non c’è uomo valoroso o vile, dal momento che è nato, che può evitare la Moira.
Torna a casa e pensa alle tue faccende, al telaio e al fuso e comanda le ancelle di badare al lavoro; alla guerra penseranno tutti gli uomini e io più di tutti quanti nacquero ad Ilio.
Parlando così Ettore riprese l’elmo con il pennacchio a cresta, la sua sposa si mosse verso casa , voltandosi indietro e piangendo; quando giunse alla comoda casa di Ettore massacratore, trovò dentro molte ancelle che piangevano; piangevano Ettore ancora vivo nella sua casa non sperando più che sarebbe tornato indietro vivo dalla battaglia, sfuggendo dalle mani e dal furore dei Danai.

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