"O signor per cortesia"

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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Testo

Jacopone da[.1] Todi
O Signor, per cortesia
“O Signor, per cortesia” è una delle laudi più violente, dal punto di vista verbale, scritte da Jacopone da Todi. Composta durante gli anni della conversione, si propone come uno sfogo personale dell’autore per l’irruenza utilizzata: il vero scopo di questa poesia è quello di esprimere la propria volontà di espiare tutti i peccati della sua epoca, assumendo su di se l’intera colpa, chiedendo a Dio sofferenze e martiri. La passione di Jacopone da Todi può essere accostata parallelamente a quella di Gesù: la sola differenza che lo contraddistingue in modo evidente, però, è che, come già l’autore, consapevole, scrive nel finale, la sua sofferenza non servirà a niente, poiché la chiesa, fulcro della condanna morale dell’epoca, avrebbe continuato a esercitare il proprio ruolo come prima. Lo stile da lui adottato è piano e semplice, spesso dialettale,ma ugualmente segnato da paratassi, ellissi e da arcaismi, specialmente vocaboli latini. La narrazione procede dal primo al settantesimo verso come un grande elenco di malattie: la costruzione dei vari periodi è retta da pochi verbi (ellissi). “…manname la malsania. A mme la fevre quartana…mal de dente, mal de capo e mal de ventre…a mme venga le fistelle…”.Le ultime due strofe creano,a mio parere, distacco dalle altre: Iacopone da Todi conclude la sua supplica affermando che il suo atteggiamento non rappresenta una vendetta per tutte le pene che ha detto, al contrario si scusa con il Signore, che lo creò per Suo grande amore, per averLo tradito con la sua ingratitudine. “Signor meo, non n’è vendetta tutta la pena ch’è aio ditta, chè me creasti en tua diletta et eo t’ho morto a villania. ”: sono i versi che possono essere ricollegati ad una tematica di San Francesco, il ringraziamento di Dio per la “creazione” e l’ammirazione di questa, e al concetto di vassallaggio, il rapporto di rigida gerarchia che sembra instaurare l’autore è comprovato dal perdono allusivo che chiede. Da ricordare le due anafore ricorrenti: “O Signor” e “A mme venga”.
[.1]

Esempio