"Il piacere" di D'Annunzio

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Categoria:Letteratura

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Testo

Il piacere
L'ANNO MORIVA ASSAI DOLCEMENTE (libro 1,cap.1)
E' l'inizio del romanzo: l'ultimo giorno dell'anno che muore dolcemente con un sole che spande "non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile" sulla Roma elegante e aristocratica di fine 800. Dopo la rapida carrellata l'attenzione si delimita alle stanze di Palazzi Zuccari dove Andrea Sperelli attende una visita di Elena, ma l'incontro и subito differito da una analessi che sposta l'azione a due anni prima, al momento della partenza di Elena.
L'anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma. Tutte le vie erano popolose come nelle domeniche di maggio. Su la piazza Barberini, su la piazza di Spagna una moltitudine di vetture passava in corsa traversando; e dalle due piazze il romorio confuso e continuo, salendo alla Trinitа de' Monti, alla via Sistina, giungeva fin nelle stanze del palazzo Zuccari, attenuato.
Le stanze andavansi empiendo a poco a poco del profumo ch'esalavan nй vasi i fiori freschi. Le rose folte e larghe stavano immerse in certe coppe di cristallo che si levavan sottili da una specie di stelo dorato slargandosi in guisa d'un giglio adamantino, a similitudine di quelle che sorgon dietro la Vergine nel tondo di Sandro Botticelli alla Galleria Borghese. Nessuna altra forma di coppa eguaglia in eleganza tal forma: i fiori entro quella prigione diafana paion quasi spiritualizzarsi e meglio dare immagine di una religiosa o amorosa offerta.
Andrea Sperelli aspettava nelle sue stanze un'amante. Tutte le cose a torno rivelavano infatti una special cura d'amore. Il legno di ginepro ardeva nel caminetto e al piccola tavola del tи era pronta, con tazze e sottocoppe in maiolica di Castel Durante ornate di storiette mitologiche da Luzio Dolci, antiche forme d'inimitabile grazia, ove sotto l figure erano scritti in carattere corsivo a zаffara nera esametri d'Ovidio. La luce entrava temperata dalle tende di broccatello rosso a melagrane d'argento riccio, a foglie e a motti. Come il sole pomeridiano feriva i vetri, la trama fiorita delle tendine di pizzo si disegnava sul tappeto.
L'orologio della Trinitа de'Monti suonт le tre e mezzo. Mancava mezz'ora. Andrea Sperelli si levт dal divano dov'era disteso e andт ad aprire una delle finestre; poi diede alcuni passi nell'appartamento; poi aprм un libro, ne lesse qualche riga, lo richuiuse; poi cercт intorno qualche cosa, con lo sguardo dubitante. L'ansia dell'aspettazione lo pungeva cosм acutamente ch'egli aveva bisogno di muoversi, di operare, di distrarre la pena interna con un atto materiale. Si chinт verso il caminetto, prese le molle per ravvivare il fuoco, mise sul mucchio ardente un nuovo pezzo il ginepro. Il mucchio crollт; i carboni sfavillavano rotolarono fin su la lamina di metallo che proteggeva il tappeto; la fiamma si divise in tante piccole lingue azzurrognole che sparivano e riapparivano; i tizzi fumigarono.
Allora scorse nello spirito dell'aspettante un ricordo. Proprio innanzi a quel caminetto Elena un tempo amava indugiare, prima di rivestirsi, dopo un'ora d'intimitа.
Ella aveva molt'arte nell'accumular gran pezzi di legno su gli alari. Prendeva le molle pesanti con ambo le mani e rovesciava un po' indietro il capo ad evitar le faville. Il suo corpo sul tappeto, nell'atto un po' faticoso, per i movimenti de' muscoli e per l'ondeggiar delle ombre pareva sorridere da tutte le giunture, da tutte le pieghe, da tutti i cavi, soffuso d'un pallor d'ombra che richiamava al pensiero la Danae del Correggio. Ed ella aveva appunto le estremitа un po' correggesche, le mani e i piedi piccoli e pieghevoli, quasi direi arboreicome nelle statue di Dafne in sul principio primissimo della metamorfosi favoleggiata.
Appena ella aveva compiuta l'opera, le legna conflagravano e rendevano un sщbito bagliore. Nella stanza quel caldo lume rossastro e il gelato crepuscolo entrante pe' vetri lottavano qualche tempo. L'odore del ginepro arso dava al capo uno stordimento leggero. Elena pareva presa da una specie di follia infantile, alla vista della vampa. Aveva l'abitudine, un po' crudele, di sfogliar sul tappeto tutti i fiori ch'eran ne' vasi, alla fine d'ogni convegno d'amore. Quando tornava nella stanza, dopo essersi vestita, mettendosi i guanti o chiudendo un fermaglio sorrideva in mezzo a quella devastazione; e nulla eguagliava la grazia dell'atto che ogni volta ella faceva sollevando un poco la gonna ed avanzando prima un piede e poi l'altro perchй l'amante chino legasse i nastri della scarpa ancora disciolti.
Il luogo non era quasi in nulla mutato. Da tutte le cose che Elena aveva guardate o toccate sorgevano i ricordi in folla e le immagini del tempo lontano rivivevano tumultuariamente. Dopo circa due anni, Elena stava per rivarcar quella soglia. Tra mezz'ora, certo, ella si sarebbe seduta in quella poltrona, togliendosi il velo di su la faccia, un poco ansante, come una volta; ed avrebbe parlato. Tutte le cose avrebbero riudito la voce di lei, forse anche il riso di lei, dopo due anni.
Il giorno del grande commiato fu appunto il venticinque di marzo del mille ottocento ottanta cinque, fuori della Porta Pia, in una carrozza. La data era rimasta incancellabile nella memoria di Andrea. Egli ora, aspettando, poteva evocare tutti gli avvenimenti di quel giorno, con una lucidezza infallibile. La visione del paesaggio momentaneo gli si apriva d'innanzi ora in una luce ideale, come uno di quei paesaggi sognati in cui le cose paiono essere visibili di lontano per un irradiamento che si prolunga dalle loro forme.
CHI E' ANDREA SPERELLI (libro I, cap.2)
Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miserarnente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltа italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte.
A questa classe, ch'io chiamerei arcadica perchй rese appunto il suo piщ alto splendore nell'amabile vita del XVIII secolo, appartenevano gli Sperelli. L'urbanitа, l'atticismo, l'amore delle delicatezze, la predilezione per gli studii insoliti, la curiositа estetica, la mania archeologica, la galanteria raffinata erano nella casa degli Sperelli qualitа ereditarie. [ ... ]
Il conte Andrea Sperelli–Fieschi d'Ugenta, unico erede, proseguiva la tradizion familiare. Egli era, in veritа, l'ideal tipo del giovine signore italiano nel XIX secolo, il legittimo campione d'una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti, l'ultimo discendente d'una razza intellettuale.
Egli era, per cosм dire, tutto impregnato di arte. La sua adolescenza, nutrita di studii varii e profondi, parve prodigiosa. Egli alternт, fino a' venti anni, le lunghe letture coi lunghi viaggi in compagnia del padre e potй compiere la sua straordinaria educazione estetica sotto la cura paterna, senza restrizioni e costrizioni di pedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto delle cose d'arte, il culto passionato della bellezza, il paradossale disprezzo de' pregiudizii, l'aviditа del piacere.
Questo padre, cresciuto in mezzo agli estremi splendori della corte borbonica, sapeva largamente vivere; aveva una scienza profonda della vita voluttuaria e insieme una certa inclinazione byroniana al romanticismo fantastico. Lo stesso suo matrimonio era avvenuto in circostanze quasi tragiche, dopo una furiosa passione. Quindi egli aveva turbata e travagliata in tutti i modi la pace coniugale. Finalmente s'era diviso dalla moglie ed aveva sempre tenuto seco il figliuolo, viaggiando con lui per tutta l'Europa.
L'educazione d'Andrea era dunque, per cosм dire, viva, cioи fatta non tanto su i libri quanto in conspetto delle realitа umane. Lo spirito di lui non era soltanto corrotto dall'alta cultura ma anche dall'esperimento: e in lui la curiositа diveniva piщ acuta come piщ si allargava la conoscenza. Fin dal principio egli fu prodigo di sй; poichй la grande forza sensitiva, ond'egli era dotato, non si stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalitа. Ma l'espansion di quella sua forza era la distruzione in lui di un'altra forza, della forza morale, che il padre stesso non aveva ritegno a deprimere. Ed egli non si accorgeva che la sua vita era la riduzion progressiva delle sue facoltа, delle sue speranze, del suo piacere, quasi una progressiva rinunzia; e che il circolo gli si restringeva sempre piщ d'intorno inesorabilmente sebben con lentezza.
Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: " Bisogna fare la propria vita, come si fa un'opera d'arte. Bisogna che la vita d'un uomo d'intelletto sia opera di lui. La superioritа vera и tutta qui. " Anche, il padre ammoniva: "Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertа, fin nell'ebbrezza. La regola dell'uomo d'intelletto, eccola: – Habere, non haberi". Anche, diceva: "Il rimpianto и il vano pascolo d'uno spirito disoccupato. Bisogna sopra tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove imaginazioni." Ma queste massime volontarie, che per l'ambiguitа loro potevano anche essere interpretate come alti criterii morali, cadevano appunto in una natura involontaria, in un uomo, cioи, la cui potenza volitiva era debolissima.
Un altro seme paterno aveva perfidamente fruttificato nell'animo di Andrea: il seme del sofisma. "Il sofisma " diceva quell'incauto educatore " и in fondo ad ogni piacere e ad ogni dolore umano. Acuire e moltiplicare i sofismi equivale dunque ad acuire e moltiplicare il proprio piacere o il proprio dolore. Forse, la scienza della vita sta nell'oscurare la veritа. La parola и una cosa profonda, in cui per l'uomo d'intelletto son nascoste inesauribili ricchezze. I Greci, artefici della parola, sono infatti i piщ squisiti goditori dell'antichitа. I sofisti fioriscono in maggior numero al secolo di Pericle, al secolo gaudioso.
Un tal seme trovт nell'ingegno malsano del giovine un terreno propizio. A poco a poco, in Andrea la menzogna non tanto verso gli altri quanto verso sй stesso divenne un abito cosм aderente alla conscienza ch'egli giunse a non poter mai essere interamente sincero e a non poter mai riprendere su sй stesso il libero dominio. Dopo la morte immatura del padre, egli si trovт solo, a ventun anno, signore d'una fortuna considerevole, distaccato dalla madre, in balia delle sue passioni e de' suoi gusti. Rimase quindici mesi in Inghilterra. La madre passт in seconde nozze, con un amante antico. Ed egli venne a Roma, per predilezione.
Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi, non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fтri, ma la Roma delle Ville, delle Fontane, delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo Vaccino per la Piazza di Spagna, l'Arco di Tito per la Fontanella delle Tartarughe. La magnificenza principesca dei Colonna, dei Doria, dei Barberini l'attraeva assai piщ della ruinata grandiositа imperiale. E il suo gran sogno era di possedere un palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato dai Caracci, come quello Farnese, una galleria piena di Raffaelli, di Tiziani, di Domenichini, come quella Borghese; una villa, come quella d'Alessandro Albani, dove i bussi profondi, il granito rosso d'Oriente, il marmo bianco di Luni, le statue della Grecia, le pitture del Rinascimento, le memorie stesse del luogo componessero un incanto intorno a un qualche suo superbo amore. In casa della marchesa d'Ateleta sua cugina, sopra un albo di confessioni mondane, accanto alla domanda: " Che vorreste voi essere? >, egli aveva scritto " Principe romano ".
Giunto a Roma in sul finir di settembre del 1884, stabilм il suo home nel palazzo Zuccari alla Trinitа de' Monti, su quel dilettoso tepidario cattolico dove l'ombra dell'obelisco di Pio VI segna la fuga delle Ore. Passт tutto il mese di ottobre tra le cure degli addobbi; poi, quando le stanze furono ornate e pronte, ebbe nella nuova casa alcuni giorni d'invincibile tristezza. Era una estate di San Martino, una primavera de' morti, grave e soave, in cui Roma adagiavasi, tutta quanta d'oro come una cittа dell'Estremo Oriente, sotto un ciel quasi latteo, diafano come i cieli che si specchiano ne' mari australi.
Quel languore dell'aria e della luce, ove tutte le cose parevano quasi perdere la loro realitа e divenire immateriali, mettevano nel giovine una prostrazione infinita, un senso inesprimibile di scontento, di sconforto, di solitudine, di vacuitа, di nostalgia. Il malessere vago proveniva forse anche dalla mutazione del clima, delle abitudini, degli usi. L'anima converte in fenomeni psichici le impressioni dell'organismo mal definite, a quella guisa che il sogno trasforma secondo la sua natura gli incidenti del sonno.
Certo egli ora entrava in un novello stadio. – Avrebbe alfin trovato la donna e l'opera capaci d'impadronirsi del suo cuore e di divenire il suo scopo? – Non aveva dentro di sй la sicurezza della forza nй il presentimento della gloria o della felicitа. Tutto penetrato e imbevuto di arte, non aveva ancтra prodotto nessuna opera notevole. Avido d'amore e di piacere, non aveva ancуra interamente amato nй aveva ancor mai goduto ingenuamente. Torturato da un Ideale, non ne portava ancуra ben distinta in cima de' pensieri l'imagine. Aborrendo dal dolore per natura e per educazione, era vulnerabile in ogni parte, accessibile al dolore in ogni parte.
Nel tumulto delle inclinazioni contraddittorie egli aveva smarrito ogni volontа ed ogni moralitа. La volontа, abdicando, aveva ceduto lo scettro agli istinti; il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli manteneva nello spirito un certo equilibrio; cosм che si poteva dire che la sua vita fosse una continua lotta di forze contrarie chiusa ne' limiti d'un certo equilibrio. Gli uomini d'intelletto, educati al culto della Bellezza conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezion della Bellezza и, dirт cosм, l'asse del loro essere interiore, intorno al quale tutte le loro passioni gravitano.
In questa presentazione di Andrea Sperelli si possono cogliere gli aspetti piъ tipici dell'"eroe decadente". Per molti aspetti simile al Dorian Gray dм Oscar Wilde o al Des Esseintes di Huysmans, il protagonista del romanzo rivela un distacco aristocratico e snobistico dalle masse, una raffinata curiositа estetica, una predilezione per le cose insolite. La sua regola di vita и tutta basata su una forma di esasperato estetismo: "il senso estetico aveva sostituito il senso morale" e l'asse intorno al quale "gravitano" tutte le sue passioni и soltanto "la concezione della Bellezza". Il paragone fra due epoche storiche, o meglio fra due periodi artistici del passato (la Roma dei Cesari e la Roma dei Papi) chiarisce il gusto tutto decadente di Andrea Sperelli e la prospettiva dalla quale vengono presentati gli ambienti in cui si svolge l'azione del romanzo. La cittа di Roma non и mai colta nel suo vivere quotidiano e nella complessitа del suo tessuto sociale, ma come raccolta di opere d'arte. Anche quando l'azione si sposterа da Roma alla villa al mare di Schifanoja gli ambienti delimiteranno ancora una zona privilegiata, "quella aristocratica di Andrea Sperelli e delle persone che lo circondano, unica zona che puт essere attentamente osservata, anzi contemplata, e descritta, e che sola sembra avere diritto all'esistenza. Tutto il resto non esiste o si intravede come contrappunto negativo, come una realtа degradata che di tanto in tanto colpisce spiacevolmente per i suoi sfacciati suoni o per la sua brutalitа" (Fazio Alberti, 1978)
I morti di Dogali e la terza amante ideale (libro III, cap.3)
Il concerto incominciт con un Quartetto del Mendelssohn. La sala era giа quasi interamente occupata. L'uditorio componevasi, in massima parte, di dame straniere; ed era un uditorio biondo, pieno di modestia negli abiti, pieno di raccoglimento nelle attitudini, silenzioso e religioso come in un luogo pio. L'onda della musica passava su teste immobili, coperte di cappelli scuri, dilatandosi in una luce aurea, in una luce che fluiva dall'alto, temperata dalle tendine gialle, schiarita dalle pareti bianche e nude. E la vecchia sala dei Filarmonici, disadorna, dove appena rimaneva su l'egual candore qualche traccia d'un fregio e dove le misere portiere azzurre stavan per cadere, offriva imagine d'un luogo che fosse rimasto chiuso per un secolo e fosse stato riaperto proprio in quel giorno. Ma quel color di vecchiezza, quell'aria di povertа, quella nuditа delle pareti aggiungevano non so che strano sapore allo squisito diletto dell'udizione; e il diletto pareva piщ segreto, piщ alto, piщ puro lа dentro, per ragion d'un contrasto. Era il 2 di febbraio, un mercoledм: in Montecitorio, il Parlamento dispu tava per il fatto di Dogali; le vie e le piazze prossime rigurgitavano di popolo e di soldati.
I ricordi musicali di Schifanoja sorsero nello spirito de' due amanti; un riflesso di quell'autunno illuminт i loro pensieri. Al suono del Minuetto mendelssohniano si svolgeva la visione della villa maritima, della sala profumata dai giardini sottoposti, dove negli intercolunnii del vestibolo si levavano le cime dei cipressi, si scorgevano le vele di fiamma su un lembo di mare sereno.
Di tratto in tratto Andrea, chinandosi un poco verso la senese, le chiedeva piano: – Che pensate?
Ella rispondeva con un sorriso cosм tenue ch'egli appena giungeva a coglierlo.
– Vi ricordate del 23 settembre? – ella disse.
Andrea non aveva ben distinto nella memoria quel ricordo, ma assentм col capo. L'Andante calmo e solenne, dominato da un'alta melodia patetica, dopo estesi sviluppi aveva uno scoppio di dolore. Il Finale insisteva in una certa monotonia ritmica, piena di stanchezza.
Ella disse:
– Ora viene il vostro Bach.
E ambedue, quando la musica ricominciт, provarono un bisogno istintivo di riavvicinarsi. I loro gomiti si sfioravano. Alla fine d'ogni tempo, Andrea si chinava verso di lei per legger nel programma ch'ella teneva spiegato fra le mani; e, nell'atto, le premeva il braccio, sentiva l'odore delle viole, le comunicava un brivido di delizia. L'Adagio aveva una elevazion di canto cosм possente, saliva con tal volo alle sommitа dell'estasi, con tal piena sicurezza allargavasi nell'Infinito, che parve la voce d'una creatura sopraumana la quale effondesse nel ritmo il giubilo d'una sua conquista immortale. Tutti gli spiriti erano trascinati dall'onda irresistibile. Quando la musica cessт, lo stesso fremito degli strumenti durт qualche minuto nell'uditorio. Un susurro corse da un capo all'altro della sala. L'applauso irruppe, dopo l'indugio, piщ vivo.
I due si guardarono, con gli occhi alterati, come se si distaccassero dopo un amplesso d'insostenibile piacere. La musica continuava; la luce della sala diveniva piщ discreta; un tepor dilettoso addolciva l'aria; intiepidite, le violette di Donna Maria esalavano un profumo piщ forte. Andrea aveva quasi l'illusione d'essere solo con lei, poichй non vedeva d'innanzi a sй persone ch'egli conoscesse.
Ma s'ingannava. In un intervallo, volgendosi, vide Elena Muti diritta in fondo alla sala, accompagnata dalla principessa di Ferentino. Sщbito, il suo sguardo incontrт quel di lei. Da lontano, egli salutт. Gli parve di scorgere su le labbra di Elena un sorriso singolare.
– Chi salutate? – chiese Donna Maria, anche volgendosi. – Chi sono quelle signore?
– Lady Heathfield e la principessa di Ferentino.
Ella credй sentire nella voce di lui un turbamento.
– Qual и la Ferentino?
– La bionda.
– L'altra и molto bella.
Andrea tacque.
– Ma и una inglese? – ella soggiunse.
– No; и una romana; и la vedova del duca di Scerni, passata a Lord Heathfield in seconde nozze.
– E' molto bella.
Andrea domandт, con premura:
– Ora, che soneranno?
– Il Quartetto del Brahms, in do minore.
– Lo conoscete?
– No.
– Il secondo tempo и meraviglioso.
Per celare la sua inquietudine, egli parlava.
– Quando vi vedrт, ancуra?
– Non so.
– Domani?
Ella titubт. Pareva che le fosse discesa pel volto una lieve ombra. Rispose:
– Domani, se ci sarа sole, verrт con Delfina su la piazza di Spagna, verso mezzogiorno.
– E se il sole mancasse?
– Sabato sera, andrт dalla contessa Starnina...
La musica ricominciava. Il primo tempo esprimeva un lottar cupo e virile, pieno di vigore. La Romanza esprimeva un ricordarsi desioso ma assai triste, e quindi un sollevarsi lento, incerto, debole, verso un'alba assai lontana. Una chiara frase melodica si svolgeva con profonde modulazioni. Era un sentimento assai diverso da quel che animava l'Adagio del Bach; era piщ umano, piщ terreno, piщ elegiaco. Passava in quella musica un soffio di Ludovico Beethoven.
Andrea fu invaso da una cosм terribile ansia che temй di tradirsi. Tutta la dolcezza di prima gli si convertм in amarezza. Egli non aveva la conscienza esatta di questo suo nuovo sofferire; non sapeva raccogliersi nй dominarsi; ondeggiava perduto fra la duplice attrazion feminile e il fascino della musica, da nessuna delle tre forze penetrato; provava, dentro, un'impressione indefinibile, come d'un vuoto in cui risonassero di continuo grandi urti con un'eco dolorosa; e il suo pensiero si spezzava in mille frammenti, si sconnetteva, si disfaceva; e le due imagini feminili si sovrapponevano, si confondevano, si distruggevano a vicenda, senza ch'egli potesse giungere a separarle, senza ch'egli potesse giungere a definire il suo sentimento verso l'una, il suo sentimento verso l'altra. E a fior di questa torbida sofferenza interiore si muoveva l'inquietudine prodotta dalla immediata realitа, dalle preoccupazioni, dirт cosм, pratiche. Non gli sfuggiva un leggero cambiamento nell'attitudine di Donna Maria verso di lui; e credeva sentire lo sguardo di Elena assiduo e fisso; e non giungeva a trovare un modo di contenersi, non sapeva se dovesse accompagnar Donna Maria nell'uscir dalla sala o se dovesse avvicinarsi a Elena, nй sapeva se quel caso gli avrebbe giovato o nociuto presso l'una e l'altra.
– Io vado – disse Donna Maria levandosi, dopo la Romanza. – Non aspettate la fine?
– No; debbo essere a casa per le cinque. –Ricordatevi, domattina...
Ella gli tese la mano. Forse pel calore dell'aria chiusa, una lieve fiamma le avvivava la pallidezza. Un mantello di velluto, d'un color cupo di piombo, orlato d'una larga zona di chinchilla, le copriva tutta la persona; e tra la pelliccia cinerea le violette morivano squisitamente. Nell'uscire, ella camminava con sovrana eleganza, mentre qualcuna delle signore sedute volgevasi a guardarla. E per la prima volta Andrea vide in lei, nella donna spirituale, nella pura madonna senese, la dama di mondo.
Il Quartetto entrava nel terzo tempo. Poichй la luce diurna diminuiva, furono alzate le tendine gialle, come in una chiesa. Altre signore abbandonarono la sala. Sorgeva qua e lа qualche bisbiglio. Cominciavano nell'uditorio la stanchezza e la disattenzione, che son proprie della fine d'ogni concerto. Per uno di quei singolari fenomeni d'elasticitа e di volubilitа repentini, Andrea provт un senso di sollievo, quasi gaio. Egli perse ogni preoccupazion sentimentale e passionale, d'un tratto; e l'avventura di piacere apparve sola alla sua vanitа, alla sua viziositа, lucidamente. Egli pensт che Donna Maria, concedendogli quei convegni innocui, giа aveva messo il piede su la dolce china in fondo a cui и il peccato inevitabile anche per le anime piщ vigili: pensт che forse un po' di gelosia avrebbe potuto spingere Elena a ricadergli nelle braccia, e che quindi forse l'una avventura avrebbe aiutata l'altra; pensт che forse appunto un vago timore, un presentimento geloso avevano affrettato l'assenso di Donna Maria al prossimo convegno. Egli era dunque su la via di una duplice conquista; e sorrise notando che in ambedue le imprese la difficoltа si presentava sotto un medesimo aspetto. Egli doveva convertire in amanti due sorelle, cioи due che volevano presso di lui far profession di sorelle. Altre simiglianze fra i due casi egli notт, sorridendo. – Quella voce! Com'erano strani nella voce di Donna Maria gli accenti d'Elena! – Gli balenт un pensiero folle. – Quella voce poteva esser per lui l'elemento d'un'opera d'imaginazione: in virtщ d'una tale affinitа egli poteva fondere le due bellezze per possederne una terza imaginaria, piщ complessa, piщ perfetta, piщ vera perchй ideale...
Il terzo tempo, eseguito con impeccabile stile, finiva tra gli applausi. Andrea si levт; si avvicinт a Elena.
- Oh, Ugenta, dove siete stato fino ad ora? – gli disse la principessa di Ferentino.
– Au pays du Tendre?
– E quell'incognita? – gli disse Elena, con un'aria leggera, odorando un mazzo di viole tirato fuori dal manicotto di martora.
– E' una grande amica di mia cugina: Donna Maria Ferres y Capdevila, moglie del nuovo ministro di Guatemala – rispose Andrea, senza turbarsi. – Una bella creatura, assai fine. Era da Francesca, a Schifanoja, in settembre.
– E Francesca? – interruppe Elena. – Non sapete quando tornerа?
– Ho notizie sue, da San Remo, recenti. Ferdinando migliora. Ma temo ch'ella dovrа trattenersi lа qualche altro mese, forse piщ. Che peccato!
Il Quartetto entrava nell'ultimo tempo, molto breve. Elena e la Ferentino avevano occupato due sedie, in fondo, lungo la parete, sotto il pallido specchio dove si rifletteva la sala malinconica. Elena ascoltava, con la testa china, facendo scorrere tra le sue mani le estremitа d'un lucido boa di martora.
– Accompagnateci – ella disse, quando il concerto fu finito, allo Sperelli.
Montando in carrozza, dopo la Ferentino, ella disse:
– Montate anche voi. Lasciamo Eva al palazzo Fiano. Vi poso poi dove volete.
– Grazie.
Lo Sperelli accettт. Uscendo nel Corso, la carrozza fu costretta a procedere con lentezza perchй tutta la via era ingombra di gente in tumulto. Dalla piazza di Montecitorio, dalla piazza Colonna venivano clamori e si propagavano come uno strepito di flutti, aumentavano, cadevano, risorgevano, misti agli squilli delle trombe militari. La sedizione ingrossava, nella sera cinerea e fredda; l'orrore della strage lontana faceva urlare la plebe; uomini in corsa, agitando gran fasci di fogli, fendevano la calca; emergeva distinto su i clamori il nome d'Africa.
Per quattrocento bruti, morti brutalmente! – mormorт Andrea, ritirandosi dopo aver osservato allo sportello.
– Ma che dite? – esclamт la Ferentino.
Su l'angolo del palazzo Chigi il tumulto sembrava una zuffa. La carrozza fu costretta a fermarsi. Elena si chinт per guardare; il suo volto fuor dell'ombra illuminandosi al riflesso del fanale e alla luce del crepuscolo apparve d'una bianchezza quasi funeraria, d'una bianchezza gelida e un po' livida, che risvegliт in Andrea il ricordo vago d'una testa veduta – non sapeva piщ quando, non sapeva piщ dove – in una galleria, in una cappella.
– Eccoci – disse la principessa, poichй la carrozza era giunta finalmente al palazzo Fiano. – Addio dunque. Ci ritroveremo stasera dall'Angelieri. Addio, Ugenta. Venite domani a colazione da me? Troverete anche Elena, e la Viti e mio cugino.
– L'ora?
– Mezz'ora dopo mezzogiorno.
– Va bene. Grazie.
La principessa discese. Il servo aspettava un ordine.
– Dove volete ch'io vi porti? – domandт Elena allo Sperelli che le si era giа seduto accanto, nel posto dell'amica.
– Far, far away...
– Su via, dite: a casa vostra?
E senza aspettare altra risposta, ella ordinт:
– Trinitа de' Monti, palazzo Zuccari.
Il servo richiuse lo sportello. La carrozza si mosse al trotto, voltт per la via Frattina, lasciando dietro di sй la folla, le grida, i romori.
– Oh, Elena, dopo tanto... – proruppe Andrea, chinandosi a guardare la desiderata che s'era raccolta nell'ombra, in fondo, come schiva d'un contatto.
Il chiaror d'una vetrina, al passaggio, traversт l'ombra; ed egli vide che Elena sorrideva, bianca, d'un sorriso attirante.
Sempre cosм sorridendo, ella si tolse dal collo con un gesto agile il lungo boa di martora e lo gittт intorno al collo di lui, in guisa d'un laccio. Pareva facesse per gioco. Ma con quel morbido laccio, profumato del profumo medesimo che Andrea aveva sentito nella volpe azzurra, ella attirт il giovine; gli offerse le labbra, senza parlare.
Ambedue le bocche si ricordarono delle antiche mescolanze, di quelle congiunzioni terribili e soavi che duravano fino all'ambascia e davano al cuore la sensazione illusoria come d'un frutto molle e roscido che vi si sciogliesse. Per prolungare il sorso, contenevano il respiro. La carrozza dalla via dei Due Macelli salм per la via del Tritone, voltт nella via Sistina, si fermт al palazzo Zuccari.
Rapidamente, Elena respinse il giovine. Gli disse, con la voce un po' velata:
– Discendi. Addio.
– Quando verrai?
– Chi sa!
Il servo aprм lo sportello. Andrea discese. La carrozza voltт di nuovo, per riprendere la via Sistina. Andrea, tutto ancor vibrante, con gli occhi ancor fluttuanti in una nebbia torpida, guardava se apparisse dietro il vetro il volto di Elena; ma non vide nulla. La carrozza si allontanт.
Risalendo le scale, egli pensava: – Alfine, ella si converte! – Gli rimaneva nel capo quasi un vapore d'ebrezza, gli rimaneva nella bocca il gusto del bacio, gli rimaneva nella pupilla il balen del sorriso con cui Elena gli aveva gittato al collo quella specie di serpe rilucente e aulente. – E Donna Maria? – Egli, certo, doveva alla senese l'inaspettata voluttа. Senz'alcun dubbio, in fondo all'atto strano e fantastico di Elena era un principio di gelosia. Temendo forse ch'egli le sfuggisse, ella aveva voluto legarlo, adescarlo, accendergli di nuovo la sete. – Mi ama? Non mi ama? – E che importava a lui saperlo? Che gli giovava? Ormai l'incanto era rotto. Nessun prodigio mai avrebbe potuto risuscitare sol una minima parte della felicitа morta. Conveniva a lui occuparsi della carne che era ancуra divina.
Si compiacque a lungo nel considerar l'avventura. Si compiacque, in ispecie, della maniera elegante e singolare con cui Elena aveva dato sapore al capriccio. E l'imagine del boa suscitт l'imagine della treccia di Donna Maria, suscitт in confuso tutti gli amorosi sogni da lui sognati intorno a quella vasta capellatura vergine che un tempo faceva languir d'amore le educande nel monastero fiorentino. Di nuovo, egli mescolт i due desiderii; vagheggiт la duplicitа del godimento; travide la terza Amante ideale.
Entrava in una disposizion di spirito riflessiva. Vestendosi per il pranzo, ripensava: – Ieri, una grande scena di passione, quasi con lacrime; oggi una piccola scena muta di sensualitа. E a me pareva ieri d'essere sincero nel sentimento, come io era dianzi sincero nella sensazione. Inoltre, oggi stesso, un'ora prima del bacio d'Elena, io avevo avuto un alto momento lirico accanto a Donna Maria. Di tutto questo non riman traccia. Domani certo, ricomincerт. Io sono camaleontico, chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unitа riuscirа sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge и in una parola: NUNC. Sia fatta la volontа della legge.
Rise di sй medesimo. E da quell'ora ebbe principio la nuova fase della sua miseria morale.
I1 brano и caratterizzato dal netto contrasto tra quello che succede all'esterno (manifestazioni davanti al Parlamento in seguito ai fatti di Dogali dove pochi giorni prima sono stati uccisi piщ di cinquecento soldati italiani) e il mondo di Andrea Sperelli. Il contrasto tra l'esterno della folla manifestante e l'interno della sala dei Filarmonici dove Andrea Sperelli и ad un concerto insieme a Maria Ferres, rende " piщ segreto, piщ alto, piщ puro " il godimento dell'esteta e quando in strada la folla costringe la carrozza a rallentare Andrea Sperelli и solo infastidito dalla " plebe " che fa tanto clamore " per quattrocento bruti, morti brutalmente ". La distanza tra i due mondi и ulteriormente accentuata dalle pagine seguenti dove Andrea continua, chiusa la fastidiosa parentesi, a meditare su Elena e su Maria e intravede la possibilitа della " terza amante Ideale " che unisca in sй la sensualitа raffinata di Elena e la pura spiritualitа di Maria. (Fazio Alberti, 1978)

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