Ungaretti e Quasimodo

Materie:Tesina
Categoria:Letteratura Italiana
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Testo


Giuseppe Ungaretti è considerato il fondatore dell' Ermetismo corrente letteraria che si diffonde in Italia più o meno a partire dagli anni Venti e che tanto peso avrà sulla poesia italiana successiva. In sintesi si può dire che, pur con mille aspetti e soluzioni diverse, gli ermetici cercano di restituire al linguaggio della poesia una sua dimensione essenziale, scabra, talvolta volutamente oscura (di qui il termine) al fine di restituire alla parola abusata verginità e novità. Così riscattate le parole tornano a essere specchio della realtà e consentono all'uomo di percepire l'inesprimibile sostanza di quel mondo apparentemente privo di senso che lo circonda. Strumento tecnico fondamentale per gli ermetici è l'analogia, intesa però in un senso tutto particolare ben spiegato dallo stesso Ungaretti: "il poeta d'oggi cercherà di mettere a contatto immagini lontane, senza fili". Vale a dire che, abolendo il come che introduce il rapporto tra le cose paragonate, l'analogia diventa più sintetica e oscura, ma per questo più efficace. L'essenzialità della poesia ermetica è poi da mettere in diretta relazione con il contenuto; le scelte di stile, infatti, non sono mai dettate dal caso. I poeti ermetici sono accomunati da un male di vivere che, pur essendo diverso nella concreta esperienza di ciascuno, li accomuna tutti nel pessimismo sulle possibilità dell'uomo e persino della stessa poesia. In assenza di certezze da cantare a gola spiegata, gli ermetici rifiutano dunque i moduli espressivi tradizionali sulla base di una precisa scelta etica, dalla quale discendono poi le novità di stile.
Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori italiani. Nel 1912 si trasferisce a Parigi, dove si laurea alla Sorbona e frequenta gli ambienti dell'avanguardia artistica. Allo scoppio della guerra il poeta, fervido interventista, si arruola e va a combattere sul Carso e poi sul fronte francese. Rientrato in Italia nel 1921, si impiega al Ministero degli Esteri e aderisce al fascismo (Mussolini firma la presentazione di una sua raccolta). Nel 1936 va a San Paolo in Brasile, dove insegna all'università. Durante il soggiorno brasiliano, nel '39, muore il figlio Antonietto di nove anni. Nel '42 è di nuovo in Italia, a Roma, e si dedica sempre all'insegnamento universitario. La sua fama di poeta, che si era consolidata già a partire dagli anni Venti, cresce col passare del tempo, e sempre nuovi poeti si rifanno alla sua lezione. Muore a Milano nel 1970; l'anno prima era uscita l'edizione completa della sue poesie col titolo "Vita di un uomo".
Per illustrare brevemente la poetica di Ungaretti possiamo partire proprio da quest' ultimo titolo: "Vita di un uomo". Poesia e biografia sono infatti per Ungaretti strettamente legate, tanto che sono proprio le esperienze di vita a determinare alcune precise scelte di stile e contenuto assolutamente innovative per la poesia italiana. La prima, e fondamentale, è l'esperienza di soldato. Sepolto in trincea tra fango, pioggia, topi e compagni moribondi, il giovane poeta scopre una nuova dimensione della vita e della sofferenza che gli sembra imporre, per poter essere descritta, la ricerca di nuovi mezzi espressivi. Nasce così la raccolta Allegria di naufragi (in seguito ripubblicata sotto il nome di Allegria), nella quale il lavoro di scavo comincia, come si è visto, dalla parola. Dall'analisi delle proprie emozioni Ungaretti trae enunciazioni essenziali e fulminee che comportano la distruzione della metrica tradizionale: i versi vengono spezzati e ridotti talvolta a singole parole; queste ultime si stagliano isolate, o accostate tra loro con lo strumento dell'analogia, senza punteggiatura, intervallate da spazi bianchi che assumono a loro volta un preciso significato. Una poesia, dunque, che per dare il meglio di se deve essere recitata, come magistralmente faceva l'autore stesso, o almeno pensata ad alta voce.
La successiva raccolta "Sentimento del tempo", del 1933, presenta un'evoluzione nella poetica di Ungaretti. Gli spunti autobiografici, così numerosi nell'Allegria di naufragi, diminuiscono lasciando posto a una riflessione più esistenziale. Inizia qui il tormentato recupero della fede, la quale può forse rappresentare per l'uomo smarrito un'ancora di certezze. Il cammino, tuttavia, non è lineare e non mancano situazioni di conflitto tra il sentimento religioso e le esperienze dolorose nella storia del singolo o della comunità. Parallelamente a questi cambiamenti tematici ne avvengono altri a livello stilistico: in particolare il recupero di una metrica più tradizionale, rinnovata però dal precedente lavoro di scoperta della parola.
Ne “Il dolore”, raccolta del 1947, la biografia irrompe nuovamente nella poesia in seguito alla tragica morte del figlio Antonietto, cui sono dedicate le liriche della prima parte; nella seconda parte, invece, Ungaretti si sofferma sulle vicende drammatiche della guerra. C'è dunque un rapporto tra le due sezioni: il dolore individuale e quello collettivo danno la misura di un cammino umano segnato dalla sofferenza e dalla difficile riconquista della fede negli imperscrutabili disegni divini. E tra questi due piani, quello personale celebrato nel Dolore e quello corale, collettivo, che ha trovato le sue più alte espressioni nel Sentimento del tempo, si muove tutta la successiva produzione di Ungaretti.

LE POESIE
TUTTO HO PERDUTO
Tutto ho perduto dell’infanzia
e non potrò mai più
smemorarmi in un grido.
L’infanzia ho sotterrato
nel fondo delle notti
e ora, spada invisibile,
mi separa da tutto.
Di me rammento che esultavo amandoti,
ed eccomi perduto
in infinito delle notti.
Disperazione che incessante aumenta
la vita non mi è più
arrestata in fondo alla gola,
che una roccia di gridi.
Commento
La lirica apre Il dolore che ne è il frontespizio. Sebbene i versi siano volti alla trepida rievocazione dei lutti domestici, in realtà non ricordano che la perdita dell’infanzia. Persino il labile accenno alla scomparsa del fratello si configura come venir meno dell’ultimo “testimone” e perciò evocatore dell’infanzia. La storia entra dunque nella poesia di Ungaretti come perdita dell’infanzia: essa diviene ora la “spada invisibile”, il diaframma che separa dal presente e insieme dal paradiso perduto. Ecco perché la storia non è che la coscienza della privazione, l’allegoria dell’impotenza quale la metafora “roccia di gridi”.
Privata della sua reversibilità alle origini, del suo ritorno all’infanzia, la vita rimane disperante progressione e crescita di assenze: “Disperazione che incessante aumenta”.
Sotto forma di una confessione autobiografica, il poeta denuncia subito la perdita dell’infanzia, o meglio di tutto ciò che ne costituiva l’essenza. Il discorso riguarda, in particolare, il ruolo della memoria, che porta dentro di sé i ricordi dolorosi della vita; l’infanzia, invece, non ha memoria, in quanto vive unicamente in un rapporto spontaneo e felice con la realtà del presente, senza preoccuparsi del passato. “Smemorarsi” significava allora perdere il peso di un passato doloroso e tornare alla fanciullezza felice, di cui è simbolo il , elemento vitalistico e gioioso, che diventa strumento di liberazione. Su questa base si costruisce il percorso analogico della poesia, nel rapporto che la ripresa nel termine stabilisce fra la prima e l’ultima strofa. Sul piano dell’immagine, i che non possono più uscire, si sedimentano e si rapprendono trasformandosi in una dura e impenetrabile . In questa parola si concretizza la disperazione del poeta, che, nel suo crescere incessante, ha orami privato la vita di ogni speranza. Sotterrando l’infanzia, Ungaretti ha perduto se stesso; non resta che il buio della morte, dilatato a dismisura dalla ripresa nel “fondo” e nell’ “infinito” delle notti.
IL PORTO SEPOLTO

Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce
con i suoi canti
e li disperde.
Di questa poesia
mi resta quel nulla
d’ inesauribile segreto.
Commento
Il componimento, che dava il titolo alla prima raccolta di Ungaretti, assume una particolare importanza per intendere l’ idea di poesia che ne e’ alla base. Il titolo “Il porto Sepolto” si riferisce ad un porto sommerso di una città appena scoperto che risaliva prima delle conquiste di Alessandro e della dinastia dei Tolomei. Della città dalla quale veniva quel porto non si conosceva nulla. La scoperta del porto venne riferita al diciassettenne Ungaretti da due ingegneri francesi.
Tale porto rappresenta l’ essenza della poesia, il suo mistero nascosto. Il primo verso allude ad una sorta di immersione rituale e purificatrice nelle acque. A tale immersione segue la risalita alla superficie inteso come quasi un gesto di resurrezione e di gioiosa rinascita, in cui la poesia, strappata dalla profondità del mare, viene sparsa nell’ atmosfera luminosa della terra.
Il “nulla” può essere considerato l’ equivalente del mare dove i poeti usano naufragare. Lo stesso nulla e’ seguito dall’ “inesauribile segreto” cioè il mistero profondo della vita, che, toccando le radici dell’ essere, non ha ne’ inizio ne’ fine e coincide con l’ infinito.
Come i ricercatori ed archeologi non potranno mai sapere di più su quella città misteriosa, se non il porto appena scoperto, così i lettori non potranno mai sapere le vere emozioni del poeta e le sue sensazioni che albergano all’ interno del suo animo, se non quelle citate nelle sue poesie.
SOLDATI
Si sta come
d’ autunno
sugli alberi
le foglie.
Commento
In questa poesia viene colta e dichiarata, per mezzo di una similitudine, la condizione labile, sospesa e minacciata dei soldati durante uno scontro a fuoco. La scelta di un’ immagine tradizionale come quella di una foglia che in autunno sta per staccarsi dal ramo e’ riscattata grazie alla fulminea incisività del componimento ed alla valorizzazione dei singoli elementi per mezzo dei brevissimi versi. Come in altri casi, il titolo e’ decisivo per la decifrazione del senso, tema, significato e contenuti del testo poetico. La vita dei soldati e’ in una condizione labile somigliante a quella, altrettanta incerta e minacciata, delle foglie, che, in particolar modo in autunno, corrono maggiormente il rischio di cadere.
NON GRIDATE PIU’
Cessate d’ uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.
Hanno l’ impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’ erba,
lieta dove non passa l’ uomo.
Commento
Il testo che segue e’ ispirato alla tragedia della guerra. Il poeta si rivolge ad i superstiti, invitandoli a rispettare il sacrificio di quelli che sono morti, senza lasciarsi ancora sopraffare dagli odii e dagli interessi di parte. Alla violenza scomposta dei vivi si contrappone la lezione difficile da dire ma decisiva dei morti. Il significato del testo è affidato soprattutto ad una serie di equivalenze paradossali: ai morti corrisponde il possesso di un messaggio vitale ed autentico, comunicato con la massima discrezione e rappresentato dalla similitudine dell’ erba; la morte e’ vista come un qualcosa che, dopo tanti travagli vissuti, libera l’ animo umano conferendogli pace interiore eterna. Ai vivi corrisponde invece la violenza invadente della distruzione, della morte e della sete di potere.

SAN MARTINO DEL CARSO
Di queste case
non mi e’ rimasto
che qualche
brandello di muro.
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto.
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E’ il mio cuore
il paese più straziato.
Commento
Dalla visione realistica di un paese distrutto dalla guerra, il poeta passa alla riflessione sulla fine di persone che gli erano care. Secondo uno slittamento metaforico progressivo tipico di Ungaretti e della tradizione simbolista, il cuore diventa sia il cimitero posto a testimonianza dei valori andati perduti, sia il luogo più sconvolto dalla distruzione stessa. Da un lato c’ e’ il consueto corrispondersi tra paesaggio ed interiorità; dall’ altro l’ interiorità del poeta assume su di se il compito di restituire alla distruzione una disperata armonia.
MATTINA
M’ illumino
d’ immenso.

Commento
Testo tra i più famosi di Ungaretti. Vi sono riportati alle estreme conseguenze i principi della sua poetica: la concentrazione del significato coincide con la creazione di un alone di indefinitezza e di mistero. La comprensione di questo testo richiede di soffermarsi sulla particolare valenza del titolo, indispensabile per l’ interpretazione corretta del significato: lo splendore del sole sorto da poco trasmette al poeta una sensazione di luminosità che provoca immediate sensazioni interiori, in particolar modo il sentimento della vastità. L’ idea dell’ infinita grandezza lo colpisce in sottoforma di luce mattutina. La sensazione fisica, legata al dato naturale della mattina, diviene immediatamente un sentimento interiore con rapido scambio alogico tra sensazione e pensiero. Il tema principale e’ la ricerca dell’ infinito assoluto che il poeta cerca di raggiungere. Assai significativo e’ inoltre il rapporto tra gli opposti: infinito e finito, contingente e necessario, mortalità ed immortalità.

VEGLIA
Un’ intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’ amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Commento
Questa e’ una delle poesie più forti dell’ Allegria. Il poeta resta lungamente accanto al cadavere di un compagno fino quasi a condividerne l’ esperienza della morte; e nondimeno rovescia e riscatta la tragica condizione attraverso un intenso atto vitale: scrivere lettere colme d’ amore. L’ attaccamento alla vita affermato nella conclusione è l’ espressione in qualche modo religiosa di una assunzione, nell’ esistenza del sopravvissuto, della vitalità del morto. Il vedere la morte da vicino scaturisce un indescrivibile attaccamento alla vita.

Fra 1925 e il 1935 prevale un movimento poetico detto Ermetismo il cui massimo esponente è Salvatore Quasimodo. Egli nasce a Modica in provincia di Ragusa in Sicilia nel 1901. Nel 1908 si trasferisce col padre a Messina; segue gli studi tecnici a Palermo e nel 1919 va a Roma per studiare ingegneria. Nel 1929 va a vivere a Firenze su invito di alcuni amici legati all’ambiente della rivista “Solaria” sulla quale nel 1930 pubblica le prime poesie. Nello stesso anno esordisce con la raccolta “acque e terre”. Nel 1932 esce l’oboe sommerso. Ma il lavoro lo costringe a vari spostamenti finché si stabilisce a Milano, ove riesce a trovare un’attività stabile come giornalista. Nel 1942 esce “ed è subito sera” che raccoglie tutta la produzione precedente; in seguito pubblicherà dopo alcuni anni “giorno dopo giorno”, “la vita non è un sogno”, “il falso e il vero verde”, “la terra impareggiabile”, “dare ed avere”. Nel 1959 gli viene assegnato il primo Nobel per la letteratura; muore nove anni dopo a Napoli. Legato prima al clima della letteratura ermetica degli anni trenta e poi a quello dell’impegno neo-realistico, Quasimodo resta in sostanza sempre fedele ad una concezione della poesia come momento di sintesi delle contraddizioni e come punto di vista superiore e privilegiato. Si nota indubbiamente a partire dalla raccolta “giorno dopo giorno” il passaggio a una poesia che è esplicitamente ideologico e politica, ma resta costante lo sforzo di utilizzare un linguaggio classico e letterario monarcato dalla tradizione senza arrivare a scelte espressive estreme. Piuttosto vi è la ricerca di un tono leggero e musicale insieme intenso ed evocativo, che in qualche modo sfugga a caratteri storicamente determinati; la sua lingua musicale è estranea dalla storia.
Il presupposto è comunque che la poesia consenta una specie di distacco dalla realtà, una innocenza originaria, un non coinvolgimento del quotidiano. La parola del poeta si sottrae alla storia e alla società, e si colloca in una dimensione assoluta: il distacco si esprime come purezza e sublimazione nella prima fase della produzione di Quasimodo, anche come possibilità di giudizio e di critica nella seconda fase. Ma la separazione tra la realtà ed espressione poetica resta incolmabile.
La vocazione più sincera del poeta è alla contemplazione e alla descrizione che esclude però in genere riferimenti puntuali alle cose: prevale la tendenza all’astrazione e alla mitizzazione secondo l’insegnamento ermetico. Ciò in particolar modo vero nel paesaggio Siciliano che ritorna di continuo nella produzione giovanile, guardato come dimensione favolosa ed irreale e come scenario di tipo prevalentemente esistenziale.
Quasimodo sembrava esasperare con la sua desolazione certi atteggiamenti di negazione proprio di Montale, sebbene la sua desolata visione del mondo fosse superata qua e là da un vivo senso di comunicazione con l’universo.
Una fase di transizione ma anche di evidente sviluppo e di approfondimento dei motivi di ispirazione e del travaglio stilistico segno la raccolta “oboe sommerso ove”, se si approfondisce e si accentua, non senza incertezze e contraddizioni, la ricerca di motivi interiori, il linguaggio si complica spesso cadendo in oscurità ma talvolta rivelando squisite e larghe possibilità espressive.
Ma il più limpido e maturo equilibrio poetico fu raggiunto da Quasimodo dopo il 1940: egli ha toccato i più alti livelli della sua arte, liberandosi di quanto potesse essere oscuro ed ambiguo nel suo linguaggio e schiarendo la propria ispirazione, fino ad allargarla a visione commossa della vicenda umana, della comune sofferenza e della paura mai disgiunta dal supremo conforto della fraterna compassione.
LE POESIE
ED E’ SUBITO SERA
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed e’ subito sera.
Commento
E’ una lirica che, nella sua essenziale brevità, bene esemplifica le intenzioni ed i risultati della ricerca ermetica: la concisione estrema dell’ espressione, il significato profondo della parola, la problematica interiore ed esistenziale. Il primo verso esprime la solitudine dell’ uomo, che pure si trova “sul cuor della terra” e quindi al centro delle cose (il termine indica il pulsare della vita, da cui scaturiscono i sentimenti, le emozioni, gli affetti). Da tali elementi sprigiona una contraddizione che si ripercuote su “trafitto”, il cui significato racchiude in se una profonda ambivalenza: il raggio di sole che colpisce l’ uomo, e’ simbolo di luce, di calore, di vita: ma “trafitto” implica soprattutto il significato di ferito, trasformando il raggio in una specie di dardo portatore di morte. E’ questa l’ impressione destinata a prevalere dopo la lettura dell’ ultimo verso, che registra l’ improvviso sopraggiungere della sera ossia la fine.
Nel brevissimo giro del discorso poetico sono condensati i motivi di una desolata solitudine, della precarietà della vita e dello sfiorire delle illusioni, dell’ infinito e della morte. Al tentativo di cogliere un frammento di verità attraverso una folgorante illuminazione, Quasimodo sostituisce qui una sintetica riflessione sulle condizione umana, offrendone per così dire una definizione poetico-filosofica.
ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
tra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese:
oscillavano lievi al triste vento.
Commento
La poesia si apre con una lunga domanda, accorata ed angosciosa, sul suo significato in un mondo sconvolto e distrutto dalla guerra, oppresso e soffocato. La risposta suona negativamente negli ultimi tre versi, in cui il silenzio del poeta traduce lo strazio dell’uomo e la protesta contro le atrocità commesse. A differenza della fase precedente, in cui la poesia mirava a cogliere l’essenza delle cose o si proponeva come esperienza puramente individuale, Quasimodo utilizza qui la prima persona plurale, a conferma di una nuova direzione dell’esercizio poetico, che riscopre i valori della solidarietà collettiva e si apre verso la storia.
Il discorso si sviluppa in forme più comunicative, insieme drammatiche e composte nel loro misurato rigore. Un sentimento di commozione religiosa pervade questi versi; di qui il carattere meditativo è solenne che assume lo stesso orrore, mescolando al presente immagini di sacrificio e martirio. Ma il dolore è impotente e la poesia non può offrire che il silenzio, nell’immagine delle cetre che oscillano alle fronde dei salici, alberi rappresentanti pianto e dolore.
GIORNO DOPO GIORNO
Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue
e l’ oro. Vi riconosco, miei simili, mostri
della terra. Al vostro morso è caduta la pietà
e la croce gentile ci ha lasciati.
E più non posso tornare nel mio eliso.
Alzeremo tombe in riva al mare, sui campi dilaniati,
ma non uno dei sarcofaghi che segnano gli eroi.
Con noi la morte ha più volte giocato:
s’udiva nell’aria un battere monotono di foglie
come nella brughiera se al vento di scirocco
la folaga palustre sale sulla nube.
Commento
All’ inizio della poesia con tono assai lento e triste, Quasimodo mostra tutto il suo odio per quelle persone, da lui chiamate “mostri della terra” che con la guerra e gli atti di violenza cercano di placare la loro sete di potere e di ricchezze. A causa di questi “mostri” la pietà, afferma il poeta, non e’ più sulla terra e sempre più saranno le tombe dei morti ad essere alzate in riva al mare. Gli ultimi tre versi costituiscono una grossa analogia attraverso la quale il poeta designa implicitamente i concetti di desolazione, monotonia, tristezza, morte.
DOVE MORTI STANNO AD OCCHI APERTI
Seguiremo case silenziose
dove morti stanno ad occhi aperti
e bambini già adulti
nel riso che li attrista
e fronde battono a vetri taciti
a mezzo delle notti
Avremo voci di morti anche noi
se pure fummo vivi talvolta
o il cuore delle selve e la montagna,
che ci sospinse ai fiumi,
non ci volle altro che sogni.
Commento
Da una lettura attenta di questa poesia si evince la grande malinconia e freddezza del poeta nel raccontarci di case silenziose senza gioia delle persone che vi abitano, di bambini tristi la cui infanzia non è mai esistita e del morale di coloro che hanno assistito alle atrocità della guerra. Da un ‘ importante analogia, nel quinto e sesto verso, si evince che il poeta volesse implicitamente esprimere quelle sensazioni tetre, cupe e nondimeno impaurite e simili conseguenze scaturite da una vita colma di incertezze paura e terrore.
UOMO DEL MIO TEMPO
Sei ancora quello delle pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
- t’ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
. E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Commento
La storia e il progresso non sono riusciti a cambiare l’uomo. Egli è ancora, sotto certi aspetti, quello primitivo, quello delle caverne: la stessa violenza irrazionale e assassina guida le sue azioni. Rispetto all’uomo primitivo ha solo inventato strumenti di distruzione e di sangue più efficienti, più efficaci, più sofisticati, più "intelligenti". La follia dell’ uomo di oggi persiste ancora. A chiusura del testo il poeta invita i giovani a non continuare a scrivere, come i loro padri, pagine di discordie, di morti, di crudeltà, ma di impegnarsi per costruire un mondo nuovo ove possa albergare pace, serenità e amore. La lirica è costituita da un’unica strofe; i versi sono liberi, di varia misura, la costruzione sintattica segue le regole grammaticali, le parole sono accalorate, vibranti, accorate, in particolar modo quelle adoperate nei versi quattordicesimo e quindicesimo, con le quali il poeta invita i giovani a dimenticare gli errori dei loro padri, per costruire un mondo nuovo fondato sulla fratellanza, la pace, la democrazia. Le parole tratte dal gergo (ambito militare e scientifico) sono tre: carlinga, meridiane, scienza esatta. Le immagini crude e realistiche sono evidenziate nelle seguenti espressioni: “quello della pietra e della fionda”; “Eri nella carlinga”, “dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura”; “quando il fratello disse al fratello: andiamo ai campi”, “ gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore”.
A partire dal settimo verso, il tono si fa incalzante, la tensione cresce, per quell’ odore di sangue che fuoriesce dalla memoria di tanti delitti; le immagini diventano macabre e feroci.
Le figure retoriche adoperate sono le metafore e le analogie.
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Esempio



  


  1. maria

    articoli di giornale sui poeti e artisti di fronte alla guerra ungaretti (veglia)i e montale (alle fonde del salice)

  2. martina

    elegia di salvatore quasimodo

  3. Maria

    commento alla poesia "Elegia" di Salvatore Quasimodo