Ulisse

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Italiana

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Testo

Omero -- Odissea
Il proemio
" Narrami, o Musa, dell’eroe multiforme che tanto
vagт, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia:
di molti uomini vide le cittа e conobbe i pensieri,
per acquistare a sй la vita e il ritorno ai compagni.
Ma i compagni neanche cosм li salvт, pur volendo:
con la loro empietа si perdettero,
stolti, che mangiarono i buoi del Sole
Iperione: ad essi egli tolse il dм del ritorno.
Racconta qualcosa anche a noi, o dea figlia di Zeus. "
canto XXVI divina commedia
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciт a crollarsi mormorando
pur come quella cui vento affatica;
indi la cima qua e lа menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittт voce di fuori, e disse: «Quando
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me piщ d’un anno lа presso a Gaeta,
prima che sм Enea la nomasse,
nй dolcezza di figlio, nй la pieta
del vecchio padre, nй ’l debito amore
lo qual dovea Penelopй far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
La punta piщ alta dell'antica fiamma
cominciт a scuotersi mormorando,
proprio come quella fiamma che il vento agita;
quindi, scuotendo la cima di qua e di lа,
come se fosse la lingua che parlasse,
tirт fuori la voce e disse: "Quando
me ne andai via da Circe, che mi costrinse
piщ di un anno a Gaeta,
prima che Enea la chiamasse cosм,
nи la tenerezza per mio figlio, nи il rispetto
verso il mio vecchio padre, nи l'amore dovuto,
il quale doveva far felice Penelope,
riuscirono a vincere dentro di me il desiderio
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnт li suoi riguardi,
acciт che l’uom piщ oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra giа m’avea lasciata Setta.
"O frati", dissi "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’и del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
che io ebbi di diventare esperto del mondo
e dei vizi e delle virtщ degli uomini;
ma mi misi in viaggio per il profondo mare aperto
solo con una nave e con quella piccola compagnia
dalla quale non ero stato abbandonato.
Vidi l'una e l'altra sponda fino alla Spagna,
fino al Marocco e la Sardegna,
e le altre isole bagnate da quel mare.
Io e i miei compagni eravamo vecchi e lenti
quando giungemmo a quello stretto punto di passaggio dove Ercole pose i suoi confini,
affinchй nessuno andasse oltre;
mi lasciai a destra Siviglia,
dall'altra parte mi aveva giа lasciato Ceuta.
"O compagni" dissi "che per numerosi pericoli siete giunti all'occidente,
a questa tanto piccola veglia
dei nostri sensi che ci rimane
non negate la conoscenza,
del mondo disabitato che sta dietro al sole.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
Li miei compagni fec’io sм aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Tutte le stelle giа de l’altro polo
vedea la notte e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornт in pianto,
chй de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fй girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giщ, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso
Considerate la vostra origine:
non foste creati per vivere come bestie,
ma per comportarsi virtuosamente e ed inseguire la conoscenza".
Io resi i miei compagni cosм desiderosi,
con questa orazione spicciola, del viaggio,
che dopo li avrei trattenuti a fatica;
e rivolta la nostra poppa verso oriente,
facemmo dei remi le ali per il volo folle,
procedendo sempre piщ a sinistra.
Giа tutte le stelle dell'altro polo
si vedevano di notte, e il nostro era tanto basso,
che non emergeva dalla superficie del mare.
La luce della faccia inferiore della luna si era accesa cinque volte e spenta altrettante
da quando avevamo oltrepassato il difficile stretto,
quando ci apparve una montagna, oscura
per la distanza, e mi sembrт tanto alta
come non avevo mai vista alcuna.
Noi ci rallegrammo, ma presto la nostra gioia fu tramutata in pianto, poichй dalla terra nuova sorse un turbine e colpм la parte davanti della nave.
Il turbine la fece girare insieme alle acque per tre volte;alla quarta fece alzar la poppa in su
e la prua in giщ, come sembrт giusto ad altri,
fino a che il mare fu richiuso sopra di noi"
U.FOSCOLO -- A ZACINTO
Nй piщ mai toccherт le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantт fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciт la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
A.TENNYSON -- ULISSE
Re neghittoso alla vampa del mio focolare tranquillo
star, con antica consorte, tra sterili rocce, non giova
e misurare e pesare le leggi ineguali a selvaggia
gente che ammucchia, che dorme, che mangia e che non mi conosce.
Starmi non posso dall’errar mio: vuт bere la vita
sino alla feccia.Per tutto il mio tempo ho molto gioito,
molto sofferto, e con quelli che in cuor mi amarono, e solo;
tanto sull’arida terra, che quando tra rapidi nembi
l’Iadi piovorne travagliano il mare velato di brume.
Nome acquistai, chй sempre errando con avido cuore
molte cittа vidi io, molti uomini, e seppi la mente
loro, e la mia non il meno; ond’ero nel cuore di tutti:
e di lontane battaglie coi pari io bevvi la gioia,
lа nel pianoro sonoro di Troia battuta dal vento.
Ciт che incontrai nella mia strada,ora ne sono una parte.
Pur,ciт ch’io vidi и l’arcata che s’apre sul nuovo:
sempre ne fuggono i margini via, man mano che inoltro.
Stupida cosa il fermarsi,il conoscersi un fine, il restare
sotto la ruggine opachi nи splendere piщ nell’attrito.
Come se il vivere sia quest’alito!vita su vita
poco sarebbe,ed a me d’una, ora,un attimo resta.
Pure, и un attimo tolto all’eterno silenzio, ed ancora
porta con sи nuove opere, e indegna sarebbe,per qualche
due o tre anni,riporre me stesso con l’anima esperta
ch’arde e desмa di seguir conoscenza:la stella che cade
oltre il confine del cielo,di lа dell’umano pensiero.
Ecco mio figlio, Telemaco mio, cui ed isola e scettro
lascio; che molto io amo; ceh sa quest’opera, accorto,
compiere; mansuefare una gente selvatica, adagio,
dolce, e cosм via via sottometterla all’inutile e al bene.
Irreprensibile egli и, ben nel mezzo ai doveri,
pio, che non mai mancherа nelle tenere usanze, e nel dare
il convenevole culto agli dei della nostra famiglia,
quando non sia qui io: il suo compito e’ compie; io, il mio.
Eccolo il porto, laggiщ: nel vascello si gonfia la vela:
ampio nell’oscuritа si rammarica il mare. Compagni
cuori ch’avete con me tollerato, penato, pensato,
voi che accoglieste, ogni ora, con gaio ed uguale saluto
tanto la folgore, quanto il sereno, che liberi cuori,
liberi fronti opponeste: oh! Noi siam vecchi, conpagni;
pur la vecchiezza anch’ella ha il pregio, ha il compito: tutto
chiude la Morte; ma puт qualche opera compiersi prima
D’uomini degna che giа combatterono a prova coi Numi!
Giа da’ tuguri sui picchi le luci balenano: il lungo
giorno dilegua, al luna insensibile monta; l’abisso
geme e sussurra all’intorno le mille sue luci. Venite:
tardi non и per coloro che cercano un mondo novello.
Uomini, al largo, e sedendovi in ordine, i solchi sonori
via percotete: ho fermo nel cuore passare il tramonto
ed il lavacro degli astri di lа: fin ch’abbia la morte.
Forse и destino che i gorghi del mare ci affondino; forse,
nostro destino и toccar quelle isole della Fortuna,
dove vedremo l’a noi giа noto, magnanimo Achille.
Molto perdemmo, ma molto ci resta: non siamo la forza
piщ che nei giorni lontani moveva la terra ed il cielo:
noi, s’и quello che s’и: una tempera d’eroici cuori,
sempre la stessa: affraliti dal tempo e dal fato, ma duri
sempre in lottare e cercare e trovare nй cedere mai.
G.PASCOLI -- ULTIMO VIAGGIO DI ULISSE
E la corrente tacita e soave
piщ sempre avanti sospingea la nave.
E il vecchio vide che le due Sirene,
le ciglia alzate su le due pupille,
avanti sи miravano, nel sole
fisse, od in lui, nella sua nave nera.
E su la calma immobile del mare,
alta e sicura egli inalzт la voce.
"Son io! Son io, che torno per sapere!
Chи molto io vidi, come voi vedete
me. Sм; ma tutto ch’io guardai nel mondo,
mi riguardт; mi domandт: Chi sono?"
E la corrente rapida e soave
piщ sempre avanti sospingea la nave.
E il vecchio vide un grande mucchio d’ossa
d’uomini, e pelli raggrinzate intorno,
presso le due Sirene, immobilmente
stese sul lido, simili a due scogli.
"Vedo. Sia pure. Questo duro ossame
cresca quel mucchio. Ma,
cresca quel mucchio. Ma, voi due, parlate!
Ma dite un vero, un solo a me, tra il tutto,
prima ch’io muoia, a ciт ch’io sia vissuto!"
E la corrente rapida e soave
piщ sempre avanti sospingea la nave.
E s’ergean su la nave alte le fronti,
con gli occhi fissi delle due Sirene.
"Solo mi resta un attimo. Vi prego!
Ditemi almeno chi sono io, chi ero!"
E tra i due scogli si spezzт la nave.
G.D'ANNUNZIO -- L'INCONTRO DI ULISSE
Incontrammo colui
che i Latini chiamano Ulisse,
nelle acque di Leucade, sotto
le rogge bianche rupi
che incombono al gorgo vorace,
presso l’isola macra
come corpo di rudi
ossa incrollabili estrutto
e sol d’ argentea cintura
precinto.Lui vedemmo
su la nave incavata.E reggeva
ei nel pugno la scotta
spiando i volubili venti,
silenzioso;e il pileo
иstile dei marinai
coprivagli il capo canuto,
la tunica breve il ginocchio
ferreo,la palpebra alquanto
l’occhio aguzzo; e vigile in ogni
muscolo era l’ infaticata
possa del magnanimo cuore.
E non i tripodi massicci,
non i lebeti rotondi
sotto i banchi del legno
luceano,i bei doni
d’ Alcinoo re dei Feaci,
nй la veste nй il manto
distesi ove colcarsi
e dormir potesse l’Eroe;
ma solo ei tolto s’avea l’arco
dall’allegra vendetta, l’arco
di vaste corna e di nervo
duro che teso stridette
come la rondine nunzia
del di,quando ei scelse il quadrello
a fieder la strozza del proco.
Sol con quell’arco e con la nera
sua nave,lungi dalla casa
d’alto colmigno sonora
d’industri telai, proseguiva
il suo necessario travaglio
contra l’implacabile Mare.
- O Laertiade- gridammo,
e il cuor ci balzava nel petto
come ai Coribanti dell’Ida
per una virtщ furibonda
e il fegato acerrimo ardeva
- O Re degli Uomini, eversore
di mura, piloto di tutte
e sirti, ove navighi? A quali
meravigliosi perigli
conduci il legno tuo nero?
Liberi uomini siamo
e come tu la tua scotta
noi la vita nostra nel pugno
tegnamo, pronti a lasciarla
in bando o a tenderla ancora.
Ma, se un re volessimo avere,
te solo vorremmo
per re, te che sai mille vie.
Prendici nella tua nave
tuoi fedeli insino alla morte!-
Non pur degnт volgere il capo.
Come a schiamazzo di vani
fanciulli, non volsa egli il capo
canuto; e l’aletta vermiglia
el pileo gli palpitava
al vento su l’arida gota
che il tempo e il dolore
solcato avean di solchi
venerandi. -Odimi- io gridai
sul clamor dei cari compagni
-odimi, o Re di tempeste!
Tra costoro io sono il piщ forte.
Mettimi a prova. E, se tendo
l’arco tuo grande,
qual tuo pari prendimi teco
ma, s’io nol tendo, ignudo
tu configgimi alla tua prua-.
Si volse egli men disdegnoso
a quel giovine orgoglio
chiarosonante nel vento;
e il folgore degli occhi suoi
mi ferм per mezzo alla fronte.
Poi tese la scotta allo sforzo
del vento; e la vela regale
lontanar pel Ionio raggiante
guardammo in silenzio adunati.
Ma il cuor mio dai cari compagni
partito era per sempre;
ed eglino ergevano il capo
quasi dubitando che un giogo
fosse per scender su loro
intollerabile. Io tacqui
in disparte, e fui solo;
per sempre fui solo sul mare.
E in me solo credetti.
Uomo, io non credetti ad altra
virtщ se non a quella
inesorabile d’un cuore
possente. E ame solo fedele
io fui, al mio solo disegno.
O pensieri, scintille
dell’Atto, faville del ferro
percosso, beltа dell’incude!
C.KAVAFIS -- ITACA
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Posidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto, e squisita
и l'emozione che ti tocca il cuore
e il corpo. Nй Lestrigoni o Ciclopi
nй Posidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.
Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d'estate
che ti vedano entrare ( e con che gioia
allegra!) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d'ogni sorta,
quanti piщ puoi voluttuosi aromi.
Rиcati in molte cittа dell'Egitto,
a imparare imparare dai sapienti.
Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna quell'approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all'isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.
Itaca t'ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti piщ.
E se la trovi povera, Itaca non t'ha illuso.
Reduce cosм saggio, cosм esperto,
avrai capito che vuol dire un'Itaca.
U.SABA -- ULISSE
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano piщ al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
и quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.

Esempio