Luigi Pirandello (1867-1936)

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Categoria:Letteratura Italiana

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Testo

Luigi Pirandello (1867-1936)
Con Pirandello entrano nella letteratura italiana alcuni caratteri fondamentali della ricerca dell’avanguardia europea nel primo Novecento: la crisi delle ideologie e il conseguente relativismo, il gusto per il paradosso, la tendenza alla scomposizione e alla deformazione grottesca ed espressionistica, la scelta della dissonanza, dell’ironia, dell’umorismo, dell’allegoria.
La cultura letteraria, filosofia e psicologica di Pirandello
Prima del Fu Mattia Pascal e dell’elaborazione poetica dell’umorismo, la cultura di Pirandello presenta le seguenti caratteristiche.
Una forte influenza del pensiero positivista. La scienza non è concepita ottimisticamente, come una ragione di speranza e di progresso, ma sentita come una potenza demistificatrice, capace di corrodere miti e leggende.
Dal materialismo e dall’influenza del Verismo siciliano Pirandello deriva una critica al simbolismo e all’estetismo decadente a una radicale avversione a d’Annunzio. Da un lato privilegia nell’arte il momento sintetico e armonico; dall’altro punta sull’ironico del materiale romantico, sullo sdoppiamento dell’io, su un razionalismo umoristico, verso il quale si va indirizzando la sua ricerca artistica.
Notevole è la coscienza della crisi delle ideologia e dei valori culturali e morali della tradizione ottocentesca. Nell’arte e coscienza d’oggi egli descrive la crisi intellettuale e morale della sua stessa generazione affetta da “inanismo”, “egoismo”, “spossatezza morale”, e incapace di elaborare nuovi valori, dopo aver scoperto la “relatività di ogni cosa”. In questo saggio la modernità appare un intreccio contraddittorio di spinte e controspinte, senza vie d’uscita, un “continuo cozzo di voci discordi”, ciascuna delle quali appare condannata alla relatività del proprio punto di vista e perciò incapace di aspirare alla verità. Si intuisce che per Pirandello una poetica moderna può nascere solo su programmi fondati sulla discordanza e sulla contraddizione.
Il relativismo filosofico e la poetica dell’umorismo
L’umorismo fu scritto con intenti accademici, evidenti nella trattazione storica che costituisce la prima parte, mentre la seconda, dedicata all’analisi dell’”essenza” dell’umorismo, riflette maggiormente il programma letterario dell’autore. Le due Premesse iniziali del Fu Mattia Pascal gettano le basi della nuova poetica.
Pirandello oscilla fra una visione “ontologica” dell’umorismo, considerato come una possibilità durevole dell’uomo, e invece una sua visione “storica”, derivante da particolari condizioni che hanno posto in crisi le antiche certezze. Da un lato egli vede un limite ontologico dell’uomo, che da sempre vive in un mondo privo di senso e che tuttavia si crea una serie di autoinganni e di illusioni attraverso i quali cerca di dare significato all’esistenza: l’umorismo sarebbe l’eterna tendenza dell’arte a svelare tale contraddizione. Dall’altro egli individua nella caduta dell’antropocentrismo tolemaico e nell’affermazione del pensiero copernicano e galileiano (uomo e terra sono entità minime rispetto alll’universo) la nascita di quel malessere che induce alla percezione della relatività di ogni fede, di ogni valore, di ogni ideologia sono solo autoinganni, utili per sopravvivere ma del tutto mistificatori.
L’umorismo pirandelliano non è solo una poetica; è anche l’espressione coerente del pensiero e della cultura del “relativismo filosofico”. Esso presuppone la messa in discussione sia del positivismo, sia delle ideologia romantiche. Del positivismo Pirandello rifiuta il criterio della verità oggettiva, garantita dalla scienza; del Romanticismo l’idea della verità soggettiva, della centralità del soggetto e della sua capacità di dare forma e senso al mondo. Entrano in crisi tanto l’oggettività quanto la soggettività, ed il concetto stesso di verità che viene posto radicalmente in questione. Ne deriva un assoluto relativismo.
Le categoria di bene e di male, di vero e di falso su cui si basano la tragedia e l’epica, sono infatti venute a mancare. L’umorismo è l’arte del tempo moderno in cui tali categorie sono entrate in crisi e in cui non esistono più paramentri certi di verità. Perciò l’umorismo non propone più valori, né eroi che ne siano portatori, ma un atteggiamento escusivamente critico-negativo e personaggi problematici e dunque inetti nell’azione pratica.
L’arte umoristica è volta continuamente ad evidenziare il contrasto tra forma e vita e tra personaggio e persona. L’uomo ha bisogno di autoinganni: deve cioè credere che la vita abbia un senso e perciò organizza l’esistenza secondo convenzioni, riti istituzioni che devono rafforzare in lui tale illusione. Gli autoinganni individuali e sociali costituiscono la forma dell’esistenza. La forma cristallizza e paralizza la vita. Quest’ultima è una forza profonda ed oscura che fermenta sotto la forma ma che riesce ad erompere solo saltuariamente nei momenti di sosta o di malattia, di notte o negli intervalli in cui non siamo coinvolti nel meccanismo dell’esistenza. La vita è il caos mentre la forma è l’odine.
Il soggetto costretto a vivere nella forma, non è più una persona integra, coerente e compatta ma si riduce ad una maschera (o a un personaggio) che recita la parte che la società esige da lui (la parte di impiegato, di marito, di padre…) e che egli stesso si impone attraverso i propri ideali morali. Proprio per questo nell’arte umoristica non sono più possibili ne persone ne eroi, ma solo maschere o personaggi.
Il personaggio ha davanti a se solo due strade: o sceglie l’incoscienza, l’ipocrisia alle forme, oppure vive consapevolmente, amaramente la scissione fra forma e vita. Nel secondo caso la scissione interviene continuamente a porre una distanza fra il soggetto e i propri gesti; il personaggio si guarda vivere, guarda da fuori e compatisce non solo gli altri ma se stesso. Questo distacco riflessivo, amaro, pietoso e ironico insieme, è il segno distintivo dell’umorismo.
È esso da distinguerlo dalla comicità. Nel comico è assente la riflessione. Il comico nasce infatti dal semplice e immediato “avvertimento del contrario”, una riflessione o un individuo sono il contrario di come dovrebbero essere, questo provoca riso. Invece l’umorismo è il “sentimento del contrario” che nasce dalla riflessione: riflettendo sulle ragioni per cui una persona o una situazione sono il contrario di come dovrebbero essere, al riso subentra il sentimento amaro della pietà.
I caratteri dell’arte umoristica riscontrabili nella sua produzione narrativa e teatrale sono:
la discordanza, la disarmonia, la contraddizione, la consapevolezza che la vita “non conclude” e quindi anche Pirandello nelle sue opere umoristiche punta a strutture aperte e inconcluse, scelta del linguaggio quotidiano, l’unico adatto a comunicare una concezione della vita che non rivela nulla di essenziale ma solo i difetti di un’esistenza insensata.
I romanzi umoristici
Il Fu Mattia Pascal è il romanzo della svolta. In esso appaiono i temi fondamentali dell’arte pirandelliana (il doppio, il problema dell’identità, la critica al moderno e alla civiltà delle macchine).
Suo marito venne ritirato dalla circolazione, dato che alcuni riferimenti alla scrittrice protagonista erano sembrati sconvenienti allusioni alla Deledda.
Quaderni di Serafino Gubbio operatore è probabilmente, con il Fu Mattia Pascal, il capolavoro di Pirandello nel campo del romanzo. Presenta una struttura quasi diaristica. A scrivere in prima persona è l’operatore Serafino Gubbio, divenuto muto per lo shock di una tragica esperienza collegata al suo lavoro di operatore cinematografico: girando la sua manovella durante la ripresa di una vicenda di caccia, ha registrato la scena in cui Aldo Nuti finisce straziato e ucciso dagli artigli della tigre. Tale romanzo presenta due temi principali: il bilancio esistenziale con la caduta di qualsiasi illusione e lo studio della modernità che induce ad un rifiuto drastico dei miti della macchina. Serafino Gubbio svolge un lavoro così impersonale e tecnico, è il nuovo intellettuale “senza qualità”, degradato dalla pura mansione tecnica, alla fine si trova ridotto a “un silenzio di cosa”.
Uno, nessuno e centomila, come il Fu Mattia Pascal, è una narrazione retrospettiva condotta in prima persona che è insieme voce narrante e protagonista della vicenda. Invece di estraniarsi dalla vita e chiudersi in un atteggiamento critico-negativo, come fanno il Mattia Pascal e Serafino Gubbio, Vitangelo Mostarda alla fine scopre la vita nel rifiuto della forma e nell’adesione all’indistinto naturale.
Il teatro e la fase del “grottesco”
Pirandello comincia a dedicarsi al teatro con un certo impegno solo a partire dal 1910, e solo dal 1915 lavora in modo continuato a opere teatrali. Il suo successo è Sei personaggi in cerca d’autore.
La contraddizione fra teatro e letteratura viene risolta da Pirandello lavorando in due direzioni: 1) elaborando la teoria dell’autonomia dei personaggi dell’autore e 2) accentuando l’aspetto dissacrante e autocritico del lavoro artistico-teatrale.
I personaggi devono diventare caratteri vivi oggettivamente, maschere definite da una loro vita propria e da pochi tratti essenziali che devono restare permanenti nel corso dell’opera. Il personaggio diventa così autonomo, indipendente tanto dall’autore quanto dall’attore, esaltando quest’ultimo ma anche riducendone la libertà di alterare o falsificare il testo. Tanto l’autore quanto l’attore devono entrare nella parte che il personaggio recita, dimenticare se stessi e restare a essa fedeli sino in fondo, l’uno nel progettarla, l’altro nel porla in scena. Devono essere l’invenzione di un personaggio e la sua costruzione in un carattere-maschera autonomo a determinare l’intreccio, e non viceversa.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, Pirandello sottolinea il fatto che l’opera teatrale deve diventare beffa e parodia di se stessa. L’opera teatrale umoristica deve rinunciare a mostrarsi come naturale e deve invece sdoppiarsi, ostentando invece la propria artificiosità.
Il berretto a sonagli, Così è (se vi pare), Il piacere dell’onestà e Il giuoco delle parti fanno parte della fase del “teatro del grottesco”. In queste opere il tema tradizionale del triangolo borghese (moglie, marito, amante) è ripreso e nel contempo rovesciato. Il teatro tradizionale diventa così “grottesco”.
Il "grottesco", teorizzato dallo scrittore in un saggio del 1920 (Ironia) come intima fusione di comico e tragico, trova la sua piena realizzazione in un dramma intitolato il Gioco delle parti, che si pone come un vero e proprio manifesto di poetica. Il "grottesco" scaturisce dalle azioni messe in scena e dai personaggi della commedia, in cui, attraverso la parodia, risulta rovesciato lo schema tradizionale del dramma borghese "serio", basato sul tema dell'adulterio e del triangolo amoroso. Il “grottesco” è l’adattamento della poetica dell’umorismo al teatro.
Sei personaggi in cerca d’autore
Con Sei personaggi in cerca d’autore Pirandello dà inizio ad una trilogia di opere, scritte a distanza di anni l’una dall’altra ma accomunate dall’autore sotto l’etichetta di “teatro nel teatro”: Sei personaggi in cerca d’autore, Ciascuno a suo modo, Questa sera si recita a soggetto.
La ricerca teorica di Pirandello sul teatro: l’autonomia piena dei personaggi dall’autore e la dissacrazione del momento artistico. L’autonomia dei personaggi è tale che essi sono addirittura portati sulla scena “in cerca d’autore”, ciascuno con la sua verità in opposizione a quella degli altri, e in assenza, appunto, di un autore, capace di dare unità di senso alla loro vicenda. La dissacrazione giunge sino all’esibizione e alla messa a nudo degli artifici teatrali, smascherati come paccottiglia e cioè della tradizionale barriera fra scena e spettatori.
Anzi la formula del “teatro nel teatro” va ben al di la dell’artificio di far recitare sulla scena, durante la recita di un dramma, un altro dramma, e diventa pretesto per una discussione sul teatro stesso: insomma teatro e metateatro, finzione scenica e dibattito teorico su di essa si mescolano strettamente.
L’opera contiene anche una lunga prefazione. In essa Pirandello spiega che il vero dramma dell’opera non è quello melodrammatico portato sulla scena dai sei personaggi, ma un altro: l’autore, pur avendoli immaginati, non è stato in grado di trovare alla loro vicenda un “significato universale” e per questo li ha rifiutati. Questo è il vero dramma: l’impossibilità dell’arte moderna di individuare il significato della vita e quindi anche le ragioni della propria stessa esistenza.
Siamo nel campo dell’”allegoria vuota” dove i personaggi vorrebbero che la loro storia significasse qualcosa. Essi vorticano alla ricerca di un significato, che resta però non individuato.
Teatro nel teatro, teatro e metateatro
Si chiama teatro nel teatro una particolare tecnica teatrale in cui durante la recita si mette in scena un’altra recita. Gli attori della scena assistono a una rappresentazione teatrale e si trasformano essi stessi in spettatori. Uno spettacolo ne contiene un secondo. Realtà e finzione in tal modo si scambiano le parti, si alternano e si mescolano, cosche diventa difficile distinguerle.
Pirandello se ne serve per discutere sul teatro stesso, per porlo in questione, per considerare la possibilità che esso anticipi la realtà, per criticarne alcune manifestazioni. Così le due rappresentazioni si estraniano e si criticano a vicenda oppure la seconda recita serve a parlare della prima: la doppia presentazione rivela un’alternanza di teatro e di metateatro e cioè di finzione scenica e di discussione su tale finzione.
Il Fu Mattia Pascal (1904)
Pirandello vuole collegare esplicitamente il romanzo al libro L’umorismo. Nella Premessa seconda il relativismo moderno e il conseguente umorismo sono fatti dipendere dalla scoperta di Copernico e dalla fine dell’antropocentrismo tolemaico: la rivelazione che l’uomo non è più al centro del mondo ma costituisce un’entità minima e trascurabile di un universo infinito e in conoscibile rende assurde le sue pretese di conoscenza e di verità e “relative” tutte le sue fedi. Per questo i romanzi tradizionali di tipo naturalistico o decadente sono messi alla Berlina da Pascal. Secondo Pirandello, che qui si esprime tramite Pascal, le strutture narrative di tali romanzi li rendono incapaci di rappresentare la reale condizione umana successiva alla scoperta di Copernico.
Nel capitolo XII si descrive quanto succede in seguito allo strappo nel cielo di carta di un teatrino: l’eroe tradizionale, Oreste, esempio di coerenza e di sicurezza, si distrae di fronte all’imprevisto, all’”oltre” che gli si spalanca davanti, e perciò vede cadere ogni naturalezza e spontaneità del proprio agire: cessa di vivere e comincia a guardarsi vivere trasformandosi in una sorta di moderno Amleto e divenendo di fatto un antieroe, un inetto incapace di azione.
Pirandello aggiunge al romanzo un’Avvertenza sugli scrupoli della fantasia, per sostenere la plausibilità della vicenda raccontata. Così facendo svuota l’artificio del manoscritto con cui Pascal avrebbe raccontato la propria storia e che avrebbe dovuto esser letto ed eventualmente pubblicato solo cinquant’anni dopo la sua morte. La testimonianza lasciata in un manoscritto è un espediente impiegato nei romanzi tradizionali per dare alle storie che vi sono raccontate l’apparenza del “fatto accaduto”.
Una tipica scena umoristica è quella del cap. V, in cui dopo la zuffa fra la vedona Pescatore e la zia Scolastica, Pascal davanti allo specchio, vede sul suo viso lacrime sia di dolore che di riso: l’atto della autoriflessione, la mescolanza dei contrari (il riso e il pianto), il sentimento del contrario sono tutti aspetti di un atteggiamento umoristico nei propri confronti.
La trama
Il romanzo consta di tre parti.
Negli ultimi due capitoli e nei primi due (le Premesse teoriche) il protagonista è il Mattia Pascal. Egli vive uno stato di non-vita, cioè di assenza del tempo, di immobilità, di totale estraniazione rispetto all’esistenza, di un tempo fermo e in un spazio morto.
Una seconda parte corrispondono ai capitoli III-VI. In essi il protagonista è il giovane Pascal. Qui il modello del romanzo è quello idillico-sentimentale: il luogo è campestre, vicino al paese di Miragno, dunque lontana dalla città industriale moderna. Questa vi penetra attraverso la figura dell’amministratore-ladro Batta Malagna che pone in crisi il precedente equilibrio idillico. Per vendicarsi di lui, Pascal seduce Romilda da cui il vecchio amministratore vorrebbe un figlio. Da qui la beffa eroica: Mattia ingravida anche la moglie di Batta Malagna, Olivia. A questo punto il beffatore finisce beffato: mentre Malagna riconosce come proprio il figlio di Olivia, Pascal deve accettare come moglie Romilda che invece puntava a farsi sposare dal ricco amministratore. L’inferno della nuova vita coniugale, la difficoltà economica in cui cade la famiglia, inducono Pascal a pensare al suicidio. Ma, improvvisamente arricchitosi alla roulette, egli approfitta di una falsa notizia della sua morte: si fa passare per morto e decide di cambiare identità.
Comincia a questo punto la terza parte. Lo spazio-tempo è quello della grande città. Di questo terzo romanzo è protagonista la nuova incarnazione di Pascal, il quale assume il nome di Adriano Meis, cercando di costruirsi il nuovo io e di vivere in completa liberà, senza più obblighi di sorta. Adriano Meis si reca a Roma, nella pensione di Anselmo Paleari, innamoratosi della figlia, Adriana. Ma i timori che venga scoperta la nuova identità lo angosciando di continuo. Per non farsi riconoscere, si fa operare all’occhio strabico. E tuttavia, per non essere scoperto, deve rinunciare a denunciare il furto che subisce durante la seduta spiritica. Accortosi di non poter sposare Adriana, per allontanarla da sé corteggia la fidanzata di un pittore spagnolo ed è da questi sfidato a duello; privo di identità, non trova i padrini necessari per battersi. Allora decide di fingere il suicidio nel Tevere.
Fuggito da Roma, egli ritorna a Miragno e trova Romilda sposata all’amico Pomino con la figlia avuta da costui. Rinuncia allora a vendicarsi contro di lei e decide di restare a Miragno.
Pascal è divenuto un personaggio, una maschera nuda: non vive più ma guarda vivere. Egli ha capito insomma che l’identità non può esistere né, tanto meno, può essere garantita da uno stato civile, che semmai riduce l’uomo a maschera, a forma. Non gli resta altro che porsi fuori dalla vita, in una condizione di estraneità e di distacco da ogni meccanismo sociale.
La struttura e lo stile
Il romanzo presenta una novità strutturale e stilistica. È una narrazione retrospettiva in prima persona, che comincia a vicenda conclusa e in cui l’inizio coincide con la fine.
Narrazione e metanarrazione, racconto e riflessione teorica sul racconto vi si mescolano, ponendo così in discussione la “naturalezza” e la “verità” della narrazione. L’opera è scritta per dimostrare che niente ha senso e che a questa legge non si sottrae nemmeno la scrittura. Mentre il narratore ottocentesco intende persuadere il lettore di stare raccontando la verità, quello primonovecentesco non crede più ad alcuna verità. Il Fu Mattia Pascal è un romanzo-sliloquio, segnato da continue interiezioni, esclamazioni, interrogazioni, domande retoriche. Lo stile è quello di un recitativo quasi teatrale, che anch’esso contribuisce a togliere incanto, fluidità e naturalezza alla narrazione, estraniandola.
Assumendo le forme di un esagitato soliloquio, il linguaggio di Pirandello, acquista una notevole carica di espressività.
I temi principali e l’ideologia del Fu Mattia Pascal
I temi principali del romanzo sono i seguenti:
1. la famiglia, sentita come nido o come prigione. È un nido la famiglia fondata sul rapporto di tendenza fra Pascal e la madre; è una prigione il rapporto coniugale con Romilda e quello con la suocera. L’idealizzazione della madre è costante in Pirandello e si accompagna invece all’esperienza nfelice del matrimonio;
2. il gioco d’azzardo e lo spiritismo. Pirandello rappresenta minuziosamente il casinò di Montecarlo. La descrizione del luogo ha un reportage giornalistico e doveva servire a stimolare la curiosità del lettore borghese nei confronti di quel posto favoloso e proibito. Esso affascina Pirandello perché l’importanza del caso e il potere della sorte contribuiscono a rafforzare la sua teoria della relatività della condizione umana, sottolineando i limiti della volontà e della ragione. Nella stessa direzione va l’interesse per lo spiritismo. La crisi del razionalismo positivista induceva infatti a occuparsi dei fenomeni non spiegabili scientificamente;
3. l’inettitudine. Pascal è un inetto, un velleitario che sogna un’evasione impossibile e che alla fine si trasforma consapevolmente in un antieroe, reso inadatto alla vita pratica dalla sua stessa tendenza allo sdoppiamento, dalla sua propensione a vedersi vivere e insomma dalla sua stessa estraneità nei confronti della vita e di se stesso;
4. lo specchio, il doppio, la crisi d’identità. Mattia Pascal ha un rapporto difficile non solo con la propria anima, ma anche col proprio corpo. Spia di questo malessere è l’occhio strabico, che guarda semre altrove. La crisi d’identità dipende anche dalla sua duplicità.
5. la modernità, la città, il progresso, le macchine. Adriano Meis è a Milano e, frastornato dai rumori, dai tram elettrici e dalla vista della folla, riflette sulle conseguenze del progresso tecnico, negando che la felicità sia prodotta dalla scienza e che le macchine possano servire a migliorare la condizione dell’uomo. Meis si sposta da Milano a Roma. La capitale viene descritta come città morta, è un’acquasantiera che la modernità ha degradato trasformandola in portacenere (così sostiene Anselmo Paleari).
Per quanto riguarda le posizioni “filosofiche”, esse sono esposte per bocca di Anselmo Paleari nel cap. XIII, intitolato Il lanternino. Secondo Pirandello l’idea stessa del mondo varia non solo da individuo a individuo, ma nella stesa persona, al seconda del momento e dello stato d’animo. Poiché però l’uomo ha bisogno di verità assolute, egli vuole credere che i propri valori siano certi e che la realtà sia oggettiva: invece sia quelli che questa non sono che proiezioni soggettive. Ne deriva il carattere illusorio di qualunque certezza, anche quelle date dalla religione e dalla scienza. Va aggiunto che gli stessi “lanternini” delle conoscenze individuali prendono luce dai “lanternini”, cioè dalle grandi ideologie collettive che orientano l’umanità e che sono storicamente determinate. Quando i “lanternoni” cessano di fare luce a causa dello sviluppo storico che rende improponibili i valori del passato, allora anche i “lanternini” si spengono.
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