La luna e i falò

Materie:Scheda libro
Categoria:Letteratura Italiana

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Testo

Analisi del testo
TITOLO DEL ROMANZO: “La luna e i falò”
AUTORE: Cesare Pavese
CASA EDITRICE: Einaudi
DATA EDIZIONE CONSULTATA: 1999
DATA PUBBLICAZIONE DELLA PRIMA EDIZIONE: 1950
VITA E OPERE DI CESARE PAVESE: Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe di Cuneo. Ultimo di cinque figli (di cui resta in vita una sorella maggiore) a soli otto anni aveva perso il padre, impiegato presso il tribunale del capoluogo piemontese. La sua educazione resta così interamente affidata alla madre, una donna energica e severa, che non riesce a far vincere al figlio, timido e introverso, le incertezze e le paure nei confronti della vita. Compie gli studi a Torino avendo come professore Augusto Monti. Si iscrive nel 1927 alla facoltà di Lettere e vi si laureerà nel 1932. Nel 1929 Pavese inizia a tradurre II nostro signor Wrenn di Sinclair Lewis, pubblicato nel 1931; nel 1932 esce la magistrale traduzione di MobyDick di Melville, cui si affianca, nel medesimo anno, Riso nero di Sherwood Anderson (in seguito tradurrà, fra gli altri, Dos Passos, Gertrude Stein, Faulkner, oltre agli inglesi Defoe, Dickens e Joyce). Insegna in istituti privati in quanto privo della tessera del Partito fascista necessaria per concorrere nelle scuole statali; collabora inoltre con la casa editrice Einaudi di cui diventa direttore responsabile nel 1934. Nel maggio 1935 viene trovato in possesso di lettere compromettenti che in realtà appartengono alla fidanzata e è condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro (da questa esperienza nascerà il racconto lungo Il carcere); inizia anche a tenere un diario, pubblicato postumo nel 1952 con il titolo, voluto dall'autore, II mestiere di vivere. Dopo la liberazione rientra a Torino nel 1936 si iscrive al partito comunista e collabora al quotidiano “L’Unità”. Esordisce come narratore con il romanzo Paesi tuoi (1941); seguono La spiaggia (1942) e tutte le opere del dopoguerra (Feria d’agosto, 1946; Il compagno, 1947; Prima che il gallo canti, 1949; la trilogia La bella estate, 1949; La luna e i falò, 1950). L’attività poetica di Pavese ha avuto come esito le due raccolte dal titolo Lavorare stanca (1936) e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Di grande rilievo è l’attività di responsabile culturale della casa editrice Einaudi, svolta nel dopoguerra. Nel 1950 ottiene anche il Premio Strega. La solitudine sentimentale, la difficoltà nei rapporti interpersonali e politici e l’esaurimento fisico di un uomo che a detta di Augusto Monti “non sapeva riposare” spingono Pavese al gesto lungamente vagheggiato: si suicida a Torino il 27 agosto 1950 in una camera d’albergo.
GENERE LETTERARIO
Romanzo neorealista. Il neorealismo è la corrente letteraria che Pavese capeggiava, insieme a Elio Vittorini e nonostante le molteplici differenze tra i due scrittori, era il nuovo realismo: ossia un realismo esente da compromessi con l'antico naturalismo, un realismo consapevole di sé come fatto ideale, e anche politico, destinato a saggiare il midollo delle strutture sociali, per trarne fuori un'arte di grande respiro che fosse banco di prova per tutti, autori e pubblico. Egli, fino dai primi versi accettati, I mari del Sud, si rifiutò di ricorrere alla contestazione "larvale", all'"angelismo" (come diceva, riferendosi alla letteratura cosiddetta ermetica). Cercò invece nella letteratura americana i larghi spazi, il ritmo, l'aggressività di cui aveva bisogno e - da prima inconsapevolmente - accreditò il suo mito, che ribadì nel Compagno (1947) e soprattutto nella Casa in collina (apparso in Prima che il gallo canti, 1949). Ma La bella estate (stesso anno) fa già dubitare del realismo di Pavese: lo spunto di carattere tipicamente esistenziale che sta alla base di almeno due dei tre lunghi racconti compresi sotto questo titolo, ossia il secondo (II diavolo sulle colline) e il terzo (Tra donne sole) evidentemente non concorda col nuovo realismo. Questo mette in crisi l'intero sistema neorealistico dal punto di vista ideologico (è necessario ricordare che il realismo in letteratura come in filosofia presuppone una soluzione positiva del problema esistenziale, cioè della solitudine umana, della ricerca di un orizzonte spirituale, del rapporto non vincolante con l'altro sesso). Fu evidentemente fin d'allora che Cesare Pavese non poteva più considerarsi un "puro" scrittore realista, tanto più che già nel 1947 erano apparsi i Dialoghi con Leucò dove il mito, e quella caratteristica essenziale del mito che è la ripetizione, veniva assunto come il movente stesso dell'interesse culturale e anche dello scrivere. A questo punto Cesare Pavese pubblicò nella primavera del 1950 La luna e i falò.

PERSONAGGI PRINCIPALI: il protagonista è Anguilla, un orfano adottato da una famiglia di contadini solo per ricevere mensilmente cinque lire di compenso. Non c’è una descrizione fisica del personaggio. Dopo quarant'anni egli torna ricco dall'America nel paese in cui è cresciuto e scopre che tutto è cambiato eccetto le persone che sono uguali, sempre rozze e miserabili. Il suo viaggio nel paese natale è per lo più un viaggio nei propri ricordi, è più un tentativo di riportare in vita vecchi sentimenti, persone ormai scomparse, vecchie situazioni. Egli torna per ritrovare se stesso, le sue radici, per confrontarsi con il proprio passato, per capire che è diventato ricco, ma che dentro di se è sempre stato un povero contadino (come dimostrano le sue mani, che ancora portano gli antichi segni). Nel protagonista, è chiaro fin dalle prime righe il risentimento per la sua esistenza da “bastardo”, priva di origini, di veri legami che lo possano unire (psicologicamente) a dei luoghi. È evidente il tema della ricerca di un’identità chiara e precisa di cui ogni individuo ha bisogno per vivere serenamente. Comunque, lui non troverà mai questa identità, anche se si accorgerà di essere molto legato alle zone collinari nelle quali ha trascorso l’adolescenza. Per accorgersi di tutto ciò ha però dovuto viaggiare a lungo e allontanarsi enormemente da quei luoghi. Anguilla è cambiato molto e la sua situazione si è capovolta: da povero ragazzo alle dipendenze di altri si trova ad essere maturato e soprattutto ricco e abbastanza conosciuto.
SECONDARI: I personaggi che si alternano in questo brano sono semplici e realisticamente descritti. Sono gente comune, che cerca di mandare avanti un’esistenza fatta di sforzi e di povertà.
Nuto: è l'amico d'infanzia del protagonista poco più vecchio di lui, guardato da tutti con ammirazione, perché sapeva fischiare, suonava la chitarra e il clarino, parlava con i grandi, e faceva l’occhiolino alle donne. Era la persona a cui Anguilla aveva sempre voluto assomigliare, era stato un punto di riferimento che mai riusciva ad eguagliare. Eppure una volta tornato nel suo paese d'infanzia egli scopre con meraviglia di averlo raggiunto, di non avere più nulla da invidiare all'amico, perché anch'egli, come Nuto, aveva viaggiato, era stato a lungo lontano da casa, aveva imparato a confrontarsi con gli altri e a cavarsela da solo. Certamente anche Nuto è cambiato, è maturato: si è sposato e dopo aver suonato per dieci anni il clarino a tutte le feste di paese, ha abbandonato la musica per dedicarsi al mestiere di falegname. Nuto, non più un maestro ma un amico alla pari, rimane comunque un suo punto di riferimento, l'unica persona a cui chiedere consiglio e l'unico con cui poter ricostruire gli avvenimenti accaduti mentre era lontano. È un socialista, per questo motivo litiga spesso con il parroco del paese, e inoltre è un’idealista convinto che “il mondo è mal fatto e che bisogna rifarlo”. Nuto ha un risvolto autobiografico: ha molti tratti ricavati dalla figura di Pinolo Scaglione, l'amico d'infanzia di Pavese, partigiano antifascista. Rappresenta la maturità di chi non è corso dietro ai sogni, ma è rimasto fedele alle proprie radici. Cinto: è un bambino zoppo di dieci anni molto solo che vive con il padre, la zia e la nonna vecchia e malata, nella cascina che era stata la prima casa del protagonista cioè il “casotto”della Gaminella. Anguilla lo descrive con mascelle sporgenti e denti radi. Attraverso Cinto egli rivive i primi anni della sua vita, quando ancora non lavorava alla mora e lui e la sua famiglia vivevano in miseria, lavorando tutto il giorno per procurarsi il pane. La sua infanzia, nonostante la miseria, era stata comunque allietata dalla presenza delle sue sorellastre e della sua matrigna, mentre Cinto non aveva neanche questa consolazione, in più, a causa della deformità dell'arto non avrebbe mai potuto avere una vita normale. Ecco perché subito il protagonista si affeziona al ragazzo, tenta di aiutarlo, di fargli scoprire nuove cose di aprirgli gli occhi verso nuovi paesi e diversi orizzonti. Ecco perché in seguito gli regala il coltello che poi gli salverà la vita. Cinto vive con la quotidiana paura del padre, il Valino.
Il Valino: è un mezzadro vessato dai padroni che sfoga la propria rabbia e la propria amarezza in una violenza insensata, picchiando il figlio, le donne di casa e il cane. Arriva pure, disperato, ad uccidere Rosina, la sua convivente, a brucia la casa e poi ad impiccarsi.
Padrino, Virgilia , Angiolina e Giulia: il Padrino e la moglie Virgilia, avevano due figlie: Angiolina e Giulia. Quando Anguilla venne abbandonato sugli scalini del duomo, venne affidato a loro. Anguilla scopre di essere un “bastardo” solo alla morte di Virgilia.
Sor Matto e la matrigna: Anguilla va a lavorare come servitore di Sor Matteo alla Mora quando il Padrino lascia il casotto della Gaminella.
Silvia: è la maggiore delle sorelle che abitano nella cascina in cui il protagonista fa il servitore e verso cui egli ha sempre provato un tenero affetto, benché troppo giovane per risvegliare il loro interesse. Silvia non solo è la maggiore, ma è anche la più vivace, la più intraprendente, quella più esuberante e meno rispettosa delle regole. Sempre circondata da corteggiatori, così come la sorella, vive la propria vita fino in fondo, assaporandone ogni atto e agendo talvolta in modo impulsivo, impulsività che alla fine la porta alla morte. Il protagonista racconta le sue avventure amorose, le sue relazioni con varie uomini, i pettegolezzi che i servitori fanno su di lei. Ogni volta che un uomo l'abbandonava, Silvia sapeva reagire grazie alla sua grande forza di volontà e alla fine si riprendeva sempre, anche grazie all'aiuto della sorella con cui era molto legata. Rimane incinta di un dongiovanni di provincia che non ne vuole sapere di sposarla e, tentando di abortire, muore a causa di un'emorragia.
Irene: a differenza della sorella, Irene è molto calma e tranquilla, non agisce mai d'impulso né compie alcuna pazzia. È l'opposto di Silvia, riflessiva, giudiziosa, mite e paziente. Le sue storie non sono mai appassionate come quelle della sorella, né i suoi uomini tanto particolari. In un certo senso Irene, a confronto con la sorella, è banale e insignificante. Ama la musica e suona il pianoforte alla perfezione; la sua musica ha il potere di incantare il protagonista. Anche Irene è muore in giovane età: infatti, convinta dai genitori, sposa un uomo avido e violento dedito al gioco e i dispiaceri per questo matrimonio la portano ad una morte prematura.
Santina: è la sorellastra di Irene e Silvia. Già da piccola è bellissima, e crescendo diviene una splendida ragazza. Il protagonista la conosce solo da bambina, ma viene a sapere della sua storia tramite Nuto. La ragazza, una volta cresciuta, conosce e frequenta numerosi fascisti; diventa poi una spia dei partigiani dai quali alla fine viene uccisa poichè si scopre che riferisce importanti informazioni ai fascisti. Santina è impavida e impulsiva come la sorellastra Silvia, ma nello stesso tempo ipocrita, bugiarda e falsa.
Emilia: è anche lei una serva presso la casa del sor Matteo. È lei che da al protagonista il soprannome di Anguilla.
Nora, Teresa e Rosanne: sono le donne di Anguilla.
Anguilla aveva conosciuto Nora negli Stati Uniti. Non aveva con lei una relazione seria, entrambi sapevano che un giorno lei non lo avrebbe più rivisto.
Teresa era di Genova e faceva la cameriera. La ragazza sapeva che Anguilla era un “bastardo”, allora gli domandava sempre come mai non facesse delle ricerche per scoprire chi erano i suoi genitori. Ma lui a queste cose non ci pensava.
Conobbe Rosane in America, era una maestra e veniva da chissà dove. È l’unica delle ragazze di Anguilla di cui abbiamo una descrizione, seppure minima: è bionda e alta. Il suo sogno è andare sulla costa è mettere su un ristorante italiano, con il pergolato e l’uva. Abbandona anguilla quando si rende conto che lui non vuole partire con lei.

TEMPO Le vicende coprono circa trent’anni: il protagonista, che ha circa quarant’anni, racconta episodi della sua vita, dall’infanzia (circa dieci anni), all’età adulta. Tutta la narrazione si svolge nell’immediato dopoguerra, e lo si capisce perché l’ambiente e i personaggi portano ancora i segni del fascismo, della guerra e della guerriglia del periodo della Resistenza.

LUOGHI Nel romanzo, si possono identificare due tipi di ambienti ben diversi. Durante l’infanzia del
protagonista, le vicende si svolgono in Piemonte nelle Langhe mentre, in età adulta, negli Stati Uniti dove il protagonista viaggia a lungo certo comunque di ritornare un giorno al paese dove aveva trascorso la sua infanzia. L’America è simbolo della speranza di potere fare fortuna, ma anche di un popolo anch’esso senza radici e storia, in mezzo al quale il protagonista si poteva facilmente confondere. L’ambiente è reale, addirittura connotato e con nomi di luoghi, fino ad arrivare ai particolari delle colline e ai nomi dei poderi e dei loro proprietari.

RIASSUNTO Il protagonista, un trovatello cresciuto in un paese delle Langhe e soprannominato Anguilla, ritorna nei luoghi d'origine a distanza di anni, dopo essere emigrato e avere fatto fortuna negli Stati Uniti. Riaffiorano così nella memoria gli anni dell'infanzia e della giovinezza quando era stato accolto ed allevato da una povera famiglia, nel «casotto» sulla collina di Gaminella. Le persone da lui conosciute sono scomparse e i luoghi stessi sembrano mutati durante la sua assenza. È rimasto solo Nuto, il compagno di un tempo, con il quale vengono rivissute le vicende del passato, quando Anguilla, passato al servizio di un ricco possidente, il sor Matteo, si reca alle feste dei paesi vicini, dove Nuto suona il clarino. La presenza dell'amico, più vecchio e posato, si era rivelata decisiva: Nuto gli aveva insegnato «molte cose», dandogli il suo sostegno e aprendogli gli occhi di fronte alle dure realtà della vita. Anguilla viene informato da Nuto delle sventure che hanno colpito le figlie del sor Matteo, in particolare la più giovane, Santa, che è stata uccisa dai partigiani. Ma neppure il dopoguerra ha portato la pace: il rinvenimento di alcuni cadaveri, che ispira a Nuto sentimenti di pietà, offre l'occasione per rinfocolare gli odi e le divisioni di parte. Nel frattempo il protagonista conosce Cinto, un povero ragazzo storpio, che abita nel «casotto» della Gaminella ed è costretto a subire i maltrattamenti del padre, il Valino. Questi, vittima della miseria e colpito da un'improvvisa crisi di follia, da fuoco all'abitazione; solo Cinto riesce a salvarsi, assistendo nascosto alla scena, pronto a difendersi con il coltello che gli ha regalato lo stesso protagonista, al quale non rimane altro da fare che abbandonare il paese, dopo aver affidato a Nuto l'avvenire di Cinto.
TEMI I temi affrontati dal romanzo sono: Il mito legato all'infanzia: Pavese vi aveva condotto anche alcuni studi, rifacendosi alla filosofia di Gian Battista Vico, il quale afferma che l'infanzia è l'età in cui si creano i miti. Proprio da quest'affermazione l'autore costruisce la propria idea di mito, che considera un fatto avvenuto una volta per tutte e perciò si riempie di significati e sempre se ne andrà riempiendo perché esso è avvenuto durante l'infanzia, età privilegiata in cui lo si vive inconsapevolmente. Pavese è convinto che la vita ci sradichi dai luoghi e dai miti dell'infanzia, da ciò inevitabilmente deriva la solitudine e la voglia di tornare, alimentata dalla rievocazione costante del mito. La solitudine: è molto forte in Pavese, che non riesce ad adattarsi fino in fondo all'ambiente cittadino e politico che lo circonda. La stessa sensazione di desolazione (cap. XI) provata nell'enorme distesa dell'America porta Anguilla a ricercare le Langhe negli Stati Uniti stessi e non trovandole decide di ritornare. Ricerca di un’identità chiara e precisa: ogni individuo ne ha bisogno per poter vivere serenamente. La morte: tutte le persone rappresentanti il passato del protagonista in quei luoghi, sono morte ad eccezione di Nuto. Il mito americano: nel dopoguerra era molto forte tra la maggior parte della popolazione. La superstizione: tutto, anche la semina e la raccolta, è legato a credenze e tradizioni popolari. Il destino: affrontato nei colloqui con l’amico Nuto. Il ritorno al proprio paese d’origine, il paesaggio caricato di valenze simboliche, il mito della campagna, ben reso anche dal titolo La luna e i falò (infatti la luna influenzava i tempi di raccolta, mietitura e semina di tutte le colture e i falò venivano accesi per propiziare i raccolti in determinati giorni dell’anno), segnano tutta la narrazione.
NARRATORE Il romanzo è narrato in prima persona, abbiamo quindi un narratore interno. La focalizzazione è interna fissa, poiché è riportato il punto di vista del protagonista di cui durante la lettura non si riesce a scoprire il vero nome, ma solo un soprannome. Il narratore riporta i fatti senza seguire alcun ordine logico o cronologico, ma nella sequenza in cui gli tornano alla mente o li vive. Infatti, gli avvenimenti riportati non sono solo quelli della sua vita di adolescente, ma anche quelli che vive nel momento in cui racconta.
STILE E LINGUAGGIO
Nel romanzo è adottato uno stile semplice, che non cade però nel generico, nel facile e nel convenzionale; è uno stile scarno, disadorno, rapido e netto, privo di fronzoli, anche per quanto riguarda l’aggettivazione che si può definire scarna: il linguaggio utilizzato ricalca spesso e volentieri le forme della lingua parlata e in particolare le forme e i modi di dire del dialetto piemontese, non solo nei dialoghi ma anche nelle parti narrative; per quanto concerne la sintassi, Pavese preferisce l’uso delle coordinate alle subordinate per dare semplicità e colloquialità al suo romanzo. Il testo è ricco di figure semantiche, sintattiche e morfologiche, quali similitudini, sinestesie, metafore, sineddoche, ossimori, anacoluti ed ellissi, in prevalenza tratte dal linguaggio o dal gergo contadino e dall’ambiente della campagna. Fabula e intreccio in questo romanzo non coincidono come anche tempo della storia e tempo del racconto sono evidentemente sfalsati tra loro: il romanzo è montato infatti come un continuo andirivieni tra il piano della contemporaneità e il piano del passato dove ricorda episodi dell’ infanzia, le varie vicende passate e ciò che è avvenuto in paese durante la sua assenza; si rileva anche la presenza di prolessi come ad esempio la morte di Santa, che già nota viene però svelata nella sua verità solo alla fine del romanzo. Tutta questa struttura particolare del testo, unita alla penuria di elementi narrativi, rende la lettura del testo scorrevole.

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