La figura di Beatrice

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Italiana
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La figura di Beatrice

La figura di Beatrice può essere considerata l’ultima tappa di quell’evoluzione della figura femminile che, partita dalla donna dei lirici provenzali e passata attraverso i siciliani, i toscani e gli stilnovisti, approda con Dante al suo esito più spirituale e rarefatto.
All’inizio di questo percorso si colloca la visione provenzale della donna, aristocratica e esclusiva, strettamente collegata alla concezione dell’amore, estremamente selettiva basata su valori di fedeltà, dedizione, disinteresse che rispecchiano gli ideali tipici dell’era feudale. La donna provenzale è l’esatta controparte del signore feudale tanto che i poeti per rivolgersi a lei utilizzano il termine midons di genere maschile che significa letteralmente “mio signore”. La donna, vista come un essere superiore e irraggiungibile, è la signore del castello e per celare la sua vera identità il poeta la nomina attraverso un appellativo fittizio, il senhal, ricavato spesso da un aggettivo sostantivato, come ad esempio “la Cortese”. L’amore diviene un servizio dovuto dove tutto spetta alla donna e nulla all’uomo, che, dichiaratosi suo vassallo, si sottopone per amore alla prove più dure e crudeli attraverso le quali deve dimostrare il suo valore come fosse un cavaliere.
Notevolmente attenuata a vantaggio di atmosfere più rarefatte risulta la simbologia feudale nelle liriche della scuola siciliana: la donna è sempre un essere superiore ma perde la sua fisicità per diventare una personificazione astratta dell’Amore. La donna è anche in questo caso un “signore” da servire e onorare, lontana e crudele spesso indifferente alle sofferenze del poeta innamorato che non esprime, però, la sua soggettività nelle liriche. Le qualità della donna sono definite in maniera generica, il valore e la virtù assoluti caratterizzati nella descrizione da un tono astratto e stereotipato, fisso nella rappresentazione di immagini indeterminate. Al processo di rarefazione e stilizzazione contribuisce anche la nuova realtà politica in cui si trova immerso il poeta siciliano, colto funzionario del regno centralizzato di Federico II: la donna siciliana è inserita, infatti, in un contesto feudale finto in quanto non connesso alla reale situazione storico-geografica.
La donna dei toscani risulta una ripetizione, anche se con minime variazioni, del modello provenzale e siciliano. La finzione dell’ambientazione feudale risulta ancora più di maniera se messa in relazione con la vivacità della nuova realtà comunale, animata del fermento dello sviluppo economico e dell’affermazione politica.
Il passaggio da astrazione a idealizzazione è segnato dalla concezione della donna degli stilnovisti, che la descrivono come un essere superiore che può essere amata solo da animi nobili e da essi lodata, ecco che l’amore approda nella sfera della spiritualità e della religiosità, perdendo tutti i connotati terreni e materiali. La donna è un angelo che fa da intermediario fra uomo e Dio, che l’amante stupefatto contempla come un’apparizione che può essere unicamente oggetto di lodi e celebrazioni. Si sviluppa una concezione piuttosto aristocratica dell’amore in quanto ad appannaggio di poche eletti dal “cor gentile”, cioè dall’animo nobile e da una spiccata sensibilità, rintracciabile nei loro componimenti insieme a elementi frutto di un’analisi psicologica scaturita dall’amore ispirato dalla donna. Il cuore potenzialmente gentile passa all’atto solo per effetto dell’amore, che ha perso ogni traccia di materialità e ha per oggetto un essere eccezionale.
Dopo aver analizzato il modello stilnovista possiamo finalmente giungere a quello proposto da Dante che parte appunto da quest’ultimo. L’eccezionalità di Beatrice è riscontrabile fin da subito dall’analisi del suo nome che significa esattamente colei che dona beatitudine. Nella Vita Nova troviamo una serie di elementi che caratterizzano in maniera inequivocabile la sorprendente novità della figura di Beatrice: sogni e visioni ai quali è legata la sua vicenda e in cui si prefigura la sua prematura scomparsa, l’effetto miracoloso che ha su Dante la sua sola presenza o il suo saluto la cui negazione ha ripercussioni scioccanti sull’animo del poeta, che approda così alla “poetica della lode” in cui celebra Beatrice, fonte di ogni virtù e salvezza, e trae appagamento interiore proprio dalle parole di lode che rivolge all’amata. In quest’opera Dante rivela la vera essenza di Beatrice e realizza mediante la narrazione della sua morte il suo significato provvidenziale, il suo essere figura Christi, intesa come guida spirituale mediatrice per la salvezza eterna. Per questo non può concludere un discorso su di lei un’opera come la Vita Nova ma deve necessariamente approdare a un’opera più nobile e degna come la Commedia, in cui la donna si presenta come un essere totalmente celestiale, pura luce, percepibile dal poeta solo per grazia della volontà divina, che gli ha concesso il viaggio nei tre regni dell’oltretomba.

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