Carmelo Bene e Shakespeare

Materie:Tesina
Categoria:Letteratura Inglese
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Testo

Carmelo Bene e Shakespeare
Già ai primordi della sua carriera Carmelo Bene si dedicò al teatro elisabettiano, al dramma di Marlowe l’ Edward the II e già i critici fraintendevano il suo lavoro, “l’attore Carmelo Bene riuscì nella duplice veste di regista e di protagonista e con incredibile disinvoltura a trasformare il dramma elisabettiano in una farsa alla Macario e i personaggi in delle rozze e balbettanti macchiette”, Bene non riuscì quindi subito a trasmettere ciò che intendeva esprimere con il suo lavoro, ovvero ciò che può facilmente essere inteso come l’esclusiva interpretazione di se stesso. Egli era convinto che non fosse possibile né legittimo mettere in scena i classici come Shakespeare o Marlowe, i due più grandi poeti e teatranti della letteratura teatrale elisabettiana. “Mettere in scena oggi il loro teatro, comunque lo si rivisiti o lo si riscriva, significa cadere nell’equivoco[…]. Il “Sogno di una notte di mezza estate”, lo stesso “Romeo e Giulietta”, sono stati teatro e proprio per questo non possono più esserlo. Io non metto in scena Shakespeare _ l’ho detto tante volte _ né una mia interpretazione o lettura di Shakespeare, ma un saggio critico su Shakespeare”. “Si riscrive perché non si può più scrivere. Io riscrivo perché non sono Eva e tantomeno Adamo” affermava deciso. Del resto, come diceva Borges, non si può più esprimere, ma solo citare. L’opera di Bene si basa infatti sull’intertestualità, attraverso una riscrittura radicale egli arriva alla perdita della fonte, e ad una versione critica dell’opera originale. Maurizio Grande affermò che l’intertestualità è la forma della citazione e della moderna contaminatio, che in fine crea un dialogo tra testi. Bene oltre a citare naturalmente il dramma originale di Shakespeare contamina l’opera con brani tratti dalla terza parte di Henry VI, e da Portait of a lady e Ash- Wednesday di Thomas S. Eliot. E proprio dal grande poeta, drammaturgo e critico letterario, nonché premio Nobel per la letteratura, Carmelo Bene sembra prendere alla lettera il motto per cui i grandi artisti non imitano bensì rubano. La contaminazione opera su due livelli, uno più superficiale che è la citazione, l’altro più profondo e nascosto dissimulato ovvero l’ allusione, ed è proprio questa che dà luogo alle forme critiche del teatro moderno: il fraintendere e l’equivocare. L’intertestualità di Carmelo Bene viene messa in pratica anche tramite il procedimento per sottrazioni dal testo, una riscrittura dell’opera originale da intendersi come saggio critico e come parodia intesa come vicinanza e al tempo stesso deviazione, alterazione della fonte. Parodia dunque ed autoparodia operano insieme.
Circa la riscrittura del dramma shakespeariano “Riccardo III”si può notare non solo come Bene sia in grado di citare Eliot facendo sì che la sua poetica si fondi completamente con quella riccardiana senza quasi lasciare traccia di contaminazione apparente, ma anche come riesca ad amputare parti del testo o a trascrivere dialoghi e monologhi tagliando elementi linguistici troppo ampollosi in vista di una riscrittura sicuramente più scarna ma anche per questo maggiormente concisa e “ad effetto”. Un esempio particolare può essere quello del dialogo tra Gloucester ed Elisabetta durante la scena di tentata e poi riuscita seduzione. Bene riduce gran parte del dialogo come vediamo:
Gloucester (infilandosi una mano deforme): Quando
ritornerò, cinta la fronte delle mie ghirlan-
de di gloria, me la trascinerò nel letto di
chi ha vinto! Sua sarà la mia gloria! Lei
soltanto a trionfare: il Cesare di Cesare!...
Elisabetta Che farei meglio a dirle?!...Le dirò che
Suo zio vuole sposarla?!...
Gloucester Dille che l’Inghilterra starà in pace!…
Elisabetta Con guerre all’infinito…
Gloucester Dille che il re, che può ordinare, chiede!...
Elisabetta Cosa che a lei proibisce il Re dei re…
Gloucester Dille che regnerà alta e possente!...
Elisabetta E buona solo a piangere…
Gloucester Dille che l’amerò di amore eterno!...
Elisabetta Ma quanto dura la tua eternità?...
Gluocester Sino alla fine della sua bella vita!...
Elisabetta E la sua vita quanto sarà bella?!...
Gloucester Finchè natura e cielo lo vorranno!...
Elisabetta Finchè vorranno il diavolo e Riccardo!...
Gloucester Dille che c’è qui un re schiavo ai suoi piedi!...
Elisabetta Ma lei come tua suddita non t’ama!...
Gloucester Dille che…Per San Giorgio!...
Elisabetta Profanato!...
Gloucester Per la mia giarrettiera!...
Elisabetta No, è disonorata!...
Gloucester Per questa mia corona!...
Elisabetta No, è usurpata!...
Gloucester Giuro!
Elisabetta Ed è falso!...Lo sa tutto il mondo!...
Gloucester Giuro sul mondo!...
Elisabetta. È pieno dei tuoi crimini!...
Gloucester Su mio padre che è morto!...
Elisabetta Con la tua vita l’hai disonorato!...
Gloucester Lo giuro su me stesso”…
Elisabetta Tu hai tolto ogni valore anche a te stesso!...
Gloucester Giuro su Dio!...
Elisabetta L’hai troppo offeso!....
Gloucester Sull’avvenire!...
Elisabetta L’hai screditato con il tuo passato!...
Gloucester E allora dille che l’amo!!!...
E qui mentre Riccardo mette sempre più in difficoltà la regina Elisabetta per chiedere in sposa sua figlia, riuscendo infine a frantumare ogni tentativo di resistenza da parte della donna ormai costretta a cedere, Bene opera una riduzione radicale del dialogo originale tra i due personaggi per raggiungere una sintesi al limite delle passioni ed un finale urlato in crescendo. Sono molte le variazioni che Carmelo Bene applica sul testo del drammaturgo inglese per accostarlo al suo modo tutto personale ed intimo di vivere il dramma.
La saggistica beniana su Shakespeare affronta alcune tragedie come l’”Amleto”, con ben cinque edizioni differenti nel corso di un trentennio ( “Amleto” da William Shakespeare, “Amleto e le conseguenze della pietà filiale”, il film “Un Amleto di meno”, “Amleto di Carmelo Bene da Shakespeare a Jules Laforgue”, “Homelette for Hamlet”, “Hamlet Suite” uno spettacolo-concerto da Jules Laforgue) tant’è che, diceva Bene: «Dall’Hamlet, Hommelette, all’Hamlet suite , l’operetta del principe artistoide è il refrain delle vite che ho vissuto. La frequentazione assidua, persecutoria del bell’argomento (cinque esecuzioni sceniche sempre cangianti -’61, ’67, ’74, ’87, ’94 - , un film (’72), due diversissime edizioni televisive e registrazioni radiofoniche, audiocassette e compact-disc) mi “definiscono” Amleto del Novecento.»
Oltre al principe di Danimarca prenderà in mano anche il “Romeo e Giulietta”, l’ ”Otello” del quale, mostrato immerso nel buio contorniato da un’ unica sontuosa cornice bianca, immortala il suo inevitabile declino, il “Macbeth”, “dove il corpo dell’attore ridotto a mera cassa di risonanza , riesce in extremis a svellere le tavole del palcoscenico e scaraventarle nel vuoto prima del silenzio”, ed infine un dramma storico della tetralogia shakespeariana il “Riccardo III” rappresentazione prima teatrale, solo poi televisiva.
Oltre alla sottrazione di parti del testo Bene utilizza la tecnica dell’anacronismo, utilizzando false citazioni o fonti. Parte del testo viene quindi citata, parte sottratta e parte nuova, introdotta. Uno dei punti essenziali della tecnica beniana è il rifiuto della ragionevolezza della Storia. Eliminandola nelle sue opere, sia dal tempo, sia dallo spazio, arriva a creare un teatro che si annulla come un non-luogo, e si attua come un tempo non cronologico. Non ci deve essere storia nel teatro di Bene, manca infatti in tutte le sue opere qualsiasi tipo di narrazione, non c’è memoria del tempo perché non c’è tempo. Lo stesso attore va poi costruendosi sulla scena come un non-io piuttosto che come un altro, inteso qui come il personaggio.
Nel Riccardo terzo notiamo come il duca di Gloucester non abbia smanie di potere non ricerchi ciò che Shakespeare aveva sottolineato così ardentemente nel dramma, la ricerca è solo esclusivamente interiore. Non è più l’attore protagonista ad identificarsi con l’eroe, con il personaggio principale, bensì il contrario, ormai è il personaggio che si riconosce nell’attore. Bene mette in scena uno scambio delle parti. Ed è per questo che vediamo nel Riccardo terzo un potenziale istrione che inciampa nei suoi movimenti, barcolla, si dimena, tenta quasi di uscire da se stesso, si nota una forte volontà, quella di uscire dai suoi panni e dalla prigione della scena stessa. Ed il primo passo per l’attore che tenta di fuggire a un se stesso eroicizzato è quello di dimenticarsi della storia eliminandola da qualsiasi contesto teatrale, preferendo un eterno divenire in continua variazione, nella sua mutevolezza, impedendo quindi a qualsiasi componente di essere omologata e circoscritta.
Tutta l’attenzione di Carmelo Bene è rivolta ai personaggi, e cerca di dare vita nelle sue “non-rappresentazioni” alla loro ribellione dalla propria storia, dal passato, dalla memoria, nel caso di Riccardo terzo dallo stesso dramma shakespeariano creato appositamente per lui. Estrapolandoli quindi da ogni tipo di contesto storico Bene li riporta in vita costruendoli sulla scena, specchiandosi con loro ed interpretando, lui attore, la loro stessa rivolta. Questa rivoluzione di fondo Bene riesce perfettamente a tradurla sulla scena e sul testo eliminando tutte quelle parti inutili al suo intento. Ed è così che amputa il testo shakespeariano della storia dei Lancaster e degli York, la storia del potere politico, quella privata del Riccardo terzo, toglie di scena molti personaggi lasciando solo il duca di Gloucester e il suo dramma interiore. Fa in un certo modo resuscitare il post eroe, colui che è stato dissacrato, massacrato, ucciso da secoli di riproduzioni, rivisitazioni teatrali e cinematografiche. Riporta in vita Riccardo o meglio, la sua visione di Riccardo come personaggio non più eroico, non più imprigionato in un contorno storico. Ciò che Bene attua è una ribellione del personaggio inizialmente determinato dal contesto dispotico e riduttivo della storia. Infine riporta in vita Shakespeare attraverso i numerosi dialoghi ideali che intrattiene col drammaturgo in tutti suoi saggi critici.
Non sono parodie le sue, sono dei veri e propri saggi in cui va pian piano confrontandosi con il passato e con la sua critica. Si può dire che, probabilmente Bene ha dedicato una maggiore attenzione ed amore alle opere del drammaturgo inglese di qualsiasi altro scrittore o regista, affrontandolo in chiave moderna nella serie delle sue di-scritture. Non c’è mancanza di rispetto che alcuni critici hanno pensato male di vedere, bensì un accostamento originale all’antico testo, un ribaltamento della storia, dei personaggi, e ne è un ottimo esempio il Riccardo terzo, una macchina da guerra ed erotica creatasi sul set, non più un tiranno politico assetato di potere. Scrittori come Alberto Moravia se la sono presa con Bene perché lui a sua volta, assieme a personaggi quali Laforgue, se l’è presa con la letteratura shakespeariana anziché “scagliarsi contro se stesso”. In realtà è proprio qui che l’opera di Bene è solita essere fraintesa: il suo mettere in scena ad esempio il Riccardo III non è dovuto assolutamente alla mancanza di stima nei confronti del Bardo inglese, bensì ad un’altissima considerazione di esso, se si pensa che anche molte altre sue opere sono state rivisitate ma mai nessun personaggio era stato analizzato così a fondo. L’esempio che in Riccardo III secondo Bene può riassumere tutta l’ammirazione e la dettagliata analisi di ciò che in realtà sembrerebbe essere totalmente sottratto all’opera, come ad esempio la storia del duca di Gloucester, è il riferimento e la citazione al dramma che precede quello della tragedia del tiranno: la terza parte dell’ Henry VI. Così infatti esordisce il Gloucester di Carmelo Bene:
GLOUCESTER: “What, will the aspiring blood of Lancaster,
I, that have neither pity, love, nor fear.
Indeed, 'tis true that Henry told me of;
For I have often heard my mother say
I came into the world with my legs forward:
Had I not reason, think ye, to make haste,
And seek their ruin that usurp'd our right?
The midwife wonder'd and the women cried
'O, Jesus bless us, he is born with teeth!'
And so I was; which plainly signified
That I should snarl and bite and play the dog.
Then, since the heavens have shaped my body so,
Let hell make crook'd my mind to answer it.
I have no brother, I am like no brother;
And this word 'love,' which graybeards call divine,
Be resident in men like one another
And not in me: I am myself alone.”1
Quello di Carmelo Bene, quindi, nonostante sia un universo di citazioni da altri autori ed altre opere, quali ad esempio Thomas S. Eliot in Riccardo III, l’ “Arthur Rimbaud di Une saison en enfer” e Alice in The Wonderland di Lewis Carrol nel caso del Romeo e Giulietta, Jules Laforgue in Amleto, rimane sempre in stretta collaborazione con il passato, confrontandosi perennemente con il mondo poetico di altri e prevalentemente con quello del drammaturgo inglese. Il suo tempo sembra quindi andare di pari passo con quello elisabettiano. Può esserne un perfetto esempio il modo in cui Shakespeare già “giocava” con le consuetudini elisabettiane, il modo in cui anch’egli come al tempo, richiama nelle sue riscritture un mondo ricco di travestimenti e di scambio delle parti. Le parti delle donne erano infatti recitate da ragazzi mascherati, come voleva la convenzione, così Bene riporta in vita questa ambiguità sessuale anche se in maniera totalmente differente, assegnando ad esempio la parte del duca Buckingham all’attrice Laura Morante. Il travestimento riporta al processo di simbiosi tra maschile e femminile in un mondo primordiale che rimanda a sua volta al Caos più totale, in cui nulla si distingue dal resto; questo è sempre stato un po’ il modo di operare ed enfatizzare l’opera shakespeariana di Carmelo Bene. Allo scambio delle parti va ad aggiungersi in tutte le sue opere anche la sottrazione di qualsiasi tipo di distinzione tra parola e suono, rumore e musica, dove la parola secondo il suo teatro come quello che auspicava Antonin Artaud non è altro che “Parola di prima delle parole”. Ed è appunto attraverso questa anteriorità della lingua, questi travestimenti ed ambiguità sessuale che Bene cerca di dar vita e voce agli intimi progetti, ai desideri più reconditi del drammaturgo elisabettiano.
Il suo è quindi un teatro che deve molto soprattutto alla scena antica come quella elisabettiana: “Non dimentichiamo che il sole Shakespeare funzionò onnipresente nel suo Globe da riflettore-attore-direttore artistico ogni sera: un ruolo o una comparsa come certi pittori del 400 che nelle scene d’insieme, solevano ritrarre il proprio volto in un angolo oscuro della propria tela” così affermava Bene chiedendosi poi qual era il segreto di quei testi elisabettiani, il motivo della loro perenne giovinezza “faustiana”. Shakespeare e Marlowe sono sempre stati considerati da Bene come i sommi poeti di ogni tempo inglese: “Un mare sconfinato che, avendo tutto inghiottito, contiene tutto, anche il teatro. Perciò si può riscriverli intimamente, ma unicamente nell’irrapresentabile”, per questo afferma con decisione Bene, li si deve affidare solo allo smarrimento d’un attore che ammette la sua fragilità e la sua inconsistenza e non al contrario ad un presunto professionista rappresentante quel teatro della maggioranza da lui tanto detestato.
Bene trovava Shakespeare e Marlowe “rivisitabili” al contrario di altri testi ed altri autori proprio perché non ci sono contemporanei e al contempo non hanno alcun segreto da nascondere alla critica. “Il teatro è sfinita ed insensata rappresentazione, cerimonia funebre officiata dal regista cialtrone” diceva. Intimamente legato al teatro ed alla tradizione greca, C.B. riformula il testo shakespeariano, non si immedesima in esso e non lo riferisce nemmeno. Non è egli un attore che riferisce altro che recita la parte del personaggio parlando per lui; molti attori ricordando, celebrando e commentando intellettualmente i dialoghi di un’opera non fanno altro che rendere partecipe il pubblico delle loro capacità mnemoniche, al contrario Bene non esibisce le sue facoltà, egli si lascia parlare dal personaggio che impersonifica sulla scena. Molti invece non fanno altro che riferire il testo ignorando che esso in realtà non è altri che l’attore, il suo carisma poetico. Nel Riccardo III è infatti come se la voce si ascoltasse dire, come se il tiranno di Shakespeare tornasse realmente in vita. E Bene ancora una volta non poteva essere più chiaro e meno drastico quando afferma: “Parlare di Shakespeare è come parlare di Dio: è bello perché non esiste.” Vale comunque la pena di precisare che la scelta di Shakespeare per asserire che l’autore, paragonato a Dio, del testo è morto, è dovuta alla rivendicazione di un’affinità con esso, il “classico della letteratura” per eccellenza con il quale il nostro autore ritiene di poter tagliare di mezzo il testo, e farlo rivivere o meglio esserlo attraverso la re-citazione dell’attore. Mai dunque, asseriva nella sua autobiografia: “..adattarci a lui che fu, riferendone i versi, nell’ “ammodernamento” dei “conflitti” ” il che sarebbe “ rifiutare a lui la scena d’oggi, e a noi la vita del suo passato. ”
1 William Shakespeare, The Third part of King Henry the Sixth, Atto V, scena VI
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