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Testo
Varrone
La vita
Marco Terenzio Varrone nacque nel 116 a.C. a Rieti da una famiglia di latifondisti; fu per questo che ricevette una raffinata educazione, e i suoi maestri furono personaggi piuttosto importanti, quali Accio ed Elio Stilone, rispettivamente maestri di grammatica ed eloquenza. Inoltre, recandosi ad Atene, seguì anche gli insegnamenti del filosofo Antioco da Ascalona.
Divenne Questore e poi tribuno della plebe; poi si rifugiò in Grecia, non per l’usuale viaggio di istruzione, ma per voler evitare il consolato di Marco e Cinna; ritornò a Roma durante la dittatura di Silla e partecipò, a favore di Pompeo, alle tumultuose vicende di quel periodo.
Varrone infatti, seguì Pompeo sin dagli inizi, e partecipò ad ogni sua campagna militare, oltre che alle battaglie di Sartorio e contro i pirati; tuttavia non condivise l’alleanza fra Cesare e Pompeo e compose una satira contro il cosiddetto triumvirato(Tricàranos). Ma, Varrone, mentre era in Spagna per una campagna militare al fianco di Pompeo, si arrese a Cesare, anche se poi poté giungere a Durazzo ad assistere alla sconfitta definitiva di Pompeo. Cesare, quindi, gli affidò, nel 46 a.C., il compito di organizzare un’imponente biblioteca, che sarebbe stata la prima aperta al pubblico a Roma; il progetto, però, fu interrotto a causa della morte di Cesare stesso.
Varrone passò indenne attraverso la vittoria dei cesariani e il secondo triumvirato, e trascorse gli ultimi venti anni della sua esistenza a comporre le sue opere letterarie, morendo nel 27 a.C., quasi novantenne.
La sua produzione contava oltre 600 libri, dei quali non ci restano che pochi frammenti, che riguardavano tutti i campi della cultura romana del tempo; le uniche opere di Varrone che ci sono giunte, alcune intatte, altre molto frammentarie, sono il De re rustica, il De lingua Latina e le Saturae Menippae.
Le Saturae Menippae
Si pensa che le Saturae Menippae di Varrone fossero costituite da circa 150 libri, che trattavano argomenti di tipo vario, utilizzando soprattutto il genere satirico di Ennio e Lucilio; la particolarità, sta nel fatto che Varrone scelse di usare il prosimetrum per la sua opera, e non la scrisse in prosa, come avevano fatto i suoi predecessori, utilizzando un genere totalmente nuovo a Roma, caratterizzato dalla mescolanza tra prosa e versi. A noi sono pervenuti solamente circa 90 titoli e 600 frammenti.
Il richiamo a Menippo, vuole indicare solo la scelta del genere letterario, perché l’ideologia di Varrone è lontana da quella del filosofo, anche perché, Menippo era uno schiavo affrancato, e lui un ricco latifondista del partito conservatore. Inoltre, la filosofia cinica tipica di Menippo tendeva sempre a criticare le caratteristiche dell’alta società, e metteva in evidenza le cattive condizioni di vita degli schiavi, utilizzando forme di espressività molto realistiche. Anche Varrone spesso sfrutta la polemica a sfondo moralista, ma denuncia solo la corruzione dei valori della repubblica a causa della diffusione del lusso
Le Menippae di Varrone, inoltre, contengono componimenti politici, satire di costume, autobiografie e versi vari; i titoli spesso ricordano perle di saggezza o motti popolari, o una sorta di allusione a filosofie alla moda. Alcune satire parlano persino di viaggi fantastici, descrivono città utopistiche, e hanno sempre un elevato contenuto moralistico; anche lo stile è vario, e la lingua usata è solo apparentemente colloquiale, anche se è il risultato di uno studio molto accurato.
Il De lingua Latina
La sua produzione fu occupata dall’interesse per la grammatica e la filologia, trasmessogli dai suoi maestri; la suo opera più importante in questo campo è il De lingua Latina scritto fra il 47 e il 45 a.C. in 25 libri, dei quali ce ne restano soltanto 6, ossia dal V al X, che parlano di polemica fra analogia e anomalia e di problemi di etimologia.
Per quanto riguarda quelli che non ci sono pervenuti, il I libro fungeva da introduzione, i libri II-III parlavano di etimologia, i libri VIII-XIII di morfologia, i libri XIV-XXV di sintassi.
Nella parte in cui parla di etimologia, applica la sua ricerca a testi poetici antichi, cercando di interpretare dei carmi romani (per es. il carmen Saliare), non più comprensibili alla gente del tempo, e vuole rendere il significato originario usando parole di uso comune. Nella polemica fra analogisti e anomalisti, Varrone tiene una posizione neutrale, ritenendo che sia l’uso a creare le regole grammaticali, ma non ritiene che il valore della grammatica sia assoluto in campo linguistico. Secondo Varrone, l’etimologia prevede 4 livelli esplicativi: i casi di etimologia chiara; quelli più complessi trattati dai filologi; quelli colti della filosofia stoica, attenta al vero significato delle parole; quelli che permetterebbero addirittura di risalire alle origini del linguaggio.
Lo stile dell’opera è piuttosto tecnico e disadorno: abbondano, le ripetizioni, le locuzioni della lingua parlata, le ellissi di verbo e soggetto, che fanno conferire il tutto in un andamento trasandato.
Opere filologiche e antiquarie
Gli interessi di Varrone spaziarono anche in filologia, e lo spinsero a studiare questioni sul teatro arcaico (De originibus scaenicis, De personis) e a dedicarsi alla sistemazione delle commedie plautine (De comoediis Plautinis e Quaestionum Plautinarum libri V); infatti, dopo aver studiato tutte le 130 commedie attribuite a Plauto, ne riconobbe 21 autentiche, 19 incerte e 90 spurie.
Varrone studiò questioni antiche riguardanti soprattutto l’origine del popolo romano e i suoi costumi e vi dedicò alcuni singoli scritti e un opera monumentale, le Antiquitates, in 41 libri, divise in 25 libri Rerum humanarum e 16 Rerum divinarum, dedicati a Cesare. Nella prima parte Varrone narrava la storia della Roma arcaica, la geografia dell’Italia, il calendario romano e la costituzione repubblicana; nella seconda parte si davano notizie sulle istituzioni sacre, i sacerdozi, le feste, i templi, i culti e le divinità venerate a Roma. La sua suddivisione interna fa pensare ad una sensibilità di Varrone verso le dottrine filosofiche dei pitagorici (come la disposizione in esadi e triadi); le Res humanae erano suddivise, dopo un libro introduttivo, in quattro esadi, dedicate a personaggi, geografia, cronologia e politica; le Res divinae, anch’esse con un libro introduttivo, erano divise in cinque parti, ciascuna di tre libri, dedicate ai sacerdoti, ai templi, alle feste e agli dèi. L’articolazione dell’opera, con la humanae premesse alle divinae, ci fa capire come Varrone fosse di concezione laica, in cui la religione appare solo come creazione degli uomini. Secondo l’autore vi sono tre forme distinte di teologia: una teologia favolosa, costituita per lo più da racconti mitici; una teologia naturale, che si basa sulle opinioni che hanno i filosofi delle divinità; una teologia civile, riservata alla città e che deve avere rispetto per i culti ufficiali.
Varrone scrisse anche i Logistorici, un opera in prosa in 76 libri, ognuno dei quali prendeva il nome da un personaggio storico, il cui esempio serviva a trattare un tema in particolare ( per es. Marius de fortuna, Orestes de insania, Sisenna de historia).
Le Imagines, in 15 libri sviluppavano settecento ritratti di uomini celebri, presentati con un epigramma celebrativo e delle osservazioni in prosa.
Le Disciplinae, in 9 libri, costituiscono un’opera enciclopedica sulle artes: nei libri I-III trattava di grammatica, dialettica e retorica, nei libri IV-VII di geometria, aritmetica, astronomia e musica (rispettivamente il Trivio e il Quadrivio delle arti liberali), e nei libri VIII-IX di medicina e architettura (escluse dalle arti liberali).
Il De re rustica
Il De re rustica è l’unica opera di Varrone che ci è interamente pervenuta; fu scritta quando l’autore era già ottantenne e nel periodo in cui l’erede di Cesare espandeva i suoi domini, il che spingeva i cittadini ad abbandonare i centri abitati per rifugiarsi nelle campagne. Questo spiega il motivo delle numerose opere sull’agricoltura presenti in questo periodo.
Varrone inizia elogiando l’Italia come terra superiore a tutte le altre (laudes Italiae); la sua opera è scritta per fini prettamente pratici, anche sul modo più adatto di far fruttare un appezzamento di terreno. Dal punto di vista sociale, è rivoluzionario il suo atteggiamento nei confronti degli schiavi, verso i quali consiglia un atteggiamento umano, di non punirli, ma premiarli per incentivare il loro lavoro; inoltre consiglia di affidar loro un capo di bestiame o dei risparmi, in modo da renderli più fedeli e affezionati al loro padrone.