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Categoria: | Latino |
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Data: | 22.06.2005 |
Numero di pagine: | 4 |
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Testo
La rana presuntuosa (Fedro)
Povera, mentre vuole imitare il potente, va in rovina. Un giorno nel prato una rana vide un bue, e colpita dall’invidia di tanta grandezza sollevò la pelle rugosa. Allora interrogò i suoi figli se fosse più grossa del bue. Quelli negarono. Di nuovo tese la pelle con uno sforzo maggiore e cercò di sapere chi fosse il più grande. Quelli dissero il bue. Assai inviperita, mentre voleva gonfiarsi più gagliardamente, giacque col corpo squarciato.
Avidità punita (Fedro)
E’ giusto che perda ciò che gli appartiene colui che cerca l’altro. Un cane, trasportando un pezzo di carne per il fiume, nuotando vide la sua immagine nello specchio delle acque, e credendo che un’altra preda fosse portata da un altro, volle strapparla: ma in realtà l’avidità fu ingannata, e abbandonò il cibo che teneva in bocca,e si avvicinava verso quella a tal punto che non poté toccarla.
Semplicità (Orazio)
Odio, o fanciullo, lo sfarzo persiano,
non mi piacciono le corone intrecciate di tiglio
smetti di cercare in quali luoghi la rosa tardiva indugi.
Non mi curo che tu, zelante, aggiunga
Nulla al semplice mirto; ne’a te che mesci
Sconviene il mirto ne’a me che bevo
Sotto una folta vite.
A Lucilio (Seneca)
Con piacere appresi da quelli che vengono da te, che tratti familiarmente i tuoi schiavi: ciò si addice alla tua saggezza e alla tua dottrina. “Sono servi”. Piuttosto uomini. “Sono servi”. Piuttosto compagni. “Sono servi”. Piuttosto umili amici. Perciò rido di quelli che considerano cosa indecente cenare con il loro servo: per quale motivo, se non perché una sdegnosissima abitudine, mise attorno al padrone mentre pranzava la folla di servi che stanno in piedi? Nemmeno perciò è concesso agli infelici servi di muovere le labbra, per parlare: ogni mormorio è represso con il bastone, e nemmeno le cose fortuite, la tosse, il singhiozzo, lo starnuto, si sottraggono alla frusta. In seguito il proverbio si ripete: altrettanti sono i servi quanti sono i nemici; non li abbiamo nemici, ma li facciamo.
Il perfetto maestro (Quintiliano)
Assuma quindi prima di tutto l’animo di un padre nei confronti dei suoi discepoli e ritenga subentrare al posto di coloro da cui sono affidati i figli. Egli stesso né abbia vizi, né li sopporti. Non sia rigida la severità di lui, non sia eccessiva la sua affabilità, perché non sorga da qui (dalla severità) l’odio e da lì (dall’affabilità) il disprezzo. Parli spesso dell’onestà e del bene perché quanto più spesso avrà dato ammonimenti, tanto più raramente li punirà; nient’affatto iracondo, né tuttavia dissimulatore di quei difetti che dovranno essere corretti, semplice nell’insegnare, paziente nel lavoro, costante piuttosto che troppo esigente. A coloro che gli faranno domande risponda volentieri, e faccia domande lui di sua iniziativa. Nell'elogiare le esposizioni degli alunni non sia né avaro di elogi, né troppo generoso, poiché una cosa rende sgradevole il lavoro, l’altra procura eccessiva sicurezza. Nel correggere ciò che sarà da correggere, non sia aspro né affatto offensivo; perché ciò distoglie senza dubbio molti dal proposito di studiare, il fatto che alcuni li rimproverino così come se li odiassero. E qualcosa, anzi molte cose annunci quotidianamente, le quali i discepoli portino con loro. Ammesso pure infatti che dalla lettura derivano sufficienti esempi da imitare, tuttavia quella viva, come si suole dire, la voce nutre di più specialmente quella del maestro come (quella) dei discepoli, se soltanto siano stati bene educati, che amino e rispettino. Difficilmente si può dire per quanto più volentieri li imitiamo, coloro che ammiriamo.
Annalis (Tacito)
Aniceto fa accerchiare da guardie la villa, e, sfondata la porta, fa trascinare via tutti i servi che incontra, finchè giunge alla soglia della camera di Agrippina, custodita ormai da pochi, perché tutti gli altri erano stati messi in fuga dall’irruzione. Nella camera, debolmente illuminata, v’era una sola ancella; ed Agrippina era sempre più inquieta per il fatto che nessuno venisse a lei da parte del figlio e che neppure Agerino tornasse. Un evento lieto si sarebbe presentato con ben altro volto; ora, solitudine, rumori improvvisi, tutti gli indizi di una catastrofe. Poiché l’ancella si allontanava, ella aveva appena detto: “Mi abbandoni anche tu!”, quando scorse Aniceto, accompagnato da Erculeio, capitano di un trireme e del centurione della flotta abarito. Agrippina disse che, se egli era venuto a visitarla, poteva annunciare la sua guarigione; se invece a compiere un delitto, essa non credeva che fosse pro ordine del figlio, il quale nomn poteva aver comandato il matricidio. Gli esecutori circondarono il letto, e per primo Erculeio la percuote sul capo con una mazza; mentre il centurione alza il pugnale per finirla, essa protende il ventre, esclamando: “Colpisci questo!” e muore, trafitta da molte ferite.
Profilo di Attico
Attico né diceva né poteva sopportare le menzogne. Così la sua affabilità non era priva di severità, né la sua serietà priva di facilità. Qualsiasi cosa gli si chiedeva, lui scrupolosamente prometteva, poiché giudicava che non era da uomo libero, ma da uno incostante, promettere ciò che non poteva dare. Non gli viene mai a noia l’incarico affidatogli: infatti riteneva che la sua stima, in quanto aveva niente di più caro, lo conduceva all’impegno preso. Gli accadeva così di dover sbrigare tutti gli affari di Cicerone, di Catone, di Ortensio, di Torquato, e inoltre dei molti cavalieri Romani. Da ciò si poteva giudicare non per inerzia, ma a ragione veduta, aveva evitato l’incarico dello Stato.