Terenzio

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Testo

TERENZIO
LA VICENDA BIOGRAFICA
Publio Terenzio Afro nasce a Cartagine intorno al 185 a.C. o intorno al 195 a.C. Le poche notizie che si conoscono sulla vita di Terenzio risalgono ad una biografia scritta da Svetonio, indiretta: tra queste la biografia di Terenzio.
Egli è condotto schiavo a Roma (ma non è specificato in quali circostanze) dal senatore Terenzio Lucano, che, dopo averlo fatto educare, lo affranca, attribuendogli il proprio nome gentilizio, come era consuetudine per i liberti.
La vita di Terenzio s’inserisce nel periodo compreso tra la fine della seconda guerra punica (201 a.C.) e l'inizio della terza (149 a.C.), e la sua vicenda biografica si lega con la vicenda politica e culturale romana. L'educazione e la formazione del giovane avvengono a Roma, con l'ausilio di maestri greci: Terenzio ha modo di imparare il latino ed il greco e di entrare a contatto con la cultura greca.
Entra in contatto con la colta aristocrazia romana, in particolare con Scipione Emiliano e Gaio Lelio. Comincia a scrivere in giovanissima età e fa rappresentare sei commedie che lo rendono famoso ma gli attirano anche una serie d’accuse.
I suoi legami con il circolo scipionico gli procurano attacchi ripetuti e accuse di vario genere, dai quali si difende nei prologhi delle commedie. L'accusa più grave consiste nel sospetto di essere coadiuvato da altri nella composizione delle sue commedie o di essere il prestanome di personaggi illustri.
A differenza di Plauto, egli non modifica gli originali greci per adattarli alla sensibilità e ai gusti del pubblico romano ma tende a conservare nelle sue commedie i tratti distintivi dell'arte greca, in sintonia con il rapido diffondersi della civiltà greca a Roma. Terenzio rappresenta la realtà del suo tempo e la interpreta, sulla base degli ideali condivisi dalla cerchia di cui è interprete, in un linguaggio colto e raffinato.
Nel 160 a.C. Terenzio, dopo la rappresentazione di sei commedie che gli procurano fama e successo, ma anche momenti di difficile rapporto con il pubblico e con suoi contemporanei, parte per la Grecia. Non si conosce il motivo della sua partenza, si sa soltanto che l'anno successivo, durante il viaggio di ritorno, muore.
I RAPPORTI TRA TERENZIO E LA CORRENTE FILOELLENICA
La corrente filoellenica e il Circolo degli Scipioni
Cultura greca e tradizione romana trovano il loro punto d'incontro nell'esperienza politica e culturale che si realizza all’'interno del Circolo degli Scipioni, costituito da esponenti di famiglie nobili, della corrente scipionica, e da intellettuali greci e latini. La tendenza filoellenica che caratterizza il circolo trova il suo contrapposto nella posizione di Catone il Censore, che si oppone alla crescente ellenizzazione della cultura romana e alle rapide trasformazioni che questo fenomeno provoca negli usi, nei costumi, nel sistema dei valori romani.
La politica espansionistica romana comporta la necessità di adeguare le strutture dello stato alle nuove esigenze e di gettare le basi di una cultura proiettata verso orizzonti più ampi, e disponibile ad accogliere il nuovo.
Il circolo scipionico si afferma come espressione della tendenza politica e culturale che vuole proiettare Roma nella cultura dominante del bacino del Mediterraneo, cioè nella cultura ellenistica.
La vittoria sui Cartaginesi a Zama pone in primo piano la figura di Publio Cornelio Scipione Africano, che influisce sulla società aristocratica, indirizzandone il gusto verso il filoellenismo. La presenza degli Scipioni in posizioni di spicco continua con Lucio Emilio Paolo e con il figlio Scipione Emiliano. Tra i membri del circolo vi sono, accanto a Scipione Emiliano, esponenti delle due culture, greca e latina: Gaio Lelio, amico di Scipione, il commediografo Publio Terenzio Afro, il campano Gaio Lucilio, autore di satire. Tra i Greci vi è lo storico Polibio, educatore di Scipione e suo consigliere politico, il filosofo stoico Panezio, proveniente da Rodi. Dall'etica di Panezio deriva il concetto di humanitas, ideale comune a tutti i membri del circolo scipionico, che corrisponde all'ideale greco della filantropia.
L'humanitas si basa sul principio che tutti gli esseri umani sono uguali per natura, da cui deriva il dovere di riconoscere e rispettare l'uomo in ogni uomo; questo dovere naturale della filantropia si traduce in dovere di agire per il bene dell'umanità.
Quando Terenzio nasce a Cartagine, Roma è nella fase di piena realizzazione dell’intento di estendere il proprio dominio su tutto il Mediterraneo. Gli Scipioni hanno compreso che, per governare un impero così vasto, è indispensabile elaborare un nuovo concetto di cultura, in cui fondere i valori del mos maiorum romano con la παιδεία greca.
La nuova classe dirigente romana non può più fondare il suo potere sui soli valori del mos maiorum, ma deve instaurare un rapporto stabile con i popoli sottomessi attraverso la diffusione di ideali capaci di gestire e superare le differenze culturali. Il nuovo concetto di humanitas, che si esprime nel rispetto e nella tolleranza verso le forme della diversità religiosa, etnica, culturale, incarna le nuove necessità culturali del ceto dirigente romano.
Panezio afferma che è un dovere dell'uomo lo sviluppo della propria individualità attraverso la cura delle attività a lui più congeniali, tra cui quelle culturali, considerate tradizionalmente disdicevoli per il civis Romanus perché capaci di stimolare comportamenti individualistici ed allontanarlo dalla sfera delle azioni volte al bene dello Stato.
IL GIUDIZIO DEI CONTEMPORANEI
Terenzio e i contemporanei
Terenzio assorbe e riflette nelle sue opere la nuova cultura che si va diffondendo a Roma; di questa cultura è centro propulsore il Circolo degli Scipioni, al cui interno l'esperienza greca e quella romana trovano il loro punto di convergenza. Tra i rappresentanti del circolo, accanto al commediografo Publio Terenzio Afro, spiccano Gaio Lelio, uomo di cultura e amico di Scipione Emiliano, il campano Gaio Lucilio, autore di satire, lo storico greco Polibio.
Terenzio è tra i primi intellettuali a divulgare gli ideali del Circolo, che condivide e che si traducono in un modo di fare teatro, non rivoluzionario ma innovativo. Il successo non sempre pieno delle sue commedie è il risultato della mancata linea di continuità, che egli sceglie di adottare, con la tradizione italica e con il teatro plautino.
Il pubblico
L'Hecyra è messa in scena, per la prima volta, in occasione dei Ludi Megalenses del 165 a.C., ma la rappresentazione non riesce a giungere alla fine. È riproposta ai giochi funebri in onore di Lucio Emilio Paolo, nel160 a.C., di nuovo senza successo. Nello stesso anno, durante i ludi Romani, viene messa in scena per la terza volta ed è portata a termine, grazie alla bravura del capocomico Ambivio Turpione, al quale è affidata la recitazione del prologo.
La difficile fortuna della commedia tra i contemporanei è dovuta al carattere stesso della rappresentazione, in cui prevalgono la riflessione morale e pedagogica e l'analisi introspettiva dei personaggi. Si tratta di una commedia stataria, priva d’azione e con scarsi elementi di comicità, poco adatta ad un pubblico abituato all'immediatezza e al coinvolgimento estemporaneo dello spettacolo comico.
Le accuse dei nemici
Il nuovo clima politico e culturale e i rapporti d’amicizia con personaggi illustri permettono a Publio Terenzio di raggiungere la fama, alla quale si accompagna una serie di accuse. I nemici, tra cui Luscio Lanuvino gli muovono diversi rimproveri, da cui Terenzio si difende nei prologhi delle sue commedie.
Le voci di accusa
Terenzio affida ai prologhi delle sue commedie una funzione diversa da quella attribuitagli da Plauto, che se ne serviva per esporre il contenuto delle commedie e facilitarne la ricezione del pubblico; Terenzio li usa per polemizzare con i contemporanei e difendersi dalle accuse che gli vengono mosse.
I prologhi delle commedie ci forniscono la visione di un ambiente letterario poco disponibile alle novità e malevolo nei riguardi di Terenzio. Egli affida la propria autodifesa ad un personaggio che arriva a diventare un avvocato difensore, che all'inizio della commedia mette al corrente gli spettatori della disputa.
La diversa funzione che Terenzio attribuisce al prologo si trasforma da innovazione tecnica in disputa letteraria, sostanziata da antagonismo personale e da contrapposizione politica. Gli avversari, tra cui il poeta Luscio Lanuvino, guardano con diffidenza la tendenza verso il nuovo gusto teatrale del giovane poeta, ancorandosi alla tradizione, ma in realtà combattono la sua fama raggiunta in breve tempo e la sua condivisione di ideali di vita dei quali non si sentono partecipi.
Le accuse di cui è fornita testimonianza nei prologhi sono diverse: la prima riguarda la contaminazione, la seconda il plagio, la terza l'autenticità delle commedie, la quarta di mancare di vis comica e di far uso di un linguaggio troppo dimesso.
Terenzio è accusato di fare ricorso alla contaminatio, ossia di fondere insieme scene tratte da più commedie greche per comporne una in latino. Il fatto che Terenzio utilizzi più originali per elaborare un nuovo testo è ritenuto un contaminare le commedie greche, poiché per comporne una egli ne rende inutilizzabili molte. Per i Latini, infatti, una commedia greca già usata anche parzialmente da un commediografo non può essere ripresa da un altro: diventa una fonte inservibile. Terenzio ammette di mescolare insieme numerose commedie greche per comporne poche in latino ma replica all'accusa sostenendo di avere illustri predecessori nell'uso della contaminatio tra coloro che egli considera suoi maestri ed autori: Nevio, Ennio e Plauto, e giura che non smetterà di farlo proprio perché può vantare esempi illustri.
Nel prologo dell'Eunuchus, Terenzio confuta l'accusa di essere un plagiario, di fare cioè uso di situazioni e personaggi tratti da commedie greche già tradotte in latino, mentre la norma vuole che le commedie latine, per essere considerate originali, derivino da commedie greche mai tradotte.
L'accusa viene confutata con la debole scusa di aver peccato per ignoranza, non essendo a conoscenza delle commedie latine con gli stessi personaggi composte prima della sua, poi Terenzio rivendica una più moderna forma di originalità che consiste in un rifacimento di situazioni già note ma rivissute e riproposte con una sensibilità nuova, più aderente ai tempi.
Quanto all'accusa di essere un prestanome o di scrivere con la collaborazione di personaggi illustri, Terenzio non la confuta, ma la trasforma in lode. Terenzio è l'autore delle sue commedie, ma non si può non considerare l'influenza dell'ambiente. Le commedie terenziane sono opere di un giovane poco più che ventenne, che matura le sue idee nel colto e raffinato ambiente dell'aristocrazia romana che gravita intorno agli Scipioni; anche il modo di comportarsi e di esprimersi dei personaggi terenziani è misurato ed elegante
Lo stile meno robusto e licenzioso di quello plautino e la mancanza di una comicità immediata tutta giocata sulla parola e sull'azione rendono meno comprensibili le commedie di Terenzio al grosso pubblico. Terenzio utilizza il prologo del Phormio per rispondere all'accusa di comporre commedie scritte male, con un linguaggio dimesso, e povere d’intreccio, senza vis comica.
Le amicizie influenti (Heautontimorumenos, Prologo)
Nel prologo dell'Heautontimorumenos, Terenzio si difende dalle accuse di essere aiutato, nella composizione delle sue commedie, da personaggi eminenti del mondo politico e di fare uso della contaminatio.
La contaminatio (Andria, Prologo)
Terenzio è accusato di comporre le sue commedie in latino fondendo insieme più commedie greche. Nel prologo dell'Andria, egli afferma di aver cominciato la propria attività letteraria con il solo intento di scrivere commedie che potessero piacere al pubblico, e di avere dovuto sprecare il suo tempo a rispondere alle critiche di un perfido poeta. Dall'accusa di contaminatio si difende affermando che, chi lo incolpa di mescolare commedie diverse, coinvolge nel biasimo anche Nevio, Plauto, Ennio, suoi maestri che utilizzavano lo stesso metodo compositivo.
L’accusa di plagio (Eunuchus, Prologo)
I contemporanei rimproverano a Terenzio, oltre che di servirsi della contaminatio e di non essere il vero autore delle sue commedie, di macchiarsi di plagio, cioè di appropriarsi indebitamente di scene di commedie greche già tradotte in latino. Egli avrebbe infranto la regola che ammetteva l'uso della traduzione e dell'adattamento in latino di opere greche, ma non permetteva l'inserimento di scene o personaggi già introdotti in opere di altri autori latini. Nel prologo dell'Eunuchus, Terenzio risponde a quest'accusa, ammettendo di aver trasferito da una commedia di Menandro nella sua i personaggi del soldato fanfarone e dell'adulatore parassita, ma contesta di essere a conoscenza della loro presenza in commedie latine composte prima della sua.
I CARATTERI DELLE COMMEDIE
Struttura delle commedie e funzione del prologo
Terenzio opera modifiche rispetto alla tradizionale struttura della commedia nella scelta del titolo, nella funzione del prologo, nell'uso della contaminatio, nella tendenza alla staticità dell'azione scenica, nella sostituzione dei monologhi con i dialoghi, nell'eliminazione di quegli elementi metateatrali di rottura dell'illusione scenica. Nei contenuti attribuisce ai personaggi caratteri e comportamenti che riflettono la nuova dimensione culturale e il contesto ideale propri della tendenza filoellenica del circolo di cui fa parte. Abbandona l'uso del linguaggio popolare, corposo, scurrile e fantasioso di Plauto per una linguaggio più vicino al modo di essere dei suoi personaggi.
È possibile dedurre dalla stessa scelta del titolo delle commedie di Terenzio che egli preferisce, diversamente da Plauto, conservare i titoli degli originali greci, in sintonia con il gusto ellenizzante dell'epoca.
A ciò si aggiunge la diversa funzione del prologo, che assume tratti nuovi in Terenzio, rispetto alla tradizione greca e plautina, perché non è più parte integrante dell'opera, funzionale allo svolgimento della vicenda, ma è uno spazio che l'autore riserva per se, scorporato dalla finzione scenica. Le argomentazioni che l'attore espone nel prologo appaiono più efficaci e veritiere proprio perché sono esterne alla trama della commedia.
Il compito di esporre al pubblico l'antefatto e fornirgli indicazioni sulla trama è spostato in avanti, nelle prime scene, ed è affidato ad un personaggio che compare solo nella parte iniziale e non ha più alcun ruolo nel resto de presentazione.
Quanto all'accusa di contaminare più commedie greche, egli sostiene di non avere alcuna intenzione di rinunciare ad usare una tecnica compositiva già sperimentata prima di lui da coloro che considera suoi maestri (Nevio, Plauto ed Ennio).
Un ulteriore elemento di novità apportato da Terenzio alla commedia latina è la trasformazione dei monologhi in dialoghi e l'eliminazione di tutti gli elementi utili a creare un rapporto diretto ed immediato fra autore, personaggi e pubblico.
Le opere di Terenzio sono giunte tutte fino a noi complete delle notizie riguardanti la prima rappresentazione di ogni opera. Il termine didascalia indica l'insieme sintetico di notizie premesso ad una commedia.
Sono presenti anche in Terenzio i cantica, ossia le parti cantate della commedia, eseguiti con accompagnamento musicale da un flautista.
Il purus sermo di Terenzio
Terenzio riesce a mantenere un grande equilibrio di tono: l’esigenza di verosimiglianza tra azione scenica e vissuto quotidiano lo inducono ad usare una lingua accessibile e comprensibile a tutti i ceti sociali, un giusto mezzo tra la lingua dei ceti popolari e la lingua di cultura.
Plauto e Terenzio: due modi di fare teatro
Plauto appartiene alla generazione che vede la vittoria di Zama, nel 202 a.C., Terenzio a quella che assiste alla distruzione di Cartagine, ad opera di Publio Cornelio Scipione Emiliano, nel 146 a.C. Egli svolge la sua attività di commediografo in un momento in cui l'egemonia politica e militare raggiunta da Roma favorisce e rende necessaria la "sprovincializzazione" della sua cultura in seguito anche al contatto con la civiltà greca. La distanza e la profonda differenza che intercorre tra il teatro di Plauto e quello di Terenzio consiste nella scelta culturale operata da Terenzio.
La partecipazione alla corrente filoellenica si traduce in una nuova e diversa concezione del teatro.
Mentre Plauto trae ispirazione da originali greci caratterizzati da un'accentuata ed immediata vis comica, Terenzio preferisce Menandro, un autore più contenuto nei toni e più "pensoso”.
La vis comica plautina, fatta di battute veloci e mordaci che scatenano il riso, è estemporanea e coinvolgente ma di superficie, poiché si esaurisce nel tempo stesso della risata. Terenzio è più pacato, anche se non privo di momenti di più intensa comicità, velati di momenti di malinconia.
Quella terenziana è una commedia di carattere, protesa verso l'indagine introspettiva e lo studio dei comportamenti, mentre le commedie plautine sono giocate sulla varietà e l'ingegnosità dell'intreccio.
I personaggi plautini sono tipi fissi perché aderiscono ai caratteri della maschera che rappresentano; i personaggi di Terenzio sono esseri umani, che rivelano modi diversi di sentire e sfumature individuali e personali di sentimento.
Il teatro di Terenzio è per un pubblico capace di soffermarsi a riflettere, educato al gusto teatrale: un pubblico che non corrisponde però ancora alla realtà della società romana. Le sue commedie hanno scarso successo tra i contemporanei, abituati al teatro plautino, erede di quelle forme di comicità immediata e mordace di derivazione italica, che manca in Terenzio.
Egli tende a riservare lo spazio teatrale alla finzione scenica, togliendo tutti i momenti di contatto diretto con il pubblico.
L'assenza di un prologo informativo fa sì che gli spettatori ignorino gli sviluppi della vicenda e crea un maggiore senso di attesa e di sospensione, che tiene desta l'attenzione, favorendo la riflessione su quegli ideali di humanitas e di gravitas che costituiscono il sostrato etico delle commedie stesse.
Nel teatro plautino si realizza una continua rottura della finzione scenica, attuata per mezzo degli espedienti metateatrali e delle anticipazioni sull'esito della vicenda contenute nel prologo.
Mentre il teatro plautino, con la tecnica del teatro nel teatro (metateatro), tende a svelare continuamente agli spettatori l'illusorietà della rappresentazione, con Terenzio gli spettatori devono dimenticare che quanto si sta svolgendo davanti ai loro occhi è pura finzione scenica e credere di vedere rappresentato un dramma vero. Il teatro terenziano è stato definito naturalistico per la sua tendenza alla verosimiglianza tra arte e vita.
Il teatro terenziano vuole essere quanto più possibile aderente alla realtà e fornire allo spettatore l'illusione della verità.
I NUOVI VALORI DELLA SOCIETÀ ROMANA DI CUI TERENZIO SI FA ESPRESSIONE
L'ideale di humanitas e i suoi significati
Aulo Gellio, un erudito del II sec. d.C., spiega le due accezioni di humanitas nella cultura romana: il primo significato, di uso comune, corrispondente a quello di φιλανθροπία in greco, è benevolenza. Un secondo significato, proprio del linguaggio colto, si avvicina molto alla παιδεία greca e corrisponde alla dottrina ed all’educazione letteraria, filosofica ed artistica; in quest’accezione l'humanitas è l'elemento che contraddistingue l'uomo da tutti gli altri esseri viventi.
La nozione di humanitas viene sviluppata negli ultimi decenni dell'età repubblicana da Cicerone, che segue fedelmente, come fonte, un'opera del filosofo stoico Panezio. Negli scritti ciceroniani l' humanitas è un modo di essere che contraddistingue gli esponenti dell'aristocrazia romana più aperti e più colti, caratterizzato da sensibilità, comportamento raffinato, educazione letteraria.
In età imperiale diviene una qualità che caratterizza il rapporto tra il princeps e i suoi funzionari con i sottoposti: un rapporto in cui si mescolano condiscendenza, paternalismo e acquiescenza.
LE COMMEDIE: CARATTERI E CONTENUTI
Di Terenzio ci sono pervenute sei commedie, composte e rappresentate a Roma, di cui si conoscono, tramite le didascalie, l'anno e l'occasione del primo allestimento scenico. La prima commedia è l'Andria, cui fa seguito l'Hecyra, una commedia di difficile presa sul pubblico che, durante la prima rappresentazione in occasione dei Ludi Megalenses del 165 a.C., abbandona il teatro. Due anni dopo è di scena l'Heautontimorumenos e, nel 161, vengono allestiti l'Eunuchus ed il Phormio. Nel 160 a.C., in occasione delle celebrazioni funebri in onore di Lucio Emilio Paolo, è rappresentata l'ultima commedia, gli Adelphoe.
A volte è il capocomico a fare da intermediario tra l'autore e i magistrati, acquistando le opere teatrali. All'autore spetta un unico compenso relativo alla prima rappresentazione, poi non può più vendere la commedia una seconda volta. È probabile che Terenzio sia riuscito a proporre la stessa commedia più volte (è il caso dell’Hecyra) perché, visto l'insuccesso e la mancata rappresentazione, il manoscritto gli era stato restituito.
In sette anni, Terenzio riesce a far rappresentare sei commedie: il teatro di Terenzio, per i tratti di originalità che presenta, riesce a farsi interprete della necessità storica di coniugare la cultura romana con quella greca, orientando l'attenzione sulla personalità e sulle qualità dei singoli.
Andria, “La ragazza di Andro”
Il dialogo tra il vecchio Simone e il liberto Sosia ha la funzione d'informare gli spettatori dell'antefatto, assolvendo alla tradizionale funzione del prologo, e di porre l'accento sul rapporto tra padre e figlio. Tema della commedia è il conflitto generazionale, che coinvolge complessi e profondi valori umani. La storia d'amore è l'elemento che determina il contrasto tra Simone e il figlio Panfilo e muove la vicenda. Il padre, venuto a sapere che il figlio ama una ragazza dell'isola di Andro, si oppone alle nozze e si accorda con l'amico Cremete per far sposare a Panfilo una figlia di questi, Filumena. La situazione viene risolta grazia all'intervento di Davo, servo di Panfilo, e la scoperta che Glicerio è una figlia di Cremete rapita in tenera età. La vicenda si conclude con un doppio matrimonio: Panfilo sposa la sua innamorata e il suo amico Carino Filumena.
Nella commedia si mescolano elementi tradizionali (l'amore contrastato, il riconoscimento che determina il lieto fine, il servo callidus) con il tema del confronto tra due generazioni e due caratteri.
Heautontimorumenos, “Il punitore di se stesso” o “Il condannato volontario”
Il protagonista è il vecchio Menedemo, che, si sottopone volontariamente ad una vita dura ed umile per punirsi della sua eccessiva severità nei confronti del figlio Clinia. Menedemo, che ha costretto il figlio ad arruolarsi, pur di separarlo da Antifila, una ragazza onesta ma povera, non sa se Clinia sia vivo o morto. Il figlio ritorna e viene accolto dal padre che riesce a dimostrargli un affetto consapevole e maturo. Clinia può anche sposare Antifila, riconosciuta come figlia di Cremete, il vicino di Menedemo.
Tutta la commedia è incentrata sullo studio dei caratteri; Terenzio porta in scena un dramma interiore, in cui poco spazio hanno gli elementi tipici del teatro comico tradizionale.
Eunuchus, “L’eunuco”
È la commedia che segna il ritorno dell'autore ad una comicità di tipo plautino, giocata sulla vivacità dell'azione e la comparsa di personaggi noti. L'Eunuchus è un susseguirsi di trovate e di equivoci che riescono a tenere viva l'attenzione del pubblico ed a suscitare momenti di intensa comicità. La trama ripropone il tema del travestimento e degli inganni d'amore: il giovane Cherea si traveste da eunuco per sedurre una giovane e bella schiava che la cortigiana Taide ha avuto in dono dal miles Trasone. La schiava si rivela di nascita libera e il lieto fine è assicurato con nozze riparatrici.
Il tono della commedia è dato anche dalla presenza di adulescentes, tra cui due fratelli, affiatati e solidali tra loro. Al confronto tra due senes, in contrasto con la generazione dei figli, si sostituisce un rapporto di complicità tra due giovani.
Phormio, “Formione”
La commedia prende il titolo dal nome di un personaggio, il parassita, che è indirettamente sempre presente, poiché è il motore di tutta la vicenda, autore dell'intrigo su cui si fonda la commedia. Durante l'assenza dei rispettivi padri, i fratelli Cremete e Demifone, i due giovani Fedria e Antifone sono affidati alle cure del servo Geta. I problemi iniziano quando i due giovani s’innamorano e Geta, per risolvere le loro questioni amorose si rivolge a Formione, parassita che riesce a portare a buon fine le vicende. I personaggi sono disposti in coppie: due padri e due figli, con funzione di protagonisti e con una prevalenza dello spazio e dell'importanza dei padri nei confronto ai figli nell'azione scenica. Agli elementi di simmetria, si affiancano elementi di singolarità: il servo Geta e il parassita Formione sono personaggi che vivono della loro individualità e della loro capacità di infrangere gli equilibri codificati per trasformare la realtà e adattarla ai propri desideri.
Hecyra, “La suocera”
Lo scarso successo ottenuto dall'Hecyra presso il pubblico romano testimonia indirettamente la novità di questa commedia e del teatro terenziano. Alla vis comica plautina e all'azione scenica, Terenzio sostituisce una serie di riflessioni sulla natura umana e sui rapporti tra gli individui, portando in scena personaggi inusuali per gli spettatori. La protagonista, da cui prende il titolo la commedia, è Sostrata, la suocera, intorno alla quale si svolge la vicenda. II figlio Panfilo, innamorato della cortigiana Bacchide, ha sposato Filumena, per volontà del padre. Le difficoltà matrimoniali dei due giovani vengono attribuite alla suocera, sospettata di essere la cause del dissidio tra i giovani. In realtà, Filumena ha abbandonato il tetto coniugale perché è in. attesa di un figlio, frutto di una violenza subita prima del matrimonio. La vicenda si chiarisce grazie al riconoscimento di un anello un tempo appartenente a Filumena e ora portato al dito da Bacchide, che lo ha avuto da Panfilo. È Panfilo che dieci mesi prima, dopo aver violentato per strada una giovane sconosciuta, ed averle sfilato l'anello, lo ha donato all'antica amante. Grazie al riconoscimento dell'anello, si scopre che la sconosciuta violentata da Panfilo era la futura moglie Filumena: Panfilo è il padre legittimo del bambino e la vicenda può avviarsi al lieto fine con il ricongiungimento, di Panfilo e Filumena e la riabilitazione della suocera.
La commedia pone, in primo piano, aspirazioni e desideri nascosti, dinamiche interpersonali, convenzioni sociali. Temi centrali sono il senso della famiglia e il decoro sociale.
Adelphoe, “I fratelli”
La commedia Adelphoe, "I fratelli", è rappresentata a Roma nel 160 a.C. ai giochi funebri in onore di Lucio Emilio Paolo. La commedia si fonda su una struttura a coppie parallele: protagoniste sono due coppie simmetriche di fratelli, due padri, Micione e Demea, due figli, Eschino e Ctesifone. Grazie all'adozione di Eschino da parte di Micione, si giunge al paradosso che ciascuno dei fratelli ha un suo padre, e ciascuno degli anziani un suo figlio. Tutta la commedia, sul piano della struttura, è giocata sulle simmetrie e sul confronto: alla coppia di fratelli giovani corrispondono due ragazze; intorno ai due senes si muovono i rispettivi servi; alla figura del lenone si contrappone quella del galantuomo Egione; sulla scena compaiono due case.
La commedia è centrata sul tema dell'educazione dei figli. I due padri, Milione e Demea, esprimono due metodi educativi opposti: il primo è fondato sull'accondiscendenza, la comprensione, l'indulgenza, il secondo sulla proibizione, il controllo, la punizione. I due giovani sono stati allevati in modo opposto. Alla fine si scopre che forse è più efficace il metodo indulgente e permissivo di Micione; Demea si dichiara pronto a mutare i suoi rigidi principi per trasformarsi in un padre attento ma non repressivo. Nel porre a confronto le due tesi che corrispondono al modello pedagogico tradizionale romano, autoritario e conservativo, e al modello più liberale di derivazione greca, Terenzio sembra non voler scegliere, lasciando aperta una terza soluzione, frutto della conciliazione tra i due metodi.
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