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Testo
Andolina Grazia
Classe 5^s
17 settembre 2005
Germania omnis a Gallis Raetisque et Pannoniis Rheno et Danuvio fluminibus, a Sarmatis Dacisque mutuo metu aut montibus separatur: cetera Oceanus ambit, latos sinus et insularum inmensa spatia complectens, nuper cognitis quibusdam gentibus ac regibus, quos bellum aperuit. Rhenus, Raeticarum Alpium inaccesso ac praecipiti vertice ortus, modico flexu in occidentem versus septentrionali Oceano miscetur. Danuvius molli et clementer edito montis Abnobae iugo effusus pluris populos adit, donec in Ponticum mare sex meatibus erumpat: septimum os paludibus hauritur
Italiano
I fiumi Reno e Danubio separano l\'intera Germania da Galli, Reti e Pannoni; la reciproca paura o i monti la separano da Sarmati e Daci; le altre parti le cinge l\'Oceano, abbracciando ampie penisole e isole di smisurata estensione, dove, in tempi recenti, abbiamo conosciuto alcuni popoli e re, che la guerra ci ha fatto scoprire. Il Reno, scaturito da inaccessibile e scoscesa vetta delle Alpi Retiche, piegando con lenta curva a occidente, va a sfociare nell\'Oceano settentrionale. Il Danubio, sgorgando dalla catena del monte Abnoba, non molto elevato e dal dolce pendio, lambisce le terre di molti popoli, per poi gettarsi, da sei foci, nel Mar Pontico; la corrente d\'una settima foce s\'impaluda.
Ipsos Germanos indigenas crediderim minimeque aliarum gentium adventibus et hospitiis mixtos, quia nec terra olim, sed classibus advehebantur qui mutare sedes quaerebant, et inmensus ultra utque sic dixerim adversus Oceanus raris ab orbe nostro navibus aditur. Quis porro, praeter periculum horridi et ignoti maris, Asia aut Africa aut Italia relicta Germaniam peteret, informem terris, asperam caelo, tristem cultu adspectuque, nisi si patria sit? Celebrant carminibus antiquis, quod unum apud illos memoriae et annalium genus est, Tuistonem deum terra editum. Ei filium Mannum, originem gentis conditoremque, Manno tris filios adsignant, e quorum nominibus proximi Oceano Ingaevones, medii Herminones, ceteri Istaevones vocentur. Quidam, ut in licentia vetustatis, pluris deo ortos plurisque gentis appellationes, Marsos Gambrivios Suebos Vandilios adfirmant, eaque vera et antiqua nomina. Ceterum Germaniae vocabulum recens et nuper additum, quoniam qui primi Rhenum transgressi Gallos expulerint ac nunc Tungri, tunc Germani vocati sint: ita nationis nomen, non gentis evaluisse paulatim, ut omnes primum a victore ob metum, mox etiam a se ipsis, invento nomine Germani vocarentur.
Italiano
Propendo a credere i Germani una razza indigena, con scarsissime mescolanze dovute a immigrazioni o contatti amichevoli, perché un tempo quanti volevano mutare paese giungevano non via terra ma per mare, mentre l\'Oceano, che si stende oltre sconfinato e, per così dire, a noi contrapposto, raramente è solcato da navi provenienti dalle nostre regioni. E poi, a parte i pericoli d\'un mare tempestoso e sconosciuto, chi lascerebbe l\'Asia, l\'Africa o l\'Italia per portarsi in Germania tra paesaggi desolati, in un clima rigido, in una terra triste da vedere e da starci se non per chi vi sia nato? In antichi poemi, unica loro forma di trasmissione storica, cantano il dio Tuistone nato dalla terra. A lui assegnano come figlio Manno, progenitore e fondatore della razza germanica e a Manno attribuiscono tre figli, dal nome dei quali derivano il proprio gli Ingevoni, i più vicini all\'Oceano, gli Erminoni, stanziati in mezzo, e gli Istevoni, cioè tutti gli altri. Alcuni, per la libertà che tempi tanto antichi consentono, ritengono più numerosi i figli del dio e più numerose le denominazioni dei popoli, cioè i Marsi, i Gambrivii, gli Svevi, i Vandilii, e che questi siano i nomi genuini e antichi. Invece il termine Germania è stato introdotto nell\'uso di recente, perché i primi che varcarono il Reno, cacciandone i Galli, quelli che ora son detti Tungri, si chiamavano a quel tempo Germani. Così a poco a poco prevalse il nome di una tribù, non dell\'intera stirpe: dapprima tutti, per la paura che incutevano, furono chiamati Germani dal nome dei vincitori, ma poi, ricevuto quel nome, finirono per attribuirselo essi stessi.
Fuisse apud eos et Herculem memorant, primumque omnium virorum fortium ituri in proelia canunt. Sunt illis haec quoque carmina, quorum relatu, quem barditum vocant, accendunt animos futuraeque pugnae fortunam ipso cantu augurantur. Terrent enim trepidantve, prout sonuit acies, nec tam vocis ille quam virtutis concentus videtur. Adfectatur praecipue asperitas soni et fractum murmur, obiectis ad os scutis, quo plenior et gravior vox repercussu intumescat. Ceterum et Ulixen quidam opinantur longo illo et fabuloso errore in hunc Oceanum delatum adisse Germaniae terras, Asciburgiumque, quod in ripa Rheni situm hodieque incolitur, ab illo constitutum nominatumque; aram quin etiam Ulixi consecratam, adiecto Laertae patris nomine, eodem loco olim repertam, monumentaque et tumulos quosdam Graecis litteris inscriptos in confinio Germaniae Raetiaeque adhuc exstare. Quae neque confirmare argumentis neque refellere in animo est: ex ingenio suo quisque demat vel addat fidem.
Italiano
Si ricorda che anche Ercole ebbe a stare con loro e, al momento di andare in battaglia, lo celebrano come il più valoroso fra tutti gli eroi. Hanno pure canti di battaglia che intonano - la modulazione la chiamano bardito - per esaltare gli animi e dal canto traggono presagi sull\'esito della battaglia. Infatti atterriscono, o son loro a tremare, a seconda di come si leva il grido di guerra; e non sembra un complesso di voci, ma un unanime incitamento al valore. Puntano soprattutto all\'asprezza del suono e a produrre un\'onda sonora tutta franta, e accostano lo scudo alla bocca, perché la voce, per risonanza, rimbombi più forte e cupa. Alcuni poi pensano che anche Ulisse, portato a questo Oceano da quel suo ben noto lungo e leggendario errare, abbia raggiunto le terre della Germania e che abbia fondato e chiamato Asciburgio la località posta sulla riva del Reno e oggi ancora abitata; dicono anzi che in quello stesso luogo si sia ritrovata in passato un\'ara consacrata a Ulisse, con l\'aggiunta del nome del padre Laerte e che al confine tra Germania e Rezia esistano tuttora monumenti e tombe con iscrizioni in caratteri greci. Cose che non confermo, né intendo confutare: ciascuno può credervi, o no, a suo piacere.
Ipse eorum opinionibus accedo, qui Germaniae populos nullis aliis aliarum nationum conubiis infectos propriam et sinceram et tantum sui similem gentem exstitisse arbitrantur. Unde habitus quoque corporum, tamquam in tanto hominum numero, idem omnibus: truces et caerulei oculi, rutilae comae, magna corpora et tantum ad impetum valida: laboris atque operum non eadem patientia, minimeque sitim aestumque tolerare, frigora atque inediam caelo solove adsueverunt.
Italiano
Personalmente inclino verso l\'opinione di quanti ritengono che i popoli della Germania non siano contaminati da incroci con gente di altra stirpe e che si siano mantenuti una razza a sé, indipendente, con caratteri propri. Per questo anche il tipo fisico, benché così numerosa sia la popolazione, è eguale in tutti: occhi azzurri d\'intensa fierezza, chiome rossicce, corporature gigantesche, adatte solo all\'assalto. Non altrettanta è la resistenza alla fatica e al lavoro; incapaci di sopportare la sete e il caldo, ma abituati al freddo e alla fame dal clima e dalla povertà del suolo.
Terra etsi aliquanto specie differt, in universum tamen aut silvis horrida aut paludibus foeda, umidior qua Gallias, ventosior qua Noricum ac Pannoniam adspicit; satis ferax, frugiferarum arborum inpatiens, pecorum fecunda, sed plerumque improcera. Ne armentis quidem suus honor aut gloria frontis: numero gaudent, eaeque solae et gratissimae opes sunt. Argentum et aurum propitiine an irati di negaverint dubito. Nec tamen adfirmaverim nullam Germaniae venam argentum aurumve gignere: quis enim scrutatus est? Possessione et usu haud perinde adficiuntur. Est videre apud illos argentea vasa, legatis et principibus eorum muneri data, non in alia vilitate quam quae humo finguntur; quamquam proximi ob usum commerciorum aurum et argentum in pretio habent formasque quasdam nostrae pecuniae adgnoscunt atque eligunt. Interiores simplicius et antiquius permutatione mercium utuntur. Pecuniam probant veterem et diu notam, serratos bigatosque. Argentum quoque magis quam aurum sequuntur, nulla adfectione animi, sed quia numerus argenteorum facilior usui est promiscua ac vilia mercantibus.
Italiano
Il quale suolo, alquanto vario d\'aspetto, nell\'insieme risulta irto di selve e infestato da paludi, più umido verso le Gallie, più ventoso verso il Norico e la Pannonia; ferace di messi, inadatto agli alberi da frutta, ricco di bestiame, per lo più di piccola taglia. Neppure i buoi hanno la loro solenne bellezza o l\'ornamento delle corna; conta per loro la quantità e sono l\'unica e più gradita ricchezza. Gli dèi hanno negato ai Germani l\'argento e l\'oro: se sia ciò segno di protezione o di ostilità, non saprei. Però non mi sento di dire che non s\'apre nessuna vena d\'argento o d\'oro in Germania: chi le ha mai sondate? Diverso rispetto a noi l\'uso, diverso il valore che danno al possesso. Capita di vedere, da loro, vasi d\'argento offerti in dono ad ambasciatori o a capi, ma trattati con la stessa noncuranza di quelli d\'argilla. Ma i popoli a noi più vicini, a seguito dei rapporti commerciali, valorizzano l\'oro e l\'argento e mostrano di riconoscere e di pregiare alcune nostre monete; i popoli dell\'interno praticano, con più semplice e antica forma di scambio, il baratto. Danno credito alle monete vecchie, note da tempo, quelle con l\'orlo dentato o con impressa una biga. Ricercano l\'argento più dell\'oro, non per una particolare predilezione, ma perché il valore delle monete d\'argento meglio si presta al commercio di oggetti ordinari e poco pregiati.
Ne ferrum quidem superest, sicut ex genere telorum colligitur. Rari gladiis aut maioribus lanceis utuntur: hastas vel ipsorum vocabulo frameas gerunt angusto et brevi ferro, sed ita acri et ad usum habili, ut eodem telo, prout ratio poscit, vel comminus vel eminus pugnent. Et eques quidem scuto frameaque contentus est; pedites et missilia spargunt, pluraque singuli, atque in inmensum vibrant, nudi aut sagulo leves. Nulla cultus iactatio; scuta tantum lectissimis coloribus distinguunt. Paucis loricae, vix uni alterive cassis aut galea. Equi non forma, non velocitate conspicui. Sed nec variare gyros in morem nostrum docentur: in rectum aut uno flexu dextros agunt, ita coniuncto orbe, ut nemo posterior sit. In universum aestimanti plus penes peditem roboris; eoque mixti proeliantur, apta et congruente ad equestrem pugnam velocitate peditum, quos ex omni iuventute delectos ante aciem locant. Definitur et numerus; centeni ex singulis pagis sunt, idque ipsum inter suos vocantur, et quod primo numerus fuit, iam nomen et honor est. Acies per cuneos componitur. Cedere loco, dummodo rursus instes, consilii quam formidinis arbitrantur. Corpora suorum etiam in dubiis proeliis referunt. Scutum reliquisse praecipuum flagitium, nec aut sacris adesse aut concilium inire ignominioso fas; multique superstites bellorum infamiam laqueo finierunt.
Italiano
Neppure il ferro abbonda, a giudicare dal tipo di armi. Pochi usano spade e lance d\'una certa lunghezza: portano delle aste o, per dirla col loro nome, delle framee, dal ferro stretto e corto ma tanto aguzze e maneggevoli che possono impiegare la stessa arma, secondo occorrenza, in combattimenti da vicino e da lontano. Anche i cavalieri si limitano ad avere scudo e framea; i fanti lanciano anche proiettili, molti ciascuno, e li scagliano a grande distanza, a corpo nudo o coperti d\'un mantello leggero. Non ostentano ornamenti militari; soltanto gli scudi li tingono di colori vistosi. Pochi indossano corazze, pochissimi poi un elmo di cuoio o di metallo. I cavalli non spiccano né per bellezza né per velocità. Neppure li addestrano a fare volteggi, come da noi: portano i cavalli in linea retta o fanno eseguire loro una conversione a destra con un allineamento così compatto che nessuno resta indietro. Ad una valutazione globale, è più forte la fanteria; e per questo combattono mescolati, perché si uniforma armonicamente alla battaglia equestre la velocità dei fanti, scelti fra tutti i giovani e disposti in prima fila. Anche il loro numero è prestabilito: cento per ogni distretto, e appunto questo è il nome che li indica fra loro, sicché quello che dapprima era un numero diventa un titolo d\'onore. La schiera si dispone a cunei. L\'indietreggiare, purché si contrattacchi, lo considerano saggia tattica piuttosto che segno di paura. Anche nelle battaglie d\'esito incerto, portano indietro i corpi dei caduti. L\'onta peggiore è abbandonare lo scudo e a chi così si sia disonorato non si concede più di presenziare ai riti o di intervenire alle assemblee, tanto che molti scampati alla guerra posero fine al loro disonore con un laccio al collo.
Reges ex nobilitate, duces ex virtute sumunt. Nec regibus infinita aut libera potestas, et duces exemplo potius quam imperio, si prompti, si conspicui, si ante aciem agant, admiratione praesunt. Ceterum neque animadvertere neque vincire, ne verberare quidem nisi sacerdotibus permissum, non quasi in poenam nec ducis iussu, sed velut deo imperante, quem adesse bellantibus credunt. Effigiesque et signa quaedam detracta lucis in proelium ferunt; quodque praecipuum fortitudinis incitamentum est, non casus, nec fortuita conglobatio turmam aut cuneum facit, sed familiae et propinquitates; et in proximo pignora, unde feminarum ululatus audiri, unde vagitus infantium. Hi cuique sanctissimi testes, hi maximi laudatores. Ad matres, ad coniuges vulnera ferunt; nec illae numerare aut exigere plagas pavent, cibosque et hortamina pugnantibus gestant.
Italiano
Scelgono i re per nobiltà di sangue, i comandanti in base al valore. I re non hanno potere illimitato o arbitrario e i comandanti contano per l'esempio che danno, non perché comandano, facendosi ammirare, se sono coraggiosi, se si fanno vedere innanzi a tutti, se si battono in prima fila. D\'altronde, mettere a morte, imprigionare, sferzare è concesso solo ai sacerdoti e ciò non per punizione o per ordine del comandante, ma come per imposizione del dio che credono presente fra i combattenti. Portano in battaglia immagini di belve e simboli divini tratti dai boschi sacri, e - cosa che più d\'ogni altra sprona al coraggio - la formazione di uno squadrone di cavalleria o di un cuneo avviene non per casuale raggruppamento, ma in base alle famiglie e ai clan; i loro cari stanno nei pressi, da dove possono udire le urla delle donne e i vagiti dei bambini. Questi i testimoni più sacri; da loro la lode più ambita: presentano le ferite alle madri, alle mogli, che hanno l\'animo di contarle e di esaminarle; ed esse recano ai combattenti cibi ed esortazioni.
Memoriae proditur quasdam acies inclinatas iam et labantes a feminis restitutas constantia precum et obiectu pectorum et monstrata comminus captivitate, quam longe inpatientius feminarum suarum nomine timent, adeo ut efficacius obligentur animi civitatum, quibus inter obsides puellae quoque nobiles imperantur. Inesse quin etiam sanctum aliquid et providum putant, nec aut consilia earum aspernantur aut responsa neglegunt. Vidimus sub divo Vespasiano Veledam diu apud plerosque numinis loco habitam; sed et olim Albrunam et compluris alias venerati sunt, non adulatione nec tamquam facerent deas.
Italiano
Si ha ricordo di eserciti, ormai sul punto di ripiegare e di cedere, rinsaldati dalle insistenti preghiere delle donne che mostravano il petto e che indicavano loro lo spettro dell\'imminente schiavitù; schiavitù che temono per le loro donne assai più che per sé, tanto che si sentono più saldamente vincolate quelle popolazioni dalle quali si pretendono, come ostaggi, anche nobili fanciulle. Attribuiscono anzi alle donne un che di sacro e di profetico e non ne sottovalutano i consigli o ne disattendono i responsi. Abbiamo veduto noi romani, al tempo del divo Vespasiano, Velleda considerata da molti come un dio; ma anche in passato venerarono Albruna e parecchie altre, non per adulazione, né per farne delle dee.
Deorum maxime Mercurium colunt, cui certis diebus humanis quoque hostiis litare fas habent. Herculem et Martem concessis animalibus placant. Pars Sueborum et Isidi sacrificat: unde causa et origo peregrino sacro, parum comperi, nisi quod signum ipsum in modum liburnae figuratum docet advectam religionem. Ceterum nec cohibere parietibus deos neque in ullam humani oris speciem adsimulare ex magnitudine caelestium arbitrantur: lucos ac nemora consecrant deorumque nominibus appellant secretum illud, quod sola reverentia vident.
Italiano
Sopra tutti gli dèi onorano Mercurio, cui ritengono lecito, in certi giorni, fare anche sacrifici umani. Placano Ercole e Marte con sacrifici d\'animali consentiti. Parte degli Svevi sacrifica anche a Iside. Dell\'origine e del motivo di questo culto straniero ho potuto accertare ben poco al di fuori di un dato, e cioè che il simbolo stesso della dea, rappresentata in forma di nave liburnica, dimostra che il culto è stato importato. Non ritengono per altro conforme alla maestà degli dèi rinserrarli fra pareti e raffigurarli con sembianza umana: consacrano loro boschi e selve e danno nomi di divinità a quell\'essere misterioso che solo il senso religioso fa loro percepire.