Tacito

Materie:Appunti
Categoria:Latino

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Testo

LIBRO XIII, CAPITOLO 20

1. Era avanzata la notte e Verone la tirava in lungo nell'ubriachezza, quando fa il suo ingresso Paride, che in genere soleva, a quel punto (della notte), eccitare la lussuria del sovrano, ma allora atteggiato a mestizia, ed esposta l'accusa per filo e per segno spaventa l'ascoltatore a tal punto, che pensò non solo di uccidere la madre e Plauto, ma anche di rimuovere Burro dalla prefettura, come se, innalzato dal favore di Agrippina, le rendesse il contraccambio.
2. Fabio Rustico afferma che Nerone scrisse una lettera a Cecina Tusco, con cui gli veniva affidato il comando delle coorti pretorie, ma per intervento di Seneca la carica fu mantenuta a Burro: Plinio e Cluvio riferiscono che non si dubitò mai sulla fedeltà del prefetto. Certo Fabio è propenso ad elogiare Seneca, grazie alla cui amicizia ebbe modo di emergere. Noi che abbiamo intenzione di seguire l'opinione di questi autori quando sono in accordo, le riferiremo citando espressamente i loro nomi, le cose che hanno trasmesso secondo versioni diverse.
3. Nerone spaventato e bramoso di ammazzare la madre non poté essere indotto a rimandare prima che Burro promettesse la sua morte, nel caso fosse riconosciuta colpevole del delitto: ma a chiunque bisognava concedere il diretto alla difesa, tanto più alla madre; né si erano presentati degli accusatori, ma era riferita la voce di uno solo proveniente da una casa nemica: considerasse l'oscurità e la notte vegliata a banchettare e tutte le cose che sono più prossime alla tenera età e all'insipienza.

LIBRO XIII, CAPITOLO 21

1. Calmato così lo spavento del principe e spuntato il nuovo giorno si va da Agrippina per farle conoscere i capi d'imputazione e perché le confutasse, oppure ne pagasse il fio. Burro assolveva questi compiti alla presenza di Seneca; erano presenti anche tra i liberti dei testimoni del colloquio. Dopo che da Burro furono letti i capi d'accusa e i testimoni, passò ad un atteggiamento minaccioso.
2. E Agrippina memore della sua fierezza «Non mi meraviglio» disse «che Silana che non ha mai partoritoo abbia del tutto sconosciuti i sentimenti materni; né davvero le madri cambiano i figli nello stesso modo con cui una donna sfacciata cambia gli amanti. Né se Iturio e Calvisio, dissipati tutti i loro beni, vendono ad una vecchia l'ultimo dei servigi, quello di sostenere un'accusa (per lei), perciò io debbo subire l'infamia del parricidio o Cesare subire il rimorso del parricidio.
3. Infatti ringrazierei le inimicizie di Domizia, se gareggiasse con me in benevolenza verso Nerone: ma ora per mezzo del concubino Atimeto e dell'istrione Paride quasi inventa storie da teatro. Ingrandiva le piscine della sua baia, mente per mia iniziativa preparavo l'adozione, il potere proconsolare, la designazione al consolato, e le altre cose per raggiungere il potere imperiale.
4. Altrimenti si faccia avanti chi dimostrerà che le coorti in città sono state sobillate, che la fedeltà delle provincie è stata compromessa, infine che i liberti sono stati corrotti in vista del delitto.
5. Ma avrei potuto vivere io sotto il potere detenuto da Britannico? E se Plauto o qualsiasi altro avesse ottenuto il potere così da giudicarmi, mancherebbero certo a me gli accusatori, che possano rinfacciarmi non parole talvolta taciute per la mancanza di sopportazione dell'amore materno, ma quei capi di imputazione per cui potrei essere assolta solo da un figlio».
6. Presi da commozione i presenti e quelli che cercavano di placare la sua foga, chiede un colloquio al figlio, nel quale non parlò affatto della propria innocenza, come se non ne avesse la sicurezza, né dei benefici (arrecati al figlio) come se li volesse rinfacciare, ma ottenne la vendetta contro i delatori e i riconoscimenti per gli amici.

LIBRO XIII, CAPITOLO 22

1. La carica di sovrintendente all'annona (è affidata) a Fenio Rufo, la cura dei giochi che erano in via di allestimento da parte di Nerone viene affidata ad Arunzio Stella, l'Egitto a Claudio Balbillo. La Siria fu affidata a Publio Anteio; ma poi raggirato con vari pretesti , finì per essere trattenuto a Roma.
2. Ma Silana fu mandata in esilio; anche Calvisio e Iturio sono mandati al confino; Atimeto fu invece giustiziato, mente Paride era troppo indispensabile ai piaceri del sovrano, per essere sottoposto a punizione. Plauto per il momento passò sotto silenzio.
LIBRO XIII, CAPITOLO 23

1. Vengono in seguito denunciati Pallante e Burro per aver congiurato, perché Cornelio Silla, per la nobiltà della stirpe e la parentela con Claudio, che aveva come genero a causa delle nozze con Antonia, fosse elevato al trono imperiale. Egli si presentò come autore di quella causa con tal impeto, famigerato per il suo traffico di confische erariali e in quell'occasione reo convinto di menzogna.
2. Né tanto gradita (a Nerone) fu l'innocenza di Pallante quanto insopportabile la sua superbia: dopo che fu fatto il nome dei liberti che egli avrebbe avuto per complici, rispose che in casa sua non aveva mai dato alcun ordine se non con un cenno del capo o della mano, o, se era necessario spiegarsi più diffusamente, aveva fatto ricorso allo scritto per non rivolgere loro la parola. Burro, sebbene imputato, votò fra i giudici. Fu inflitto all'accusatore l'esilio e furono bruciati i registri coi quali riaccendeva i crediti dell'erario ormai caduti in prescrizione.
LIBRO XIII, CAPITOLO 24

1. Alla fine dell'anno viene rimossa la coorte che soleva stazionare a guardia dei giochi, perché vi fosse maggiore parvenza di libertà, affinché le troppe milizie non mescolandosi ai disordini del teatro, si comportassero più disciplinatamente e la plebe desse dimostrazione se fosse in grado di mantenere un comportamento disciplinato, una volta allontanati i sorveglianti.
2. Il principe purificò la città secondo il responso degli aruspici, perché i templi di Giove e Minerva erano stati colpiti dal filmine.

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