La congiura di Catilina

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Testo

T89 pag 410
Lucio Catilina, di nobile stirpe, fu uomo di grande forza ed animo, ma di indole cattiva e malvagia. Fin dall'adolescenza gli furono gradite le guerre interne, le stragi, le rapine e le discordie civili, e in queste situazioni trascorse la sua gioventù. Aveva un fisico resistente alla fame, al freddo, alle veglie al di sopra di quanto chiunque possa credere. Aveva un animo audace, subdolo, mutevole, era simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa; desideroso delle cose d'altri, prodigo delle sue; ardente nei desideri; abbastanza eloquente, ma poco accorto. Il desolato animo desiderava sempre cose immoderate, incredibili, esagerate. Dopo la dominazione di L. Silla lo aveva invaso il fortissimo desiderio di impadronirsi dello Stato, e non si curava affatto dei mezzi con cui raggiungere il suo scopo, pur di ottenere il potere. L'animo feroce era ogni giorno tormentato sempre più dalle ristrettezze e dal rimorso dei delitti, che erano resi più gravi da entrambi i comportamenti che sopra ho ricordato. Inoltre lo incitavano i costumi corrotti della città, che la lussuria e l'avarizia, mali pessimi ma diversi fra loro, affliggevano.
Poiché l'occasione mi ricorda i costumi di Roma, lo stesso argomento sembra esortarmi a ritornare indietro e ad esporre con poche parole le istituzioni dei nostri avi in pace e in guerra, in quale modo abbiano costituito lo Stato, quanto grande l'abbiano lasciato e quanto a poco a poco sia diventato, da bellissimo e ottimo, pessimo e viziosissimo.

T81 pag 414
Peraltro all'inizio più l'ambizione che l'avarizia travagliava gli animi degli uomini, vizio che, tuttavia, era abbastanza vicino alla virtù. Difatti sia l'uomo valente sia l'inetto aspirano in ugual modo alla gloria, all'onore e al potere; ma mentre il primo si sforza di raggiungerli per la retta via, il secondo, poiché non possiede buone qualità, lo fa con gli inganni e le menzogne. L'avarizia implica la ricerca frenetica del denaro, che nessun saggio ha desiderato; essa, come se fosse intrisa di veleni mortali, indebolisce il corpo e l'animo virile; è sempre infinita, insaziabile e non diminuisce né per l'abbondanza né per la carestia. Peraltro, dopo che L. Silla, impadronitosi con le armi dello Stato, fece seguire eventi seguire eventi tragici a dei buoni inizi, tutti si davano alle rapine e agli stupri, chi desiderava una casa, chi dei campi, i vincitori non avevano né misura né moderazione e compivano fra i cittadini turpi e crudeli scelleratezze. A ciò si aggiuingeva il fatto che Silla, per ottenere l'appoggio delle truppe che aveva condotto in Asia, le aveva tenute nel lusso e trattate con eccessiva condiscendenza, contro il costume degli avi. I luoghi ameni e voluttuosi avevano indebolito facilmente i fieri animi dei soldati in ozio. Lì per la prima volta l'esercito del popolo Romano si abituò a condurre una vita licenziosa, a gozzovigliare, a mettere gli occhi su statue, quadri, vasi cesellati, a rubarli da case private e da luoghi pubblici, a spogliare i templi, a violare ogni cosa sacra e profana. Dunque quei soldati, dopo che ebbero conseguito la vittoria, non lasciarono nulla ai vinti. Di certo la prosperità mette alla prova gli animi dei saggi; figuriamoci se quei soldati potevano moderarsi nella vittoria.

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Quando a Cicerone vennero riportate queste cose, egli, turbato dal duplice pericolo, visto che non poteva proteggere più a lungo la città per iniziativa personale e che non era abbastanza informato su quanto fosse grande e quale intenzione avesse l'esercito di Manlio, relazionò la cosa in senato, della quale già in precedenza si era impadronita l'opinione pubblica. E così, come è solito fare nelle situazioni di eccezionale pericolosità, il senato ordinò che i consoli si impegnassero affinché lo Stato non subisse alcun danno. Secondo la tradizione Romana, ad un magistrato, attraverso il senato, viene conferita la massima autorità possibile, come allestire l'esercito, fare la guerra, costringere in ogni maniera all'obbedienza gli alleati e i concittadini, avere il comando e il giudizio supremo in pace e in guerra; altrimenti, senza il volere del popolo, il console non ha diritto a nessuna di queste cose.

T100 pag 447
Dopo avere controllato ogni cosa, Petreio fa suonare la tromba, ordina alle coorti di avanzare a poco a poco; l'esercito dei nemici fa la stessa cosa. Dopo essere giunti ad una distanza tale da permettere agli arcieri di attaccare, si lanciano gli uni sugli altri, preceduti dalle insegne, con grandissime grida; non usano lance, si combatte con le spade. I veterani, memori dell'antico valore, premono aspramente da vicino; ma i Catilinari resistono senza paura: si combatte con la massima forza. Nel frattempo Catilina, con i soldati armati alla leggera, soccorreva coloro che si trovavano in difficoltà, rimpiazzava i feriti con uomini freschi di forze, provvedeva a tutto, combatteva di persona, spesso colpiva il nemico; adempieva contemporaneamente alle funzioni di soldato valoroso e di comandante efficiente. Petreio, quando vide Catilina battersi con accanimento contrariamente a ciò che aveva pensato, lancia la coorte pretoria al centro del nemico, e li scompiglia e li massacra, mentre cercano di resistere chi qua e chi là; quindi assale dall'interno i rimanenti dall'una e dall'altra parte. Manlio e il Fiesolano, combattendo cadono tra i primi. Catilina dopo che vede le truppe in rotta e si ritrova con pochi uomini, memore della sua stirpe e dell'onore di un tempo, si getta nel più folto della mischia e lì cade combattendo.

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