Hecyra di Publio Terenzio Afro

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Testo

HECYRA
(Publio Terenzio Afro)

Personaggi principali:
Panfilo: Figlio di Lachete e Sostrata. Ha un carattere molto comprensivo, riflessivo e dolce, è un personaggio totalmente estraneo al mondo plautino; il suo monologo (narratio) nella III scena del III atto è un unicum nel teatro Terenziano e ci fa intuire quanto sia innovativo, per la cura dell’aspetto psicologico, il carattere dei personaggi realizzato dall’autore.
Sostrata: Vecchia, madre di Panfilo, la “suocera” che da’ il titolo all’opera. Pur di salvare il matrimonio del figlio è disposta a sacrificarsi, sebbene sia considerata, anche se è esente da colpe, la causa dei problemi della nuora. Personaggio carico di sentimenti positivi decisamente diverso da quello della tradizione. L’unico momento di ilarità che suscita si può identificare negli accesi dialoghi con il marito (da notare che il litigio fra due coniugi anziani è un tema ricorrente nel teatro greco e latino) nei quali ha la peggio, ma solo dopo un’agguerrita disputa.
Parmenone: Servo di Panfilo e Lachete. Rappresenta un nuovo genere di servitore, non più complice di inganni né di raggiri, ma solo servo devoto al padrone che, fra una riflessione e l’altra dei personaggi principali, sminuisce il pathòs con le solite battute da canovaccio.

Personaggi secondari:
Filotide: Cortigiana che, dialogando con Sira e Parmenone, inizia a narrare la vicenda di Panfilo.
Sira: Vecchia ruffiana
Lachete: Padre di Panfilo
Sosia: Servo di Panfilo e Lachete
Mirrina: Moglie di Fidippo, madre di Filomena
Bacchide: Cortigiana amata da Panfilo prima che si sposasse con Filomena

Personaggi muti:
la Nutrice
alcuni servi di Lachete
due serve di Bacchide
Filomena (non appare mai, non è neanche una voce fuori campo)

Trama:
Panfilo, innamorato della cortigiana Bacchide, sposa, per volere del padre, Filomena che, tempo prima, senza sapere chi fosse, egli aveva violentato; ma i modi gentili della moglie lo conquistano subito, facendogli dimenticare Bacchide. Vivono insieme con la madre di lui, Sostrata, che cerca sempre di mettere a suo agio la ragazza. Ma all’improvviso Filomena, mentre il marito è partito, abbandona il tetto coniugale e torna da sua madre perchè, essendo stata sedotta da uno sconosciuto (che durante la colluttazione le aveva sfilato un anello), attende un bambino, senza, però, avere consumato ancora il suo matrimonio. Sostrata viene ritenuta la responsabile della “fuga” della nuora. Tornato Panfilo e messo a conoscenza del fatto dalla suocera si tormenta, non sapendo come porre fine alla faccenda senza infangare il suo nome e quello della sua donna. Ma grazie ad un anello (quello di Filomena) si scopre che l’ignoto violentatore della ragazza altro non era che Panfilo stesso. Infine Panfilo riprende Filomena con il bambino in casa, salvando così l’onore delle due famiglie.

Prologhi:
Le prime due rappresentazioni dell’Hecyra non furono portate a termine: la prima volta, messa in scena nel 165 a.C. per i giochi Megalesi, il pubblico abbandonò lo spettacolo, preferendo l’esibizione di un giocoliere. La seconda volta l’opera fu preceduta da un prologo, recitato da un personaggio estraneo alla commedia, in cui si faceva preghiera agli spettatori di prestare attenzione e di riflettere sui temi proposti dall’autore. Nello stesso prologo (che assume funzione apologetica, rispetto all’intento puramente narrativo del prologo plautino) Terenzio si difese dalle accuse di “contaminatio”; tuttavia anche questa volta l’Hecyra non ebbe successo: ad essa il rozzo pubblico romano preferì uno spettacolo di gladiatori.
Finalmente nel 160 a.C., durante i Ludi Romani, preceduta da un prologo recitato dall’attore L. Ambivio Turpione, che difese l’arte di Terenzio richiamando al pubblico l’esempio di Cecilio Stazio e dei suoi iniziali fallimenti, si riuscì a portare a termine la rappresentazione con successo.

Note:
La commedia, la cui fonte è da riconoscere in una perduta opera del commediografo greco Apollodoro, è forse il più tipico prodotto di quel nuovo mondo borghese allora emergente in Atene. In essa i personaggi non sono più etichettati alla maniera plautina, ma vengono presentati con grande sensibilità ed approfondimento psicologico: le cortigiane rinunciano al loro orgoglio pur di non far naufragare un matrimonio e perfino la suocera non incarna più lo spiacevole ruolo che da sempre le si è voluto attribuire. Sono tipi e situazioni, relazioni e comportamenti senza dubbio derivati dalla vita reale: è appunto la “imitatio vitae” di Menandro (commediografo greco) che riappare in Terenzio, ma tutti i personaggi vengono fatti muovere, agire e pensare come se appartenessero allo stesso strato sociale e culturale. Questa uniformità di situazioni e di linguaggio spinge Varrone Reatino ad attribuire a Plauto la palma “in sermonibus” per la sua varietà linguistica, e nel contempo a riconoscere che Terenzio “in ethesin poscit palmam” (è il migliore nella rappresentazione dei caratteri).
Forse proprio per la delicatezza dei toni, la commedia non piacque al pubblico romano. La sensibilità terenziana, che come capacità di reagire ai pregiudizi e alle convenzioni dell’etica tradizionale nasce dalla “humanitas” del circolo degli Scipioni, non viene subito compresa nel suo più intimo significato. Per l’attenzione rivolta all’istituzione familiare, Terenzio non solo prende spunto da Menandro ma va addirittura oltre il modello greco. Nell’Hecyra infatti vengono inferti colpi decisivi alla mentalità misogina tipica della commedia e si abbattono le “roccaforti” del cosiddetto buonsenso (grazie alla critica rivolta al concetto di onore e al matrimonio d’interesse).
Altri giudizi degli antichi, cui fare riferimento, sono quelli di Cicerone e Cesare, riportati da Svetonio, anche se alcuni ritengono che la seconda testimonianza sia il completamento della prima; in ogni caso la prima citazione parla della fedeltà di Terenzio al modello menandreo, che sarebbe stato tradotto con eleganza e felicità espressiva; la seconda insiste sulla purezza della lingua, ma solleva la riserva di mancanza di “vis”, al punto da definire l’autore “dimidiate Menander” (mezzo Menandro).

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