Materie: | Appunti |
Categoria: | Latino |
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Data: | 23.02.2001 |
Numero di pagine: | 35 |
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Testo
Libro I
Genitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dèi, Venere datrice di vita, che sotto i corsi celesti degli astri dovunque avvivi della tua presenza il mare percorso dalle navi, le terre fertili di messi, poiché grazie a te ogni specie di viventi è concepita e, sorta, vede la luce del sole - te, o dea, te fuggono i venti, te le nuvole del cielo, e il tuo arrivare; a te soavi fiori sotto i piedi fa spuntare l'artefice terra, a te sorridono le distese del mare e placato splende di un diffuso lume il cielo. Ché appena è dischiuso l'aspetto primaverile del giorno e, disserrato, si ravviva il soffio del fecondo zefiro, prima gli aerei uccelli te, o dea, e il tuo giungere annunziano, colpiti nei cuori dalla tua potenza. Poi fiere e animali domestici bàlzano per i pascoli in rigoglio e attraversano a nuoto i rapidi fiumi; così preso dal fascino ognuno ti segue ardentemente dove intendi condurlo. Infine, per i mari e i monti e i fiumi rapinosi e le frondose dimore degli uccelli e le pianure verdeggianti, a tutti infondendo nei petti carezzevole amore, fai sì che ardentemente propaghino le generazioni secondo le stirpi - poiché tu sola governi la natura e senza di te niente sorge alle celesti plaghe della luce, niente si fa gioioso, niente amabile, te desidero compagna nello scrivere i versi ch'io tento di comporre sulla natura per il nostro Memmiade, che tu, o dea, in ogni tempo volesti eccellesse ornato di ogni dote. Tanto più dunque, o dea, da' ai miei detti fascino eterno. Fa' sì che frattanto i fieri travagli della guerra, per i mari e le terre tutte placati, restino quieti. Tu sola infatti puoi con tranquilla pace giovare ai mortali, poiché sui fieri travagli della guerra ha dominio Marte possente in armi, che spesso sul tuo grembo s'abbandona vinto da eterna ferita d'amore; e così, levando lo sguardo, col ben tornito collo arrovesciato, pasce d'amore gli avidi occhi anelando a te, o dea, e, mentre sta supino, il suo respiro pende dalle tue labbra. Quando egli sta adagiato sul tuo corpo santo, tu, o dea, avvolgendolo dall'alto, effondi dalla bocca soavi parole: chiedi, o gloriosa, pei Romani placida pace. Ché in tempi avversi per la patria non possiamo noi compiere quest'opera con animo sereno, né l'illustre progenie di Memmio può in tali frangenti mancare alla comune salvezza. Infatti è necessario che ogni natura divina goda di per sé vita immortale con somma pace, remota dalle nostre cose e immensamente distaccata. Ché immune da ogni dolore, immune da pericoli, in sé possente di proprie risorse, per nulla bisognosa di noi, né dalle benemerenze è avvinta, né è toccata dall'ira. * Quanto al resto, presta alla vera dottrina orecchie sgombre ‹ed animo sagace›, scevro d'affanni, affinché non abbandoni con disprezzo, prima di averli intesi, i miei doni disposti per te con cura fedele. Ché mi accingo ad esporti la suprema dottrina del cielo e degli dèi, e ti rivelerò i primi principi delle cose, da cui la natura produce tutte le cose, le accresce e alimenta, e in cui la stessa natura di nuovo risolve le cose dissolte: questi nell'esporre la dottrina noi siamo soliti chiamare materia e corpi generatori delle cose, e li denominiamo semi delle cose, e inoltre li designamo corpi primi, perché tutto da essi primamente ha esistenza. La vita umana giaceva sulla terra alla vista di tutti turpemente schiacciata dall'opprimente religione, che mostrava il capo dalle regioni celesti, con orribile faccia incombendo dall'alto sui mortali. Un uomo greco per la prima volta osò levare contro di lei gli occhi mortali, e per primo resistere contro di lei. Né le favole intorno agli dèi, né i fulmini, né il cielo col minaccioso rimbombo lo trattennero: anzi più gli accesero il fiero valore dell'animo, sì che volle, per primo, infrangere gli stretti serrami delle porte della natura. Così il vivido vigore dell'animo prevalse, ed egli s'inoltrò lontano, di là dalle fiammeggianti mura del mondo, e il tutto immenso percorse con la mente e col cuore. Di là, vittorioso, riporta a noi che cosa possa nascere, che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto. Quindi la religione è a sua volta sottomessa e calpestata, mentre noi la vittoria uguaglia al cielo. Questo, a tale proposito, io temo: che per caso tu creda d'essere iniziato ai fondamenti d'una dottrina empia e d'entrare nella via della scelleratezza. Mentre per contro assai spesso proprio essa, la religione, cagionò azioni scellerate ed empie. Così in Aulide l'altare della vergine Trivia col sangue d'Ifianassa turpemente macchiarono gli eletti condottieri dei Danai, il fiore degli eroi. Appena la benda avvolta attorno alla bella chioma virginea le scese lungo le guance in due liste uguali, appena si accorse che il padre stava mesto innanzi all'altare, e accanto a lui i sacerdoti celavano il ferro, e il popolo effondeva lacrime alla sua vista, muta di terrore, piegate le ginocchia, crollava a terra. Né alla misera in tale frangente poteva giovare l'aver dato per prima al re il nome di padre. Ché sollevata dalle mani dei guerrieri e tremante fu portata all'altare, non già perché, compiuto il rito solenne, potesse essere accompagnata al suono dello splendido imeneo, ma perché pura impuramente, nel tempo stesso delle nozze, cadesse vittima mesta immolata per mano del padre, e così fosse data alla flotta partenza felice e fausta. A tali misfatti poté indurre la religione. Tu stesso, una volta o l'altra, vinto dai detti terrificanti dei vati, cercherai di staccarti da noi. Quanti sogni difatti essi possono ora inventarti, tali da poter sovvertire la condotta della vita e turbare col timore tutta la tua sorte! E a ragione. Ché, se gli uomini vedessero che esiste un termine fisso per le loro pene, in qualche modo potrebbero avere la forza di opporsi alle paure superstiziose e alle minacce dei vati. Ora non c'è nessun modo di resistere, nessuna facoltà, perché si devono temere nella morte pene eterne. S'ignora infatti quale sia la natura dell'anima, se sia nata o al contrario s'insinui nei nascenti, se perisca insieme con noi disgregata dalla morte o vada a vedere le tenebre di Orco e gli immani abissi, o per volere divino s'insinui in animali d'altra specie, come cantò il nostro Ennio, che primo portò giù dall'ameno Elicona una corona di fronda perenne, che doveva aver chiara fama tra le genti italiche; e tuttavia Ennio inoltre espone, dichiarandolo in versi immortali, che esistono le regioni acherontee, fin dove non permangono né le anime, né i corpi nostri, ma certi simulacri mirabilmente pallidi; di là racconta che sorse innanzi a lui l'immagine di Omero sempre fiorente e cominciò a versare lacrime amare e a rivelare con le sue parole la natura. Perciò, come dobbiamo esattamente renderci conto delle cose celesti, in qual modo avvengano i moti del sole e della luna, e per qual forza si svolga ogni cosa in terra, così e in primo luogo dobbiamo vedere con sagace ragionare di che sian fatte l'anima e la natura dell'animo, e quale cosa, venendo incontro a noi mentre siamo svegli e affetti da malattia oppure sepolti nel sonno, atterrisca le nostre menti, sì che ci pare di vedere e udire da presso i morti di cui la terra abbraccia le ossa. Né alla mia mente sfugge che è difficile illustrare in versi latini le oscure scoperte dei Greci, tanto più che di molte cose bisogna trattare con parole nuove, per la povertà della lingua e la novità degli argomenti; ma il tuo valore tuttavia e lo sperato piacere della soave amicizia mi persuadono a sostenere qualsiasi fatica e m'inducono a vegliare durante le notti serene, cercando con quali detti e con quale canto alfine io possa accendere innanzi alla tua mente una chiara luce, per cui tu riesca a scrutare a fondo le cose occulte. Questo terrore dell'animo, dunque, e queste tenebre non li devono dissolvere i raggi del sole, né i lucidi dardi del giorno, ma l'aspetto e l'intima legge della natura. Il cui principio prenderà per noi l'avvìo da questo: che nessuna cosa mai si genera dal nulla per volere divino. Certo per ciò la paura domina tutti i mortali: perché vedono prodursi in terra e in cielo molti fenomeni di cui in nessun modo possono scorgere le cause, e credono che si producano per volere divino. Pertanto, quando avremo veduto che nulla si può creare dal nulla, allora di qui penetreremo più sicuramente ciò che cerchiamo, e donde si possa creare ogni cosa e in qual modo tutte le cose avvengano senza interventi di dèi. Infatti, se dal nulla si producessero, da tutte le cose potrebbe nascere ogni specie, nulla avrebbe bisogno di seme. E anzitutto dal mare gli uomini, dalla terra potrebbero sorgere le squamose specie dei pesci, e gli uccelli erompere dal cielo; gli armenti e le altre greggi, ogni specie di fiere, partoriti qua e là senza regola, occuperebbero luoghi coltivati e deserti. Né sugli alberi comunemente permarrebbero gli stessi frutti, ma si muterebbero, tutti gli alberi tutto potrebbero produrre. E in verità, se non esistessero corpi generatori per ciascuna specie, come potrebbero le cose avere costantemente una madre propria? Ma ora invece, poiché tutte le cose sono create da semi determinati, ciascuna nasce ed esce alle plaghe della luce dal luogo che ha in sé la materia e i corpi primi ad essa propri; ed è appunto per ciò che non possono da tutte le cose essere generate tutte le cose, perché ogni cosa determinata ha in sé una facoltà distinta. Inoltre, per qual motivo in primavera la rosa, d'estate il frumento, all'invito dell'autunno le viti vediamo in rigoglio, se non perché, quando determinati semi di cose confluirono nel tempo loro proprio, allora si schiude ogni cosa creata, mentre sono in corso stagioni favorevoli e la terra ricca di vita produce senza pericolo le tenere cose alle plaghe della luce? Ma, se dal nulla nascessero, improvvisamente sorgerebbero, con intervallo incerto e in parti dell'anno non proprie a loro, giacché allora non ci sarebbero primi principi che la stagione avversa potesse tener lontani dall'aggregazione generatrice. Né poi per la crescita delle cose ci sarebbe bisogno del tempo occorrente al confluire dei semi, se potessero crescere dal nulla. Ché da piccoli infanti diverrebbero sùbito giovani, e gli alberi, appena spuntati dalla terra, si leverebbero in alto d'improvviso. Ma è manifesto che nulla di ciò accade, giacché tutte le cose crescono a poco a poco, com'è naturale per quel che nasce da un seme certo, e crescendo conservano i caratteri della specie; sì che puoi riconoscere che ogni cosa ingrandisce e si alimenta di materia propria. A ciò si aggiunge che senza piogge in determinate stagioni la terra non può far crescere i frutti giocondi; e così la natura degli animali, se vien privata di cibo, non può propagare la specie e conservarsi in vita; quindi è meglio pensare che molti elementi son comuni a molte cose, come vediamo che le lettere sono comuni alle parole, piuttosto che pensare che alcuna cosa possa esistere senza primi principi. Per di più, perché la natura non poté formare uomini tanto grandi da poter coi piedi passare a guado il mare e con le mani divellere grandi monti e vivendo superare molte generazioni di viventi, se non perché al nascere delle cose è assegnata una materia determinata, da cui resta fissato cosa possa sorgere alla vita? Bisogna dunque riconoscere che nulla può esser prodotto dal nulla, poiché alle cose è necessario un seme, da cui creata ciascuna possa protendersi ai leggeri soffi dell'aria. Infine, poiché vediamo che i luoghi coltivati prevalgono sugli incolti e rendono alle mani frutti migliori, è evidente che nella terra ci sono primi principi delle cose che noi, rivoltando col vomere le glebe feconde e domando il suolo della terra, stimoliamo alla germinazione. Se non ci fossero, vedresti ogni cosa senza nostra fatica spontaneamente diventare molto migliore. A ciò si aggiunge che la natura dissolve ogni corpo di nuovo nei suoi elementi e non distrugge le cose fino ad annientarle. Ché se qualcosa fosse mortale in tutte le parti, ogni cosa perirebbe d'improvviso rapita ai nostri occhi. Non ci sarebbe infatti bisogno di alcuna forza capace di produrre la disgregazione delle sue parti e di scioglierne i legami. Ma ora, poiché le cose constano tutte di semi eterni, fintantoché non sia andata contro di loro una forza che le spezzi con l'urto o penetri addentro per i vuoti e le dissolva, di nessuna la natura lascia che si veda la fine. Inoltre, quanto il tempo toglie via per vecchiezza, se interamente lo annienta consumandone tutta la materia, donde Venere riconduce alla luce della vita le stirpi animali specie per specie, o donde, ricondotte, l'artefice terra le alimenta e accresce, offrendo nutrimenti specie per specie? Donde riforniscono il mare fonti native e dall'esterno fiumi provenienti di lontano? Donde l'etere pasce gli astri? Infatti tutto ciò che ha un corpo mortale dovrebbero averlo già consumato il tempo infinito e i giorni trascorsi. Che se per tutta la durata del tempo trascorso esistettero gli elementi di cui consiste, dopo essersi rinnovato, questo universo, d'immortale natura sono certo dotati: non può dunque ogni cosa ridursi al nulla. Per di più, una stessa forza e causa distruggerebbe comunemente tutte le cose, se non le tenesse insieme una materia eterna, meno o più ristretta nelle connessioni delle sue parti. Un contatto infatti sarebbe certo sufficiente causa di morte, giacché non ci sarebbero elementi dotati di corpo eterno, dei quali una forza appropriata dovesse dissolvere l'aggregazione. Ma ora, poiché connessioni dissimili stringono tra loro i principi, e la materia è eterna, le cose conservano incolume il corpo, finché non si presenti una forza che sia abbastanza gagliarda in proporzione alla tessitura di ciascuna. Non ritorna dunque al nulla alcuna cosa, ma tutte per disgregazione ritornano agli elementi della materia. Infine, scompaiono le piogge, quando il padre etere le ha precipitate nel grembo della madre terra; ma ne sorgono splendide messi, e i rami degli alberi rinverdiscono, gli alberi stessi crescono e si caricano di frutti; di qui si alimentano poi la nostra specie e quella delle fiere, di qui gioconde città vediamo fiorire di fanciulli, e frondose selve d'ogni parte risuonare dei canti di nuovi uccelli; di qui le greggi s'impinguano e stanche distendono i corpi sui pascoli rigogliosi, e il candido umore del latte stilla dalle mammelle turgide; di qui una prole novella con membra malferme allegramente ruzza tra l'erba tenera, di latte puro inebriata la mente giovinetta. Non perisce dunque del tutto ogni cosa che pare perire, poiché la natura rinnova una cosa dall'altra e non comporta che alcuna si generi se non l'aiuta la morte di un'altra. E ora, poiché ho mostrato che le cose non si possono creare dal nulla e parimenti che, una volta generate, non possono ridursi al nulla, affinché tu non cominci per caso a diffidare tuttavia delle mie parole, perché i primi principi delle cose non possono essere scorti con gli occhi, ascolta quali altri corpi è necessario che tu stesso riconosca esistenti nella realtà eppure non visibili. Anzitutto la forza sfrenata del vento sferza il mare e travolge grosse navi e disperde le nuvole, e talvolta, percorrendo con rapinoso turbine i campi, grandi alberi vi abbatte e sparge, e contro le vette dei monti si avventa con raffiche che schiantano le selve: tanto infuria con fremito violento e imperversa con minaccioso rombo il vento. Esistono dunque, senza dubbio, invisibili corpi di vento, che spazzano il mare e le terre e alfine le nuvole in cielo e, con subitaneo turbine avventandosi, le trascinano via; e scorrono e spargono strage, non altrimenti che quando la molle natura dell'acqua si rovescia d'improvviso con corso straripante: per piogge dirotte la ingrossa un gran defluire d'acque giù dagli alti monti, che scaglia rottami di piante ed alberi interi; né solidi ponti possono reggere all'assalto subitaneo dell'acqua che incalza: tanto il fiume, torbido per grandi piogge, investe gli argini con forza possente; con grande fragore li abbatte, e travolge sotto le onde grossi macigni, rovescia ogni cosa che oppone ostacolo ai suoi flutti. Così dunque devono infuriare anche i soffi del vento, che, quando come un fiume possente sono piombati verso una qualsiasi parte, cacciano le cose innanzi a sé e le abbattono con assalti frequenti, talvolta con vortice tortuoso le afferrano e rapinosi con roteante turbine le trasportano. Perciò, ancora e ancora, esistono invisibili corpi di vento, giacché nei fatti e nei caratteri si scoprono emuli dei grandi fiumi, che hanno corpo visibile. Inoltre noi sentiamo i vari odori delle cose e tuttavia non li discerniamo mai mentre vengono alle narici, né scorgiamo le emanazioni di calore, né possiamo cogliere con gli occhi il freddo, né ci avviene di vedere i suoni; e tuttavia tutte queste cose è necessario che constino di natura corporea, perché possono colpire i sensi. Nessuna cosa infatti può toccare ed essere toccata, se non è un corpo. Ancora, sospese sul lido contro cui s'infrangono i flutti, le vesti s'inumidiscono, sciorinate al sole s'asciugano. Ma non s'è veduto in che modo l'umore dell'acqua sia penetrato, né in che modo sia poi fuggito per effetto del calore. L'umore dunque si sparge qua e là in piccole parti, che gli occhi non possono vedere in alcun modo. Per di più, nel corso di molti anni solari l'anello, a forza d'essere portato, si assottiglia dalla parte che tocca il dito; lo stillicidio, cadendo sulla pietra, la incava; il ferreo vomere adunco dell'aratro occultamente si logora nei campi; e le strade lastricate con pietre, le vediamo consunte dai piedi della folla; e poi, presso le porte, le statue di bronzo mostrano che le loro mani destre si assottigliano al tocco di quelli che spesso salutano e passano oltre. Che queste cose dunque diminuiscano, noi lo vediamo, perché son consunte. Ma quali particelle si stacchino in ogni momento, l'invidiosa natura della vista ci precluse di vederlo. Infine tutto ciò che il tempo e la natura aggiungono alle cose a poco a poco, facendole crescere proporzionatamente, nessun acume di occhi, benché si sforzi, può scorgerlo; né d'altra parte potresti discernere tutto ciò che invecchia per l'età e la macilenza, né cosa perdano in ciascun momento gli scogli che sovrastano il mare, corrosi dall'avido sale. Mediante corpi invisibili, dunque, opera la natura. Né tuttavia da ogni parte tutte le cose sono compatte, occupate dalla natura corporea: infatti esiste nelle cose il vuoto. Sapere questo ti sarà utile in molti casi, e non lascerà che errando dubiti e faccia sempre ricerche sull'universo e diffidi delle nostre parole. Esiste dunque uno spazio che non si può toccare, ciò che è vuoto e libero. Se non esistesse, in nessun modo potrebbero le cose muoversi; infatti quella che è la funzione propria del corpo, opporsi e fare ostacolo, sarebbe presente in ogni momento in tutte le cose; nulla dunque potrebbe avanzare, perché nessuna cosa comincerebbe a cedere il posto. Ora, al contrario, per i mari e le terre e le eccelse plaghe del cielo, molte cose in molti modi, per vari motivi, vediamo muoversi innanzi ai nostri occhi, che, se non esistesse il vuoto, non tanto sarebbero del tutto prive dell'inquieto movimento, quanto non sarebbero state assolutamente, in alcun modo, generate, perché la materia da ogni parte compatta sarebbe rimasta quieta. Inoltre, per quanto solide si reputino le cose, da questo tuttavia puoi vedere che sono di corpo in cui è frammisto il vuoto. In rocce e spelonche s'infiltra il liquido umore dell'acqua e dappertutto vi piangono abbondanti gocce. In tutto il corpo degli esseri viventi il cibo si propaga. Crescono gli alberi e a tempo debito producono i frutti, perché il cibo ogni loro parte pervade, fin dalle profonde radici diffondendosi per i tronchi e per i rami tutti. Passano le voci per le pareti e trasvolano il chiuso delle case, il rigido freddo penetra fin dentro le ossa. Tutto ciò, non lo vedresti in alcun modo avvenire, se non ci fossero vuoti per cui i vari corpi potessero passare. Infine, perché vediamo che alcune cose sopravanzano altre nel peso, pur non avendo affatto dimensioni maggiori? Infatti, se in un gomitolo di lana c'è tanta quantità di materia quanta ce n'è in un uguale pezzo di piombo, è naturale che pesi altrettanto, perché è proprietà della materia premere ogni cosa verso il basso, mentre al contrario la natura del vuoto rimane senza peso. Dunque, ciò che è grande ugualmente e si trova più leggero, senza dubbio manifesta di contenere una parte maggiore di vuoto; per contrario, ciò che è più pesante, indica di contenere una parte maggiore di materia e di aver dentro una molto minore parte di vuoto. Esiste dunque, senza dubbio, mescolato nelle cose quel che noi cerchiamo con ragionare sagace, quel che chiamiamo vuoto. A questo proposito, è necessario che io prevenga, perché non possa trarti lontano dal vero, ciò che alcuni vanno fantasticando. Dicono che le acque cedono alla spinta degli esseri squamosi e aprono liquide vie, perché i pesci lasciano dietro di sé luoghi dove le onde che cedono possono confluire: così anche altre cose possono muoversi e mutar luogo scambievolmente, quantunque il tutto sia pieno. Ma certo ciò è stato creduto per un ragionamento in tutto falso. Infatti, dove mai potranno gli esseri squamosi avanzare, se le acque non hanno lasciato spazio vuoto? E d'altra parte, dove potranno ritrarsi le onde, quando i pesci non potranno andare avanti? Dunque, bisogna o negare il movimento a ogni corpo o dire che alle cose è commisto il vuoto e che da questo ciascuna cosa prende l'inizio primo del movimento. Infine, se due corpi larghi e piatti, dopo essersi scontrati combaciando, con brusco rimbalzo si distaccano, certo è necessario che l'aria occupi tutto il vuoto che si produce tra i due corpi. Ma, per quanto essa confluisca tutt'intorno con celeri correnti, tuttavia non potrà lo spazio esserne riempito tutto in un solo istante: è necessario infatti che essa occupi il luogo che via via le sta più vicino, e poi prenda possesso dell'intera estensione. Che se per caso qualcuno pensa che ciò avvenga quando i corpi si sono distaccati, per il condensarsi dell'aria, erra; infatti allora si produce un vuoto che prima non c'era, e insieme si riempie ciò che prima era vuoto, né in tal modo può addensarsi l'aria, e, se pure potesse, non potrebbe, credo, senza il vuoto contrarsi in sé e raccogliere le sue parti in un punto solo. Perciò, per quanto tu indugi adducendo molti pretesti, è necessario tuttavia che ammetta che esiste nelle cose il vuoto. E io potrei, rammentandoti molti altri argomenti, riuscire a strappare il tuo assenso ai miei detti. Ma ad una mente sagace queste piccole orme sono sufficienti: con esse tu stesso puoi conoscere il resto. E infatti come i cani spesso col fiuto scoprono il covile coperto di fronde di una fiera che vaga sui monti, una volta che si son messi sulle tracce d'una via sicura, così in tali questioni potrai tu stesso, da solo, passare da una conoscenza all'altra e addentrarti in tutte le cieche latebre e trarne fuori il vero. Ma se sei pigro o ti ritrai un poco dalla cosa, questo posso senz'altro prometterti, o Memmio: così larghi sorsi, attinti alle grandi fonti, la lingua soave verserà dal mio petto colmo, ch'io temo che la tarda vecchiezza serpeggi per le membra e sciolga in noi i vincoli della vita, prima che su una qualsiasi singola cosa tutta la quantità delle prove ti sia coi versi trasmessa per le orecchie. Ma ora, perché io riprenda a intessere con le parole il lavoro intrapreso, tutta la natura dunque, come è per sé stessa, consiste di due cose: ci sono infatti i corpi e il vuoto, in cui quelli son posti e attraverso cui si muovono per diverse vie. Infatti, che il corpo esista, lo indica di per sé il senso di cui tutti siamo dotati; se non avrà anzitutto valore la fede in questo, ben fondata, non esisterà, quando tratteremo di cose occulte, nulla a cui riferendoci possiamo provare qualcosa col ragionare della mente. E poi, se non esistesse l'estensione e lo spazio, che chiamiamo vuoto, i corpi non potrebbero esser posti in alcun luogo, né assolutamente muoversi verso alcun punto, per diverse vie: ciò che già sopra, poc'anzi, ti abbiamo dimostrato. Oltre a questi, non c'è cosa che tu possa dire disgiunta da ogni corpo e separata dal vuoto, e che risulti costituente quasi una terza natura. Infatti, qualunque cosa esisterà, dovrà essere qualche cosa per sé stessa. E se essa sarà tangibile, per quanto in modo leggero ed esiguo, accrescerà, con un accrescimento grande o anche piccolo, purché esista, il numero dei corpi e si aggiungerà alla loro somma. Se invece sarà intangibile, perché da nessuna parte potrà impedire a una cosa, che cerca di passare per essa, di attraversarla, evidentemente questo sarà ciò che chiamiamo libero vuoto. Inoltre, qualunque cosa esisterà per sé stessa, o farà qualcosa o, agendo altri, dovrà essa stessa subire, oppure sarà tale che in essa le cose possano esistere e svolgersi. Ma fare e subire non può alcuna cosa senza corpo, né offrire luogo può alcuna cosa, tranne lo spazio vuoto e libero. Dunque, oltre il vuoto e i corpi, non si può lasciare nel novero delle cose nessuna terza natura esistente per sé stessa, né tale che cada in alcun tempo sotto i nostri sensi, né tale che qualcuno possa giungervi col ragionare della mente. Infatti tutte le cose che hanno un nome, o le troverai proprietà di queste due cose o vedrai che sono loro accidenti. Proprietà è ciò che in nessun caso si può disgiungere e separare senza un distacco distruttore: tale è la pesantezza per i sassi, il calore per il fuoco, la liquidità per l'acqua, la tangibilità per tutti i corpi, l'intangibilità per il vuoto. Al contrario, servitù, povertà e ricchezza, libertà, guerra, concordia, e tutte le altre cose di cui l'arrivo e la partenza lasciano incolume la natura della cosa, siamo soliti chiamarle, come è naturale, accidenti. Anche il tempo non esiste per sé, ma dalle cose stesse deriva il senso di ciò che si è svolto nel tempo, poi di ciò che è presente, infine di ciò che segue più tardi. E bisogna riconoscere che nessuno avverte il tempo per sé, separato dal movimento e dalla placida quiete delle cose. Ancora, quando dicono che "il ratto della Tindaride" e il "soggiogamento delle genti troiane in guerra" esistono, bisogna badare che per avventura non ci costringano a riconoscere che queste cose esistano per sé, poiché quelle generazioni di uomini, di cui queste furono accidenti, le tolse via, irrevocabile, l'età già passata. Giacché qualunque cosa si sarà compiuta, potrà essere detta accidente, in un caso † ...... †, in un altro delle regioni stesse. Infine, se non fosse esistita la materia delle cose, né il luogo e lo spazio in cui tutte le cose si svolgono, giammai il fuoco dell'amore, suscitato dalla bellezza della Tindaride, divampando profondo nel frigio petto di Alessandro, avrebbe acceso le famose battaglie della crudele guerra, né di nascosto ai Troiani il ligneo cavallo avrebbe incendiato Pergamo col notturno parto dei Greci; sì che tu puoi ben vedere che gli avvenimenti, tutti, senza eccezione, non sussistono per sé, né esistono così come i corpi, né si può dire che siano allo stesso modo in cui sussiste il vuoto; ma piuttosto son tali che giustamente puoi chiamarli accidenti dei corpi e del luogo in cui tutte le cose si svolgono. I corpi poi sono in parte i primi principi delle cose, in parte le cose costituite dall'aggregazione dei primi principi. Ma quelli che effettivamente sono primi principi delle cose, nessuna forza può estinguerli; infatti per la solidità del corpo son essi che vincono alla fine. Sebbene sembri difficile credere che tra le cose se ne possa trovare qualcuna di corpo solido. Passa infatti il fulmine del cielo attraverso i muri delle case, come il grido e le voci; nel fuoco il ferro diventa incandescente, e le pietre si spaccano a un calore che fiero ferva; come la rigidità dell'oro cede alla vampa e si scioglie, così il ghiaccio del bronzo, vinto dalla fiamma, si fonde; attraversano l'argento il calore e il freddo penetrante, poiché l'uno e l'altro comunemente sentiamo tenendo in mano, come s'usa, le coppe, quando dall'alto vi è stata versata l'acqua che le irrora. A tal segno sembra che nelle cose non ci sia nulla di solido. Ma poiché, tuttavia, la verità e la natura delle cose lo impongono, presta attenzione, finché dimostriamo, in pochi versi, che esistono cose costituite di corpo solido ed eterno, che noi mostriamo essere i semi delle cose e i primi principi da cui fu creato tutto l'universo quale ora è costituito. Anzitutto, poiché abbiamo scoperto che sussiste una duplice natura, di gran lunga dissimile, di due cose, la materia e lo spazio, nel quale tutte le cose si svolgono, è necessario che ognuna delle due esista per sé e scevra di mescolanza. Difatti, dovunque si stende libero lo spazio, che chiamiamo vuoto, lì non v'è corpo; d'altra parte, dovunque sta un corpo, li non v'è assolutamente uno spazio sgombro, vuoto. Sono dunque solidi e senza vuoto i corpi primi. Inoltre, poiché nelle cose generate c'è il vuoto, è necessario che tutt'intorno stia materia solida; né si può con giusto ragionare provare che alcuna cosa nel proprio corpo celi vuoto e l'abbia nel proprio interno, se non ammetti che ciò che lo racchiude è solido. D'altra parte, nient'altro può essere che aggregato di materia, qualcosa che sia capace di racchiudere il vuoto delle cose. La materia dunque, che consta di corpo solido, può essere eterna, mentre tutto il resto si dissolve. E poi, se non esistesse nulla che fosse sgombro e vuoto, il tutto sarebbe solido; per contrario, se non esistessero determinati corpi per empire tutti i luoghi che occupano, tutto quanto esiste sarebbe spazio sgombro, vuoto. Alternamente, dunque, senza dubbio il corpo è intramezzato dal vuoto, poiché il tutto non è totalmente pieno, né, d'altronde, è totalmente vuoto. Esistono dunque corpi determinati, tali da potere intramezzare col pieno lo spazio vuoto. Questi né possono dissolversi percossi da colpi dall'esterno, né inoltre, penetrati a fondo, disgregarsi, né possono in altro modo attaccati vacillare; ciò che già sopra, poc'anzi, ti abbiamo dimostrato. È infatti evidente che senza vuoto nessuna cosa può essere schiacciata, né infranta, né scissa in due parti con un taglio; né può ricevere in sé acqua e neppure il freddo che pervade, né il fuoco penetrante, che sono i fattori d'ogni distruzione. E quanto più ogni cosa in sé racchiude vuoto, tanto più da queste cose a fondo attaccata vacilla. Dunque, se i corpi primi sono solidi e senza vuoto, così come ho dimostrato, è necessario che siano eterni. Inoltre, se la materia non fosse stata eterna, prima d'ora tutte le cose sarebbero tornate interamente al nulla, e dal nulla sarebbero rinate tutte quelle cose che noi vediamo. Ma poiché sopra ho dimostrato che nulla si può creare dal nulla e ciò che fu generato non può essere ridotto al nulla, di corpo immortale devono essere i primi principi, in cui tutte le cose possano risolversi nel momento supremo, sì che la materia sia bastante a ristorare la perdita delle cose. Sono dunque di solida semplicità i primi principi, né in altro modo possono essersi conservati attraverso le età e ristorare le perdite delle cose, da tempo ormai infinito. Ancora, se la natura non avesse fissato alcun limite allo spezzarsi delle cose, ormai i corpi della materia, spezzati dalle età passate, sarebbero ridotti a tal punto che da essi nulla potrebbe, entro un tempo determinato, esser concepito e raggiungere il sommo limite della vita. Infatti vediamo che qualunque cosa può più in fretta dissolversi che di nuovo rifarsi: pertanto ciò che la lunga durata dei giorni, l'infinita durata di tutto il tempo già trascorso, avrebbe fino ad ora spezzato, sconvolgendolo e dissolvendolo, non potrebbe mai essere rinnovato nel tempo che resta. Ma ora, senza dubbio, all'azione dello spezzare è fissato un limite determinato, immutabile, poiché vediamo che ogni cosa si rifà e, insieme, per le cose, secondo le specie, sono fissati tempi limitati in cui possano attingere il fiore dell'età. A ciò si aggiunge che, sebbene i primi corpi della materia siano solidissimi, tuttavia tutte le cose molli che si producono, l'aria l'acqua la terra i vapori, si può spiegare in che modo si producano e per qual forza tutte si svolgano, una volta che nelle cose è commisto il vuoto. Ma per contro, se supponiamo molli i primi principi delle cose, non si potrà spiegare donde possano crearsi le dure rocce e il ferro, giacché radicalmente tutta la natura sarà priva d'un principio che ne costituisca il fondamento. Esistono dunque corpi possenti di solida semplicità, ed è per il più compatto aggregarsi di essi che tutte le cose possono farsi più salde e dimostrare valide forze. Inoltre, se nessun limite è assegnato allo spezzarsi dei corpi, tuttavia è necessario che dall'eternità sopravanzino ancora, per ciascuna specie di cose, corpi che finora non siano stati assaliti da alcun pericolo. Ma, giacché sono dotati di natura fragile, con ciò non s'accorda che abbiano potuto continuare a sussistere in eterno, travagliati da innumerevoli colpi nel corso di tutte le età. Infine, poiché per le cose è secondo le specie fissato un termine di crescita e di conservazione della vita, e giacché risulta sancito da leggi di natura che cosa possa ognuna e che cosa non possa, né alcunché si muta, anzi tutto rimane così costante che i variopinti uccelli, di generazione in generazione, tutti mostrano presenti nel corpo i colori propri di ciascuna specie, evidentemente devono anche avere un corpo di materia immutabile. Infatti, se i primi principi potessero in qualche modo esser vinti e mutarsi, in tal caso sarebbe incerto anche che cosa possa nascere, che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto; né tante volte potrebbero le generazioni secondo ciascuna specie riprodurre natura, costumi, modo di vivere e movimenti dei genitori. E ancora: poiché c'è una punta estrema, in ogni caso, di quel corpo che i nostri sensi non possono più discernere, essa evidentemente è senza parti e consta di natura minima, né esistette mai per sé separata, né tale potrà essere in futuro, poiché di un'altra cosa essa stessa è parte e prima e una; poi altre ed altre parti simili, susseguendo in ordine, in schiera compatta, completano la natura del corpo primo, e, poiché non possono esistere per sé, è necessario che aderiscano là donde non possono in alcun modo esser strappate via. Sono dunque di solida semplicità i primi principi, essi che compatti di parti minime hanno stretta coesione, non aggregati per il concorso di quelle, ma piuttosto possenti di eterna semplicità. Da essi la natura, riservando i semi alle cose, non concede che alcunché sia strappato via o venga ancora detratto. D'altronde, se non ci sarà un minimo, tutti i corpi più piccoli consteranno di parti infinite, giacché in tal caso la metà di una metà avrà sempre una propria metà, né alcuna cosa porrà un termine. E allora, che differenza ci sarà tra la somma delle cose e la cosa più piccola? Non sarà possibile alcun divario: infatti, per quanto l'universo in tutto il suo insieme sia infinito, tuttavia le cose più piccole consteranno egualmente di parti infinite. Ma, poiché la verità protesta contro ciò e non ammette che l'animo possa credervi, è necessario che tu, vinto, riconosca che esistono quelle cose che non sono più costituite di parti e constano di natura minima. E poiché esse esistono, è necessario che tu riconosca che esistono anche quegli elementi, solidi ed eterni. Infine, se la natura creatrice fosse solita costringere tutte le cose a risolversi nelle parti minime, nulla più essa sarebbe in grado di ricomporre con queste, perché le cose che sono prive di parti non possono avere le qualità che deve avere la materia generatrice, le varie connessioni, i pesi, gli urti, gl'incontri, i movimenti, per cui tutte le cose si svolgono. Perciò coloro i quali pensarono che materia delle cose fosse il fuoco e che di solo fuoco fosse costituito l'universo, appare evidente che molto si allontanarono dalla verità. Loro duce, entra primo in battaglia Eraclito, illustre per l'oscura lingua più tra i fatui che tra i seri Greci ricercatori del vero. Gli sciocchi infatti più ammirano e amano tutte quelle cose che scorgono nascoste sotto parole stravolte, e tengono per vero ciò che può titillare gradevolmente le orecchie ed è colorato di una piacevole sonorità. Come potrebbero infatti le cose essere tanto varie, io domando, se si suppone che siano nate dal solo e puro fuoco? Nulla, in verità, gioverebbe che il caldo fuoco si condensasse o si rarefacesse, se le parti del fuoco avessero la medesima natura che ha anche il fuoco intero. Più violento sarebbe difatti l'ardore per la concentrazione delle parti, e, d'altro canto, più languido per la loro disgiunzione e dispersione Che con tali cause possa avvenire più di questo, non ti è dato credere; tanto meno, poi, tanta varietà di cose può provenire da fuochi densi e radi. E aggiungi questo: soltanto se ammettono che alle cose è misto il vuoto, i fuochi potranno condensarsi o rarefarsi. Ma, poiché † ...... † vedono molte cose opporsi a loro e rifuggono dall'ammettere nelle cose il vuoto puro, mentre temono la via ardua, smarriscono la via giusta; né d'altronde vedono che, tolto dalle cose il vuoto, tutto si condensa e di tutto si fa un corpo solo, tale che da sé non può emettere nulla istantaneamente, nel modo in cui il fuoco avvampante getta luce e calore, sì che vedi che non consta di parti compatte. Ma, se per caso credono che in altro modo possano i fuochi nell'addensamento estinguersi e mutar sostanza, è evidente che, se non si asterranno dal far ciò in nessuna parte, tutto l'ardore naturalmente cadrà appieno nel nulla, ‹e› dal nulla saranno prodotte tutte le creature. Infatti ogni volta che una cosa si muta ed esce dai propri termini, sùbito questo è la morte di ciò che era prima. Quindi è necessario che alle creature qualcosa sopravanzi incolume, perché tutte le cose non ti si riducano appieno al nulla, e dal nulla rinasca e prenda vigore l'insieme delle cose. Ora, dunque, poiché ci sono certi corpi ben determinati, che conservano una natura sempre uguale, e per il cui distaccarsi o accostarsi e mutare di ordine mutano natura le cose e si trasformano i corpi, si vede che questi corpi primi non sono di fuoco. Non farebbe infatti differenza che alcuni si disgiungessero e partissero, e altri si aggiungessero, e alcuni mutassero ordine, se tuttavia tutti quanti conservassero natura di fiamma: infatti, qualunque cosa creassero, sarebbe in ogni modo fuoco. Ma, a quel ch'io penso, la cosa sta così: esistono certi corpi, di cui gl'incontri, i movimenti, l'ordine, la disposizione, le forme producono i fuochi, e col mutare ordine mutano natura, né sono simili al fuoco, né ad alcun'altra cosa che possa emettere corpi ai sensi e con l'accostarsi colpire il nostro tatto. Dire, poi, che fuoco sono tutte le cose e che nel novero delle cose non esiste nulla che sia reale tranne il fuoco, come fa questo medesimo Eraclito, pare essere mero delirio. Infatti contro i sensi, partendo dai sensi, egli stesso combatte, e infirma quelli da cui dipendono tutte le opinioni, da cui egli stesso apprese questo che chiama fuoco. Crede infatti che i sensi conoscano realmente il fuoco, ma non tutte le altre cose, che per nulla son meno chiare. E questo a me sembra falsità e delirio. A che ci riferiremo infatti? Che mai può essere per noi più sicuro degli stessi sensi per discernere il vero e il falso? E d'altronde, perché uno eliminerebbe tutte le altre cose e vorrebbe lasciare la sola natura del fuoco, piuttosto che negare l'esistenza del fuoco e lasciare tuttavia sussistere un'altra natura? Uguale demenza sembra, infatti, dire e l'una e l'altra cosa. Perciò coloro i quali pensarono che materia delle cose fosse il fuoco e che di fuoco potesse essere costituito l'universo, e coloro che posero l'aria quale principio generatore delle cose, o quanti pensarono che l'acqua di per sé sola formasse le cose, o che la terra creasse tutto e si trasformasse in ogni natura di cose, sembrano essersi sperduti molto lontano dal vero. Aggiungi anche coloro che duplicano i primi principi delle cose, unendo l'aria al fuoco e la terra all'acqua, e coloro che credono che da quattro cose possa crescer tutto, dal fuoco, dalla terra e dall'aria e dall'acqua. Fra questi primeggia Empedocle di Agrigento, che entro le sue rive triangolari produsse l'isola intorno a cui fluttuando negli ampi anfratti il mare Ionio spruzza dalle onde glauche le salse spume, e per angusto stretto acque impetuose dividono con le onde le rive della terra Eolia dal suo territorio. Qui è la devastatrice Cariddi e qui i boati dell'Etna minacciano di raccogliere di nuovo le ire delle fiamme, sì che ancora la sua violenza vomiti fuochi prorompenti dalle fauci e al cielo lanci di nuovo folgori di fiamma. E se questa regione appare in molti modi grande, meravigliosa alle genti umane, e si dice che sia degna di essere veduta, opima di cose buone, munita di molta forza di uomini, pure sembra che in sé non abbia avuto nulla di più glorioso che quest'uomo, nulla di più santo e mirabile e caro. E invero i canti del suo petto divino svelano a gran voce ed espongono gloriose scoperte, sì che a stento sembra nato da stirpe umana. Egli, tuttavia, e quelli che abbiamo menzionati sopra, notevolmente inferiori sotto molti aspetti e molto minori, benché scoprissero molte cose bene e in maniera divina, e quasi dai penetrali del cuore dessero responsi più santamente e con molto maggiore certezza che la Pizia, che parla dal tripode e dal lauro di Febo, tuttavia nei primi principi delle cose rovinarono, e gravemente ivi caddero, grandi in grande caduta; prima perché, tolto dalle cose il vuoto, asseriscono il movimento, e lasciano cose morbide e porose, l'aria l'acqua il fuoco la terra gli animali le messi, e tuttavia non mescolano nel loro corpo il vuoto; poi perché credono che non ci sia alcun termine alla divisione dei corpi, né esista arresto al loro spezzarsi, né resti assolutamente alcun minimo nelle cose; mentre vediamo che di ciascuna cosa esiste quel vertice estremo che si vede essere il minimo rispetto ai nostri sensi, sì che puoi inferirne che il punto estremo esistente nei corpi che non sei in grado di scorgere è in essi la minima parte. E a ciò s'aggiunge ancora questo: poiché suppongono come primi principi cose molli, che noi vediamo soggette alla nascita e dotate di corpo mortale, l'universo dovrebbe in tal caso ritornare interamente al nulla, e dal nulla rinascere e prender vigore l'insieme delle cose; ma tu già saprai quanto e questo e quello siano lontani dal vero. Poi, quelle cose sono in molti modi nemiche ed hanno l'una per l'altra effetto di veleno: perciò o accozzatesi periranno o fuggiranno qua e là, così come, per addensamento di tempesta, vediamo fuggire qua e là fulmini e piogge e venti. Infine, se da quattro cose tutto si crea e in esse cose tutto di nuovo si dissolve, come possono queste esser chiamate primi principi piuttosto che, al contrario e inversamente, le cose principi di queste? Alternamente infatti si generano e cambiano colore e l'intera loro natura reciprocamente, da sempre. Ma se per caso credi che il corpo del fuoco e quello della terra e i soffi dell'aria e il rorido umore si congiungano così che nell'unione per nulla muti la loro natura, da essi non ti si potrà formare nessun essere, né animato, né con corpo inanimato, come un albero. Difatti nella congiunzione del vario coacervo ciascuna cosa mostrerà la natura propria, e si vedrà l'aria mista insieme con la terra, e il fuoco permanere insieme con l'acqua. Ma nella generazione delle cose bisogna che i primi principi apportino una natura occulta e invisibile, perché non spicchi qualcosa che contrasti, e precluda a quanto vien creato la possibilità di un'esistenza propria. Anzi, risalgono sino al cielo e ai suoi fuochi, e suppongono che prima il fuoco si trasformi nei soffi dell'aria, di qui si generi la pioggia, e dalla pioggia si crei la terra, e dalla terra tutto ritorni indietro, prima l'acqua, poi l'aria, quindi il calore, e che queste cose non cessino di mutarsi tra loro, di passare dal cielo alla terra, dalla terra agli astri del cielo. Cosa che i primi principi non devono fare in alcun modo. È necessario, infatti, che qualcosa sopravanzi immutabile, perché tutte le cose non si riducano appieno al nulla. Infatti ogni volta che una cosa si muta ed esce dai propri termini, sùbito questo è la morte di ciò che era prima. Perciò, poiché le cose che abbiamo dette poc'anzi subiscono mutamento, è necessario che esse constino di altre che non possano assolutamente cambiarsi, se non vuoi che tutte le cose si riducano appieno al nulla. Perché non supponi piuttosto certi corpi dotati di tale natura che, se per caso hanno creato il fuoco, possano anche, tolti pochi di essi ed aggiunti pochi altri, mutati ordine e moto, produrre i soffi dell'aria, e che così tutte le cose si mutino le une nelle altre? "Ma fatti manifesti", dici, "mostrano apertamente che tutte le cose nei soffi dell'aria crescono e s'alimentano dalla terra; e se la stagione non prodiga in tempo propizio le piogge, sì che gli alberi vacillino per lo sciogliersi dei nembi, e il sole per parte sua non li ristora e dispensa il calore, non possono crescere messi, alberi, esseri viventi". Naturalmente! E, se cibi secchi e teneri liquidi non ci sostenessero, senz'altro, deperito il corpo, anche tutta la vita da tutti i nervi e le ossa si scioglierebbe. Infatti senza dubbio noi siamo sostentati e alimentati da cose determinate, come da cose determinate altri esseri e altri ancora. Certo perché molti principi primi, comuni a molte cose in molti modi, nelle cose son misti, per questo cose diverse si alimentano di cose diverse. E spesso importa molto con quali altri i medesimi primi principi, e in quale disposizione, siano collegati, e quali movimenti a vicenda imprimano e ricevano; giacché gli stessi costituiscono il cielo, il mare, le terre, i fiumi, il sole, gli stessi le messi, gli alberi, gli esseri viventi, ma si muovono commisti ad altri e in altro modo. Anzi qua e là nei nostri stessi versi tu vedi molte lettere comuni a molte parole, mentre tuttavia devi ammettere che versi e parole distano tra loro, e per significato e per modulazione di suono. Tanto è il potere delle lettere, solo che se ne muti l'ordine. Ma i primi principi delle cose sono in grado di apportare più mezzi, perché se ne possano creare tutte le varie cose. Ora scrutiamo anche l'omeomeria di Anassagora, come i Greci la chiamano, mentre a noi la povertà del patrio linguaggio non concede di denominarla nella nostra lingua; ma tuttavia la cosa stessa è facile esporla con parole. Anzitutto - ciò che egli denomina omeomeria delle cose - evidentemente crede che le ossa siano formate di ossa piccolissime e minute, e di piccolissime e minute carni la carne, e che il sangue si crei da molte gocce di sangue che si uniscano tra loro, e che l'oro possa esser costituito di briciole d'oro, e che la terra si componga per aggregarsi di particelle di terra, di particelle di fuoco sia fatto il fuoco, d'acqua l'acqua; e in simile maniera immagina e crede tutte le altre cose. Né tuttavia in alcuna parte egli concede che nelle cose ci sia il vuoto, né che esista un limite alla divisione dei corpi. Perciò in entrambe le dottrine mi sembra che egli erri allo stesso modo di coloro di cui parlammo sopra. Aggiungi che troppo deboli s'immagina i primi principi; se effettivamente sono primi principi, quelli che son dotati di natura simile a quella che è propria delle cose stesse, e ugualmente soffrono fatica e morte, e nulla ne arresta il disfacimento. Quale di essi infatti sotto una pressione violenta resisterà tanto da sfuggire alla distruzione, tra i denti stessi della morte? Il fuoco o l'acqua o l'aria? Quale di questi? Il sangue o le ossa? Nessuno, a parer mio; quando in egual modo ogni cosa, senza eccezione, sarà mortale, tanto quanto i corpi che manifestamente vediamo scomparire, vinti da qualche forza, sotto i nostri occhi. Ma che le cose non possano ricadere nel nulla, né, poi, crescere dal nulla, chiamo a testimoniarlo le cose già provate. Inoltre, poiché il cibo accresce il corpo e lo alimenta, se ne può concludere che in noi le vene e il sangue e le ossa * o, se diranno che tutti i cibi sono di sostanza mista ed hanno in sé piccoli corpi di nervi e ossa e generalmente vene e parti di sangue, ne conseguirà che ogni cibo, sia secco sia liquido, si debba credere costituito esso stesso di cose d'altra natura, di ossa e di nervi e di siero e di sangue commisti. Inoltre, se tutti i corpi che crescon dalla terra son contenuti nelle particelle di terra, la terra deve essere composta delle cose d'altra natura che sorgono su dalla terra. Trasporta lo stesso ragionamento a un altro oggetto: potrai usare le stesse parole. Se nel legno stan nascosti fiamma e fumo e cenere, è necessario che il legno consti di cose d'altra natura. Inoltre, tutti quei corpi che la terra alimenta, accresce * delle cose d'altra natura che sorgono su dal legno. Resta qui una tenue scappatoia: è quella di cui s'avvale Anassagora, supponendo che in tutte le cose si celino commiste tutte le cose, ma appaia solo quella di cui nel miscuglio esistano più particelle, e siano più in evidenza e collocate in prima linea. Ma questo si discosta molto dalla verità. Giacché in tal caso anche le messi dovrebbero spesso, quando son frantumate dalla minacciosa forza della pietra, emettere traccia di sangue o qualcuna di quelle cose che si alimentano nel nostro corpo; quando le stritoliamo con pietra su pietra, il sangue dovrebbe versarsi. Similmente dovrebbero anche spesso le erbe e le acque stillare gocce dolci e di sapore simile a quello che ha il grasso latte delle pecore lanute; e certo dovremmo anche, sminuzzate le zolle di terra, vedere spesso varie specie di erbe e messi e fronde disseminate tra la terra nascondersi in particelle minute; infine, nella legna spezzata si dovrebbero vedere cenere e fumo e minuti fuochi nascosti. Ma, poiché fatti manifesti mostrano che nessuna di tali cose accade, è chiaro che nelle cose non sono in quel modo mischiate le cose, ma semi comuni a molte cose devono celarsi nelle cose, commisti in molti modi. "Ma spesso", tu dici, "sui grandi monti avviene che le vicine cime degli alti alberi si sfreghino le une contro le altre, quando a far ciò le costringono gli austri possenti, finché rifulgono d'uno sbocciato fiore di fiamma". Certo; eppure nel legno non si annida il fuoco, ma ci sono molti semi di calore, che, confluiti per lo strofinìo, producono incendi nelle selve. Che se la fiamma si nascondesse nelle selve già formata, non potrebbero per alcun tratto di tempo restar celati i fuochi, divorerebbero dappertutto le selve, brucerebbero gli alberi. E dunque non vedi ora che, come dicemmo poc'anzi, spesso importa moltissimo con quali altri i medesimi primi principi, e in quale disposizione, siano collegati, e quali movimenti a vicenda imprimano e ricevano, e che i medesimi, di poco mutati tra loro, producono i fuochi e il legno? Appunto come anche le parole stesse constano di lettere di poco mutate tra loro, mentre con distinti vocaboli significhiamo ligneo e igneo. E infine, se tutto quanto discerni nelle cose visibili credi che non possa avvenire senza che tu supponga dotati di natura consimile i corpi primi della materia, con questo criterio i primi principi ti vanno in rovina: avverrà che sghignazzino, scossi da tremulo riso, e di lacrime salse inumidiscano i volti e le guance. E ora, suvvia, apprendi ciò che resta e ascolta più chiaro canto. Né sfugge al mio pensiero quanto queste cose siano oscure; ma una grande speranza di gloria ha trafitto il mio cuore con tirso penetrante e insieme mi ha infuso nel petto un dolce amore delle Muse, dal quale ora incitato con mente vivida percorro remote regioni delle Pieridi, ove nessuno prima impresse orma. Godo ad appressarmi alle fonti intatte e bere, e godo a cogliere nuovi fiori e comporre per il mio capo una corona gloriosa, di cui prima a nessuno le Muse abbiano velato le tempie; anzitutto perché grandi cose io insegno, e cerco di sciogliere l'animo dagli stretti nodi della superstizione; poi perché su oscura materia compongo versi tanto luminosi, tutto cospargendo col fascino delle Muse. Infatti anche questo appare non privo di ragione; ma, come i medici, quando cercano di dare ai fanciulli il ripugnante assenzio, prima gli orli, tutt'attorno al bicchiere, cospargono col dolce e biondo liquore del miele, perché nell'imprevidenza della loro età i fanciulli siano ingannati, non oltre le labbra, e intanto bevano interamente l'amara bevanda dell'assenzio e dall'inganno non ricevano danno, ma al contrario in tal modo risanati riacquistino vigore; così io ora, poiché questa dottrina per lo più pare troppo ostica a coloro che non l'hanno coltivata, e il volgo rifugge lontano da essa, ho voluto esporti la nostra dottrina col canto delle Pieridi che suona soave, e quasi cospargerla col dolce miele delle Muse, per provare se per caso potessi in tal modo tenere avvinto il tuo animo ai miei versi, finché penetri tutta la natura, in quale forma sia disposta e ornata. Ma, poiché ho insegnato che gli atomi sono solidissimi e in perpetuo volteggiano, invitti attraverso ogni tempo, ora investighiamo se la loro somma abbia o non abbia alcun limite; e parimenti, il vuoto di cui abbiamo scoperto l'esistenza, o luogo o spazio, in cui tutte le cose si svolgono, scrutiamo se sia tutto assolutamente finito oppure si apra immenso e smisuratamente profondo. Tutto quanto esiste, dunque, non è limitato in alcuna direzione; altrimenti dovrebbe avere un'estremità. È evidente, d'altra parte, che niente può avere un'estremità, se al di là non esiste qualche cosa che lo delimiti, sì che appaia un punto oltre il quale questa natura di senso non possa più seguirlo. Ora, poiché dobbiamo ammettere che niente c'è al di fuori del tutto, questo non ha un'estremità: manca, dunque, di confine e di misura. Né importa in quali sue regioni tu ti fermi; perché sempre, qualsiasi luogo uno abbia occupato, per ogni verso lascia altrettanto infinito il tutto. E inoltre, supponiamo ora che tutto lo spazio esistente sia limitato e che qualcuno corra avanti, all'estrema riva, spingendosi fino all'ultimo punto, e scagli un dardo volante: preferisci tu pensare che esso, lanciato con valide forze, vada ove è stato vibrato e voli lontano, o credi che qualcosa possa arrestarlo e ad esso opporsi? O l'una o l'altra ipotesi occorre infatti che tu ammetta e scelga. Ma sia l'una che l'altra ti preclude ogni via di scampo e ti obbliga a riconoscere che il tutto si estende senza confine. Infatti, sia che esista qualcosa che l'arresti e gl'impedisca di giungere ove è stato vibrato e di conficcarsi nel segno, sia che più oltre esso voli, il punto donde è partito non è il confine estremo. In tal modo ti incalzerò e, dovunque porrai l'estrema riva, chiederò: "che sarà poi del dardo?". Avverrà che in nessun luogo si potrà fissare il confine, e la possibilità della fuga sempre allontanerà la scappatoia. Inoltre, se tutto lo spazio dell'intero universo fosse chiuso da ogni parte e stesse entro certi confini, se fosse limitato, già la massa della materia per il peso dei suoi corpi solidi sarebbe confluita da ogni parte nel fondo, né alcuna cosa potrebbe svolgersi sotto la volta del cielo; e assolutamente non ci sarebbe cielo, né luce di sole, ché in tal caso tutta la materia giacerebbe accumulata, già da tempo infinito depositandosi. Ma ora, certamente, nessuna requie è data ai corpi dei primi principi, perché non c'è un ultimo fondo, ove possano quasi confluire e porre le loro sedi. Sempre in continuo moto si svolgono tutte le cose, per ogni dove, e anche dal basso vengono forniti i corpi della materia che muovono dall'infinito. Infine, palesemente appare agli occhi che una cosa delimita un'altra cosa: l'aria fa da confine ai colli, e i monti all'aria; il mare confina con la terra e, a loro volta, tutte le terre col mare; ma il tutto, invero, non c'è nulla che lo delimiti dall'esterno. La natura dello spazio , dunque, e la distesa dell'abisso è tale che i fulgidi fulmini non potrebbero percorrerla nella loro corsa, volando per un tratto ininterrotto di tempo, né procedendo potrebbero affatto ottenere che resti meno cammino da fare: a tal segno s'apre dovunque alle cose un'immensa estensione, senza confini da ogni punto verso qualunque parte. Che poi tutto l'insieme delle cose possa porsi da sé stesso un limite, lo vieta la natura; la quale costringe la materia a essere limitata dal vuoto, e quanto è vuoto a essere limitato dalla materia, sì che con la loro alternanza rende infinito il tutto, o altrimenti l'uno o l'altro dei due, se non lo delimita l'altro, con la semplice sua natura si stende tuttavia illimitato. * né il mare, né la terra, né la volta luminosa del cielo, né la stirpe mortale, né i santi corpi degli dèi potrebbero sussistere per l'esiguo tratto di un'ora: dispersa fuori dalla sua compagine la massa della materia vagherebbe dissolta per il vuoto immenso, o piuttosto non si sarebbe mai aggregata per formare alcuna cosa, perché, sparpagliata, non avrebbe potuto adunarsi. Ché certo non secondo un deliberato proposito i primi principi delle cose si collocarono ciascuno al suo posto con mente sagace, né in verità pattuirono quali moti dovesse produrre ciascuno; ma, poiché molti di essi, in molti modi trasmigrando per il tutto, da tempo infinito sono stimolati e travagliati dagli urti, sperimentando ogni genere di movimenti e aggregazioni pervengono finalmente a tali disposizioni, quali son quelle per cui s'è formato e sussiste il nostro universo, e, per molti lunghi anni conservatosi, una volta che si combinò in movimenti concordanti, fa che i fiumi con le onde abbondanti delle loro correnti alimentino l'avido mare e, riscaldata dalle vampe del sole, la terra rinnovi i parti e, sorte dal suo grembo, fioriscano le generazioni degli animali e vivano i fuochi che scivolano nell'etere. Ciò che in nessun modo farebbero, se dall'infinito non potesse affluire in abbondanza la materia con cui sogliono riparare a tempo tutte le perdite. Infatti, come, privati del cibo, gli esseri viventi si sfanno perdendo i corpi, così tutte le cose devono dissolversi appena ha cessato di rifornirle la materia, deviata per qualche cagione dal giusto cammino. E gli urti dall'esterno, provenienti da ogni parte, non hanno il potere di conservare tutto l'insieme di qualunque mondo si sia aggregato. Possono bensì battere spesso e trattenere una parte, fin quando ne vengano altri e l'insieme si possa completare; tuttavia talora sono costretti a rimbalzare e ad accordare frattanto ai principi delle cose spazio e tempo di fuga, sì che possano volar via, liberi dall'aggregazione. Perciò, ancora e ancora, è necessario che molti atomi affluiscano; e d'altronde, perché possano essere sufficienti gli stessi urti, da ogni parte abbisogna infinita quantità di materia. A tale proposito, tieniti lontano dal credere, o Memmio, a quello che dicono: che tutte le cose convergono verso il centro dell'universo, e che la natura del mondo resta salda senza sostegno di colpi dall'esterno, e l'alto e il basso non possono dissolversi da nessuna parte, per questo: perché tutte le cose premono verso il centro (se a te pare possibile che qualcosa poggi su sé stessa); e che i corpi pesanti che sono sotto la terra, convergono tutti verso l'alto e riposano poggiati all'inverso sulla terra, come le immagini che adesso noi vediamo nell'acqua. E similmente sostengono che animali camminano supini e tuttavia non possono cader via dalla terra nelle regioni inferiori del cielo, più di quanto i corpi nostri possano di per sé stessi volare verso le plaghe del cielo; e che, quando quelli vedono il sole, noi scorgiamo gli astri della notte, e alternamente dividono con noi le stagioni del cielo e trascorrono notti corrispondenti ai nostri giorni. Ma un vano ‹errore ha fatto approvare› ad uomini sciocchi tali ‹assurdità› perché hanno abbracciato ‹una teoria con falso ragionare›. Infatti non può esserci un centro, ‹perché l'universo è› infinito. Né assolutamente, se pure ‹ci fosse un centro›, alcuna cosa potrebbe ivi star fissa ‹per questo,› anziché ‹essere›, in qualsiasi altro modo, ‹respinta› lontano. Infatti tutta l'estensione e lo spazio, che ‹chiamiamo vuoto›, per il centro come fuori dal centro, ‹deve› ugualmente lasciare il passo ai corpi pesanti, dovunque tendano i loro movimenti. Non c'è alcun luogo, ove i corpi, quando siano giunti, possano, perduta la forza del peso, restar fermi nel vuoto; né, d'altra parte, ciò che è vuoto deve sussistere quale base sotto alcuna cosa senza continuare a cedere, come esige la sua natura. Dunque non possono le cose in tal modo esser tenute insieme in un'aggregazione, vinte dalla brama del centro. Inoltre, poiché s'immaginano che al centro tendano, non già tutti i corpi, ma solo quelli della terra e dell'acqua, i flutti del mare e le grandi onde che scendono giù dai monti, e quelle cose che sono contenute, per così dire, nel corpo terrestre, ma al contrario dicono che i tenui soffi dell'aria e i caldi fuochi insieme si irradiino dal centro, e che tutto l'etere all'intorno tremoli di stelle e la fiamma del sole pascoli attraverso i ceruli spazi del cielo perché, fuggendo dal centro, il calore si raccoglie tutto là, e che agli alberi le cime dei rami non potrebbero affatto frondeggiare, se dalla terra a poco a poco cibo a ciascuno che le mura del mondo, al modo delle fiamme volanti, fuggano via improvvisamente dissolte nel vuoto immenso, e tutte le altre cose tengano loro dietro in modo consimile, e crollino in alto le volte tonanti del cielo, e la terra si sottragga rapidamente ai nostri piedi, e tutta, fra le frammiste rovine delle cose terrene e del cielo dissolventi i corpi, si inabissi attraverso il vuoto profondo, sì che in un istante nessun avanzo resti, tranne lo spazio deserto e i primi principi invisibili. Infatti, da qualunque parte supporrai che prima vengano a mancare i corpi, questa parte sarà per le cose la porta della morte, per questa si riverserà fuori tutta la folla della materia. Queste cose così conoscerai, condottovi con poca fatica; e infatti da una cosa un'altra cosa si chiarirà, né la cieca notte ti toglierà il cammino, sì che tu non giunga a vedere gli ultimi confini della natura: così le cose accenderanno la luce su altre cose.