De Bello Gallico - libro VII - capitolo 17

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Testo

Cesare DE BELLO GALLICO – LIBRO VII – CAPITOLO XVII
Cesare, collocato l’accampamento in quella parte di città che, lasciata libera dal fiume e dalla palude, lasciava, come abbiamo detto in precedenza, uno stretto passaggio, iniziò a costruire un terrapieno, a condurre le vinee, a far innalzare delle torri; infatti la posizione del luogo impediva di cingere la città con altre opere. Non cessò di sollecitare i Boi e gli Edui riguardo la consegna del grano; di questi gli Edui, dal momento che si comportavano senza alcuno zelo, non erano di molto aiuto, i Boi per gli scarsi mezzi, dato che la popolazione era esigua e debole, velocemente consumarono quello che avevano. Sebbene l’esercito fosse messo a dura prova dalla grande difficoltà nell’approvvigionamento di frumento per la povertà dei Boi, per la negligenza degli Edui, per gli incendi dei granai, fino al punto che i soldati rimasero privi per parecchi giorni di frumento e tentavano di sostentare la fame tremenda con bestiame fatto venire da villaggi piuttosto lontani, tuttavia non si udì alcuna voce da parte loro indegna della maestà e delle precedenti vittorie del popolo romano. Anzi, quando Cesare chiamò le legioni singolarmente nel corso dei lavori e quando disse che avrebbe rinunciato all’assedio, se essi avessero sopportato con troppa durezza la scarsità delle risorse, tutti insieme gli chiedevano di non farlo: (dicevano che) essi avevano prestato servizio militare sotto il suo comando (lett. essendo lui a comandare) per molti anni così da non subire alcun affronto, da non ritirarsi mai senza aver compiuto l’impresa iniziata. Avrebbero considerato vergognoso abbandonare l’assedio iniziato, era preferibile sopportare tutte le privazioni piuttosto che non vendicare i cittadini romani che erano morti a Cenabo per la slealtà dei Galli. Queste stesse cose le esprimevano ai centurioni e ai tribuni militari affinchè, tramite loro, venissero riportate a Cesare.

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