Catullo - Carme VIII

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Testo

CATULLO

LIBER CARME VIII
Miser Catulle, desinas ineptire,
Et quod vides perisse perditum ducas.
Fulsere quondam candidi tibi soles,
cum ventitabas quo puella ducebat
amata nobis quantum amabitur nulla.
Ibi illa multa tum iocosa fiebant,
quae tu volebas nec puella nolebat.
Fulsere vere candidi tibi soles.
Nunc iam illa non volt; tu quoque, inpotens, ,
nec quae fugit sectare, nec miser vive,
sed obstinata mente perfer, obdura.
Vale, puella. Iam Catullus obdurat,
nec te requiret nec rogabit invitam.
At tu dolebis, cum rogaberis nulla.
Scelesta, vae te, quae tibi manet vita?
quis nunc te adibit? cui videberis bella?
quem nunc amabis ? cuius esse diceris?
quem basiabis? cui labella mordebis?
At tu, Catulle, destinatus obdura.
IL CARME VIII TRA APPARENZA E REALTÀ
L'opposizione tra apparenza e realtà è uno dei motivi che più spesso ricorrono in Catullo e, in particolare, sembra essere uno dei temi dominanti del carme VIII (qui rappresentato in tutta la sua forza dal videberis al verso16). La vita stessa del poeta è un continuo susseguirsi di apparenza e realtà: egli si illude che Lesbia lo amerà per sempre, poi si disillude, ha dei momenti di lucidità, quindi la passione e l'amore hanno di nuovo il sopravvento impedendogli di vedere la realtà... Catullo è in perenne conflitto con se stesso, alterna lunghi periodi di irrazionalità (in cui raggiunge una felicità apparente) ad attimi razionali in cui sopporta un dolore vero, reale e violento (come le sue parole di rabbia verso Lesbia), che però lo fa di nuovo impazzire.
Nel carme VIII si può cogliere l'attimo razionale del poeta: è il momento della disillusione, della comprensione della dura realtà; nella prima parte, che termina al verso 11, Catullo si sdoppia in un "io" razionale (chi scrive) ed un "io" irrazionale (l'interlocutore): il primo riversa il suo odio sul secondo, in un apparente movimento lineare, mentre nella realtà lo riversa su di sé, in un ipotetico movimento circolare (Lesbia, in terza persona, funge solo da cornice); nella seconda parte, invece, il poeta si scaglia in modo "lineare" contro Lesbia (la sua nuova interlocutrice), parlando di sé in terza persona. L'uso della seconda persona aumenta dunque il "pathos", in quanto rappresenta la verità (troviamo comunque una prima persona al verso 5, nobis, che sembra enfatizzare l'essere nel giusto del poeta ed il torto dell'amata): questa scelta del confronto diretto con l'interlocutore è in forte contrapposizione con i vivamus e amemus del carme V, in cui Catullo agisce sempre con Lesbia, illudendosi che il loro rapporto resterà immutato nel tempo.
Il tempo gioca una funzione importantissima nel carme che si sta analizzando, sempre in riferimento al tema apparenza-realtà, e non è un caso la collocazione dei due termini: infatti la prima forma di conoscenza è sempre apparente, alla verità si arriva sempre dopo e, in questo caso, passando attraverso il dolore (proprio come nelle tragedie di Eschilo). Nel carme VIII vi è la presenza di perfetti, imperfetti, presenti e futuri: in questo modo si ha una visione totalizzante della situazione di Catullo, che nel passato vede l'illusione, nel presente la scoperta della verità, e nel futuro l'amarezza che questa scoperta ha provocato. I perfetti (fulsere - versi 3 e 8) esprimono puntuatività, sono gli attimi felici, i vivamus e amemus del carme V, ma anche l'id del carme LXXXV, rappresentato qui da perditum (verso 2), che riassume il rapporto tra il poeta e l'amata e nel contempo contiene la delusione di Catullo nel prendere coscienza di aver perso ciò. I due fulsere rappresentano dunque l'attimo che è stato colto (carpe diem), ma è necessario fare una distinzione: il primo infatti è un semplice riecheggiare dolce del ricordo, sottolineato dall'uso di quondam, che definisce temporalmente l'evento con cum, che anche permette al lettore di entrare nella memoria del poeta; il secondo invece (verso 8) è un lapide sentenziosa e amara, rafforzata dal vere, testimone della veridicità dei fatti, e dal punto fermo. Gli imperfetti (ducebat, fiebant, volebas, nolebat) simboleggiano non solo la continuità del passato e delle azioni iterative, ma anche il fatto che quegli attimi felici si ripercuotono negativamente, poiché lo avevano illuso, nel presente, nei presenti (desinas, ducas, volt, noli, fugit) e nei nunc, che portano il poeta alla realtà dolorosa e lo preparano ad un futuro ancor più doloroso (quindi verosimile), negativo sia per lui sia per Lesbia, a cui predice sventura (dolebis) chiedendole con insistenti interrogative dirette come pensa di vivere senza il suo amore.
Il carme termina, in ringkomposition, con un nuovo appello a se stesso: Catullo vuole resistere al dolore che gli provoca la verità. Il tema della realtà e della scoperta della verità è dunque strettamente legato al dolore (ne è la causa), ma questo tema può anche essere ricollegato all'idea dell'ordine (la realtà) contrapposto al disordine (l'apparenza, che è un finto ordine): Catullo dunque vive in bilico tra questi due elementi, non riesce a stabilizzarsi,e forse è proprio la paura della realtà che lo uccide.

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