Vittorio Sereni: "Non sanno d'essere morti"

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano
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Data:07.04.2008
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Testo

Non sanno d’essere morti
Vittorio Sereni
Non sanno d’essere morti
i morti come noi,
non hanno pace.
Ostinati ripetono la vita
si dicono parole di bontà
rileggono nel cielo i vecchi segni.
Corre un girone grigio in Algeria
nello scherno dei mesi
ma immoto è il perno a un caldo nome: ORAN.
Questa poesia di Vittorio Sereni è composta da nove versi sciolti e di varia lunghezza, di cui otto sono piani e uno è tronco. Non ci sono rime ma spesso, all’interno dei versi, si ripetono le «o», le «r», le «e», le «t», le «s» e nei versi 6 e 7 ricorre la lettera «g». Inoltre si nota l’iterazione dell’ avverbio «non» all’inizio del primo e del terzo verso mentre nei versi 7 e 9 c’è la presenza dell’anastrofe. Le ripetizioni delle lettere «r», «g» e «t» esprimono la sensazione di angoscia e di soffocamento che il poeta prova durante la prigionia in Africa e la consapevolezza della precarietà della vita e la frase-chiave «non sanno d’essere morti/ i morti come noi» evidenzia le condizioni di miseria e di prossimità alla morte dei prigionieri del campo, che tuttavia continuano a intravedere uno spiraglio di speranza anche nella loro condizione e disperata.
Vittorio Sereni in questa breve lirica descrive l’esistenza dei prigionieri di guerra, più simile alla morte che a una vita vera, in cui non ci sono contatti con il mondo esterno e in cui tutti i giorni trascorrono uguali, grigi e soffocanti, e racconta la condizione incerta in cui si trovano i detenuti, costantemente a un passo dalla fine.
Questa poesia è stata scritta da Sereni durante il suo periodo di prigionia in Africa (1943-1945) e descrive con grande intensità, nonostante segua la corrente ermetica,
la vita-morte che si conduce nel campo. Tuttavia questa descrizione vale anche per tutti gli altri carcerati del mondo, che si trovano in condizioni disumane all’interno delle prigioni e le cui speranze vengono soffocate calpestando l’esistenza stessa dell’uomo.

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