Scheda libro 1, nessuno, 100.000

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano

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Data:24.03.2006
Numero di pagine:25
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Testo

Alberto Bottiglioni 2^H 05/03/05
Recensione libro "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello
Autore: Luigi Pirandello
Titolo: “Uno, nessuno, centomila”
Casa Editrice: Einaudi - 1994
Genere: romanzo di carattere (filosofico - umoristico).
Trama: Da uno specchio, superficie ambigua e inquietante, emerge un giorno per Vitangelo Moscarda, un volto di sé finora ignorato: un naso in pendenza verso destra. Questo avvenimento provoca in lui una profonda crisi che lo porta a scoprire che gli altri si fanno di lui un’immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso, scopre cioè di non essere "uno", come aveva creduto sino a quel momento, ma di essere "centomila", nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi "nessuno". Questa presa di coscienza fa saltare tutto il sistema di certezze e determina una crisi sconvolgente. Decide perciò di distruggere tutte le immagini che gli altri si fanno di lui, in particolare quella dell’usuraio". Alla fine si fa ricoverare in un ospizio, estraniandosi totalmente dalla vita sociale.
Critica: ho trovato questo libro abbastanza interessante, anche se in alcune parti, erano molto difficili da capire. Mi è piaciuto soprattutto l’uso del dialogo, perché mi sentivo chiamato in causa, e a volte mi è sembrato che l’autore capisse cosa stavo pensando. Inoltre gli argomenti trattati sono estremamente attuali, spesso anche a noi capita di essere fraintesi dagli altri, che non comprendono veramente chi siamo. Lo consiglio per i motivi che ho appena elencato e per cui mi è piaciuto, mentre non lo consiglio perché in alcuni punti il libro risulta difficile e a tratti noioso.

Recensione libro "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello
Autore: Luigi Pirandello
Titolo: “Uno, nessuno, centomila”
Casa Editrice: Einaudi
Genere: romanzo di carattere
Contenuto: Vitangelo Moscarda arriva a una convinzione che lo sconvolge: l'uomo non possiede un'identità ma è condannato a vivere le infinite personalità che gli altri gli attribuiscono. Ricorre così ad una serie di gesti folli, come regalare una casa a un vagabondo. Le pazzie si intensificano: ferito gravemente da un’amica della moglie, colta da un raptus inspiegabile di follia, al fine di evitare lo scandalo cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, ed egli stesso vi si fa ricoverare.
Commento personale: personalmente ho trovato questo libro molto interessante, gli argomenti trattati sono abbastanza attuali e anche curioso per il metodo stilistico utilizzato da Pirandello, anche se in alcune parti, soprattutto gli esempi filosofici, erano piuttosto complicati da comprendere. Mi è piaciuto soprattutto l’uso del dialogo, rivolgendosi ad un "voi" immaginario, perché mi sentivo chiamata in causa, e a volte mi è sembrato che l’autore capisse cosa stavo pensando.

NARRATORE: il romanzo è narrato in prima persona da un narratore interno: Vitangelo Moscarda, il protagonista della vicenda, che non racconta ma commenta ad intervalli, distaccati l’uno dall’altro.
GENERE: romanzo di carattere (filosofico - umoristico).
TRAMA: Da uno specchio, superficie ambigua e inquietante, emerge un giorno per Vitangelo Moscarda, un volto di sé finora ignorato: un naso in pendenza verso destra. Questo avvenimento provoca in lui una profonda crisi che lo porta a scoprire che gli altri si fanno di lui un’immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso, scopre cioè di non essere "uno", come aveva creduto sino a quel momento, ma di essere "centomila", nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi "nessuno". Questa presa di coscienza fa saltare tutto il sistema di certezze e determina una crisi sconvolgente. Vitangelo ha orrore delle "forme" in cui lo chiudono gli altri e non vi si riconosce, ma anche orrore della solitudine in cui lo piomba lo scoprire di non essere "nessuno". Decide perciò di distruggere tutte le immagini che gli altri si fanno di lui, in particolare quella dell’usuraio" ( il padre infatti gli ha lasciato in eredità una banca), per cercare di essere "uno per tutti". Incomincia così a ribellarsi facendo cose che, agli occhi di chi gli sta attorno, appaiono incomprensibili. Ricorre così ad una serie di gesti folli, come regalare una casa a un vagabondo. Vuole vendere la banca di cui non si è mai occupato e che gli assicura una certa agiatezza economica, e quando rivela alla moglie e all’amico Quantorzo che vuole cancellare la nomea di usuraio, loro scoppiano a ridere senza ritegno. Così colpito nell’animo, già, fortemente contrastato, strattona la moglie ribellandosi a quella marionetta, di nome Gengè, di cui ella si era sempre compiaciuta. Le pazzie si intensificano: ferito gravemente da un’amica della moglie, colta da un raptus inspiegabile di follia, al fine di evitare lo scandalo cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, ed egli stesso vi si fa ricoverare, estraniandosi totalmente dalla vita sociale.
TEMPO: fabula e intreccio sostanzialmente coincidono perché gli avvenimenti seguono l’ordine cronologico. Sono presenti alcune digressioni, incisi filosofici, anticipazioni; il romanzo è ambientato nei primi anni del novecento. Il tempo della storia è sicuramente minore rispetto al tempo del racconto.
SPAZIO: gli avvenimenti si svolgono nella nobile città inventata di Richieri e si articolano in ambienti sia interni che esterni: la casa del protagonista, la banca, le vie della città, la Badia Grande; di questi luoghi l’autore ci fornisce particolari descrizioni; l’ambiente che prevale è cittadino, e la folla è importante perché alimenta le dicerie sulla pazzia di Vitangelo, che si sente continuamente osservato e giudicato da tutti come un usuraio. I luoghi sono presentati dal punto di vista del protagonista.
PERSONAGGI: il protagonista assoluto di questo romanzo è Vitangelo Moscarda. Gli altri personaggi: La moglie d Dida, Il padre di Dida, Anna Rosa, un’amica di Dida, Firbo e Quintorzo, La folla, Monsignor Partanna
STILE: Il romanzo assume la forma del soliloquio. Frequenti sono le frasi esclamative Il lessico è ricco di aggettivi, Pirandello ha utilizzato un linguaggio originale, diretto e ne risulta una lingua parlata.
TEMI: La presa di coscienza della prigionia delle "forme", la rivolta e la distruzione delle forme: la pazzia; sconfitta e guarigione; lo specchio.
COMMENTO PERSONALE: personalmente ho trovato questo libro molto interessante, gli argomenti trattati sono abbastanza attuali e anche curioso per il metodo stilistico utilizzato da Pirandello, anche se in alcune parti, soprattutto gli esempi filosofici, erano piuttosto complicati da comprendere. Mi è piaciuto soprattutto l’uso del dialogo, rivolgendosi ad un "voi" immaginario, perché mi sentivo chiamata in causa, e a volte mi è sembrato che l’autore capisse cosa stavo pensando.
Il protagonista di Uno nessuno e centomila, Vitangelo Moscarda, si trova impegnato in un disperato esperimento, cioe' quello di ricostruirsi un'esistenza svincolata dai condizionamenti imposti dalla natura e dalle convenzioni, e di afferrare la propria personalita' autentica mediante un atto di libera scelta. Per Moscarda, l'inizio dell'avventura e' dato dal proprio naso. Questo naso pende verso destra. Moscarda lo apprende un bel giorno dalla moglie. La frase, buttata li' per caso, banalmente, sara' come un cerino acceso caduto in un deposito di esplosivo. L'esistenza di Vitangelo ne sara' sconvolta; vita familiare, interessi, posizione sociale, rapporti di amicizia, tutta la realta' in mezzo a cui egli per ventotto anni era comodamente vissuto senza urti e senza sorprese, si dissolve come per sortilegio, ed egli si riduce alla condizione di alienato. Chi e' in realta' Vitangelo Moscarda che la moglie dice di conoscere e di amare, chiamandolo Genge'? Cosi' per gli amici e per tutti gli altri. Ci sono tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono, quante sono le possibilita' di conoscere, le relazioni, i casi e le circostanze, i momenti psicologici, le realta' mentali di ciascuno. Moscarda tenta l'allucinante ricerca di questo se stesso, per coglierlo nella sua spontaneita', nella sua espressione prima e genuina. Impresa disperata. E' come volere scavalcare la propria ombra. Per se', Vitangelo Moscarda e' nessuno. L'io e' infatti essenzialmente un "essere per l'altro". Ma, per realizzarsi, questa coscienza nella quale si afferma la singolarita' deve essere consapevole in tutti; questo senso dell'alterita', questo sentimento della finitudine di ciascuno, del limite individuale e del rapporto vicendevole, in cui si effettua il rispetto del singolo, e quindi la sua valorizzazione, deve essere pienamente consapevole. Invece tra gli uomini avviene esattamente il contrario e questo e' il dramma dell'essere in cui l'identita' dell'io finisce con l'affogare. Moscarda si propone di distruggere il vecchio se stesso, quello condizionato dalla nascita, dall'educazione, dall'ambiente. Per questo dovra' cancellare l'immagine che gli altri hanno di lui, a cominciare dalla moglie. Egli deve cassare l'immagine di usuraio che ha ereditato dal padre insieme con la banca da cui trae i mezzi per la sua esistenza di borghese benestante. Si da' quindi a compiere atti di liberalita' che appaiono in contrasto coi criteri di una sana amministrazione e gli procurano un'attestato di pazzia da parte della moglie, dei soci d'affari e anche dalle stesse persone da lui beneficiate. Interdetto dai familiari, abbandonato dalla moglie, finisce in un ricovero per vecchi da lui stesso fondato con le splendide elargizioni. Uno nessuno e centomila e' il romanzo della solitudine dell'uomo. La personalita' del protagonista si afferma senza equivoci nel proposito di rinnovamento e nell'azione di liberazione risolutamente perseguita, qualunque possa essere stato lo spunto iniziale. La convinzione dell'inevitabile soggettivita' del nostro giudizio a cui Moscarda perviene, lungi dall'implicare la bancarotta della persona, ne e' una coraggiosa affermazione. Moscarda acquista consapevolezza che niente e' fermo e definito nell'essere come nel conoscere, che l'uomo si costruisce con le proprie azioni. Ma appunto la consapevolezza della parzialita' dei giudizi del singolo ("ciascuno a modo suo") e' la via per superare la chiusura della soggettivita'. Chi invece attribuisce al proprio particolare punto di vista il carattere di una verita' assoluta ed irreformabile, si chiude effettivamente nel cerchio della propria limitatezza precludendosi ogni vera conoscenza. L'io consapevole non e' dunque soccombente, ma all'esterno e' come se lo fosse. Mancandogli il contatto vivificante della convivenza, deve ripiegare su se stesso, accettando cosi' la propria solitudine. Questa sofferta solitudine e' il segno della coscienza desta. Essa infatti non e' una sanzione, ma l'effetto di una libera scelta in cui affiora il richiamo di una superiore etica, espressa anche nel sentimento di un Dio eterno, come voce immanente alla coscienza. Il sentimento di una presenza superiore, tipico di questo romanzo, e' avvertibile pure nel respiro della natura in cui si annega e si confonde, con quotidiana partecipazione, la personalita' di Vitangelo Moscarda, ridotto a concludere la sua vita nell'ospizio dei vecchi, in una condizione di lucida demenza. Pirandello, superando l'estrema posizione del romanticismo e la gratuita affermazione del sentimento che le e' propria, compie il salvataggio del sentimento facendolo uscire dall'immediatezza ingenua e dandogli una coscienza riflessa di se'. Nella rappresentazione pirandelliana del sentimento sul punto di dissolversi a causa della sua contradditorieta', in quanto forza esclusiva e, insieme, limitata al singolo, acquista coscienza di se', si chiede le proprie ragioni, si fa un problema del proprio essere. In questo modo indiretto, ma ancor piu' perentorio, riesce a vivere oggettivandosi in una rappresentazione motivata. Pirandello esprime molti concetti nel romanzo facendo spesso ricorso alla filosofia o alla psicoanalisi. Uno dei principali temi trattati nel romanzo e' quello della solitudine. Considera la solitudine in maniera molto particolare, ma non per questo confusa o astrusa. Infatti afferma che non e' possibile essere soli se ci si trova in un ambiente in cui non vi sono presenti altre persone o cose con cui si ha qualche rapporto.
Infatti dice che la solitudine non e' con l'uomo, ma e' senza l'uomo ed inoltre non e' possibile essere soli tranne nel caso in cui ci si trova in presenza di cose o persone che ci ignorino completamente. Quindi una persona, se si trova in un ambiente a lei familiare, anche se privo di alcuna presenza umana, non si puo' considerare tormentata dalla solitudine. Poi tratta il rapporto che c'e' tra l'aspetto fisico e la personalita', nonche' il carattere. Secondo lui le persone non sono sempre come appaiono e tantomeno non sono le stesse per tutte le persone che le circondano. Infatti la personalita' di ognuno di noi ha molteplici sfumature che variano da persona a persona e addirittura in relazione allo stato d'animo e all'ambiente che ci circonda. Anche a noi stessi presentiamo personalita' differenti che rimangono celate o riemergono a seconda delle situazioni in cui ci troviamo coinvolti. Si puo' dunque ipotizzare che ognuno di noi indossa una maschera non presentando cosi' mai il suo vero "volto". Si puo' percio' pensare che gli altri ci vedano in maniera differente l'uno dall'altro e da noi stessi. In effetti il comportamento delle persone e' in stretto rapporto con l'aspetto fisico anche se questo non e' determinante perche', ad esempio, se una persona ha un aspetto fisico sgradevole si comporta come tale perche' riconosce di essere tale. Pertanto non si possono analizzare le due caratteristiche separatamente, ma una in relazione all'altra. Poi si puo' giungere al tema centrale del romanzo che e' quello che gli da' il titolo. Una persona puo' essere per se stesso nessuno, per una persona in particolare uno, ma per la gente puo' essere centomila, cioe' per ogni persona che conosce e' una persona diversa e ben distinta. Per questo una persona, come ad esempio e' capitato a Moscarda, rischia di non essere piu' se stesso, ma solamente la somma delle opinioni altrui o addirittura un personaggio modellato e costruito da altri e, allo stesso tempo, manovrato come pare e piace. Pirandello esprime anche molte considerazioni sulla natura. Parla degli uccelli e li invidia perche' possono volare naturalmente, senza bisogno di artifici o di "apparecchi", come invece e' costretto a fare l'uomo, anche se alla fine non concepisce l'essenza del volo perche' non risulta una cosa spontanea ed inoltre perche' e' solo un sogno ambito per vanita' e per umana presunzione. Mostra anche il suo disappunto nei confronti del fenomeno del disboscamento e critica il fatto che si fa delle piante ed in generale della natura cio' che si vuole per le comodita' degli esseri umani senza curarsi che anche le piante, pur non essendo esseri animati e quindi pensanti, hanno lo stesso diritto di vivere in pace come gli uomini. Quindi il rapporto uomo-natura e' solo a vantaggio del primo e quindi si puo' pensare che non esista realmente un rapporto del genere perche' privo di comunicazione e di rispetto da parte di uno nei confronti dell'altra. In seguito l'autore espone il suo concetto di Divino e di spirito religioso. Ritiene che esistano due tipi di divinita', sempre restando nell'ambito della religione cattolica. Il primo e' il classico Dio di cui si parla in chiesa e di cui si legge nella Bibbia e nei Vangeli, mentre l'altro e' una sorta di spirito divino che e' allocato in ognuno di noi e che, di conseguenza, ognuno di noi considera a modo suo. Effettivamente questo spirito potrebbe far parte della nostra coscienza perche', secondo Pirandello, ognuno di noi ha un suo Dio personale che si tiene dentro, quasi gelosamente, e che raramente manifesta agli altri poiche', se si trovasse in disaccordo con il sentimento religioso piu' comune, potrebbe rischiare di essere preso per pazzo. Infatti il Dio del clero non e' solamente un essere superiore da adorare e venerare, ma e' anche un insieme di interessi economici e politici che stanno a cuore di molti. La gente inoltre non e' capace di tenere dentro di se' i propri sentimenti, ma deve costruirvi delle "case" (in questo caso le chiese), il piu' possibile maestose ed imponenti, in cui alloggiarli e tenerli custoditi oltre che metterli in mostra. Pero' queste non potranno mai essere le case dei nostri sentimenti, ma quelle dei sentimenti di tutti e percio' non avrebbe piu' valore la nostra coscienza perche' sarebbe sempre piu' estranea a noi. Le ultime considerazioni fondamentali che Pirandello fa sono quelle sul tempo e sulla vanita' della vita. Secondo lui non possiamo mai prendere in considerazione un attimo della nostra vita, come non possiamo fermare una nostra immagine allo specchio, perche' per fare cio' dovremmo fermare la nostra esistenza, uscire dal nostro corpo ed analizzare. Questo non e' dunque possibile e tantomeno possiamo considerare una nostra foto viva perche' nell'istante in cui e' stata scatta e' come se il tempo fosse stato fermato e quindi in un certo senso la nostra stessa vita e' stata fermata perche' la fotografia non continua a vivere, cioe' a rappresentare il soggetto mentre invecchia, ma lo mostra sempre nelle stesse condizioni fisiche in cui si trovava al momento in cui e' stata impressionata la pellicola. Percio' la vita si muove in continuazione e non puo' mai veramente vedere se stessa.
“UNO, NESSUNO E CENTOMILA”
È questa la storia di un personaggio che fa una scoperta simile a quella di Mattia, ma con un esito differente. Il protagonista è Vitangelo Mostarda, chiamato dalla moglie Gengè (il simbolo della maschera è presente qui anche nel soprannome).
Tutto parte quando Vitangelo è di fronte allo specchio e la moglie Dida gli fa notare che gli pende il naso a destra; così si “squarcia il teatrino”, si trova inserito nel gioco delle maschere. Scopre così di credere di essere uno, ma che in realtà quell’uno non c’è perché è nessuno e scopre anche di essere centomila, che sono gli sguardi con cui gli altri lo guardano.
Non riconosce più se stesso, né suoi amici, né la moglie, né la sua condizione.
La sua prima reazione è una sostanziale rabbia, però cerca anche di scagliarsi contro le maschere altrui e quindi il suo primo obiettivo è di distruggere le immagini che gli altri hanno di lui.
Vitangelo è il prototipo dell’inetto, non ha mai fatto nulla, vive di rendita perché il padre aveva una banca, che lui formalmente manda avanti, ma di cui se ne occupano la moglie e degli “amici” che sono i direttori e che se ne approfittano. Differentemente da Mattia finora s’era trovato bene in questa situazione.
Dopo il “fatto” pretenderebbe di mettere le mani in banca, non si accontenta più di un ruolo di paglia. Così per dimostrare di non essere un usuraio, e cioè per togliere una maschera, sfratta l’artista Marco Didio dalla catapecchia di sua proprietà, però poi gli regala un appartamento enorme.
Gli amici decidono così che è pazzo e cercano di interdirlo e levargli così la gestione della banca.
Pirandello, in riferimento a Marco Didio, getta ironia sulla sua arte mediocre, la quale è simbolo dell’arte contemporanea che è inutile e fittizia.
La società stringe una trappola nei confronti di Gengè: la moglie e gli amici cercano di interdirlo come pazzo, poiché la società va avanti con i propri stereotipi.
Nella prima parte il romanzo è quasi dissolto nella sua architettura (è anticipazione del romanzo novecentesco) poiché rappresenta il rovello interiore di Mattia.
Nella seconda parte il romanzo prende un’artificiosa costruzione narrativa: è una trama convulsa, con particolari non chiaribili sul piano logico. È questa la parodia del romanzo ottocentesco.
Entra poi in gioco la figura di Annarosa, un’amica della moglie; una donna scialba ed eterea, semplice e buona, ma è un’inetta. Lei aiuta Vitangelo, così lui le rovescia addosso le sue conclusioni della vita, perché sente il bisogno di autenticità. Così lei lo invita ad un convento di suore, dove si trova sua zia, perché in quel giorno ci dovrebbe andare il vescovo, che lo può aiutare a sconfiggere la moglie per la questione della banca.
C’è però un incidente: mentre lei parla con Vitangelo le sfugge la pistola dalla borsetta e si ferisce da un piede (è questo un particolare gratuito e incomprensibile, riportato con naturalezza; quello che nella narrativa novecentesca verrà chiamato “atto gratuito”). Per cui l’incontro con il vescovo non avviene, ma avverrà più tardi nel vescovado, dove il vescovo Monsignor Partanna si avvale dell’aiuto del canonico Sclepis, un uomo senza scrupoli, il quale propone una forma di mediazione: Vitangelo si impegna a versare soldi alla Chiesa e loro glieli fanno riavere. Inoltre Gengè deve costruire un ospizio per i poveri.
Pirandello dissolve l’edificio della Chiesa e corrode la fede e la chiesa come istituzione.
In seguito Vitangelo va a trovare Annarosa all’ospedale: si avvicina a baciarla perché improvvisamente sente rinascere in lui delle sensazioni di maschio; lei gli spara con la rivoltella che teneva sotto il cuscino.
Alla fine lui scagiona Annarosa e si presenta al tribunale vestito con la casacca degli uomini dello ospizio, dove finisce la sua vita; i giudici gli credono.
Nella conclusione Vitangelo ha sperimentato il vuoto e ha deciso di accettare la condizione di personaggio fuori: “vive non vivendo”, cerca di accettare di non essere nessuno, rifiutando anche il proprio nome, il suo ideale diviene abbandonarsi al flusso della vita.
La sua risposta è positiva rispetto a quella di Mattia, lui accetta di non essere.
Uno, Nessuno e Centomila

Il protagonista di Uno nessuno e centomila, Vitangelo Moscarda, si trova impegnato in un disperato esperimento, cioe' quello di ricostruirsi un'esistenza svincolata dai condizionamenti imposti dalla natura e dalle convenzioni, e di afferrare la propria personalita' autentica mediante un atto di libera scelta. Per Moscarda, l'inizio dell'avventura e' dato dal proprio naso. Questo naso pende verso destra. Moscarda lo apprende un bel giorno dalla moglie. La frase, buttata li' per caso, banalmente, sara' come un cerino acceso caduto in un deposito di esplosivo. L'esistenza di Vitangelo ne sara' sconvolta; vita familiare, interessi, posizione sociale, rapporti di amicizia, tutta la realta' in mezzo a cui egli per ventotto anni era comodamente vissuto senza urti e senza sorprese, si dissolve come per sortilegio, ed egli si riduce alla condizione di alienato. Chi e' in realta' Vitangelo Moscarda che la moglie dice di conoscere e di amare, chiamandolo Genge'? Cosi' per gli amici e per tutti gli altri. Ci sono tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono, quante sono le possibilita' di conoscere, le relazioni, i casi e le circostanze, i momenti psicologici, le realta' mentali di ciascuno. Moscarda tenta l'allucinante ricerca di questo se stesso, per coglierlo nella sua spontaneita', nella sua espressione prima e genuina. Impresa disperata. E' come volere scavalcare la propria ombra. Per se', Vitangelo Moscarda e' nessuno. L'io e' infatti essenzialmente un "essere per l'altro". Ma, per realizzarsi, questa coscienza nella quale si afferma la singolarita' deve essere consapevole in tutti; questo senso dell'alterita', questo sentimento della finitudine di ciascuno, del limite individuale e del rapporto vicendevole, in cui si effettua il rispetto del singolo, e quindi la sua valorizzazione, deve essere pienamente consapevole. Invece tra gli uomini avviene esattamente il contrario e questo e' il dramma dell'essere in cui l'identita' dell'io finisce con l'affogare. Moscarda si propone di distruggere il vecchio se stesso, quello condizionato dalla nascita, dall'educazione, dall'ambiente. Per questo dovra' cancellare l'immagine che gli altri hanno di lui, a cominciare dalla moglie. Egli deve cassare l'immagine di usuraio che ha ereditato dal padre insieme con la banca da cui trae i mezzi per la sua esistenza di borghese benestante. Si da' quindi a compiere atti di liberalita' che appaiono in contrasto coi criteri di una sana amministrazione e gli procurano un'attestato di pazzia da parte della moglie, dei soci d'affari e anche dalle stesse persone da lui beneficiate. Interdetto dai familiari, abbandonato dalla moglie, finisce in un ricovero per vecchi da lui stesso fondato con le splendide elargizioni. Uno nessuno e centomila e' il romanzo della solitudine dell'uomo. La personalita' del protagonista si afferma senza equivoci nel proposito di rinnovamento e nell'azione di liberazione risolutamente perseguita, qualunque possa essere stato lo spunto iniziale. La convinzione dell'inevitabile soggettivita' del nostro giudizio a cui Moscarda perviene, lungi dall'implicare la bancarotta della persona, ne e' una coraggiosa affermazione. Moscarda acquista consapevolezza che niente e' fermo e definito nell'essere come nel conoscere, che l'uomo si costruisce con le proprie azioni. Ma appunto la consapevolezza della parzialita' dei giudizi del singolo ("ciascuno a modo suo") e' la via per superare la chiusura della soggettivita'. Chi invece attribuisce al proprio particolare punto di vista il carattere di una verita' assoluta ed irreformabile, si chiude effettivamente nel cerchio della propria limitatezza precludendosi ogni vera conoscenza. L'io consapevole non e' dunque soccombente, ma all'esterno e' come se lo fosse. Mancandogli il contatto vivificante della convivenza, deve ripiegare su se stesso, accettando cosi' la propria solitudine. Questa sofferta solitudine e' il segno della coscienza desta. Essa infatti non e' una sanzione, ma l'effetto di una libera scelta in cui affiora il richiamo di una superiore etica, espressa anche nel sentimento di un Dio eterno, come voce immanente alla coscienza. Il sentimento di una presenza superiore, tipico di questo romanzo, e' avvertibile pure nel respiro della natura in cui si annega e si confonde, con quotidiana partecipazione, la personalita' di Vitangelo Moscarda, ridotto a concludere la sua vita nell'ospizio dei vecchi, in una condizione di lucida demenza. Pirandello, superando l'estrema posizione del romanticismo e la gratuita affermazione del sentimento che le e' propria, compie il salvataggio del sentimento facendolo uscire dall'immediatezza ingenua e dandogli una coscienza riflessa di se'. Nella rappresentazione pirandelliana del sentimento sul punto di dissolversi a causa della sua contradditorieta', in quanto forza esclusiva e, insieme, limitata al singolo, acquista coscienza di se', si chiede le proprie ragioni, si fa un problema del proprio essere. In questo modo indiretto, ma ancor piu' perentorio, riesce a vivere oggettivandosi in una rappresentazione motivata. Pirandello esprime molti concetti nel romanzo facendo spesso ricorso alla filosofia o alla psicoanalisi. Uno dei principali temi trattati nel romanzo e' quello della solitudine. Considera la solitudine in maniera molto particolare, ma non per questo confusa o astrusa. Infatti afferma che non e' possibile essere soli se ci si trova in un ambiente in cui non vi sono presenti altre persone o cose con cui si ha qualche rapporto.
Infatti dice che la solitudine non e' con l'uomo, ma e' senza l'uomo ed inoltre non e' possibile essere soli tranne nel caso in cui ci si trova in presenza di cose o persone che ci ignorino completamente. Quindi una persona, se si trova in un ambiente a lei familiare, anche se privo di alcuna presenza umana, non si puo' considerare tormentata dalla solitudine. Poi tratta il rapporto che c'e' tra l'aspetto fisico e la personalita', nonche' il carattere. Secondo lui le persone non sono sempre come appaiono e tantomeno non sono le stesse per tutte le persone che le circondano. Infatti la personalita' di ognuno di noi ha molteplici sfumature che variano da persona a persona e addirittura in relazione allo stato d'animo e all'ambiente che ci circonda. Anche a noi stessi presentiamo personalita' differenti che rimangono celate o riemergono a seconda delle situazioni in cui ci troviamo coinvolti. Si puo' dunque ipotizzare che ognuno di noi indossa una maschera non presentando cosi' mai il suo vero "volto". Si puo' percio' pensare che gli altri ci vedano in maniera differente l'uno dall'altro e da noi stessi. In effetti il comportamento delle persone e' in stretto rapporto con l'aspetto fisico anche se questo non e' determinante perche', ad esempio, se una persona ha un aspetto fisico sgradevole si comporta come tale perche' riconosce di essere tale. Pertanto non si possono analizzare le due caratteristiche separatamente, ma una in relazione all'altra. Poi si puo' giungere al tema centrale del romanzo che e' quello che gli da' il titolo. Una persona puo' essere per se stesso nessuno, per una persona in particolare uno, ma per la gente puo' essere centomila, cioe' per ogni persona che conosce e' una persona diversa e ben distinta. Per questo una persona, come ad esempio e' capitato a Moscarda, rischia di non essere piu' se stesso, ma solamente la somma delle opinioni altrui o addirittura un personaggio modellato e costruito da altri e, allo stesso tempo, manovrato come pare e piace. Pirandello esprime anche molte considerazioni sulla natura. Parla degli uccelli e li invidia perche' possono volare naturalmente, senza bisogno di artifici o di "apparecchi", come invece e' costretto a fare l'uomo, anche se alla fine non concepisce l'essenza del volo perche' non risulta una cosa spontanea ed inoltre perche' e' solo un sogno ambito per vanita' e per umana presunzione. Mostra anche il suo disappunto nei confronti del fenomeno del disboscamento e critica il fatto che si fa delle piante ed in generale della natura cio' che si vuole per le comodita' degli esseri umani senza curarsi che anche le piante, pur non essendo esseri animati e quindi pensanti, hanno lo stesso diritto di vivere in pace come gli uomini. Quindi il rapporto uomo-natura e' solo a vantaggio del primo e quindi si puo' pensare che non esista realmente un rapporto del genere perche' privo di comunicazione e di rispetto da parte di uno nei confronti dell'altra. In seguito l'autore espone il suo concetto di Divino e di spirito religioso. Ritiene che esistano due tipi di divinita', sempre restando nell'ambito della religione cattolica. Il primo e' il classico Dio di cui si parla in chiesa e di cui si legge nella Bibbia e nei Vangeli, mentre l'altro e' una sorta di spirito divino che e' allocato in ognuno di noi e che, di conseguenza, ognuno di noi considera a modo suo. Effettivamente questo spirito potrebbe far parte della nostra coscienza perche', secondo Pirandello, ognuno di noi ha un suo Dio personale che si tiene dentro, quasi gelosamente, e che raramente manifesta agli altri poiche', se si trovasse in disaccordo con il sentimento religioso piu' comune, potrebbe rischiare di essere preso per pazzo. Infatti il Dio del clero non e' solamente un essere superiore da adorare e venerare, ma e' anche un insieme di interessi economici e politici che stanno a cuore di molti. La gente inoltre non e' capace di tenere dentro di se' i propri sentimenti, ma deve costruirvi delle "case" (in questo caso le chiese), il piu' possibile maestose ed imponenti, in cui alloggiarli e tenerli custoditi oltre che metterli in mostra. Pero' queste non potranno mai essere le case dei nostri sentimenti, ma quelle dei sentimenti di tutti e percio' non avrebbe piu' valore la nostra coscienza perche' sarebbe sempre piu' estranea a noi. Le ultime considerazioni fondamentali che Pirandello fa sono quelle sul tempo e sulla vanita' della vita. Secondo lui non possiamo mai prendere in considerazione un attimo della nostra vita, come non possiamo fermare una nostra immagine allo specchio, perche' per fare cio' dovremmo fermare la nostra esistenza, uscire dal nostro corpo ed analizzare. Questo non e' dunque possibile e tantomeno possiamo considerare una nostra foto viva perche' nell'istante in cui e' stata scatta e' come se il tempo fosse stato fermato e quindi in un certo senso la nostra stessa vita e' stata fermata perche' la fotografia non continua a vivere, cioe' a rappresentare il soggetto mentre invecchia, ma lo mostra sempre nelle stesse condizioni fisiche in cui si trovava al momento in cui e' stata impressionata la pellicola. Percio' la vita si muove in continuazione e non puo' mai veramente vedere se stessa.

Nasce Arnone in Sicilia, come Pirandello. La mitica Akragas, la borgata di Kaos, in cui il drammaturgo nacque,la valle dei templi. Ricerchiamone i segni in Salvatore Arnone.
Direi che del mondo classico da cui egli etnicamente proviene, porta in sé i segni di una leggerezza estetica inusuale. Libero è lo svolgersi sulla pagina della sua proda, ritmata con segni di precipitosità allitterante è la sua poesia.
Cos’è la coscienza, si chiede Arnone? Appare allora chiaro come il primo messaggio che ci invia è quello di un invito a riflettere sulle caratteristiche dell’unità e della frammentarietà dell’Io umano e pirandelliano insieme. Se l’unità della persona è, dunque, messa in dubbio , noi tutti possiamo essere uno, così come nessuno, così come centomila.
Nella sua prosa,perciò, echeggiano temi e motivi del ‘900 con la sua crisi esistenziale, con i suoi significati perduti, con la sua frammentarietà individuale. Arnone ci parla di tutto questo con la leggerezza del poeta semplice. Forse autodidatta, sa esprimersi senza timori sulla pagina e insegue un obiettivo, che è fatto di emozione e di rappresentazione, di disorientamento e di frammentarietà dell’immagine. Non pone distinzione, inoltre, tra il pensiero e la possibile azione, come ad indicare una con sensualità tra desiderio e suo espletamento, tra espressione di sé e realizzazione in fantasia. Ma proprio il ‘900 è stato il secolo in cui l’esplorazione dell’animo dell’uomo ha incontrato cultori notevoli ed esperti, capaci di indicare per la fantasia uno spazio non soltanto virtuale, ma uno spazio che fungesse da precursore del pensiero e da sostituto dell’appagamento esterno.
In tal modo Salvatore, si colloca tra i Dreamers, poeti di sogno, poeti sospesi tra realtà e fantasia.
Viene alla mente una scena de L’attimo fuggente, ove un mitico Robin Williams fa strappare agli studenti le tristi pagine di un manuale, ove si indica il modo di misurare la poeticità di un componimento. Passione e sentimento e fantasia, diciamo noi: questi gli ingredienti di ogni componimento poetico veramente tale e veramente grande. Arnone lo sa e pare orientato verso un’esplosione di emozioni e di sentimenti, che, se non gli consentono di girare nudo in piazza ( la fantasia è opportuno sostituto di ciò che non si ritiene di dover realizzare), gli consentono di svelare il suo animo in piena produzione di poesie rarefatte, anche se un po’ bisognose di qualche ovvia ripulitura.
Se la poesia di Salvatore Arnone fosse un vino, sarebbe un liquoroso e giovane zibibbo di Sicilia, dolce al palato, marsalato e robusto ai precordi. Un vino di cui si sente di non averne mai bevuto abbastanza.


Relazione di narrativa sul romanzo "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello
NARRATORE: il romanzo è narrato in prima persona da un narratore interno: Vitangelo Moscarda, il protagonista della vicenda. Il narratore non racconta, commenta ad intervalli, distaccati l’uno dall’altro, e alterna alla riflessione, la provocazione. È un tono di voce, questo del narratore, che alla fine riesce forte ed uniforme, pur nei frequenti scatti e nei non meno improvvisi abbassamenti di tensione intellettuale, a favore di momenti idillici, se non addirittura estatici. All’impressione quasi grafica di discontinuità compositiva, certamente voluta, fa da riscontro quindi, la presenza di una voce narrante, le cui alternanze e contrazioni, o dilatazioni, governano non un racconto tradizionale, ma una sorta di flusso di coscienza,
"stream of consciosness". Dal mio punto di vista ho trovato particolarmente interessante e originale questo modo di raccontare, intervenendo continuamente a destare l’attenzione del lettore, chiamato in prima persona a partecipare alle vicende, il "voi" diventa un vero e proprio personaggio. Questa funzione di "pungolo" che Pirandello ha attribuito a Vitangelo è focalizzata a invogliare il lettore a riflettere su quanto detto, non può lasciarti indifferente.
GENERE: romanzo di carattere (filosofico - umoristico).
TRAMA: Da uno specchio, superficie ambigua e inquietante, emerge un giorno per Vitangelo Moscarda, un volto di sé finora ignorato: un naso in pendenza verso destra. Questo avvenimento provoca in lui una profonda crisi che lo porta a scoprire che gli altri si fanno di lui un’immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso, scopre cioè di non essere "uno", come aveva creduto sino a quel momento, ma di essere "centomila", nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi "nessuno". Questa presa di coscienza fa saltare tutto il sistema di certezze e determina una crisi sconvolgente. Vitangelo ha orrore delle "forme" in cui lo chiudono gli altri e non vi si riconosce, ma anche orrore della solitudine in cui lo piomba lo scoprire di non essere "nessuno". Decide perciò di distruggere tutte le immagini che gli altri si fanno di lui, in particolare quella dell’usuraio" ( il padre infatti gli ha lasciato in eredità una banca), per cercare di essere "uno per tutti". Incomincia così a ribellarsi facendo cose che, agli occhi di chi gli sta attorno, appaiono incomprensibili. Ricorre così ad una serie di gesti folli, come regalare una casa a un vagabondo. Vuole vendere la banca di cui non si è mai occupato e che gli assicura una certa agiatezza economica, e quando rivela alla moglie e all’amico Quantorzo che vuole cancellare la nomea di usuraio, loro scoppiano a ridere senza ritegno. Così colpito nell’animo, già, fortemente contrastato, strattona la moglie ribellandosi a quella marionetta, di nome Gengè, di cui ella si era sempre compiaciuta. Le pazzie si intensificano: ferito gravemente da un’amica della moglie, colta da un raptus inspiegabile di follia, al fine di evitare lo scandalo cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, ed egli stesso vi si fa ricoverare, estraniandosi totalmente dalla vita sociale.
TEMPO: fabula e intreccio sostanzialmente coincidono perché gli avvenimenti seguono l’ordine cronologico. Bisogna, però, sottolineare il fatto che nella prima parte del romanzo non vi è racconto, ma solo l’arrovellarsi ossessivo del protagonista, monologante, sui temi dell’identità fittizia, dell’inconsistenza della persona. Solo nella seconda parte il filo di un intreccio comincia a dipanarsi, ma anche qui l’organicità del racconto, la concatenazione logica e coerente delle cause e degli effetti, salta: i gesti inconsulti del protagonista sono la negazione di una logica comune, sono coerenti solo all’interno della sua follia, e così pure il gesto di Anna Rosa, l’amica della moglie che spara a Vitangelo, resta del tutto gratuito, immotivata, inspiegabile.
presenza di alcune digressioni, incisi filosofici, anticipazioni.
il romanzo sia ambientato nei primi anni del novecento
Il tempo della storia è sicuramente minore rispetto al tempo del racconto. Il ritmo è
SPAZIO: gli avvenimenti si svolgono nella nobile città di Richieri, inventata e che potrebbe rifarsi tanto ad Agrigento quanto a Palermo, e si articolano in ambienti sia interni che esterni: la casa del protagonista, la banca, le vie della città, la Badia Grande ecc. ecc. di questi luoghi l’autore ci fornisce particolari descrizioni; l’ambiente che prevale è cittadino, e la folla è importante perché alimenta le dicerie sulla pazzia di Vitangelo, che si sente continuamente osservato e giudicato da tutti come un usuraio. I luoghi sono presentati dal punto di vista del protagonista e nelle sue descrizioni prevalgono sostanzialmente elementi visivi.
PERSONAGGI: il protagonista assoluto di questo romanzo è Vitangelo Moscarda, di lui l’autore ci offre anche una descrizione fisica in diversi punti della narrazione, e in particolare mentre analizza i suoi difetti fisici. Ancora più interessante è la descrizione che Vitangelo si fa guardandosi allo specchio. Ma non credo che l’autore abbia voluto soffermarsi particolarmente sul ritratto fisico del protagonista anche perché nella descrizione emergono tratti irrilevanti dell’aspetto, anche se la "crisi" di Vitangelo scoppia con la presa di coscienza di un difetto fisico la sua mente che ci interessa e che viene accuratamente scrutata e vediamo che il protagonista si arrovella, perde il sonno pur di trovare una risposta ai suoi quesiti, per vedere in definitiva più chiaro. Non si limita a confessare di non sapere chi sia, ma afferma deliberatamente di non voler più essere nessuno, di rifiutare totalmente ogni identità individuale. Bisogna per Vitangelo vivere di attimo in attimo, in perenne mutazione, e ciò è una condizione esaltante, gioiosa. Ma per arrivare a questa conclusione ha dovuto affrontare la società e distruggere quelle immagini che la gente si era creata di lui. Spesso ho come avuto la sensazione che Vitangelo non fosse un vero personaggio, ma una sorta di voce della coscienza che ha il compito di redarguirci e di farci capire la realtà delle cose e, anche in quest’ambito, non risultano importanti le vicende in cui il protagonista è coinvolto quanto ciò che ci dice e ciò che vuole comunicare.
Gli altri personaggi: La moglie d Dida, Il padre di Dida, Anna Rosa, un’amica di Dida, Firbo e Quintorzo, La folla, Monsignor Partanna
STILE: Il romanzo assume la forma del soliloquio. Per quanto riguarda la sintassi, Piandello fa di tutto perché il soliloquio di Vitangelo Moscarda perda il timbro di protesta e di denuncia in nome dei valori umani genericamente condivisi. Deve risuonare, piuttosto, come pronuncia di una voce singola, socialmente, e prima ancora familiarmente emarginata. Comunque Pirandello non si serve di toni accesi e disperati, come invece aveva fatto nel Fu Mattia Pascal. Frequenti sono le frasi esclamative nelle quali si esprime tutto il desiderio di fuga dal mondo e di annullamento della natura che anima Vitangelo Mostarda. Il lessico è ricco di aggettivi, molte sono le affermazioni incidentali, le interrogative retoriche, forme verbali esortative o imperative. Pirandello ha utilizzato un linguaggio originale, diretto. Ne risulta una lingua parlata
TEMI:
1. La presa di coscienza della prigionia delle "forme":
2. La rivolta e la distruzione delle forme: la pazzia:
3. Sconfitta e guarigione:
4. L’umorismo:
5. L’identificazione uomo - natura:
6. Lo specchio:
COMMENTO PERSONALE: personalmente ho trovato questo libro molto interessante e anche curioso per il metodo stilistico utilizzato da Pirandello, anche se in alcune parti, soprattutto gli esempi filosofici, erano molto difficili da capire. Mi è piaciuto soprattutto l’uso del dialogo, rivolgendosi ad un "voi" immaginario, perché mi sentivo chiamata in causa, e a volte mi è sembrato che l’autore capisse cosa stavo pensando. Inoltre gli argomenti trattati sono estremamente attuali, spesso anche a noi capita di essere fraintesi dagli altri, che non comprendono veramente chi siamo, così la nostra personalità non può rivelarsi a pieno perché qualsiasi cosa tentiamo di fare non sarà mai capita dagli altri, che guardano verso di noi con i loro occhi.

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