Pier Paolo Pasolini

Materie:Tesina
Categoria:Italiano

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Testo

Pier Paolo Pasolini

È uno dei personaggi più emblematici della nostra letteratura degli anni ’50.
Ignorato per molto tempo per le sue idee legate alla sinistra va ora via via riscoperto e amato dai giovani.
Nacque a Bologna nel 1922, compì gli studi medi in varie città del nord, seguendo i trasferimenti del padre ufficiale dell’esercito, si iscrisse poi a lettere all’Università di Bologna ma durante la guerra dimorò a Casarsa, nel Friuli, paese natale della madre. Conseguita la laurea si trasferì a Roma dove conobbe duri anni di incertezze e privazioni pur avendo già pubblicato raccolte di poesie. In quegli anni si occupò di letteratura studiando in particolare il dialetto friulano e la poesia popolare italiana rivelando fin da allora la sua attenzione per le classi subalterne.
Avvicinatosi al marxismo scoprì il sottoproletariato e i “ragazzi di vita” delle borgate: fu colpito dalla violenza insita quale componente inevitabile in quel mondo, e pose questo mondo alla base prima delle opere letterarie (Ragazzi di vita, 1955; Una vita violenta, 1959), poi passato all’attività di regista dei suoi film (Accattone), ritraendolo in termini esasperatamente realistici ed usando ampiamente sia il dialetto sia il gergo della malavita, considerato l’uno e l’altro la lingua degli esclusi dalla cultura e dalla civiltà borghese. Realismo ed accorata pietà per la condizione esistenziale dell’uomo caratterizzano le poesie della maturità, raccolte in “Le ceneri di Gramsci”(1957) e in “La religione del mio tempo” (1961).
Fu tra i fondatori di Officina e propugnò in essa lo sperimentalismo in poesia e l’uso del dialetto come l’espressione della sincerità e della vitalità delle classi subalterne.*
Raccolse le sue pagine critiche in due opere: ”Passione e ideologia”(1960) e “Empirismo eretico”(1971).
Divenuta fra l’altro preminente la sua attività di regista, per opporsi al progressivo impoverimento dell’uomo e ai falsi idoli della società consumistica, esaltò nei suoi film il vitalismo sensuale (Decameron, Racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte).
Divenivano intanto sempre più frequenti i suoi interventi di denuncia contro il carattere disumano della nostra società. Egli distinse lo sviluppo dal progresso, considerando il primo legato al potere economico e causa del consumismo, cioè della produzione di beni superflui; il secondo quale elemento necessario alla produzione dei beni necessari. Accusò quindi il consumismo di aver causato la omologazione delle masse, vale a dire l’ottusa uniformità degli uomini al di là dei caratteri della classe sociale di appartenenza.
In questo atteggiamento è evidente l’influsso dei pensatori della scuola di Francoforte come Adorno e Mancuse.
Trovò tragica morte nel 1975 per man di uno di quei “ragazzi di vita” da lui studiati con umana simpatia e in uno squallido paesaggio di borgata romana non dissimile da quelli utilizzati per i suoi film realistici. In realtà affiorò subito il sospetto che il ragazzo poco c’entrasse con la morte d Pasolini, che diventato personaggio scomodo fu eliminato quasi certamente da qualcuno di quella classe sociale che egli tanto aveva avversato.
Nelle sue opere è evidente la sua tristezza di uomo moderno proteso alla ricerca della verità: una tristezza non disgiunta dalla speranza di poter avviare la formazione di un uomo più autentico e più umano. Illuminante è il suo pensiero quando ebbe a dire che “a un inferno medievale con le vecchie pene si contrappone un inferno neocapitalistico”.
Nel suo ultimo film “Salò o le ultime giornate di Sodoma” del 1975, si nota il progressivo tramontare delle speranze e il prevalere dell’istinto di distruzione e di morte, quasi profetico della sua tragica fine.
Sempre più apprezzati dai giovani sono i due romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”.
In “Ragazzi di vita” l’autore ritrae un mondo animalesco ma privo della consapevolezza del male e della colpa. Una banda di ragazzi cresciuti troppo presto ad una vita piena di loschi espedienti, gira in lungo e i largo la periferia della città compiendo mille ribalderie e furtarelli che permettono loro di sopravvivere. Emerge fra essi Riccetto che diventa il più bravo a compiere raggiri ma che si tuffa un giorno nel Tevere col rischio di affogare per salvare una rondine ferita. Innamoratosi di una compagna cerca la redenzione attraverso il lavoro e l’onestà ma la miseria lo spinge di nuovo al furto e finisce in galera.
L’odissea di Riccetto si svolge sempre sullo sfondo di un mondo di derelitti emarginati che quasi più nulla hanno potuto salvare della propria umanità.
“Una vita violenta” è il romanzo più costruito e condotto secondo i canoni del Neorealismo: ha infatti per protagonista un eroe positivo, Tommaso Tazzilli, un ragazzo di vita che passa lentamente dall’incoscienza alla consapevolezza morale, dal fascismo al comunismo. In un primo momento assieme ai suoi compagni, tutti figli di povera gente lasciata a sé, si abbandona a violenze e bravate di ogni genere, partecipe ad una zuffa accesasi tra la polizia e il popolo schieratosi a difesa di un “guappo” e sfugge all’arresto per puro caso. Decide allora di occuparsi solo di Irene, la ragazza di cui è innamorato. Ma quando sembra che per lui possa cominciare una nuova vita si scopre ammalato di tubercolosi e viene ricoverato al Forlanini di Roma. Lì conosce i soprusi che devono subire gli ammalati, conosce gli attivisti comunisti e decide di iscriversi al Partito. Tornato a casa, durante un’inondazione della borgata, si tuffa in acqua per salvare una prostituta; ricade così nel suo male e muore invitando i suoi compagni ad uscire al sole, cioè alla vita.
Come nell’altro romanzo, anche in questo il personaggio non assurge a una vita autonoma ma rimane nel quadro collettivo perché è soprattutto la massa che sollecita la fantasia di Pasolini.
Ogni appuntamento della cultura e della vita italiana del suo tempo invita Pasolini, soprattutto nei momenti in cui si avverte la necessità di una voce disinteressatamente critica e appassionatamente polemica in difesa dell’uomo, soprattutto quando l’emarginazione in ogni suo multiforme aspetto lo umilia e lo degrada cercando di annullarne il naturale amore per la vita e per gli altri.
Il groviglio di esigenze e di problemi maturati con la crisi del Neorealismo si ritrova al centro della problematica culturale del gruppo ’63, così chiamato da un convegno che si tenne a Palermo nell’Ottobre ’63 e impegnato a combattere il linguaggio tradizionale reso inutilizzabile dall’alienazione, conseguenza e caratteristica della civiltà industriale e della cultura di massa che tutto mercifica.
La contestazione globale delle strutture sociali della società contemporanea, espressione tipica in quegli anni della sinistra extraparlamentare, ha qui i suoi riflessi letterari e comporta il rifiuto del “linguaggio alienato” proprio del sistema, cioè della classi padronali e borghesi per cercare un nuovo linguaggio sperimentale libero da ogni norma o schema tradizionale, aperto a minoranze linguistiche formali, strutturali e contenutistiche, capace si superare le forme inadeguate e dimenticate del realismo e creare nuovi tipi di poesia (grafica, elettronica, visiva, cinetica, gestuale) e di narrativa (collage, fabula onirica, monologo linguistico).
Pasolini scrisse: ”Ma lo sperimentalismo stilistico presuppone una lotta innovatrice non nello stile ma nella cultura e nello spirito”.

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