Pascoli

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Testo

Giovanni Pascoli

La vita

Nato a S. Mauro di Romagna nel 1855, dopo appena 12 anni dovette sopportare la perdita del padre, ucciso di ritorno dal mercato di Cesena, tirato da una “cavallina storna”, senza una motivazione
apparentemente logica e senza che sia stato trovato l'assassino. Questa perdita fu solo l'inizio di una serie di morti che lo fecero divenire in pochi anni orfano di entrambi i genitori e privo di una sorella e di un fratello, eventi questi che segnarono per sempre la vita e le opere dello scrittore. Nonostante la sua vita di stenti, riuscì a proseguire con impegno negli studi (ad Urbino, Firenze, Rimini e Cesena), tanto da vincere nel 1873 una borsa di studio a Bologna. Ma i tanti lutti familiari, nel 1876, fecero acuire la sua tristezza e la sua rabbia tanto da renderlo partecipe dei moti di ribellione a fianco degli anarchici e dei socialisti, motivo che lo portò a restare in carcere per tre mesi. Fu solo successivamente al suo arresto che il Pascoli si decise ad abbandonare ogni spinta estremista e a riprendere gli studi, riuscendo così a laurearsi nel 1882 ed a sedersi successivamente sulle cattedre di Pisa, Messina e Bologna. Proprio in quest'ultima città trascorse gli ultimi anni della sua vita, morendovi nel 1912; anche se più volte, riscoperta la passione per la campagna e per le piccole e
umili cose, aveva trascorso diverso tempo a Castelvecchio.

Il genere letterario

Pascoli può essere fatto rientrare nel filone letterario del Decadentismo, corrente artistico-letteraria nata intorno al 1880 in Francia (il cui precursore fu il francese Baudelaire), ma che successivamente ebbe la sua diffusione in tutta Europa in un periodo storico in cui le difficoltà storico-politiche europee trovarono una loro “soluzione” nella “grande Guerra” e mentre venivano a porsi sul
campo le prime idee naziste della superiorità della razza bianca su quella nera, eventi che generarono una grande crisi di pensiero negli ideali.
La decadenza degli ideali e dei valori umani diede proprio vita al "Decadentismo", termine applicato a questo genere letterario proprio in senso dispregiativo, in quanto gli intellettuali che ne
facevano parte si ponevano al di fuori dalle regole comuni della vita e dell'arte, descrivendo la propria come una società in decadenza: pertanto, gli appartenenti a questo genere si sentivano esclusi da una società votata solo al progresso, alla smania del potere economico e al
materialismo, inoltre vedevano la borghesia come una classe sociale prospettata solo verso miti aggressivi (come l'imperialismo e il razzismo) mentre il proletariato ricercava la libertà solo in forme violente (come gli scioperi e la lotta di classe).
In tutto ciò, come già detto in precedenza, questi scrittori non si riconoscono e si isolano in una aristocrazia il cui motto è "non vogliamo più la realtà: ridateci il sogno, il riposo nell'ombra dell'ignoto". I Decadentisti, dunque, hanno perso fiducia nella scienza ed in ciò che è razionale,
per questo esaltano l'irrazionalità, perdendosi anche nel mistero. La sfiducia di poter agire sulla realtà condusse il Decadentismo alla genesi del mito del “superuomo”, filone seguito dal D'Annunzio e da Nietzsche, i quali concepirono una figura umana al di là del Bene e del Male, che vive in assoluta libertà, che contrasta tutti i valori politici, religiosi e civili, cercando ogni piacere in un atteggiamento edonistico e di potere, per potersi distinguere ed elevarsi dalla mediocrità dei barbari, del popolo comune (temi questi che favorirono l' attecchirsi delle idee fasciste e naziste). Ma questa stessa sfiducia, questa reazione al Positivismo e a tutte le precedenti scelte storiche improntate al logico ed al razionale, fece basare lo stesso Decadentismo nel ripiegamento sulle piccole cose, sul proprio Io personale, al fine di scrutarlo, capirlo, per cercare una vita interiore autentica, a differenza della falsità imperante nella società, sulla trasfigurazione della realtà in un sogno, sull'attrazione dell'irrazionale, sulla delusione per la modernità e sulla quasi continua presenza della morte. Fu proprio questo atteggiamento molto più pacato in cui si inserì anche il Pascoli, esprimendo tali concetti tramite un linguaggio perciò ricco di simbolismi e metafore che solo gli spiriti più sensibili riuscivano a decifrare.

La poetica del Pascoli

Dunque, questo scrittore interpretò la direzione più "tranquilla" del movimento decadentista. Infatti molte delle sue poesie prendono spunto dalla vita umile e comune, una vita avvolta nel mistero e nella sofferenza, di cui va ricercato il significato delle “piccole cose”, un significato che può essere scoperto solo da un poeta, che – con la sensibilità e lo stupore di un “fanciullino” – scopre per la prima volta il mondo. Nel far questo, ne risulta un linguaggio molto veloce, espressivo ma essenziale, con ritmi e cadenza quasi musicale, il tutto condito da note impressionistiche ed un
lessico che alterna parole dotte a parole comuni (molto spesso tratte dall’ambito botanico) per evidenziare il doppio significato delle cose, la loro anima, adottando perciò molte allusioni e analogie.
Prevalenti sono dunque nel Pascoli varie tematiche:
- Il Pascoli, per la sua sensibilità e per le sue stesse concezioni esistenziali, approdò ad
una concezione nuova della poesia, definendola come la poetica del fanciullino: per lui, nell’animo di ogni uomo esiste un eterno fanciullo che, mentre noi cresciamo, conserva la sua capacità di
stupirsi, di gioire, di scoprire il fascino e la bellezza delle cose. Il poeta è colui che sa ascoltare e sa far parlare questo fanciullo, sa esprimere la sua meraviglia, semplicità e candore per la diffusione di
un messaggio di solidarietà e di amore fra gli uomini.
- Accanto alla descrizione del mondo dell'infanzia, troviamo il tema del nido, ossia degli affetti familiari, della casa, che è qualcosa di caldo, chiuso, raccolto in una intimità di istinti e di affetti, a cui si contrappone la malvagità, o meglio la violenza del mondo.
- Oltre che nell'infanzia e negli affetti familiari, il poeta trova ispirazione anche nel mondo
ampestre, nella natura e nella campagna, realtà semplici ed umili nelle quali non si sente l'eco della violenza, delle feroci ambizioni, delle trasformazioni violente che caratterizzano il mondo moderno: solo la natura guida gli uomini al raccoglimento ed alla scoperta dei valori più semplici e nobili.
- Il mistero e la morte, poi, sono le percezioni che Pascoli rende interpretando l'umanità come un'ombra che vaga smarrita sulla Terra avvolta dal mistero (come nella poesia "Nella nebbia");
- Altrettanto profondi sono nel nostro il ricordo e il dolore (il dolore nel ricordo del padre assassinato, di tutti i lutti subiti nella sua vita, il dolore che lui avverte nel Male che vince nel mondo e sulla Natura, da lui intesa come madre buona);
- Presenti sono infine il cosmo (da lui inteso come “un mare di mistero”) e le sue varie espressioni, sia campestri (perché legate direttamente alla natura) che meteorologiche: essendo per il poeta il mondo fuori dal nido familiare incerto, pericoloso e indefinito, questo suo stato d'animo viene riflesso nelle poesie nelle quali descrive fenomeni atmosferici estremi (il tuono, il lampo, il temporale, il fulmine), evidenziando attraverso questi eventi la sua paura verso il mondo esterno e, nel contempo, in senso opposto, l'affiatamento con il suo ambiente familiare.
Si può quindi notare come i temi del Decadentismo siano in Pascoli evidenti: il ripiegamento del poeta in se stesso e nelle piccole cose, l'attrazione – mista a paura – verso l'ignoto e il mistero, il ricordo quasi continuo alla morte e la ricerca di un qualcosa al di là di questa, tutto espresso più in dettaglio nelle sue raccolte di opere.

Le opere del Pascoli

Nell'ambito della produzione pascoliana, le tappe più significative sono rappresentate dalla raccolta Myricae (1891), Poemetti (1897) – che verranno suddivisi in seguito nelle due raccolte Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909) –, Canti di Castelvecchio (1903), Poemi Conviviali (1904), Odi e Inni (1906), Poemi italici, Poemi del Risorgimento, Canzoni di re Enzio, i poemetti latini Carmina.
Per quanto riguarda la produzione in prosa, occorre distinguere fra le pagine di critica letteraria, fra cui sono notevoli quelle dedicate al Leopardi (Il sabato, La ginestra) e i saggi danteschi (Minerva oscura, Sotto il velame, La mirabile visione). Sono importanti inoltre le antologie latine Epos e Lyra e, fra i discorsi, notevole quello che si riferisce all'impresa libica, La grande proletaria si è mossa, pronunciato nel 1911, dove notiamo una singolare fusione fra le idealità e le istanze sociali proclamate dal poeta ed una sorta di patriottismo e di irrazionalismo.
- La maggiore raccolta del Pascoli uscì nel 1891 con 22 liriche (che fino al 1897 furono notevolmente arricchite, fino ad essere ben 156) con il nome di "Myricae": in essa al motivo generale originario della pace e della serenità, che derivano dal contatto con la natura, si unisce il tema della morte e delle sventure familiari; ma la nota dominante rimane comunque la creazione di quadretti suggestivi di vita familiare e campestre, contemplati a volte in modo commosso e raccolto, con una semplicità del linguaggio che si adegua alle piccole cose descritte, alla predilezione per gli ambienti umili, ad una realtà filtrata dalla malinconia, dalla nostalgia, dalle varie sensazioni del poeta, le cui poesie certamente più significative "X agosto" e "Lavandare".
Nella prima poesia è forte la presenza del focolare domestico e del nido familiare, specialmente perché in questa l’autore ricorda – non senza sofferenza – l’uccisione del padre, con quanta speranza i figli lo attendevano al rientro dal mercato con i doni promessi, paragonando quella situazione a quella di una rondine che viene uccisa al rientro nel nido col suo carico di cibo per i suoi piccoli: e questa tragica morte cadde proprio la sera del 10 agosto, notte di San Lorenzo in cui si manifesta il fenomeno delle stelle cadenti, notte in cui – secondo il poeta – quelle stelle non sono altro che le lacrime versate dal cielo per esprimere la malvagità del mondo, la cattiveria degli uomini sulla terra.
“Lavandare” invece è ambientata in novembre, mese caro al poeta in quanto presenta giorni nebbiosi avvolti nel mistero, in un'atmosfera quasi sospesa tra sogno e realtà, dove un aratro abbandonato in mezzo a un campo mezzo arato assume il significato simbolico di chi, come la lavandaia, ha perso l'affetto che dava un senso alla propria vita, e proprio nella solitudine della donna il poeta riflette la propria.
- Nel 1897 escono i "Primi poemetti", nel 1903 i "Canti di Castelvecchio" e nel 1909 i "Nuovi poemetti": in questi, accanto al tema della campagna e delle piccole cose, è presente quello delle memorie ed assume particolare importanza il motivo del mistero che circonda l'uomo, davanti a cui il poeta reagisce invitando gli uomini alla pace ed alla solidarietà.
In queste raccolte le impressioni e i simboli si fanno ancora più presenti, vengono utilizzate anche forme dialettali prese dal mondo contadino e – specie nei “Poemetti” – vengono descritte fasi importanti della vita agricola, come la mietitura e la vendemmia.
La poesia più importante presente nei "Primi poemetti" è certamente "Nella nebbia", dove viene descritto un paesaggio avvolto nebbia e nel mistero, dal quale emerge un'ombra, simbolo dell'umanità che vaga smarrita sulla Terra avvolta anch'essa dal mistero.
Della seconda raccolta, invece è da nominare certamente la poesia "La mia sera", che descrive la parabola della vita che vede, al suo calare (appunto nella sera della vita), un po' di pace dopo le sofferenze subite nel corso della stessa, e proprio nella sera il poeta si immerge nel mistero della morte. Dei "Nuovi poemetti" invece la poesia più emblematica è "Il naufrago", dove il Pascoli afferma che la vita, attimo fuggente, è in balia del destino, come lo è la vita di un'onda, e che poco può l'uomo per contrastarlo; fa inoltre parte di questa raccolta “Italy” (v. seguito).
Oltre a queste maggiori, raccolte minori del Pascoli sono i "Poemi conviviali" nel 1904, che traggono ispirazione dal mondo classico latino e greco; del 1906 sono le "Odi e inni", nei quali veniva cantato l'eroismo e il patriottismo, la fraternità umana e la giustizia sociale; altre raccolte (quali "Poemi italici", "Canzoni di re Enzio", "Poemi del risorgimento", "Carmina", "Testi in prosa"), invece, vogliono sottolineare come la poesia debba avere una funzione sociale, per invitare l'uomo ad essere migliore. In tutte queste altre opere, quindi, si può sottolineare ancora una volta come il Pascoli abbia cercato di analizzare i diversi significati delle "piccole cose", sia stato teso a valorizzare la famiglia e la semplice vita contadina, ripone una profonda attenzione alla natura, che ritiene madre benigna (al contrario del Leopardi, il quale la concepiva come un soggetto maligno), al mistero e alla morte, cercando – malgrado la sua esperienza piuttosto negativa nei confronti della vita, viste le sue sciagure familiari – di raddrizzare con la poesia l'umanità malvagia, esortandola ad essere più buona, un attaccamento questo verso la natura dato proprio dalla sfiducia tipica dei decadenti nel progresso e nella modernità.

La tematica dell’emigrazione in Pascoli

Il mondo di Pascoli, pur essendo permeato profondamente da questa cultura decadente, risulta però originale, perché trae le sue vere motivazioni e le sue origini dalla sensibilità dell'autore e dalle sue esperienze umane e culturali.
Profondamente colpito da gravi disgrazie familiari (che gli ispirarono quel mito del “nido” familiare da ricostruire) e dalla scoperta di un mondo dominato dalle ingiustizie, il poeta elaborò fin dalla giovinezza, completandola col passare degli anni, una concezione di vita fatta di pensieri improntati spesso sul pessimismo: in primo luogo venne meno in lui la fiducia positivistica nella scienza, la quale non fornisce all'uomo alcuna certezza e non è in grado di risolvere i problemi e di dare origine ad un vero progresso; dimostrata quindi l'infondatezza della scienza, in un secondo tempo l’umanità gli appare avvolta dal mistero, per cui non esistono vere risposte ai problemi del male, del dolore e della morte, per cui il dolore è una conseguenza delle azioni degli uomini, una conseguenza che può essere risolta solo tramite la solidarietà e la comprensione reciproca.
Questi sono i presupposti che stanno alla base della visione pascoliana dei problemi sociali, in nome della sua profonda sensibilità ed umanità: infatti il Pascoli svolse in molte sue pagine il tema degli umili alle prese con i terribili problemi economici, con l'elevazione ed il riscatto dei ceti poveri e contadini e con quello dell'emigrazione (ad esempio in Italy, nei Nuovi poemetti), come pure si riscontrano anche in molte sue poesie varie ripercussioni del patriottismo che si accese in Italia alla fine del secolo XIX e nei primi anni del Novecento. Il poeta percepisce il mutamento che la modernità ha operato, notando soprattutto come nel nostro Paese dopo l’ unificazione nazionale siano esplosi conflitti e il tessuto sociale abbia subito profonde lacerazioni, cosicchè vengono meno la fiducia che il progresso possa di per sé garantire sicurezza e felicità e la certezza che la scienza sia in grado di fornire un’appagante spiegazione del mondo. L’affermazione della metropoli diventa quindi incarnazione della modernità, centro della produzione e del consumo, dello scontro sociale e dell’ impossibile integrazione, e tutto questo vivere nella folla al contempo si traduce nel sentirsi immersi nella più profonda solitudine.
Nel 1904, traendo spunto da un episodio veramente accaduto nella famiglia di un piccolo agricoltore suo amico, Pascoli scrisse “Italy”, questo lungo poemetto sottotilato “all’Italia raminga” proprio per richiamare immediatamente in causa il fenomeno dell’emigrazione, guardato con sgomento dal nostro come perdita d’identità e fattore di estraneità reciproca fra chi è partito e i parenti rimasti in patria a conservare le vecchie abitudini di vita. Tale estraneità è fittamente rappresentata nella prima parte del testo dall’incomprensione linguistica fra gli "americanizzati" che hanno quasi disimparato l’italiano e la famiglia in Lucchesia, che non conosce l’inglese; inoltre, a complicare ulteriormente la trama dei piani linguistici, polarizzata sulla distanza fra italiano e inglese, intervengono da un lato i termini e i modi di dire dialettali e dall’altro le battute nel linguaggio misto italo-americano. Infatti in “Italy” il tema emigratorio (che appare in Pascoli come riflesso sociale della tematica personale del nido) si pone come contrasto tra la vita patriarcale che si svolge nella campagna nativa e quella febbrile della metropoli americana, tutta tesa ai “bisini” ("business",gli affari) e al successo.
Dunque per Pascoli l’italiano costretto a lasciare il suolo della patria è come colui che viene strappato a quel nido in cui risiedono le radici più profonde del suo essere. Difatti, appare evidente in questo scritto quel processo che porta Pascoli dall'ideologia del "nido" alle posizioni nazionalistiche (che sarà poi chiaramente enunciato nel discorso “La grande proletaria si è mossa): in “Italy” troviamo la solidale rappresentazione del prezzo di dolore e di mutilazione affettiva che l'emigrazione comporta, dell'estraneità e della solitudine dell'emigrato condannato a correre per “terre ignote con un grido / straniero in bocca”, ma sempre anelante a ritornare in patria con un gruzzolo tale per farsi “un campettino da vangare, un nido / da riposare”; ma c’è anche l'auspicio che l'Italia, l'antica madre, un giorno “in una sfolgorante alba che viene / con un suo grande ululo ai quattro venti / fatto balzare dalle sue sirene” riscatterà i suoi figli dispersi.

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