Materie: | Appunti |
Categoria: | Italiano |
Voto: | 1 (2) |
Download: | 3068 |
Data: | 20.09.2007 |
Numero di pagine: | 16 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
Download
Anteprima
avanguardie-letterarie-italiane_1.zip (Dimensione: 14.42 Kb)
readme.txt 59 Bytes
trucheck.it_le-avanguardie-letterarie-italiane.doc 52.5 Kb
Testo
AVANGUARDIE LETTERARIE
La ricerca di un nuovo ruolo sociale: i crepuscolari, vociani e futuristi
L’industrializzazione determina una crisi dei tradizionali ruoli umanistici promossi dal modello di Carducci di intellettuale e di poeta.
D’annunzio vi si adatta attraverso la spettacolarizzazione della propria vita esibita e offerta all’imitazione della massa piccolo-borghese.
I nuovi intellettuali tendono a negare i ruoli tradizionali:
1. I crepuscolari rifiutano polemicamente la tradizionale figura protagonistica del poeta-vate o del poeta ideologo e mediatore, essi affermano la vergogna della poesia;
2. Il movimento dei futuristi, invece, dichiara esaurito il ruolo umanistico degli intellettuali e propone agli artisti una nuova funzione: quella di interpreti del nuovo e di esaltatori della macchina e del progresso industriale;
3. Un terzo movimento d’avanguardia, i vociani, respingono sia la posizione di semplice rifiuto dei crepuscolari, sia quella dei futuristi; essi esprimono un ventaglio di atteggiamenti assai variegati.
Le avanguardie in Europa: le caratteristiche comuni
Il primo 900 è il periodo delle avanguardie : Espressionismo, Futurismo, Surrealismo, Dadaismo che si succedono dai primi anni del secolo fino alla metà degli anni 20.
I caratteri comuni di tutte le avanguardie sono:
1. Opposizione al Naturalismo e Decadentismo: all’arte come rispecchiamento oggettivo della realtà si oppone l’arte come visione soggettiva ed espressione dell’inconscio; all’arte come contemplazione e manifestazione del sublime si oppone l’arte come produzione e come tecnica materiale. Ciò comporta l’idea della morte dell’arte che diventa oggetto e prodotto e rinuncia alla sua autonomia e alla sua stessa esistenza distinta e separata.
2. Alla concezione di un’arte prodotta da una persona di eccezione, si contrappone l’arte come attività di gruppo. Il gruppo di avanguardia “usa” l’attività estetica in modo politico facendone strumento di rivolta anarchica. L’arte diventa attività totale, negandosi e autocriticandosi , si giunge fino alla dissacrazione dell’arte e alla proposta di distruggere i musei (futuristi).
3. L’attività artistica delle avanguardie diventa internazionale e interartistica, si estende a ogni paese e attraversa tutte le arti (pittura, cinema, teatro..).
Il primo movimento del 900 è l’Espressionismo.
I crepuscolari e la vergogna della poesia
In Italia si sviluppa un solo movimento di avanguardia nel senso stretto del termine: il Futurismo. La tendenza alle avanguardie è però evidente nei crepuscolari (Corazzini e Palazzeschi) e nei vociani (Rebora, Campana, Sbarbaro).
All’apparenza i crepuscolari, con il loro atteggiamento dimesso e autoironico, possono sembrare i più lontani dalle tendenze e dagli eccessi delle avanguardie.
Nonostante tutto nella poetica dei crepuscolari sono presenti alcuni elementi tipicamente avanguardistici:
1 Il rifiuto del sublime e di qualsiasi concezione estetizzante dell’arte;
2 La critica alla figura del poeta con la conseguente vergogna della poesia;
3 Il ripudio ironico della tradizionale immagine del poeta come genio;
4 L’accettazione dello squallore piccolo-borghese e di una condizione massificata;
5 La negazione della tradizione e in particolare di quella rappresentata da Carducci, Pascoli e D’Annunzio;
6 Il ripudio del pathos lirico e l’uso dell’ironia in poesia;
7 L’impiego del verso libero.
I crepuscolari non esprimono il “crepuscolo” dell’800 ma l’alba del 900.
Questa corrente ha la sua durata dal 1903 al 1911 e possiamo affermare che nascono in contrapposizione a D’Annunzio, sono disgustati da lui e dalla sua poesia e per contrastarsi al suo successo riportano scene di vita quotidiana in provincia, ribaltando la prospettiva d’annunziana, infatti parleranno del poeta fragile e della donna provinciale.
Il termine crepuscolarismo accomuna una serie di poeti che non formano una scuola unitaria ma che esprimono un medesimo gusto malinconico e “crepuscolare”.
I crepuscolari introducono nuove forme, nuovi registri espressivi segnati da una forte prosasticità (lessico basso e colloquiale) e nuovi temi.
Portano sulla scena nuovi paesaggi (orti, sere domenicali di provincia…), nuovi personaggi (monache, vecchie, mendicanti, vagabondi…) e nuovi oggetti (piccole cose, mobilio abbandonato, specchi…).
Questi brandelli di vita e questi oggetti non vengono innalzati a simboli, ma colti nella loro frantumazione con un distacco ironico, una nota di umorismo surreale.
I punti di riferimento ottocenteschi dei crepuscolari non mancano ma hanno scarsa importanza. Importanza hanno invece D’Annunzio con il Poema paradisiaco, Pascoli come poeta delle piccole cose.
Il poeta crepuscolare è isolato e emarginato rispetto alla società piccolo borghese e il pubblico ha quindi un atteggiamento di indifferenza nei sui confronti.
Sergio Corazzini (1886-1907)
Le sue poesie dimostrano una lucida consapevolezza della malattia e della condanna che pesa su un’adolescenza che non potè mai trasformarsi in età adulta.(si ammalò di tubercolosi)
Corazzini non nasconde la propria debolezza, ma piuttosto la esibisce identificando in essa la sua stessa poesia.
Per Corazzini, al contrario di D’Annunzio, la vita vera è quella di un giovane malato, che la malattia accomuna a tanti altri, e la poesia non aspira al sublime, ma all’autenticità, che si trova nella sofferenza e nell’esperienza reale del dolore. Proprio per questo nei suoi testi non trovano spazio sentimenti eroici, ma l’amore per le cose semplici e per le tristezze comuni.
La figura del fanciullo rimanda per alcuni aspetti al fanciullino pascoliano, ma questo era usato come mezzo per scoprire la verità attraverso l’innocenza infantile, mentre quello di Corazzini riflette la reale condizione di un’adolescenza priva di futuro, che cerca nella regressione un conforto alla sofferenza. Il fanciullino in pascoli è il garante, per il poeta, di un privilegio e di una funzione sociale, mentre quello di corazzini, dichiarandosi non poeta, prende atto della crisi che investe nella società moderna quel privilegio e quella funzione.
Il tono dimesso, lamentoso e incline al pianto rappresenta il rifiuto di una tradizione letteraria ancora aulica e solenne, assumendo quindi il significato della ribellione. Il lessico si apre ai materiali dell’esperienza quotidiana, rifiutando di correggerli o sublimarli; la presenza cospicua di un vocabolario poetico tradizionale non implica un desiderio di distinzione aristocratica, ma il riferimento ad un codice comunicativo comune e quasi banale, senza alcuna ricerca di eccezionalità o stravaganza. Per quanto riguarda la metrica troviamo l’uso di metri tradizionali alternati al verso libero, talvolta allungato fino a sfiorare un registri a mezza via tra la prosa e l’andamento di una preghiera.
Ha intitolato una sua raccolta “Piccolo libro inutile” e l’aggettivo si riferisce all’inutilità della poesia ed è un modo per mettere la poesia stessa in conflitto con la condizione della mercificazione e con l’ideologia produttivistica della funzionalità e dell’efficienza.
TESTO: “ DESOLAZIONE DEL POVERO POETA SENTIMENTALE”
Questo testo, che appartiene a “Piccolo libro inutile” pubblicato nel 1906, può essere considerato una vera dichiarazione di poetica, tanto sono chiare ed esplicite le linee di fondo di Corazzini: 1)il rifiuto di considerarsi un poeta, sentendosi invece un semplice uomo sofferente o meglio, un bambino ingenuo e indifeso che mostra agli altri il proprio dolore 2)l’amore per le cose comuni 3)l’incapacità di vivere se non al minimo, provando solo gioie semplici 4)la tensione religiosa come alternativa alla vanità delle cose terrene 5)la propria sofferenza fisica come garanzia di autenticità contro il falso eroismo della vita borghese.
Al superuomo affermato da D’Annunzio si contrappone il fanciullo di Corazzini che vive di cose comuni, contrapponendosi ulteriormente all’elite di D’Annunzio; alla grandezza e al privilegio della poesia si contrappone il suo rifiuto e la scelta di un orizzonte basso.
Vi è una contrapposizione al vitalismo d’annunziano, infatti vi è una continua contemplazione della morte e della malattia e inoltre il vitalismo d’annunziano viene presentato come qualcosa di artificiale, che deve essere sostituito con le la semplicità, la fragilità e la delicatezza della vita quotidiana.
Il tono della poesia è simile a quello della cantilena che accompagna i canti sacri, e frequenti sono i riferimenti religiosi e mistici, questa caratteristica non la si trova in tutti i crepuscolari, ma solo in Corazzini in quanto è un credente.
La sofferenza del poeta, fisica e psichica, compare in tutta la sua umana materialità, e oscilla tra il desiderio infantile di sentirsi piccolo e la consapevolezza amara dell’avvicinarsi del proprio destino tragico.
Nel verso 21 egli afferma “ non saprei dirti che parole così vane”, frase che sta a significare che il poeta inizia a pensare che non sia può possibile la conoscenza vera, l’uomo non riesce più a dare un senso alla vita, come Pirandello aveva precedentemente denunciato in “Sei personaggi in cerca di autore” oramai persiste l’impossibilità totale di ricostruire un senso.
Nel verso 4 il poeta dice che “ non ho che lacrime da offrire al Silenzio”, questo silenzio sta a simboleggiare che non c’è più una natura di simboli che si possono tradurre.
Il poeta percepisce la fragilità e ne è consapevole.
Il simbolismo che rimandava a misteriose corrispondenze decade.
Il linguaggio è semplice, quotidiano e la metrica irregolare.
Guido Gozzano (1883-1916)
Il modello d’annunziano viene rovesciato e respinto dal poeta, anche se assume una grande importanza. Anche in Gozzano, come in D’Annunzio, si ritrova il binomio arte e vita, che si fondono insieme anche se con risultato completamente diverso: l’arte è una consolazione privata che ripaga il poeta delle sue frustrazioni sociali ed esistenziali e lo protegge dal mondo, e cioè l’arte prende il posto della vita come un sostituto insufficiente e misero.
Gozzano rifiuta la poesia come valore, in quanto secondo lui non è in grado di affermare nessun significato positivo, né di indicare prospettive presenti o future agli uomini.
Egli decide di fare della letteratura il luogo nel quale la consapevolezza della inutilità e dell’anacronismo della letteratura stessa è al massimo grado e per ciò scrivere significa prendere in giro se stessi.
Le strutture metriche e strofiche sono assolutamente regolari e tradizionali, ma numerosi elementi hanno la funzione di ironizzare tale classicità, come la ripetizione di uno stesso termine così che la regolarità metrica sembri casuale, l’introduzione di enjambements che mettono in contrasto la naturalezza del racconto e l’artificiosità de metro, l’uso di rime eccentriche. All’interno dei suoi testi che sono spiccatamente narrativi, utilizza molte parti parlate. Si assiste ad un generale inquadramento dei termini e delle strutture sintattiche alti entro coordinate stilistiche medio-basse, il poeta non rinuncia al linguaggio letterario di D’Annunzio e Pascoli ma adotta l’antidoto dell’ironia.
TESTO: “LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITA’”
Questo poemetto è uno dei più noti e rappresentativi si Gozzano.
Esso narra l’idillio tra il poeta e una giovane donna di provincia la signorina Felicita, semplice, ingenua, priva di cultura, che incarna un ideale di vita elementare e sana, lontana dagli intellettualismi e dalle astrazioni proprie del mondo dell’arte cui il poeta è legato.
Ella si offre come un’alternativa all’aridità sentimentale cui Gozzano era costretto dalla formazione culturale e dalla malattia. Però l’idillio tra i due viene bruscamente interrotto, in parte per opportunità sociale e in parte perché al poeta è negato l’abbandono ai facili sentimenti romantici. L’abbandono al sentimentalismo romantico può essere concesso a patto di raffreddarlo di continuo per mezzo del distacco ironico.
L’ambiente di provincia viene descritto con tenerezza e un senso quasi di rimpianto, tuttavia Gozzano non si abbandona mai totalmente a questi sentimenti malinconici, ma li frena con un’ironia che sottolinea il distacco tra poeta e realtà semplice a cui egli aspira.
C’è la presenza di termini lessicali rari, specialistici e aulici (cerulea Dora, a sommo dell’ascesa, in numeri, vetusta etc.), però il tono rimane basso, al limite della prosasticità, con costruzioni sintattiche a volte mimetiche al parlato. In questo modo la letteratura è messa in mostra nel sua carattere artificioso e convenzionale, facendo risaltare l’innaturalità del livello aulico per mezzo del prosaico, e però la letteratura ottiene un grande lasciapassare, divenendo lecito, per un poeta che non ci crede più, utilizzare i suoi materiali invecchiati, e anzi costruire la propria originalità linguistica proprio a partire dalla loro artificialità.
Anche qui al modello di vita elitaria di D’Annunzio viene opposto un modello di vita semplice, vissuta giorno per giorno, assaporandone i piccoli piaceri.
L’avanguardia futurista
La tendenza all’avanguardia e il sovversivismo piccolo-borghese degli intellettuali italiani si realizzano pienamente nel Futurismo. Il futurismo costituisce un movimento organizzato intorno a manifesti teorici che ne definiscono la linea in ogni campo.
Il futurismo, esaltando la macchina, la tecnica, la grande industria, la velocità, intende interpretare la tendenza al nuovo, al progresso meccanico e alla modernità della civiltà industriale. In questo atteggiamento si riflettono le ambiguità di una rivolta che in realtà accetta e celebra un movimento esistente: il capitalismo imperialistico.
Il movimento venne fondato da Marinetti, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1876, vissuto a Parigi e morto a Bellaggio nel 1944. Formatosi su autori naturalistici e simbolisti, Marinetti non riuscirà mai a liberarsi del tutto da una cultura ottocentesca, naturalistica e simbolistica.
Marinetti, il 20 febbraio 1909, pubblicò il primo manifesto del Futurismo affermando la necessità di abolire i musei, le accademie e le biblioteche, in quanto istituzioni che intendono salvaguardare i valori tradizionali e del passato.
La nuova arte deve partire dal presente, dalla realtà industriale, deve capire e esaltare la bellezza della velocità e della macchina. La celebrazione del movimento induce a glorificare la guerra, la virilità, e a disprezzare la donna e il femminismo.
La prima fase va dal 1909 al 1912. In essa è molto forte l’influenza del simbolismo e la parola d’ordine è quella del verso libero. In questo periodo aderiscono al movimento Covoni, Palazzeschi, Buzzi.
Alcuni di questi autori sottoscrivono un manifesto contro la poesia tradizionale, romantica e decadente. Contemporaneamente il movimento si estende a tutte le arti, dalla pittura alla scultura alla musica praticando il principio di interartisticità che è tipico delle avanguardie.
Una seconda fase del movimento va dal 1912 al 1915 ed è segnata da una serie di manifesti che pongono l’accento sul rivoluzionamento delle tecniche espressive e sulla proposta di un nuovo tipo di uomo completamente meccanizzato.
La svolta avviene con il Manifesto tecnico del 1912. Il rivoluzionamento delle forme espressive è radicale: si passa dalla proposta del verso libero a quella delle parole in libertà che presuppongono la distruzione della sintassi, l’abolizione della punteggiatura, l’uso dei verbi all’infinito, dell’onomatopea. Attraverso una catena di analogie sarebbe possibile conseguire un lirismo multilineare capace di rendere la simultaneità di fenomeni diversi.
La macchina non è concepita come un prodotto artificiale contrapposto ai prodotti naturali ma come un modo per far vivere la natura. Il corpo stesso, in quanto energia, è una macchina naturale e l’uomo deve imparare a divenire sempre più un congegno tecnico-meccanico. Mondo industriale e mondo naturale non vengono più contrapposti ma sono concepiti come espressione di una stessa energia originaria.
La terza fase del futurismo (1915-20) si apre con l’avvicinarsi del primo conflitto mondiale. I futuristi sono interventisti e vedono nella guerra e nel conflitto un modo positivo di scatenare le energie primordiali, di selezionare i popoli e le nazioni più forti.
Subito dopo la guerra i futuristi si organizzano in partito politico, oscillando fra posizioni anarchiche, democratiche anticlericali e antimonarchiche.
Il futurismo continua fino agli anni 20 e 30 ma senza reale incidenza nella vita culturale e politica.
Il futurismo sottopose a critica l’arte, la sua autonomia e separatezza, vedendolea come residuo del passato, in quanto legata fortemente al neoclassicismo e alle arti classiche in generale. Tale atteggiamento deriva dal suo intento di creare un’arte omologa alla società industriale più avanzata, al mondo della tecnica e della macchina. Di qui la polemica contro ogni concezione umanistica dell’arte e la proposta di abolire gli insegnamenti classici nelle scuole, di eliminare il valore estetico e di sostituirlo con il valore commerciale.
I futuristi non si oppongono alla mercificazione ma la accettano, la teorizzano, la esaltano.
Essi colgono l’importanza delle comunicazioni di massa e se ne servono per farsi propaganda e per imporsi al pubblico attraverso la tecnica dello scandalo e dello shock. Propongo un’arte democratica per tutti, teatro e cinema gratuito, orchestre in ogni piazza. Mentre assecondano il processo di estetizzazione diffusa tipico della modernità, reclamano ancora un posto di privilegio per gli artisti.
Il futurismo è un movimento ambiguo e complesso, in cui si intrecciano istanze del passato e le intuizioni nuove della reale condizione dell’arte e dell’artista nella società industriale di massa.
Già il nome è un monito per l’idea di fondo di questa corrente: Futurismo=futuro→moderno→velocità, macchina e industria.
TESTO: “IL PRIMO MANIFESTO FUTURISTA”
Questo manifesto, steso da Marinetti e apparso nel 1909, ha un contenuto ideologico più che artistico: vi è un totale rifiuto del passato e un’esaltazione della modernità, della macchina, della città industriale, della folla, delle rivoluzioni urbane. Compare un’ideologia improntata al furore critico–negativo di Nietzsche, volto a celebrare gli istinti, i giovani, la danza, l’amore per la guerra, la velocità, l’aggressività, l’azione violenta. Sul piano culturale ed artistico si propone la distruzione della tradizione e del passato, delle accademie, delle biblioteche, dei musei, delle città antiche, si afferma un nuovo criterio di bellezza da ritrovare nella velocità e nella macchina e dunque nel moderno. Il moderno è estetico.
Lo stile è paratattico, fatto di frasi brevi e affermazioni successive, prive di sviluppo logico, martellanti sempre sugli stessi concetti. La volontà è quella di scioccare, di scandalizzare. Si tratta di una scrittura che mima il gesto violento ed è dunque omogenea al proprio messaggio.
Questo manifesto si inserisce nel contesto storico che precede la guerra che viene vista come “ la sola igiene del mondo”.
TESTO: “MANIFESTO TECNICO DELLA LETTERATURA FUTURISTA”
Questo manifesto fu pubblicato nel 1912. Presenta un programma tecnico per punti con proposte riguardanti lo stile, la sintassi, l’uso delle parole e un programma ideologico.
Il programma ideologico si suddivide in una parte distruttiva e in una costruttiva: la parte distruttiva comprende la critica della psicologia e del culto dell’interiorità, la critica della sacralità dell’arte, della sua autonomia, del sublime estetico, la critica dell’intelligenza e del calcolo razionale a cui viene contrapposta la divina intuizione; la fase costruttiva muove dall’esaltazione del potere dell’intuizione e dell’immaginazione che possono cogliere l’essenza della materia che si esprime attraverso l’energia. L’uomo deve diventare sempre più espressione di tale energia trasformandosi in macchina, in uomo meccanico dalle parti cambiali.
Distruggendo la sintassi si distruggono i legami logici, con la conseguenza di porre in primo piano l’intuizione e l’immaginazione.
Per quanto riguarda la sintassi bisogna distruggerla disponendo i sostantivi a caso, si deve usare il verbo all’infinito, si deve abolire l’aggettivo, si deve abolire l’avverbio, ogni sostantivo deve essere seguito senza congiunzione dal sostantivo a cui è legato per analogia.
La punteggiatura deve essere assente, al massimo si possono usare i segni matematici o musicali.
Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell’intelligenza bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un massimo disordine.
Nella letteratura bisogna distruggere l’io, cioè tutta la psicologia, bisogna sostituirlo con la materia.
I futuristi usano tutti suoni brutali, tutti gridi espressivi della vita violenta che li circonda. Essi fanno il brutto in letteratura e uccidono dovunque la solennità.
Le parole devono essere in libertà, si dà il via al paroliberismo.
TESTO: “ SI, SI, COSI’ L’AURORA SUL MARE”
Questo testo fu pubblicato da Martinetti nel 1925.
Il tema principale, ovvero il sorgere del sole sul mare, è un tema assai tradizionale, lontano da quelli caratteristici legati al futurismo. Qui troviamo la volontà di affrontare in maniera rivoluzionaria un argomento spesso affrontato.
Vi è un uso originale della disposizione del testo sulla pagina e dei caratteri tipografici e una notevole tensione rappresentativa.
In questo testo non esiste punteggiatura e si assiste al paroliberismo.
Non segue del tutto lo stile futurista, infatti non ci sono i verbi all’infinito, ci sono molti aggettivi e il tema non esprime velocità.
Salta la struttura logica ma non quella analogica, infatti tutto richiama il sorgere del sole.
Si trovano molte metafore e sinestesie (rosso strafottente, rombo d’oro, ragionamenti persuasivi verdazzurri, scoppi di scarlatto) che testimoniano la natura simbolista di questo testo. Questa poesia è dinamica, viene descritta l’azione del sorgere del sole, non la sua contemplazione.
TESTO: “IL PALOMBARO”
Troviamo un forte nominalismo e un altrettanto forte paroliberismo.
Importante è la disposizione grafica del testo e l’uso di disegni illustrativi
Aldo Palazzeschi (1885-1974)
Tra i venti e i venticinque anni pubblica poesie che seguono le “regole” crepuscolari, poi inizierà a creare opere di tipo futurista.
Le tendenze crepuscolari sono evidenti nel tono semplice e ingenuo e nel rifiuto della tradizionale identità di poeta-vate.
Palazzeschi si immerge nella vita e tenta di recuperarne gli aspetti di irrazionalità e di gioco; la semplicità e ingenuità del poeta vanno ricondotte ad una volontaria regressione all’infanzia in cui l’abolizione dell’io adulto corrisponde al rifiuto della poesia adulta, cioè seria ed ufficiale, in modo da raggiungere la matrice più autentica della vita.
Nella corrente futurista egli vede la possibilità di rinnovamento della cultura e dei costumi, volendo far riaffiorare il ritmo imprevedibile, vario e irrazionale della vita.
Palazzeschi sa che non è più possibile guardare al poeta come un portatore di verità e di valori nella società, quindi il rapporto conflittuale tra poeta e pubblico è un tema ricorrente.
L’atteggiamento anarchico e provocatorio, incarnato nelle figure del clown e del saltimbanco, corrisponde ad una sfida verso l’ipocrita convenzionalismo borghese e, insieme, al recupero della dimensione giocosa e trasgressiva dell’arte. Da ciò il tono irrisorio dei suoi versi, il loro andamento narrativo e mimico più che lirico, vicino piuttosto alla dimensione spettacolare che alla riflessione intimistica.
TESTO: “CHI SONO”
Poesia pubblicata nel 1909 da Palazzeschi e può essere considerata un manifesto della sua poetica, che inizialmente seguì la corrente dei crepuscolari per poi aderire a quella dei futuristi.
La coscienza della crisi che investe all’inizio del 900 l’identità del poeta e la sua collocazione sociale spinge Palazzeschi a rifiutare i ruoli istituzionali in cui viene racchiusa la poesia e a confrontarsi direttamente con la realtà massificata e con la mercificazione dell’arte.
La necessità di ridefinire il proprio ruolo di poeti è ben presene anche in Corazzini e Gozzano, che individua nella consapevolezza autoironica della finzione letteraria la soluzione della crisi in atto e dichiara la propria paradossale vergogna nell’essere poeta; Corazzini invece spinge la crisi alle estreme conseguenze, arrivando a negarsi come poeta in “desolazione del povero poeta sentimentale. Palazzeschi tenta una via diversa che è riconducibile all’ambito crepuscolare per il tema della malinconia, aprendosi però alle soluzioni vitalistiche del Futurismo. Palazzeschi propone per il poeta un ruolo di clown trasformando in ristata e capriola la propria crisi esistenziale. L’anticonformismo della proposta di questo poeta si fonda sul recupero della dimensione giocosa dell’arte e del suo potere trasgressivo, che viene recuperato in modo non aggressivo e non violento, Palazzeschi non punta a distruggere ma cerca solo un’alternativa possibile e valida.
TESTO: “LASCIATEMI DIVERTIRE”
Questa poesia fu pubblicata per la prima volta da Palazzeschi nel 1910. E’ evidente il riferimento polemico al “lasciatemi sognare” di una poesia di Gozzano: al vitale e propositivo Palazzeschi la visione della poesia come sogno, ovvero come difesa della vita, appare colpevolmente rinunciataria. Questa poesia riprende il tema di fondo della precedente, vengono eliminati tutti gli atteggiamenti crepuscolari(nostalgia e malinconia) e Palazzeschi dà voce alla follia e all’esuberanza trasgressiva di matrice futurista.
All’interno di questa poesia è come se si trovasse anche il pubblico, infatti vv dal 5 al 12, vv 16 e 17, vv dal 34 al 37, vv dal 57 al 62, vv dal 69 al 71, vv dal 75 al 78 e vv dall’84 all’87 sono tutti dei riferimenti diretti al pubblico. Il punto di vista del pubblico si qualifica specialmente per l’ipocrisia, da un lato infatti si manifesta una comprensione indulgente del poeta(vv 5-12), dall’altra crescono gli attacchi e gli insulti. Il punto di vista del poeta esprime una rivendicazione pura e semplice del principio di piacere, cioè del divertimento, in esso consiste lo strumento più efficace di rifiuto delle norme sociali borghesi.
L’uso del linguaggio infantile lo differenzia dall’aggressività futurista, che è comunque presente nel testo ma solo nel momento in cui il poeta si riferisce al pubblico. Dietro l’insensatezza dei suoni emessi a caso si manifesta la volontà di dissacrare il linguaggio ufficiale, che coincide con la repressione del mondo degli adulti e della morale borghese. Nell’assenza di ordine logico e sintattico vi è la volontà di regredire ad un linguaggio prefazionale.
Spesso troviamo delle parole messa a caso, ma è sempre possibile ricostruire una sorta di comunicazione.