La scena del perdono nei "Promessi sposi"

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Testo

La scena del perdono
Nel romanzo de “I promessi sposi”, nel quarto capitolo, il passo finale presenta la scena del perdono: Lodovico, fattosi frate, chiede il perdono al fratello della sua vittima, la cui famiglia lo aveva accusato d’omicidio.
Dando rilevanza anche agli sguardi degli astanti (quelli che stanno), Manzoni introduce questa scena con Lodovico che si sveste dei suoi abiti civili per mettere la toga e diventare quindi Fra Cristoforo. Subito il novello frate chiede al suo superiore di potersi scusare di persona con la famiglia dell’uomo da lui ucciso in modo da non coinvolgere il convento. Alla notizia il fratello della vittima, che prova un misto di stupore, sdegno e compiacimento, dice al guardiano del convento di riferire a Fra Cristoforo che il loro incontro si sarebbe tenuto pubblicamente, e non in modo ravvicinato come si sarebbe potuto pensare. Il luogo descritto dal Manzoni, tramite il caratteristico elenco descrittivo (gorgiere: accessorio utilizzato a quel tempo che consiste in un collare piegato e crespo; zimarre: cappe da indossare; ecc…), è molto sfarzoso: decorato da elementi barocchi, propri dell’arte di quel periodo, provoca turbamento nell’animo di Fra Cristoforo che riesce tuttavia a farsi coraggio e a raggiungere il padrone di casa, il quale lo attende con occhi bassi, mento alto e l’elsa della spada nella mano con la punta poggiata a terra, quasi a lasciar intendere ai presenti, senza l’uso della parola, il suo stato d’animo.
Fra Cristoforo, invece, presentandosi in franco e schietto dicendo - “sono io l’omicida di vostro fratello” -, provoca un silenzio improvviso.
A questo punto gli astanti, che si aspettavano una scena di confusione e clamore, rimangono immobili, mentre il fratello prova una sorta di ritegno e, considerando anche la natura di frate di Lodovico, concede a Fra Cristoforo il perdono da lui tanto desiderato. Quest’ultimo non lederà comunque la “complessione del male”, o senso di colpa, del povero frate che, dopo aver ringraziato enormemente per la grazia concessagli tenta, senza troppi preamboli, di congedarsi. Quando però gli viene data la possibilità di venire incontro ad un suo bisogno, Fra Cristoforo chiede umilmente che gli sia donata una pagnotta. Essa, servitagli su un vassoio d’argento (elemento contrastante) e messa nella modesta sacca di juta del frate, lo accompagnerà per tutto il romanzo fino alla sua morte causata dalla peste: il pane del perdono.
Infine Fra Cristoforo, con l’intenzione di recarsi al borgo di Pescarenico per il noviziato, si licenzia seguito e baciato dai presenti alla commovente scena che aveva portato la cordialità in quel luogo: l’ambiente incoraggia atti di perdono e generosità a differenza di ira e scalpore.
Alla luce di ciò possiamo quindi sottolineare i seguenti aspetti:
-stilistico ed estetico: come accennato precedentemente in alcuni tratti, in questo passo è presente una descrizione teatrale degli avvenimenti, accompagnata dalla sfarzosità e dalla maestosità dell’arte Barocca, ispirata molto probabilmente da quadri e propria di quel periodo. Questa, tuttavia, ripresa dal Manzoni nel passo della monaca di Monza, è notevolmente contrastata dalla presenza semplice e dal comportamento secco di Fra Cristoforo.
-strutturale: il pane del perdono è un simbolo molto rilevante. Conservato dal frate da quel momento in poi, gli ricorderà sempre la facilità con cui si può peccare e la colpa di omicidio di cui si è macchiato, perché il più severo dei tribunali è quello della coscienza, che ricorda costantemente il male da dover scontare. Il pane del perdono, inoltre, sarà un tema ripreso dal Manzoni verso la fine del romanzo, quando Fra Cristoforo, dopo aver convinto Renzo a perdonare Don Rodrigo ormai morente anche lui a causa della peste, lo lascerà ai due sposi.
Molto probabilmente questo tema del rigore morale, associato a quello dell’uomo che si salva per grazia, è venuto in mente a Manzoni sotto influenza della religiosità della moglie calvinista.

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