Materie: | Tema |
Categoria: | Italiano |
Download: | 2710 |
Data: | 21.11.2005 |
Numero di pagine: | 3 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
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Testo
Ripercorri i primi tre capitoli dei Promessi Sposi concentrando la tua attenzione sul tema della giustizia. Spiega quale visione ha l’autore della giustizia nel Seicento e cita e analizza i passi e gli episodi che ritieni più significativi.
Sin dalle prime pagine de “I promessi sposi” il Manzoni ci presenta una società ingiusta e violenta che risolve i problemi e le questioni sociali con la forza dei potenti.
L’autore ci descrive la dura situazione delle regioni sottomesse alla dominazione dei soldati spagnoli e le prevaricazioni che questi compiono nei confronti della popolazione.
L’episodio fra Don Abbondo e i bravi dà spazio all’autore per una digressione sul clima di violenza che caratterizza in quel tempo il Ducato di Milano: i deboli sono costretti a subire i soprusi dei potenti e non sono tutelati dalla giustizia, che si limita a emanare gride su gride senza alcun effetto positivo.
Infatti l’autore, proprio in questa occasione, cita diverse gride che però servono solo a rendere le leggi più ampollose e non fanno altro che favorire le classi privilegiate.
Signori e signorotti locali, avendo un’elevata influenza sulle istituzioni giudiziarie e protetti da piccoli eserciti personali di bravi, eludono le gride e fanno valere il proprio potere sulla popolazione.
Il clima di ingiustizia e di violenza è rappresentato dall’ancora forte potere feudale, personificato nella figura di Don Rodrigo, e dalla totale inefficacia della giustizia spagnola, la cui organizzazione burocratica, lenta e macchinosa, non riesce a garantire ai cittadini la dovuta protezione. Così l’unica “giustizia” rispettata è quella di Don Rodrigo, e di quelli che,come lui, si servono della violenza come strumento di dominio. Anche gli intellettuali, e taluni uomini di chiesa sono condizionati ad accettare le logiche di sfruttamento: Don Abbondio e Azzecca-garbugli, uomini comuni, ma non certo indotti, diventano le vittime e insieme gli strumenti di trasferimento dell’oppressione, ed è a questo proposito che il Manzoni scrive la sua massima: “I provocatori, i sovverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi”.
Il tema dell’ingiustizia assume tutta la sua evidenza nel terzo capitolo, attraverso la figura di Azzecca-garbugli. Egli è un personaggio comico, ma è anche una figura drammatica, in quanto rappresenta la crisi del Seicento, l’impoverimento dei valori morali e il rispetto servile nei confronti del potere.
Anche la scelta, da parte di Don Abbondio, del sacerdozio, viene motivata motivata dalla ricerca del quieto vivere piuttosto che dalla fede e dalle tristi condizioni di questa società, in cui le vari classi sociali si organizzano in corporazioni, così da essere più forti nel combattere contro le angherie dei potenti.
Molto simbolica è anche l’affermazione del Manzoni che paragona Don Abbondio ad “un vaso di terra cotta costretto a viaggiare tra vasi di ferro”.
Abbondio, uomo debole e pauroso, ma non disposto a lasciarsi divorare senza una qualche difesa, “accoglie di buon grado” la volontà dei suoi genitori che lo vogliono prete.
Le due ragioni di vita che motivano la sua scelta del sacerdozio, non essendo egli né nobile, né ricco, sono di “vivere con qualche agio” e di “mettersi in una classe riverita e forte”, cioè protetta.
Fattosi prete, egli si costituisce “un suo sistema particolare di vita” e quando riceve l’ingiunzione violenta di non celebrare il matrimonio, per la sua tranquillità non si fa scrupolo di trasferire la violenza a danno di persone umili, più indifese di lui socialmente e culturalmente.