IV canto inferno divina commedia

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano
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Testo

Al risveglio, Dante si trova al di là del fiume Acheronte, sul ciglio dell’ Inferno; di qui Virgilio lo fa entrare nel primo cerchio. Qui ha sede il Limbo, che accoglie le anime di coloro che, nati dopo Cristo, non peccarono ma i cui meriti non sono stati sufficienti alla salvezza perché essi non ricevettero il battesimo, necessario per essere ammessi alla Grazia divina; e anche di coloro che, nati prima di Cristo, non adorarono Dio in modo adeguato, cioè secondo gli insegnamenti dei profeti biblici, in attesa di Gesù. Tra costoro è anche Virgilio, la cui umanità si innalza in questo canto in un malinconico e dignitoso rimpianto: “Per tai difetti, non per altro rio, / semo perduti, e sol di tanto offesi, / che sanza speme vivemo in disio” (“Per tali mancanze, non per altra colpa/ siamo condannati, e puniti solo in questo, / che viviamo col desiderio [di vedere Dio] e senza [averne] speranza”) vv. 40-42. Virgilio informa poi Dante che Cristo, dopo la propria morte e risurrezione, scese nel Limbo e portò con sé in Cielo alcuni antichi progenitori (tra cui Adamo, Abele, Noè, Mosè), i quali furono i primi ad entrare in Paradiso.
Ad un tratto appare un fuoco che rischiara un poco le tenebre; attorno vi dimorano i grandi poeti dell’ antichità, privilegiati rispetto agli altri grazie alla gloria lasciata tra gli uomini: è questa la collocazione dello stesso Virgilio, che viene accolto da Omero, Orazio, Ovidio e Lucano; Dante si unisce agli altri in un breve tragitto, “sesto tra cotanto senno” (e cioè il sesto – dopo gli altri cinque – fra tali personaggi di tanto grande rilievo intellettuale, dotati di tanta saggezza e sapienza).
Giungono così ad un “nobile castello” nel quale abitano gli “spiriti magni”, cioè i grandi (“magni”), filosofi e sapienti dell’ antichità (tra i quali Aristotele, Socrate, Platone e alcuni grandi filosofi arabi, come Averroè). Dopo averlo percorso, Virgilio e Dante si separano dagli altri e tornano nelle tenebre infernali.
Questo canto segna una pausa malinconica nella movimentata e tragica atmosfera infernale: il fuoco che rischiara le tenebre e il castello dove abitano i grandi spiriti dell’ antichità (e tra i quali Dante pone anche pagani e persino maomettani, secondo una scelta tutta personale) sono privilegi concessi alla sapienza e onorano la grandezza dell’ intelligenza umana, ma senza perdere di vista l’ insuperabile limite di queste. È un motivo che tornerà altre volte nella Commedia, e che Virgilio stesso incarna, trovandovi la propria autentica fisionomia. E anzi in Dante non c’è tanto l’ orgoglio preumanistico della grandezza della ragione, quanto la considerazione della sua relatività: la luce rischiara infatti una verità parziale, non riscatta la vera mancanza comune a tutte le anime del Limbo: l’ assenza della visione di Dio, che solo la Grazia, attraverso la fede, può offrire.

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