Italo Svevo

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Testo

Italo Svevo
La vita attuale è inquinata alle radici
In letteratura, l’autore Italo Svevo apre un nuovo mondo: egli fu uno dei primi che ebbe interesse nei confronti della profondità della psiche, dopo gli studi del filosofo Sigmund Freud, e della crisi del genere umano di quel periodo. La coscienza di uno stato di "malattia" cui si contrappone come terapia l’introspezione, è il tratto rilevante della personalità umana e artistica dello scrittore Italo Svevo.
Italo Svevo, pseudonimo di Ettore Schmitz, nacque a Trieste il 19 dicembre 1861 da Francesco Schmitz, commerciante in vetrami, e Allegra Moravia, entrambi di origine ebraica. Quinto di otto figli, trascorre un'agiata infanzia a Trieste, che abbandona per andare in collegio in Germania, dove studia materie legate alle attività commerciali.
Nel 1878, terminati gli studi, ritornò a Trieste, dove s’iscrisse all'Istituto superiore per il commercio Pasquale Revoltella, che frequentò per due anni. La sua reale aspirazione era divenire scrittore: nel 1880 diede inizio a una collaborazione con il giornale irredentista triestino "L'Indipendente", con articoli letterari e teatrali, firmati con lo pseudonimo Ettore Samigli. Nello stesso anno il fallimento del padre lo costrinse a cercar lavoro e a impiegarsi presso la succursale triestina della banca Union di Vienna. La nuova insoddisfacente occupazione lo portò a cercare un'evasione nella letteratura, frequentando la biblioteca civica e leggendo i classici italiani e i maggiori narratori francesi dell'Ottocento. In questo periodo scrive le prime novelle e il romanzo, Una vita, lucido racconto del dramma dell'inurbamento di un giovane di campagna che si concluderà con il suicidio, iniziato nell'88 e pubblicato a sue spese nel '92, anno in cui era morto suo padre, con il nome di Italo Svevo. Nel 1892 muore il padre e incontra la cugina Livia Veneziani, che sposerà quattro anni dopo, dapprima con rito civile, poi, dopo l’abiura alla religione ebraica, con quello cattolico. Essendo la moglie figlia di un industriale cattolico dirigente di una fabbrica di vernici sottomarine, Svevo entra a far parte di una solida e ricca borghesia, dalla quale avverte una distanza tale da redigere nel 1896 un Diario per la fidanzata, nel tentativo di colmare la distanza attraverso l'educazione della fidanzata all'inquietudine intellettuale.
Nel 1898 pubblica a puntate sul giornale triestino “L’Indipendente” il suo secondo romanzo, Senilità, che poi stampa anche in volume a proprie spese. L'insuccesso del romanzo e il matrimonio lo allontanano dalla letteratura, e nel 1899 entra a far parte della ditta del suocero: nella nuova veste di uomo d'affari compie lunghi viaggi in Francia e in Inghilterra. Nel 1905 a Trieste conosce Joyce, che insegna inglese alla Berlitz School e gli dà lezioni d'inglese: l'amicizia con lo scrittore irlandese e la curiosità da questi manifestata per le sue opere mantengono viva la sua passione per la letteratura. Poco dopo Svevo comincia ad appassionarsi al pensiero di Freud, e dopo essere venuto a conoscenza delle sue teorie, induce il cognato Bruno Veneziani a sottoporsi a terapia e a rivolgersi direttamente al fondatore della psicoanalisi a Vienna.
Allo scoppio della guerra, egli rimase a Trieste a occuparsi dell’azienda di famiglia. Nel 1919 si apre la fase di ritorno alla letteratura. Nel 1923 viene pubblicato La coscienza di Zeno: dopo il disinteresse iniziale manifestatosi in Italia per questo romanzo, Joyce, che al tempo viveva a Parigi, si adoperò per farlo conoscere fra i critici francesi, mentre in Italia la sua grandezza veniva riconosciuta dal giovane Eugenio Montale, con cui strinse una grande amicizia.
Nel 1927 tiene una conferenza su Joyce a Milano e pubblica una nuova edizione di Senilità. Ormai in condizione di salute malferma, ebbe un incidente d'auto al ritorno da Bormio: morì il 13 settembre 1928 in seguito a complicazioni cardio-respiratorie.
Il riconoscimento della sua opera fu così tardivo che, sebbene già negli anni '30 i critici ne avessero riconosciuta l'importanza, solo dopo gli anni cinquanta fu conosciuto dal grande pubblico.
Nella cultura di Svevo confluiscono filoni di pensiero contraddittori e, a prima vista, difficilmente conciliabili: da un lato il positivismo, la lezione di Darwin, il marxismo; dall’altro il pensiero negativo di Schopenhauer e di Nietzsche. Va registrata inoltre l’evidente influenza di Freud. Ma questi spunti contraddittori sono in realtà assimilati da Svevo in un modo originalmente coerente: lo scrittore triestino assume dai diversi pensatori gli elementi critici e gli strumenti analitici e conoscitivi piuttosto che l’ideologia complessiva. Infatti, Svevo condivise con Darwin, con il positivismo in genere e con Freud, la propensione all'utilizzo di metodi scientifici di conoscenza e il rifiuto di una visione metafisica, spiritualistica, senza però accettare la fiducia darwiniana nel progresso e la presunzione del positivismo di fare della scienza una base oggettiva e indiscutibile del sapere. Stessa selezione aveva compiuto anche nei confronti del pensiero di Schopenhauer, dal quale imparò a osservare i caratteri della volontà umana, a verificare come ideali e programmi siano determinati non da motivazioni razionali, ma da diversi orientamenti della volontà, i quali spingono poi gli uomini fino a ingannare se stessi e a rimanere prigionieri delle proprie illusioni: se nei suoi romanzi Svevo mira sempre a smascherare gli autoinganni dei suoi personaggi e a smontare gli alibi psicologici che essi si costruiscono, dipende certo dalla forte influenza del filosofo. Quanto a Nietzsche e Freud, per il poeta il primo è il teorico della pluralità dell’io, anticipatore di Freud, e il critico spietato dei valori borghesi, non il creatore di miti dionisiaci; il secondo è per lui un maestro nell’analisi della costitutiva ambiguità dell’io, nella demistificazione delle razionalizzazioni ideologiche con cui l’individuo giustifica la ricerca inconscia del piacere, nell’impostazione razionalistica e materialistica dello studio dell’inconscio. Egli, comunque accetta la psicoanalisi come tecnica di conoscenza, ma la respinge sia come visione totalizzante della vita (o ideologia), sia come terapia medica.
Anche sul piano del gusto letterario e delle scelte di poetica Svevo muove da maestri diversi: da un lato i realisti e i naturalisti (Balzac, Flaubert e Zola); dall'altro invece Bourget, creatore del romanzo psicologico e Dostoevskij, che aveva scandagliato le piaghe più riposte della psiche umana.
Nell'ambito della letteratura italiana l'opera di Svevo segna proprio il trapasso dal verismo a una nuova visione e descrizione del reale, più analitica e introversa, svincolata da certe cristallizzazioni tradizionalmente presenti nella narrativa, quali il personaggio, le ordinate categorie temporali, l'univocità degli eventi: si tratta naturalmente di un'acquisizione progressiva, poco visibile nel suo primo libro, nettissima nella Coscienza di Zeno.
I dati realistici - la raffigurazione dei vari ceti (borghesi o popolari che siano), la rappresentazione dell'ambiente, le descrizioni degli accadimenti - vanno incontro, nelle pagine di Svevo, a una crescente interiorizzazione, vengono cioè usati sempre più come specchi per chiarire i complessi e contraddittori moti della coscienza. Al centro delle storie l'autore pone sempre un solo personaggio, al quale gli altri fan da coro, per lo più antagonista: un individuo abulico e infelice, incapace di affrontare la realtà e che a essa costantemente soccombe, ma che nello stesso tempo tenta di nascondere a se stesso la propria inettitudine, sognando evasioni, cercando diversivi, giustificazioni e compromessi. Nell'analizzare questi processi, l'inconscio, le sue canalizzazioni e le sue mascherature, Svevo smonta l'io del protagonista, rivelando ironicamente, e talora comicamente, le non semplici stratificazioni della psiche, tutta la sua instabilità, in cui passato e presente, ricordi e desideri s’intrecciano reciprocamente. Ma questa indagine è anche carica di un affetto dolente, quasi che l'autore volesse salvare dall'estrema umiliazione della condanna il suo eroe negativo, che è in fondo il risvolto irredimibile di noi stessi, e la cui malattia è da assimilare alla crisi di un'intera società.
Gli eroi sveviani che si oppongono a un sistema che spersonalizza e soffoca ogni aspirazione (parallelismo con Pirandello) non possono che uscire sconfitti dalla loro lotta, costatando la loro malattia, la loro inettitudine e la loro impotenza. Il primo romanzo, Una vita, presenta la storia di Alfonso Nitti, un uomo inetto, incapace di affrontare la vita tanto da rifugiarsi nella letteratura. Emilio Brentani, il protagonista di Senilità presenta uno stato d’animo senile, che nega la possibilità di sognare: il personaggio, riflessivo e titubante, si esclude volontariamente dalle gioie della vita; il suo scontro con la società si conclude nell’incapacità di vivere con gli altri, nell’isolamento e nella solitudine.
Ma è il terzo romanzo, La coscienza di Zeno, il capolavoro dell’autore, in cui il protagonista questa volta riesce a superare la malattia e il complesso di inferiorità. Esso apparve ben venticinque anni dopo Senilità, nel 1923, e per questo motivo differisce molto dai due romanzi precedenti: quelli furono anni cruciali non solo per lo scrittore, ma anche per la società europea, si pensi solo al fatto che si era verificato il cataclisma della guerra mondiale, che aveva realmente chiuso un'epoca, e, sul piano culturale, si era assistito all'imporsi di correnti filosofiche che superavano definitivamente il positivismo e all'affacciarsi della teoria della relatività.
Svevo abbandona il modulo ottocentesco del romanzo narrato da una voce anonima ed esterna alla vicenda: La coscienza di Zeno è strutturato in sette capitoli (Preambolo, Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale, Psico – analisi), preceduti da una Prefazione e tutti, eccetto la Prefazione, sono scritti in prima persona dal protagonista Zeno Cosini.
Il romanzo è presentato nella Prefazione dal "dottor S.", analista di Zeno Cosini, come un originale, quanto non ortodosso, metodo di analisi rivelatosi fallimentare, soprattutto dopo l'abbandono del trattamento operato da Zeno.
A parte questo capitolo iniziale tutto il resto della narrazione è compiuta da Zeno, il quale è quindi protagonista-narratore: tutto il racconto passa attraverso il suo sguardo, che però non è uno sguardo qualunque, egli infatti è in cura dallo psicanalista perché è un nevrotico. La nevrosi è una malattia che porta a operare una forte rimozione, cioè a eliminare dalla coscienza gli eventi più traumatizzanti: egli per questo non potrà mai essere un testimone attendibile degli avvenimenti legati alla sua malattia.
Il tempo entro cui il romanzo si colloca non ha una connotazione ben precisa; i fatti non si susseguono cronologicamente e secondo uno schema lineare. Spesso il passato ripercorre le strade del pensiero di Zeno e si confonde con il presente formando un unico impasto non scindibile. Il risultato, oltre a rappresentare un’altra delle novità apportate all’universo letterario da La coscienza di Zeno, è anche ciò che Svevo definisce «tempo misto».
Il protagonista del libro è, come già detto Zeno Cosini, un ricco commerciante triestino che vive di malavoglia con i proventi di un'azienda commerciale, per volere del padre. Arrivato all'età di cinquantasette anni, Zeno decide di intraprendere una terapia psicoanalitica per liberarsi da vari problemi e complessi che lo affliggono, per uscire dal vizio del fumo e dalla "malattia" che lo tormenta. Lo psicanalista, chiamato nel libro Dottor S., gli consiglia di scrivere un diario sulla sua vita, ripercorrendone gli episodi salienti. Attraverso essi si disegna la figura di un uomo inetto alla vita, "malato" di una malattia morale che spegne ogni impulso all'azione e qualsiasi slancio vitale o ideale. Zeno Cosini è un uomo che vive in un'indifferenza totale: invece di vivere la sua vita, è quest'ultima che lo travolge decidendo per lui il destino. Tipica in questo senso è la storia del suo matrimonio; la sua vita è fatta di decisioni prese e mai mantenute di cui sono simbolo le tante "ultime" sigarette fumate: ogni volta egli si propone di mettere fine al suo vizio ma trova sempre la scusa per fumare un'ulteriore ultima sigaretta. Il capitolo, intitolato "la morte di mio padre" è l'analisi di un difficile rapporto, fatto spesso di silenzi e malintesi, fino all'ultimo, quell’estremo colloquio, quando in punto di morte il padre, avendo male interpretato un gesto del figlio, lo colpisce con uno schiaffo; un equivoco che pone un doloroso sigillo alla vicenda. Zeno passa poi a narrare la storia del suo matrimonio e di come, innamoratosi di una delle tre sorelle Malfenti, Ada, si trovi poi, passivamente, a sposare quella meno desiderata, Augusta. A quest'ultima Zeno rimane comunque legato da un tiepido ma sincero affetto, installandosi nella comodità e nella sicurezza regolata dalla vita familiare. Questo non gli impedisce di trovarsi un'amante: un'avventura insignificante con una certa Carla, che in seguito lo abbandonerà per sposare un maestro di musica che Zeno stesso le aveva presentato. Di Augusta sappiamo solo ciò che Zeno ci ha voluto comunicare. Ad esempio la prima descrizione fisica di Augusta risente moltissimo della situazione psicologica in cui si trova Zeno quando la vede per la prima volta, da lui immaginata bellissima e deluso rispetto ai suoi sogni. In seguito la bruttezza di Augusta viene ridimensionata in quanto Zeno capisce che quella donna che aveva sposato quasi per dispetto, dopo essere stato rifiutato dalle due sorelle molto più affascinanti sarebbe stata l'unica possibile compagna della sua vita. La presenza di Augusta s’intuisce dietro tutti i momenti della vita di Zeno. Già dalla sua prima apparizione, Augusta è la guida per il recupero della salute del marito; infatti, è lei che fa rinchiudere Zeno in una casa di cura, per farlo guarire dal vizio del fumo. La saggezza di Augusta viene però via via ridimensionata da successivi giudizi che Zeno dà su di lei, fino a sembrare un miscuglio di egoismo e di superficialità molto simili ad una malattia morale. Comunque la vita di Augusta si svolge completamente all'ombra di Zeno: ogni suo gesto serve a rendere più dolce il "nido" dove i due trascorrono la loro vita in comune. Invece nel romanzo Ada svolge il ruolo di antagonista di Zeno; infatti è l'unico personaggio che si oppone ai suoi piani. Raccontando il suo primo incontro con Ada, Zeno sottolinea lo strano rapporto che subito si crea con quella donna, prima ancora di conoscerla. Mentre Augusta accetta Zeno così com'è, Ada lo rifiuta perché lo sente molto diverso da sé e incapace di cambiare. Zeno è colpito soprattutto dalla bellezza della donna che non è soltanto esteriore ma anche interiore. Proprio quella bellezza sembra a Zeno una garanzia per il recupero della salute. Carla, la terza donna che entra nella sua vita, dopo Ada e Augusta, compare nel romanzo in modo del tutto casuale. Di lei sono date subito due informazioni: è "una povera fanciulla", orfana di padre e mantenuta dalla carità pubblica, ed è "bellissima". La figura di Carla non è isolata ma collegata a un'altra donna, Augusta, con la quale è messa spesso a confronto. Nonostante Zeno voglia considerare la sua relazione con Carla una semplice "avventura" per "salvarsi dal tedio" della sua vita coniugale, Carla stringe con Zeno una relazione forte. Ben presto il desiderio fisico si trasforma in una vera passione, anche se Zeno si accorgerà di questa passione troppo tardi; alla descrizione fisica di Carla è dedicata molta attenzione. Innanzitutto viene descritto il povero appartamento della vecchia madre. In confronto a tanto squallore la fresca bellezza di Carla viene messa ancora più in luce. Al momento dell'addio Carla non è più la ragazza insicura e desiderosa di protezione di una volta, ma una donna energica e dignitosa. Ma nel cuore di Zeno non rimarrà tanto quest'immagine di Carla quanto quella di "Carla, la dolce, la buona", da rimpiangere con "lacrime amarissime". La "storia di un'associazione commerciale" è la narrazione dei rapporti tra il protagonista e Guido Speier, divenuto suo cognato. Guido è il rivale di Zeno nell'amore per Ada. Egli ha tutte quelle doti di cui invece Zeno è privo: la bellezza e l'eleganza della persona, la scioltezza nel parlare un buon italiano, l'eccellente esecuzione musicale come violinista. Tutte queste qualità unite alla giovinezza e alla ricchezza, fanno di Guido una persona vincente. Invece agli occhi di Zeno, le vere caratteristiche di Guido sono la mancanza di intelligenza, la meschinità e la vanità. Dopo un periodo di reciproca diffidenza, causata anche dalla gelosia di Zeno perché Guido gli ha sottratto Ada, i due diventano amici; l'azienda che costruiscono ben presto va in completa rovina, a causa dell'inadeguatezza e la disattenzione dell'uno e la neghittosità, l'incertezza del secondo; Guido finge un suicido per salvare l'onore e ottenere un ulteriore prestito dalla famiglia della moglie: purtroppo sbaglia le dosi del sonnifero e per errore, muore davvero. Occupandosi dell'azienda e dei debiti del defunto cognato, Zeno si avvicina nuovamente ad Ada, e fra loro sembra rinascere qualche sentimento: ma è solo gioco della memoria, che ancora una volta non raggiunge la realtà. Nelle ultime pagine il protagonista dichiara di voler abbandonare la terapia psicoanalitica, fonte di nuove malattie dell'animo (infatti, nella finzione del romanzo è lo psicoanalista che pubblica questo diario, per vendicarsi del suo deluso paziente) incapace di restituire all'uomo la salute, che è un bene che questo non potrà mai raggiungere.
Tutto il romanzo si riduce e si concentra tutto nel tema-simbolo dell’ultima sigaretta, della lotta vana contro un vizio mai vinto. Zeno trova in questo vizio le cause della sua presunta malattia di cui crede di essere affetto. Il protagonista vorrebbe uscire dal vizio del fumo, ma non vi riesce perché non vuole liberarsi dalla malattia, che è per lui l’unica condizione esistenziale.
Da bambino usava ogni astuzia per procurarsi di nascosto le sigarette: fin qui il percorso è comune a tutti i ragazzi che, nell’ansia di crescere e sentirsi adulti, adottano e parafrasano atteggiamenti che per loro hanno un che di vissuto, imitano "le cose dei grandi". Di norma la crescita aiuta a stabilizzarsi: per il giovane Zeno, invece, il fumo si trasforma in ossessione, in desiderio morboso, anomale, che va curato. Quando il piacere della sigaretta travalica i confini del lecito, prende a consultare medici luminari, ma le cure non sortiranno altro effetto che esacerbare il desiderio. Nel capitolo in cui elabora il felice espediente letterario dell’"ultima sigaretta", Svevo compie anche una lucida disamina, secondo i canoni psicanalitici, della sua ossessione: e non a caso inserisce nel contesto il raffronto con il suo approccio nei confronti delle donne, che non lo attirano per quello che sono e che comunicano nel loro insieme, ma gli piacciono "a pezzi", o nel suo porsi di fronte all’attività, al lavoro, all’impegno quotidiano. Tutti questi aspetti della realtà per gli altri comuni mortali costituiscono la prassi di ogni giorno, per Zeno sono fonte di costante conflitto con se stesso e il prossimo. La ricerca della salute e la conseguente tendenza alla normalità diventano la guerra di Zeno; le battaglie, ogni volta perdute, sono contrassegnate, come si conviene, con una data: quella dell’ultima sigaretta.
Con i metodi usati per procurarsi le prime sigarette, si capisce che quella del fumo non è un’innocente mania, ma ha le radici nel nodo centrale e aggrovigliato della sua personalità. Senza avvedersene, Zeno indica anche le cause remote e profonde del suo vizio e quindi della sua cosiddetta malattia: rubando al padre prima i soldi delle sigarette, poi i mezzi sigari accesi da lui e lasciati in giro, indica come il giovane Zeno senta il bisogno di appropriarsi della forza virile del padre (rappresentata simbolicamente dal dominio del fuoco, senza contare la forma fallica dei sigari), sottraendola al detentore e sostituendosi a lui. Per questo continua a fumare nonostante il male fisico: fumare significa arrivare alla dignità di uomo, schiacciata e inibita dalla forza paterna. Ma la rivalità virile col padre implica impulsi aggressivi nei suoi confronti, che si ritorcono in sensi di colpa. I quali a loro volta si concentrano tutti intorno all’oggetto simbolico, il fumo, che per questo è indicato da Zeno come causa di tutti i suoi mali. Il senso di colpa prende forma nel divieto che Zeno vuole imporsi. In lui ci sono due persone in lotta tra loro, una che comanda e l’altra che è schiava. Colei che comanda non è altro che il riflesso del padre, autorevole e terrificante, quella che Freud chiama il Super-io. Di qui il piacere continuo di sfidare questo padrone autoritario e di rivendicare la propria libertà. Zeno che vuole e non riesce a smettere di fumare rappresenta questo conflitto tra le due persone. Fumare diventa un gesto ambiguo, duplice, di rivendicazione di libertà e ricerca sì un motivo per essere punito (o punirsi). E’ il senso di colpa che spinge Zeno a vedere nel fumo la causa della sua malattia e della sua inettitudine. Non fumare più vorrebbe dire non solo essere innocente da ogni colpa, ma soprattutto non essere più dipendente dal fantasma introiettato del padre, essere un uomo nel vero e proprio senso della parola, autonomo, maturo, padrone di sé.

Esempio



  


  1. un ti interiessa

    la salute malata di augusta

  2. marta

    le prime sigarette di italo svevo