Ignazio Silone

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Testo

IGNAZIO SILONE

Vita

Ignazio Silone, pseudonimo di Secondino Tranquilli, nasce a Pescina, in provincia dell'Aquila, il l' maggio del 1900, da Paolo Tranquilli, contadino, e Marianna Delli Quadri, tessitrice. Le condizioni della famiglia Tranquilli sono discretamente agiate. Dall'atteggiamento anticonformista del padre, che tra l'altro si oppone pubblicamente alla candidatura del principe Torlonia per le elezioni politiche del 1907, gli deriva il primo insegnamento contrario ad ogni compromesso e rivolto piuttosto a scegliere i poveri come compagni di vita, in una società " vecchia, stanca, esaurita " nelle sue strutture ancora feudali, in cui vige soprattutto la legge del " badare ai fatti propri ", avallata perfino nella scuola e nella chiesa. Purtroppo il padre gli muore molto presto (1910) dopo un breve e sfortunato espatrio in Brasile. Qualche anno dopo gli muore anche un fratello, per i postumi d'un incidente, e la madre, tra le macerie della casa distrutta dal terremoto (gennaio 1915). Ebbe la possibilità di proseguire gli studi liceali presso un'istituto religioso di Reggio Calabria, ma non li portò a compimento per dedicarsi all'attività politica nelle file del Partito Socialista. In quegli anni, intanto, L'Italia partecipava alla prima guerra mondiale.

Rimasto senza famiglia, Silone va a vivere nel quartiere più povero del comune e comincia a frequentare la baracca, dove ha sede la Lega dei contadini. Ribelle all'autorità e animato da un profondo sentimento evangelico, il giovane Silone aveva deciso infatti di dedicare la sua vita alla redenzione sociale degli umili, e tra questi i poveri e analfabeti marsicani, veri e propri costretti a subire le violenze e i soprusi di strutture sociali arcaiche ed immutabili. Ha inizio, così, il suo apprendistato di militante rivoluzionario e sotto l'influsso di Lazzaro, incarnazione del cristiano autentico, del "cafone santo" si pone quindi dal lato di coloro che hanno fame e sete di giustizia. Questa scelta porta Silone a prenderete posizione contro la vecchia società, perché è disgustato dai soprusi della violenza dell'ipocrisia e comprende che l'unica soluzione è quella di schierarsi a loro fianco. Già nel 1917, a soli diciassette anni, aveva inviato alcuni articoli all' "Avanti" , in cui denunciava le indebite appropriazioni di fondi destinati al suo paese per la ricostruzione dopo il terremoto. Prende anche parte alle proteste contro l'entrata in guerra dell'Italia e viene processato per aver capeggiato una violenta manifestazione.
Finita la guerra, all’età di 17-18 anni, si trasferisce a Roma, dove entra a far parte della Gioventù Socialista, opponendosi al fascismo. Dopo essere stato uno dei principali esponenti ditale movimento, fu nel 1921 tra i fondatori del Partito Comunista italiano. L'anno dopo, i fascisti effettuarono la marcia su Roma, mentre Silone diventava il direttore del giornale romano "l'avanguardia" e il redattore del giornale triestino "Il Lavoratore" . Nel 1926, dopo la promulgazione delle leggi speciali e la soppressione di tutti i partiti ad eccezione di quello fascista, continuò a dedicarsi clandestinamente all'attività politica nonostante i rischi che ciò comportava. Ricercato dalla polizia politica, fu costretto a fuggire dall'Italia. Compie varie missioni all'estero, ma a causa delle persecuzioni fasciste, è costretto a vivere nella clandestinità, collaborando con Gramsci. In questi anni, per Silone, comincia a profilarsi la crisi e nel 1930 esce dal Partito Comunista per la sua opposizione alla politica di Stalin. Dopo alcuni periodi trascorsi in Francia e Spagna, si stabilì per un certo periodo in Unione Sovietica, dove assistette alle ultime drammatiche fasi della lotta politica all'interno del Comintern, conclusasi con la vittoria di Stalin e l'espulsione dei suoi antagonisti Trotkij e Zinonev. È questo il periodo in cui i comunisti italiani si dividono e Togliatti espelle dal partito alcuni dirigenti, nell'illusione che la rivolta operaia contro il fascismo sia imminente e destinata alla vittoria. Da questo momento Silone sarà un socialista cristiano, non più marxsista. Nello stesso periodo, si compie un altro dramma nella tormentata vita dello scrittore: suo fratello più giovane, l'ultimo superstite della sua famiglia, viene arrestato ingiustamente nell’aprile del 1928 con l'accusa di appartenere al Partito Comunista illegale e di essere uno degli organizzatori dell’attentato al re Vittorio Emanuele III alla fiera campionaria di Milano: benché riconosciuto innocente, Romolo fu condannato a 12 anni di reclusione perché si dichiarò comunista in omaggio al fratello esule, ma morirà appena quattro anni dopo, nel carcere di Procida, per le gravi torture subite dalla polizia fascista.
Quando il fratello venne arrestato, Silone aveva già scelto la via dell'esilio in Svizzera, dove vi rimane per molti anni per proseguire all'estero la lotta antifascista. Silone, è deciso ormai a condurre una vita da "socialista senza partito e cristiano senza chiesa".
Ammalatosi gravemente di tisi, Silone chiede d'essere esonerato da ogni attività di partito (primavera 1929). In effetti, tra il 1929 e il 1930, i suoi rapporti con l'Ufficio di Segreteria si fanno via via sempre più tesi, a causa soprattutto delle direttive imposte da Mosca in ordine al progetto di rivoluzione proletaria in Italia e nel mondo. Silone viene accusato di trotzkismo. Inevitabile, a questo punto, la rottura col partito.
L'uscita dal Partito, la sua sola possibile «uscita di sicurezza» è per lui «una data assai triste, un grave lutto», il lutto della sua gioventù. In realtà, tuttavia, la sua vera «uscita di sicurezza» diviene la scrittura, in quanto eletta a strumento per «cercare di capire e di far capire»: il solo capace di ricomporre e dare senso alla propria esistenza.
Anche negli anni dell'esilio rimase legato a gruppi antifascisti all'estero, occupandosi altresì dell'organizzazione in Francia in Svizzera di gruppi socialisti italiani. Trasferitosi a Davos, in Svizzera, pubblica vari scritti degli immigrati, scrive molti articoli e saggi di interesse sul fascismo italiano. Esordì come romanziere nel 1933 col romanzo più famoso"Fontamara", in cui racconta la squallida vita dei di un piccolo borgo della Marsica, oppressi dalle sopraffazioni e dagli imbrogli di un potente speculatore appoggiato dalle autorità fasciste del luogo. L'opera scritta in tedesco ma poi tradotta in ventotto lingue, ebbe un grande successo di pubblico in tutta Europa, mostrando un ritratto drammatico e autentico dell'Italia dell'epoca, al di là dell'oleografica immagine che voleva accreditarne il regime. Sin da questo primo romanzo Silone si caratterizza come autore "impegnato" in cui la dimensione etico-politica prevale motivazioni di carattere squisitamente letterario. Lo stesso autore in un suo intervento ha messo in luce questa componente essenziale della sua opera:
"lo scrivere non è stato, e non poteva essere per me, salvo che in qualche raro momento di grazia, un sereno godimento estetico, ma la penosa e solitaria continuazione di una lotta, dopo essermi separato da compagni assai cari. Le difficoltà con cui sono talvolta alle prese nell' esprimermi non provengono certamente dall'inosservanza delle famose regole del bello scrivere, ma da una coscienza che stenta a rimarginare alcune nascoste ferite, forse inguaribili."
In Fontamara incontriamo il primo eroe anticonformista di Silone, Bernardo Viola, sconfitto nel suo tentativo di cambiare le cose e pronto a scegliere volontariamente la via del carcere pur di rivendicare in questa maniera paradossale la sua libertà. E' il romanzo più noto e significativo di Silone ma verrà pubblicato in Italia solo nel 1949, dopo avere già ottenuto all'estero alti consensi. Le vicende narrate, che si svolgono in un villaggio montano della Marsica , rappresentano l'eterna lotta tra i contadini poveri (i disperati "cafoni") e il potere, detenuto adesso dai fascisti, nuovi padroni e oppressori dai quali difendersi. Anche se non mancano elementi di carattere simbolico come l'acqua, che i contadini sono costretti a proteggere dalle ripetute espropriazioni, l'opera si colloca all'interno di un filone di narrativa impegnata e "realistica", che esprime una forte carica di indignazione civile e morale. Dopo Bernardo Viola sarà il turno di Pietro Spina, il carismatico protagonista dei due successivi romanzi, Vino e pane e Il seme sotto la neve, autentica opera "tolstojana" della lotta per l'affermazione della giustizia e la difesa degli umili. Allontanatosi definitivamente dal comunismo e dall'idea marxista, Silone manifesta in questi due romanzi la "convinzione dell'identità, alla radice, di socialismo e cristianesimo come sentimento elementare di fraternità e istintivo attaccamento alla povera gente". Questa volontà di privilegiare gli aspetti sociali e libertari della religione cristiana, radicalmente antitetica alle posizioni della "Chiesa ufficiale", rappresenta l'altro aspettto della coraggiosa scelta anticonformista di Silone, che scontò la sua indipendenza del pensiero sul completo isolamento nella vita politica e culturale italiana del secondo dopoguerra. Per tale motivo egli amava definirsi "un socialista senza partito e un cristiano senza chiesa".
Verso lo scadere degli anni '30, nel momento stesso in cui si profilano più insistenti le minacce della seconda guerra mondiale, Silone sente il bisogno di riaccostarsi alla politica militante e accetta l'incarico di dirigere in Svizzerail Centro estero del PSI, provvedendo subito a stringere rapporti con i gruppi di resistenza sorti in vari paesi, mediante la diffusione della stampa clandestina contro i regimi dittatoriali. Nel quindicinale «L'avvenire dei Lavoratori», da lui diretto, pubblica l'eccezionale documento sul Terzo Fronte, con le tredici tesi rivolte a creare una Federazione europea e a rinsaldare gli ideali democratici. Pur dopo il formale divieto del governo federale di occuparsi di politica, egli continua e incrementa la sua attività con pubblici manifesti, conferenze, interviste, spostandosi da una città all'altra (Zurigo, Ginevra, Berna, Lugano, Locarno).
Rientrato in Italia nel 1944, fu il direttore del quotidiano socialista "Avanti" e deputato alla costituente. Nel febbraio del 1949, con altri gruppi di socialisti indipendenti si adopera per la fondazione del Partito Socialista Unitario (PSU), che, richiamandosi agli ideali della " Terza forza ", si batte per un'Europa libera dalle interferenze della Russia e dell'America. Ma, dopo qualche mese di vita, questo partito, costretto a sciogliersi per difficoltà organizzative, confluisce nel partito socialdemocratico e Silone, amareggiato, si allontana definitivamente dalla politica per seguire con maggiore libertà la sua vocazione di scrittore.
Congedatosi definitivamente dalla politica dei partiti, Silone riprende la sua attività letteraria e in un decennio scrive tre nuovi romanzi, che da un lato si riallacciano al mondo dell'esilio dall'altro se ne distaccano e avviano un nuovo discorso sulla condizione umana: Una manciata di more (1952), drammatica testimonianza della parallela crisi spirituale di un uomo politico e di un uomo di chiesa, con a protagonista un intellettuale di sinistra in rotta col suo partito; Il segreto di Luca (1966), con a soggetto la vicenda misteriosa di un " amore impossibile "; La volpe e le camelie (1960), con una storia di spie fasciste sulle calcagna degli esuli italiani in Svizzera. In quest'ultima opera, tuttavia, non assistiamo " a una meccanica spartizioni tra buoni e cattivi, che anzi ogni filo della vicenda converge in un epilogo inteso a ravvisare, pietosamente, una comune umanità di perseguitati e persecutori; al riscatto, attraverso la morte di colui che impersona lo spionaggio persecutorio.
La compassione che sostituisce all'ira: il senso profondo della storia narrata in "La volpe e le camelie" è in questo cristiano sentimento di pietà che lega l'uno all'altro i personaggi, siano o no dalla parte dell'autore". Il momento culminante della testimonianza ideologica e cristiana di Silone è rappresentato dall'opera teatrale "L'avventura di un povero cristiano" (1968), in cui viene rappresentata la tormentata e sofferta esperienza del mistico abruzzese medievale Pietro Angelerio dal Morrone, che divenuto papa con il nome di Celestino V si rifiuta di sacrificare la propria integrità spirituale ai compromessi della sua funzione istituzionale:
"Per ciò che mi riguarda, sento che, se cominciassi a prediligere il cavallo all'asino, le belle vesti di seta al panno ruvido, la tavola riccamente imbandita all'umile desco senza tovaglia, finirei col pensare e sentire che quelli che vanno a cavallo, vivono nei salotti banchettano. Ora, per conto mio non penso che un'autorità religiosa abbia assolutamente bisogno di lusso per ispirare rispetto. Comunque, anche nella nuova condizione, io non intendo separarmi dal modo di vivere della povera gente, a cui appartengo".
Disgustato dagli intrighi e dalle compromissioni tra l'istituzione ecclesiastica e il potere politico, egli alla fine compie il "gran rifiuto", dimettendosi dal pontificato. Tale scelta, che all'epoca venne disprezzata da Dante Alighieri come manifestazione di colpevole ignavia, viene invece approvata da Silone, che vede in essa una coraggiosa affermazione della superiorità degli ideali alle istituzioni. In questo senso "L'avventura di un povero cristiano" è strettamente legata al saggio "L'uscita di sicurezza" ove Silone spiegò le motivazioni che lo indussero ad abbandonare il comunismo ormai in preda alla degenerazione stalinista. La costante preoccupazione di carattere morale che percorre la narrativa siloniana, ha spinto la maggior parte dei critici a privilegiare in essa l'aspetto contenutistico a scapito di quello formale, ritenuto a torto meno meritevole di interesse. In realtà lo stile di Silone, è il frutto di un'attenta ricerca stilistica tesa a conciliare, anche a livello linguistico, l'espressione di alte idealità politiche e religiose con l'ambientazione prevalentemente regionalistica dei romanzi, che hanno di solito come protagonisti degli umili contadini abruzzesi. Negli ultimi anni della sua vita di scrittore si dedicò ancora alla narrativa con il romanzo "Severina" (1981) e alla saggistica con le "Memorie dal carcere svizzero" (1979). dopo una lunga malattia, Silone muore il 22 agosto in una clinica di Ginevra, fulminato da un'attacco celebrale. Viene sepolto a Piscina dei Marsi, "ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo", senza epigrafe sulla tomba, come lui volle.

Opere
Si può parlare dei romanzi scritti da Ignazio Silone negli anni dell’esilio, dopo la sua uscita dal partito comunista, come se essi fossero soltanto il frutto della delusione, della solitudine. Pensiamo che la separazione dal partito Comunista sia stata in Silone soltanto l’occasione di una scoperta, quella di una vocazione che era rimasta compressa dall’attività politica, ma che in fondo traeva vita dalla stessa origine: l’appassionata solidarietà di un giovane intellettuale del Sud italiano per la condizione umana della sua gente e soprattutto il sentimento profondo di una rivolta dell’uomo in quanto uomo. L’uscita dal partito comunista non segnava, infatti, per Silone, come per tanti altri che si erano trovati nella sua stessa situazione, un fallimento come uomo e rivoluzionario. La sua rivolta rimaneva integra, anche se risaliva in primo piano un suo contenuto religioso, dal quale in ogni modo il passaggio attraverso l’ideologia aveva espunto le ragioni della fede: la religiosità di Silone rimane una religiosità laica, immanentistica. Possiamo notare nelle sue opere uno svolgersi della propria narrativa; da “Fontamara” a “Vino e Pane”, a “Il seme sotto la neve”: il primo romanzo è una narrazione corale, un vilento affresco di vita popolare nel quale è trasfusa tutta la passione politico-sociale di Silone, la sua ribellione contro un certo tipo di società costituita. Nei romanzi successivi la sua vicenda personale si trasfonde nell’uno o nell’altro dei personaggi di primo piano e principalmente in Pietro Spina, il rivoluzionario di origine borghese, con una vocazione religiosa che non si smentisce mai, anche se non si traduce più in una fede, che coinvolga, bene o male, il suo mondo borghese nella propria vicenda, sia pure con personaggi a volte emblematici che sono la proiezione di situazioni spirituali e ideali dello scrittore, o di una sua personale vicenda. Il popolo contadino è l’unico vero protagonista di “Fontamara” mentre gli altri successivi romanzi hanno protagonisti e personaggi che si staccano dal grande sfondo della vita popolare.
Letteratura e testimonianza nella narrativa di Silone
Il problema letterario che pone l'opera di Silone, al di là della valutazione estetica dell'opera come fatto d'arte, sembra riassumersi nella determinazione della preponderanza o meno dell'imperativo morale e civile. In altre parole, fino a che punto il mondo creato dalla fantasia di Silone abbia soggiaciuto ad una funzione strumentale rispetto allo scopo etico e politico di denunciare e testimoniare una condizione dell'uomo e di combattere una battaglia. Chi conosce l'opera di Silone, compresa la sua folta attività pubblicistica, sa che questo scopo è considerato dallo scrittore come il più nobile e alto, tale da condizionare, religiosamente, non solo la vita dell'uomo ma anche quelle categorie letterarie che la storia ci ha tramandato come sovrane. Esiste in realtà, per Silone, un'azione politica che può esplicarsi anche letterariamente ed è quella che poggiando su un intrepido sentimento morale sceglie soprattutto i moduli saggistici dell'indagine e della denuncia, li isola oppure li cala nella narrativa. I romanzi di Silone sono innanzi tutto difficilmente collocabili in seno alle correnti letterarie tradizionali. È anche evidente che si staccano da ogni retroterra, pur remoto, di meridionalismo più o meno tinto di colori veristici, o qua e là lo sfiorano, ma stemperandosi piuttosto in risucchi che sembrano condurre ad un generico naturalismo ottocentesco. Del resto Silone, con la perentorietà che lo distingue, fu molto esplicito sulle difficoltà d'espressione e sulle regole del bello scrivere in un brano di Uscita di sicurezza, che può essere accolto come basilare dichiarazione di poetica. Egli parlò non solo della sua «assoluta necessità di testimoniare» ma anche del «bisogno inderogabile» di liberarsi da una «ossessione» e «di affermare il senso e i limiti di una dolorosa ma definitiva rottura». Si tratta, infatti, tutt'assieme, dell'imperativo morale che guida la sua letteratura e che esilia o supera le soluzioni formali che la narrativa, per norma intrinseca, richiederebbe. Nessun «sereno godimento estetico» infatti, quel godimento tutto romantico della nativa espressione, animata dagli antichi demoni dell'invenzione e della fantasia, ma la faticosa, ogni momento recuperata e richiamata, urgenza della «testimonianza», la verità insomma, storicamente perseguibile, di una condizione umana, di fatti accaduti, di imperdonabili ingiustizie sempre incombenti. Da cui le rotture nella narrazione, ricondotta ogni volta all'urgenza di quella verità, non importa se con mutamenti strutturali, deviazioni stilistiche o moduli diversi.

Poetica
Scrivere ha significato per me assoluta necessità di testimoniare, bisogno inderogabile di liberarmi da un’ossessione.
Lo scrivere diventa per questa via, nella ricerca di una ragione e di una giustificazione al nostro agire, anche la liberazione da un’ossessione e, insieme, testimonianza di una verità acquisita attraverso l’esperienza di vita.

Silone non ha sistemato la sua poetica in un coerente disegno di ragionamenti filosofici, ma ha chiarito la sua concezione dell’arte e annunciato i criteri informatori della sua opera di scrittori in una serie di osservazioni occasionali, premesse ad alcuni romanzi e drammi, o esposte in saggi, articoli, discorsi, interviste.
I problemi affrontati in questi documenti si possono indicare sommariamente nei seguenti:
il rapporto letteratura-politica o, più ampiamente, arte-società, e quindi l’impegno dello scrittore e, strettamente collegata con esso, la sua funzione: il rapporto moralità-arte.
Silone vuole farci intendere questo: in lui la vocazione di scrittore si identifica con la vocazione sociale-politica, ma egli è ben lungi dal pretendere che anche per gli altri i due fatti vengano a coincidere. Silone afferma la totale libertà dell’individuo.
E’ dunque affermata l’autonomia dell’arte, condizione indispensabile per l’autenticità e validità dell’opera letteraria, così com’è proclamato il dovere che ha una società verso i suoi artisti di rispettarne la sincerità. Silone invita lo scrittore a un esame di coscienza, a cercare in sé i motivi di fondo del nichilismo della nostra epoca, nella quale l’intelligenza viene separata dalla morale, a mettere in discussione se stesso. Solo così lo scrittore potrà riprendere nelle società quella funzione di guida che ha spesso tradito, avido di popolarità e di successo, e che consiste nell’illuminare l’opinione pubblica sulle questioni da esso studiate e approfondite. Silone è convinto che la letteratura ha una sua dignità e potenza che deve conservare, e lo può soltanto a patto di non servire altra causa che quella della verità.
Per questa via è anche risolto, d’istinto, il problema del rapporto moralità-poesia, che si ristabilisce fra i due valori un circuito che pare interrotto da tanta letteratura contemporanea. E di natura sostanzialmente morale sono i termini stessi con cui Silone imposta e conduce tutto il suo discorso teorico: si parla di "dovere", "dovere morale" dello scrittore, e non di "obbligo", e si qualifica "umile e coraggioso" il servizio della verità. La letteratura, l’arte, come la cultura, sono pertanto ricollegate alla loro vera radice: l’eticità dell’artista.
L’oggetto dell’arte è ciò che lo scrittore sente con sincerità e con passione e conosce a fondo: il mondo dei suoi interessi, problemi, sentimenti.
Al centro dell’interesse siloniano è l’uomo nel suo rapporto con gli altri: rapporto difficile, spesso tragico, ma che coinvolge la nostra responsabilità di uomini d’oggi. Questo rapporto è studiato preferibilmente nell’ambiente che l’autore ha più familiare, in una "contrada" a lui "ben nota": la sua terra d’origine; ed è riflesso nelle situazioni dei personaggi dei romanzi e nelle reazioni del protagonista, in cui l’autore trasfonde tanta parte di sé e che rimane sostanzialmente lo stesso anche sotto nomi diversi e con quelle modifiche che il variare delle situazioni comporta e l’evolversi dello spirito dello scrittore impone.
Lo scrivere diventa, nella ricerca di una ragione e di una giustificazione al nostro agire, anche la liberazione da un’ossessione e, insieme, testimonianza di una verità acquisita attraverso l’esperienza di vita.
Non c'è dubbio che, nell'isolamento e nello stato d'animo che spinsero il primo Silone narratore a raccontare i fatti dolorosi della sua terra e a centrare nel suo modo di raccontare una protesta morale e civile, gli strumenti linguistici che gli si presentavano erano quelli della grande stagione del naturalismo e del verismo meridionale, l'eredità di Verga, di De Roberto, di Capuana, ma forse pure di una narrativa europea tradotta, forse Zola, forse Maupassant, forse Hamsun, forse Gorkij, ed è ben certo che egli non sia stato nemmeno scalfito, a quell'epoca, dal lavoro di approfondimento critico, di ricerca spirituale, di riscoperta della parola e dei suoi valori essenziali che è il retaggio più positivo della letteratura italiana tra le due guerre.
>.
Dunque, anche dove interviene l'ironia, il grottesco, la beffa, non sempre la narrativa di Silone punta nella sola direzione del bozzettismo paesano tradizionale, come sosteneva il Cecchi, né le stesse opere dell'esilio, Fontamara, Vino e pane, Il seme sotto la neve, potevano avere come unica ragione di popolarità presso gli stranieri il fatto che quei romanzi spiegavano loro il fascismo e l'antifascismo >.
Nella prefazione a Fontamara Silone afferma l'estraneità della lingua italiana dalla vita dei > della Marsica:

Esempio



  


  1. martina

    uffa se una persona scrive riassunto di "spediione punitiva" , perchè ti escono altri risultati? che me ne impoarta del riassunto di tutto il libro? io non lo so..