globalizzazione

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L’ECONOMIA MONDIALE VERSO LA “GLOBALIZZAZIONE”:QUALI I VANTAGGI E QUALI I RISCHI?
Una delle parole che ricorrono sempre più frequentemente nel lessico economico e politico contemporaneo è”GLOBALIZZAZIONE”. Il termine è usato per indicare la mondializzazione dell’economia ,il fatto cioè che,da alcuni decenni,si è andato affermando un mercato mondiale non solo di merci e materie prime,ma anche di capitali finanziari,d’imprese,di brevetti;tutto si vende e si compra e la crescita del capitale finanziario sta proprio nell’ampiezza e nel ritmo di queste gigantesche operazioni di mercato.Questo fenomeno ha creato un’economia globale aperta,che sfugge a qualunque controllo politico.
Si è imposta in questo modo ,una sempre più forte interdipendenza economica tra i Paesi di tutto il mondo,che ha coinciso anche con processi di più forte differenziazione nell’economia internazionale.
Si è infatti accentuato il divario tra i Paesi già sviluppati e quelli in via di sviluppo,e nelle stesse aree progredite sono emerse rilevanti diversità regionali.I fattori dell’interdipendenza possono essere cercati nello sviluppo poderoso dei sistemi di comunicazione,nella nuova organizzazione delle imprese,nell’integrazione dei mercati finanziari.
Il primo importante elemento del processso di crescita dell’interdipendenza economica è lo sviluppo delle reti di telecomunicazione.Al telefono e alle tecnologie telematiche è affidato un ruolo ormai preminente anche rispetto allo stesso trasporto fisico delle persone e degli oggetti.
Il secondo fattore di globalizzazione è dato dall’organizzazione e dalla struttura delle imprese.Già negli anni Sessanta del secolo scorso ,si erano sviluppate aziende”multinazionali”,che dislocavano sedi e processi produttivi in aree geografiche diverse ed erano in grado di trasferire ingenti capitali da un Paese all’altro senza subire rigidi controlli da parte delle singole autorità monetarie.Tutto questo ,però,riguardava allora solo un numero ritretto di aziende,collocate generalmente in posizione egenomica sul mercato.Negli anni Settanta,anni di crisi economica,il ricorso a processi di produzione distribuiti tra Paesi diversi si è largamente diffuso;anche aziende di medie dimensioni,europee e giapponesi oltre che americane,hanno decentrato parte dello proprie attività in quei Paesi del Terzo Mondo(dove la manodopera è a basso prezzo) e hanno puntato alla conquista di mercati lontani ,spinte dalla riduzione dei costi di comunicazione e di trasporto.Si è così sviluppata la tendenza a concentrare in alcune aree (generalmente i Paesi più avanzati)la fabbricazione dei prodotti di più alto valore tecnologico,mentre in altre,dove il costo della manodopera è più basso,è collocata la parte meno qualificata della lavorazione:l’assemblaggio.In alcuni settori si è inolt4re proceduto a fusioni e accordi tra imprese di Paesi o addirittura di continenti diversi.Si è di conseguenza accentuata la divisione del lavoro in senso ancor più penalizzate per i Paesi poveri del Terzo Mondo.
Il terzo importante fattore della globalizzazione dell’economia è rappresentato dall’integrazione progressiva dei mercati finanziari.Il ricorso alle tecnologie telematiche e la tendenza di molti governi a ridurre il controllo sui comportamenti delle istituzioni del settore(banche,Borse,assicurazioni)hanno fatto del sistema finanziario internazionale una realtà sostanzialmente unitaria.In pratica ogni operatore economico è diventato libero di trasferire capitali da Tokyo a New York o a Londra in tempo reale.
Come si è detto,lungo tutta la fase di grande prosperità attraversata dai Paesi più sviluppati,fino alla crisi petrolifera degli anni Settanta,l’economia mondiale aveva acquisito un carattere compiutamente internazionale,ma non ancora “transnazionale”.
Le singole aziende,pur commercializzando i propri prodotti in tutto il mondo,svolgevano la maggior parte della loro attività ancora prevalentemente all’interno dei confini dello Stato nazionale.Dalla fine degli anni Settanta questo scenario cominciò invece a cambiare,nella direzione di un’economia completamente globalizzata,segnata da una nuova divisione internazionale del lavoro,affollata di società multinazionali e compiutamente “transnazionali”.Grazie a una vera e propria rivoluzione tecnologica nel campo finanziario e delle comunicazioni,è stata resa infatti finalmente possibile la formazione di un unico,immenso mercato mondiale di beni e servizi.I computer,i satelliti,i cavi a fibre ottiche e le trasmissioni elettroniche ad alta velocità hanno permesso ai mercati mondiali di agire come un unico immenso organismo,in cui tutte le informazioni economiche(ma anche quelle politiche,culturali,di cronaca)possono raggiungere istantaneamante miliardi d’individui coinvolti in un solo sistema planetario di comunicazioni.E’ l’esperienza della “simultaneità”,della comunicazione in tempo reale garantita dal telefono,dal fax e soprattutto da “Internet”.
Nelle transazioni elettroniche si prescinde dal contante e ci si può muovere con tempestività e immediatezza,spostandosi istantaneamente su un mercato di capitali non appena un altro si chiude.Questa nuova dimensione tecnologica del mercato mondiale ha così provocato una drastisca contrazione degli scambi”in denaro”,che implicavano lo spostamento di grandi quantità di carta moneta.Già alla fine del XX secolo gli scambi monetari virtuali ammontavano quotidianamente a più di cinquecento miliardi di dollari.A rendere così impetuosi i flussi di denaro ,aveva contribuito anche la liberalizzazione dei cambi valutari decisa dagli Stati Uniti all’inizio degli anni Settanta.Questo provvedimento non solo fornì maggiore liquidità al commercio mondiale,ma accrebbe il volume degli investimenti “transnazionali”,dando la possibilità alle aziende d’investire all’estero senza alcuna limitazione da parte delle banche centrali.Si sono creati così vasti e crescenti flussi di capitali indipendenti,che corrono per tutto il mondo ,espressi ora in una valuta ora in un’altra,alla ricerca di rapidi profitti.Si può facilmente capire che l’obiettivo di questi movimenti finanziari spesso non è l’acquisto di merci o l’investimento in nuovi impianti industriali,ma la pura e semplice speculazione.
Gli atteggiamenti che prevalgono nei confronti del fenomeno della globalizzazione ,che forse ha bisogno di essere ulteriormente analizzato e compreso dagli studi di economia,sonodiversi:c’è chi esalta le virtù di sviluppo implicite del mercato,e,soprattutto,la necessità di trarre da esso l’incentivo per partecipare a condizioni vantaggiose alla corsa competitiva,liberandosi da tutti i vincoli che possono essere un impaccio alla libera iniziativa,c’è invece chi vede in questa corsa senza regole un fattore che aggraverà le disuguaglianze sociali in ogni Paese e le divisioni tra Paesi poveri e Paesi ricchi,causando costi umani alla lunga insostenibili,nonché rischi di conflitti internazionali.
Per queste ragioni forse è anche il caso di criticare l’uso del termine “globalizzazione”,che mette in ombra,con la sua genericità che fa pensare ad un’integrazione di soggetti tutti egualmente liberi e tutti egualmente competitivi,i cambiamenti economici reali,caratterizzati dal predominio del grande capitale finanziario.
Un fatto è in ogni modo inoppugnabile:a partire dagli anni Ottanta si è ulteriormente accentuato il divario tra il Sud e il Nord del mondo,tra le aree del sottosviluppo e il mondo industrializzato.D’altro canto,processi di differenziazione sono avvenuti anche all’internodelle stesse aree sviluppate:alcuni Paesi appaiono fin da oggi destinati a uscire dalla cosiddetta”terza rivoluzione industriale”in posizione di preminenza,mentre altri risulteranno probabilmente indeboliti.
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