FOSCOLO: opere e vita

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Testo

1778 :nasce Zante da madre greca e padre veneziano.
1792:è a Venezia, legge studia molto e si appassiona sui “poemi di Ossian” e sulle tragedie dell’Alfieri.
1797:trattato di Campoformio: Foscolo esula a Milano dove si incontra Parini e Monti.
1802: scrive ultime lettere Jacopo Ortis
1803/1804: i sonetti & le odi
1804/1806: si ritrova in Francia nell’armata di Napoleone che si prepara a sbarcare in Inghilterra.
1806/1807: ritorna a Milano, compone e fa pubblicare a Brescia “I sepolcri”.
1811/1812: è a Firenze dove lavora al poemetto “le grazie”.
1814 :gli austriaci ritornano a Milano e il poeta va n esilio.
1816 :si trasferisce in Inghilterra dove, con sacrifici e stenti, rimane fino alla morte. Seconda edizione Ortis
1827 : muore poverissimo assistito dalla figlia Floriana a Turham Green (sobborgo di Londra).
1871:i suoi resti vengono trasportati a Firenze nel tempio di s. Croce.
Nacque a Zante nel 1778. Il suo nome di battesimo era Niccolò, ma poi da poeta assunse il nome di Ugo. Studiò prima a Zante e a Spalato, poi, dopo la morte del padre, si trasferì a Venezia insieme alla sua famiglia.
I primi anni veneziani sono decisivi per la formazione culturale del Foscolo che acquisisce fra il 1793 e il 1797 una notevole padronanza delle lingue antiche e moderne, della cultura classica e delle nuove idee illuministiche. A Venezia il Foscolo si mise subito in vista per le sue idee democratiche perciò, divenuto sospetto al governo conservatore della repubblica, si allontanò dalla città e si rifugiò sui colli Euganei. All’arrivo dei Francesi in Italia, si arruolò tra i cacciatori a cavallo a Bologna dove compose l’ode a Bonaparte liberatore auspicando la libertà della patria e dell’Europa dall’assolutismo. Caduta la repubblica, il Foscolo ritornò ancora a Venezia, ma, quando col trattato di Campoformio del 1797 Venezia fu ceduta all’Austria, egli, deluso dalla politica napoleonica, lasciò Venezia e si trasferì a Milano. Divenne professore di eloquenza all’università di Pavia, incarico che dovette lasciare dopo pochi mesi. Dopo la caduta di Napoleone, il Foscolo fu invitato dall’Austria a dirigere una rivista letteraria, egli rinunciò ed andò in esilio dapprima in Svizzera poi in Inghilterra, dove resterà fino alla morte. Qui viene accolto con simpatia dai liberali inglesi e ritrova, in circostanze fortunose, la figlia Floriana che gli rimarrà affettuosamente legata per tutta la vita. Ma presto i suoi comportamenti improntati a scontrosa intolleranza ne provocano l'isolamento. Curò una nuova edizione dell'Ortis (1817), tentò di riprendere il poemetto le Grazie e producendo soprattutto importanti opere di critica letteraria. Ma la sua vita è resa sempre più gravosa dalla malattia e dai disagi economici. Dilapidato il piccolo patrimonio della figlia è costretto a nascondersi nei più squallidi quartieri londinesi per sfuggire ai creditori, che lo fanno imprigionare nel 1824. Scarcerato ma ridotto in miseria deve adattarsi a vivere nel piccolo villaggio di Turnham Green, dove muore il 27 settembre 1827 a soli 49 anni.
Nel 1870, per decisione del governo italiano, i suoi resti vengono trasferiti a Firenze, nella chiesa di Santa Croce a lui tanto cara.
Due sono gli elementi che spiccano nella sua personalità, il primo è un immediato abbandono agli impulsi del sentimento e delle passioni che agitarono la sua vita, il secondo, in contrasto con il primo, è l’esigenza di un ordine, di una disciplina, di un’armonia interiore. Nell’abbandono agli impulsi del sentimento si avverte il segno sella nuova sensibilità del Romanticismo, nell’esigenza dell’equilibrio e dell’armonia interiore si avverte l’influenza del Classicismo, il Foscolo nella sua concezione del mondo e della vita, segue le dottrine materialistiche e meccanicistiche dell’Illuminismo, secondo le quali il mondo è fatto di materia sottoposta ad un processo incessante di trasformazioni secondo leggi meccaniche, senza un fine ideale.
La visione materialistica della realtà lo porta a considerare l’uomo come prigioniero della materia, il quale, compiuto il suo ciclo vitale, piomba con la morte nel nulla eterno, come un qualsiasi animale o una qualsiasi pianta, dopo una lunga catena di sofferenze senza senso. È meglio dunque non nascere, e, una volta nati, è meglio troncare la vita con il suicidio. Tuttavia, il Foscolo non soccombe al pessimismo e alla disperazione ma reagisce vigorosamente, creandosi una nuova fede in valori universali che danno un fine alla vita dell’uomo. Questi valori universali sono la bellezza, l’amore, la libertà, la poesia e la gloria. Questo sentimento della vita con le sue armonie e bellezze congiunto con l’idea di dolore e della morte conferisce alla poesia foscoliana un tono di malinconia.
IL PENSIERO:
Foscolo si formò sulla base delle dottrine illuministiche, diffuse dalla rivoluzione proprio negli anni della sua adolescenza, aderì quindi ai principi del materialismo scientifico, che individuava la verità nella ragione, base indispensabile per la scienza. Tuttavia tali rigidi principi non potevano soddisfare completamente Foscolo, nel quale esistevano sentimenti, passioni e un ansia di conoscenza circa il rapporto uomo – natura, finito -infinito. Egli perciò si abbandonò, come egli stesso dice, per sopravvivere alle illusioni, delle quali si creò una vera e propria religione (pur rendendosi conto di quanto valga l’illusione).
Sotto l’aspetto poetico Foscolo è un neoclassico, in senso però diverso da Monti; infatti, nel poeta di Zacinto, il neoclassicismo non è giunto dal sentimento, poiché nei suoi versi, oltre ai riferimenti mitologici non esagerati, troviamo impegno e commozione. Però, si può anche definire un preromantico, appunto per i forti sentimenti che lo agitano, fra i quali il patriottismo, la giustizia, la libertà.
Avendo l’illuminismo influenzato particolarmente la sua formazione, possiamo dire che i suoi ideali sono principalmente rivoluzionari, che egli spera di veder realizzati all’interno della Repubblica Giacobina.Essendo lui un rivoluzionario mentre i veneziani si mostrano dei grandi conservatori è costretto a lasciare la città “rifugiandosi” a Bologna, dove si arruola nelle truppe rivoluzionarie: si avvia così ad una vita solitaria.Comincia perciò ad avvertire solitudine e inquietudine che faranno parte della sua personalità nonché della sua vita.Per tutti questi motivi si sente diverso dagli altri intellettuali suoi contemporanei e mostra una particolare passione per i classici (per lui luogo di armonia) che lo aiutano a trovare quell’equilibrio di cui ha tanto bisogno. Possiamo quindi definirlo un pre-romantico con un “sottostrato” classico. Successivamente c’è un periodo caratterizzato da un profondo pessimismo verso la realtà circostante: gli ideali in cui crede diventano mano a mano illusioni perché non si realizzano. L’unica soluzione, per il Foscolo, non rimane altro che il suicidio, ovvero il rifiuto del presente e della vita attuale (questo tema egli lo attinge anche dall’Alfieri),ma è questo anche il momento più passionale della sua vita (inteso come fase romantica), dovuto al crollo di tutti quegli ideali in cui crede: vi è un contrasto fra ragione e cuore. Il Foscolo è infatti combattuto: da una parte c’è la ragione che gli dice che i suoi ideali non si realizzeranno, dall’altra il cuore che lo esorta a continuare a credere in quello in cui ha sempre creduto.
Pensiero di Foscolo:
1) Vita come passione: per Foscolo l’importanza dell’uomo consiste nell’energia e vigore delle passioni, queste, infatti, esaltano l’individuo e giovano a quelli che la contemplano; perciò l’amore, la bellezza, la gloria, la patria, la libertà, la giustizia, sono per lui sempre delle esperienze grandiose che possono giovare anche agli altri.
2) Sensismo e materialismo: perduta la fede cristiana Foscolo aderisce alle dottrine sensistiche e materialistiche; ritiene valide e sicure solo le conoscenze che gli derivano dai sensi e dalla ragione sperimentale; crede solamente che sia reale ciò che viene percepito dai sensi (materia): l’universo quindi è un ciclo perenne di nascita, di morte, di trasformazione da parte di forze meccanistiche ed irrazionali (vita = moto). Perciò, Dio, l’anima, ogni piano provvidenziale, sono esclusi da questa concezione: dopo il travaglio della vita, subentra “il nulla eterno”.
3) La religione delle illusioni (attraverso il volontarismo): tuttavia Foscolo avverte nel profondo del suo animo l’ansia di superare il destino mortale, sente una sete di ideali grandiosi, di verità, giustizia, bellezza, libertà, amore, patria:essi solo gli appaiono capaci di dare un significato all’esistenza. La ragione gli dice però che sono illusioni, il cuore non si rassegna a considerarli come tali, e nasce così la nuova fede, la religione delle illusioni, il culto dei valori spirituali continuamente contraddetti dalla realtà e tuttavia continuamente risorgenti nell’animo (essi soltanto rappresentano la vera dignità dell’uomo).
4) Poesia come espressione di questi valori di umanità e civiltà: la poesia diviene scoperta e la rivelazione delle illusioni e lo strumento della loro eterna perennità nel tempo: essa, infatti, li fa vivere nel mondo e li sottrae alla rovina del tempo, al nulla della morte, rendendo eterni nei secoli gli spiriti grandiosi di eroi e poeti, che li hanno affermati. Ha un valore consolatorio e privato per l’uomo, non serve più per impegnarsi concretamente all’interno della società, ma per consolare l’uomo dalle passioni cantando la bellezza e l’armonia delle cose.
5) L’arte: serve per esprime e divulgare le idee, è armonia e bellezza, è la sintesi tra l’elemento passionale e classico, deve contribuire a diffondere questi valori attraverso la poesia.
6) Politica: fu profondamente coinvolto dalle vicende storiche del suo tempo, passò dagli entusiasmi giacobini e filonapoleonici alla delusione conseguente al trattato di Campoformio, quindi a una visione più pessimistica della società e della storia e a posizioni politicamente più conservatrici, dopo la sconfitta di Napoleone maturò un atteggiamento di radicale sfiducia nella politica e di eroico individualismo.
La poetica:
a) TEMI: nascono dal suo vissuto, riflette l’esperienza esistenziale, riflette non solo la vita del soggetto ma richiama la vita della collettività.
b) FINALITà: poesia deve esaltare le illusioni che la storia e la vita negano e annullano, dare voce ai bisogni dello spirito, la poesia deve essere testimone della grandezza dei singoli e della civiltà, ha il compito di consolare e dare alle illusioni una valenza universale
c) LINGUAGGIO: è la voce diretta del sentimento, libera espressione del mondo interiore ma anche controllo rigoroso, preciso della forma.
Poeta vate: testimone coraggioso di grandi valori
ULTIME LETTERE JACOPO ORTIS
L’Ortis è un romanzo epistolare e psicologico. Nello scrivere l’Ortis il Foscolo fu influenzato da I dolori del giovane Werther di Goethe, ma quest’influenza fu limitata, infatti, il Werther di Goethe è ossessionato solo dalla passione amorosa, Jacopo Ortis, invece, oltre che dalla passione amorosa è dominato anche dalla passione politica, che tende a prendere il sopravvento.
Attraverso la finzione delle lettere inviate dal giovane patriota Jacopo all'amico Lorenzo vengono narrate le disavventure politiche e amorose del protagonista, costretto a fuggire da Venezia dopo il trattato di Campoformio e isolatosi nei suoi nativi Colli Euganei. Qui s'innamora di Teresa, giovane figlia d'un conte che è però già promessa a Odoardo. Non potendo offrirle di dividere la sua sorte di profugo, Jacopo si rimette in viaggio per l'Italia traendo nuovo motivo di sconforto dallo spettacolo di sottomissione e oppressione che gli si presenta in tutta la penisola. Dopo aver vanamente cercato di avvicinare Alfieri, aver incontrato Parini e aver visitato le tombe dei grandi italiani in Santa Croce, Jacopo torna sui Colli Euganei dove apprende che Teresa ha sposato Odoardo e si uccide.
Ma il romanzo ci fa anche assistere allo «sdoppiamento fra autore e personaggio, tra il Foscolo collaboratore-critico del potere napoleonico e l'Ortis intellettuale disperato e suicida. Al personaggio il poeta assegna il compito di esprimere quel pessimismo esistenziale, quel sentire tormentoso e romantico, quel subitaneo trapasso dall'entusiasmo alla disperazione e quella disillusione politica cui seguitano a opporsi l'adesione intellettuale del Foscolo alla filosofia meccanicistica settecentesca e agli ideali giacobini. Questo contrasto si riflette anche nel modo complesso e contraddittorio di sentire la morte, che tanta parte avrà nella successiva poesia foscoliana: da un lato «fatal quiete» che pone fine ai travagli dell'esistenza e da cui l'autore si rivela romanticamente attratto anche nel successivo sonetto Alla sera; dall'altro ricordo e simbolo attraverso i sepolcri degli uomini illustri, di vite intensamente vissute che «A egregie cose il forte animo accendono», come avrà a esprimersi nei Sepolcri.
• Il Parini :Anche qui troviamo anticipata la parte dei Sepolcri (vv. 53-77), dove il Foscolo parla di Parini. Dal colloquio con il Parini, che ha carattere politico e morale, Jacopo trae spunto per confessare la fine di ogni illusione di libertà e di eroismo e il proposito del suicidio inteso alfierianamente come un gesto di protesta contro un mondo di violenza, di viltà, di miseria in cui gli tocca vivere. Balza così in primo piano il conflitto tra individuo e società che è un tema tipicamente romantico. Nella lettera sia Jacopo che il Parini sono due figure in cui idealmente si rispecchia lo stesso Foscolo: Jacopo, perché il Foscolo l’ha modellato infondendo in lui i propri ideali ed il suo temperamento romantico; il Parini, perché il Foscolo ne ha alterato la figura storica, che era di carattere moderatamente sdegnoso, attribuendogli idee e temperamento di stampo alfieriano e foscoliano , presentandolo come uno spirito fiero, anelante a un mondo nuovo di libertà, di giustizia, di virtù magnanime ed eroiche, impossibili però da realizzare, in un mondo dominato dalla violenza dei tiranni e dalla viltà dei sudditi. L’Ortis rappresenta il momento più cupo del pessimismo foscoliano, quando nemmeno dai suoi maestri ideali, Parini ed Alfieri, colti anch’essi dalla stessa disperazione, viene più una parola di incitamento, di conforto e di fede in un mondo nuovo. Jacopo afferma che per liberarsi dalla tirannide è necessario lottare, mentre Parini lo disillude, dicendogli che per il momento non c’è un barlume di libertà e consigliandogli di abbandonare la politica. Ma Jacopo gli risponde che l’unico sentimento che ancora gli anima la vita, oltre all’amore per Teresa, è quello per la patria.
Ritorna così il suicidio come unica soluzione al dramma della vita. Ma al suicidio può pensare Jacopo che è un laico e non crede nell’altro mondo, non il Parini che è un sacerdote e ha riposto in cielo le sue speranze.
• La lettera di Ventimiglia: Jacopo riflette prima sulla storia d’Italia, un tempo dominatrice, ora serva dello straniero; poi sull’eterna onnipotenza delle umane sorti (cfr. Sepolcri, vv 153-154), ossia sul destino che tocca alternativamente ai popoli, ora di dominare sugli altri, ora di essere dominati; infine sulla generale infelicità degli uomini. Nella prima parte della lettera, Jacopo, preso dallo sconforto per la sua condizione di esule, si sforza di giustificare razionalmente il suicidio, ribattendo alle obiezioni che si possono sollevare contro di esso. Egli riconosce che ormai la sua esistenza, crollati tutti gli ideali in cui credeva, non giova più a nessuno, né alla patria né alle persone amate, anzi queste per causa sua possono subire anch’esse le persecuzioni. Perciò da Ventimiglia, dove è giunto per passare in Francia su consiglio della madre e dell’amico, decide di rinunziare ad emigrare e di tornare in patria sui colli Euganei e di morire. Questa decisione gli dà un senso di pace, ma più che di pace - dice all’inizio della seconda parte - si tratta di un tipo di stanchezza simile al sonno della morte. Come si vede, di tutto il paesaggio Jacopo rileva solo gli aspetti più orridi e selvaggi, cari allo spirito romantico, perché conformi allo stato d’animo di chi è sconvolto dalle passioni. La vista dei monti intorno a Nizza (che egli considera terre italiane, ma che appartengono alla Francia) offre lo spunto a Jacopo di meditare sulla storia d’Italia e dalla conseguente dominazione straniera. A questo punto la concezione meccanicista e deterministica della storia che ispira fatalismo e pessimismo, in quanto appare come una serie di violenze e di sciagure, fatalmente ineludibili, sembra incrinarsi e aprire la speranza di un domani migliore. Quando Jacopo dice che la sterilità di un campo prepara la prosperità dell’anno seguente, intende dire che le sciagure d’oggi forse preparano una vita diversa, più bella e finalmente conforme ai desideri umani.
La lettera è importante perché svolge la prima fase del pensiero del Foscolo, caratterizzata da un pessimismo totale che lo porta a vagheggiare il suicidio come solo rimedio alla vita infelice, un suicidio che è insieme liberazione e protesta: liberazione dall’infelicità e dal dolore, e protesta contro il capriccio del destino che incombe sugli uomini con le sue fatalità incomprensibili ed ineluttabili. E’ parimenti importante perché il Foscolo, che proprio dall’Illuminismo ha ricavato la concezione meccanicistica e deterministica della realtà, qui concepisce la ragione, tanto esaltata dagli Illuministi, un dono funesto della natura, perché, mentre ci apre gli occhi sulla tragica condizione umana di miseria e di dolore sulla terra, ridotta ad una foreste di belve, non ci ha fornito alcun mezzo per rimediarvi. Ma se disprezza la ragione, in compenso il Foscolo già romanticamente esalta il sentimento, quando fa dire a Jacopo di provare piacere al pensiero del compianto dopo la morte e al pensiero dell’illusione, secondo la quale, se le passioni vivono dopo il sepolcro, il suo spirito doloroso sarà confortato dai sospiri di quella celeste fanciulla, che egli credeva nata per lui... e il destino feroce gli ha strappato dal petto.
Il pessimismo sarà poi superato mediante la fede nelle “illusioni” (la bellezza, l’amore, l’armonia del creato, la poesia, la patria, la gloria...) che con la loro forza e dolcezza riescono a dare, negli spiriti più sensibili, uno scopo ed un significato alla vita.
• L’inizio del romanzo
Questa lettera è scritta 6 giorni prima del trattato di Campoformio, anche se si conoscevano già le clausole. Jacopo dapprima esprime il dolore per le sventure della patria, il cui sacrificio è ormai compiuto, sicché ai patrioti non rimane altro che piangere per le loro sciagure e per la vergogna di non aver saputo difendere l’indipendenza della patria. Poi risponde risentito al consiglio dell’amico di sottrarsi alle persecuzioni con la fuga; egli non lo farà mai, perché, per sottrarsi agli Austriaci dovrebbe consegnarsi ai Francesi, a coloro cioè che avevano tradito e venduto la sua patria. Jacopo sa di essere nella lista di proscrizione , ma per ora, su consiglio della madre si trova in un vecchio podere sui colli Euganei, dove non intende fuggire, perché nella sua solitudine trova almeno il conforto di poter vedere di lontano Venezia. Egli si duole delle persecuzioni subite dai patrioti, non tanto ad opera degli Austriaci, quanto ad opera degli stessi italiani, e non se ne meraviglia perché purtroppo - egli dice - noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degli Italiani, cioè combattiamo sempre tra di noi invece di essere unti contro gli stranieri. Quanto alla sua sorte egli ormai non se ne cura, perché ha perduto ogni speranza nella patria ed in sé e la vita, priva di ideali generosi e magnanimi, non gli appare più degna di essere vissuta. Pertanto egli si affida al destino, aspettando tranquillamente la prigione e la morte, col solo conforto che il suo cadavere non riposerà in terra straniera, ma nella terra dei padri ed il suo nome, per evitare le persecuzioni degli oppressori, sarà sommessamente compianto da pochi uomini, compagni di sventure.
In questa lettera troviamo alcuni dei motivi fondamentali della poesia foscoliana e precisamente quello della libertà della patria sentita come la ragione stessa della vita e quella della sepoltura confortata dal pianto degli amici: solo questo costituisce per il Foscolo il solo modo per sopravvivere idealmente oltre la morte. Quanto allo stile, nella prima parte ha un tono declamatorio e concitato, nella seconda è più sommesso ed elegiaco.
• Il bacio
Questa lettera è come un inno alla più dolce delle illusioni foscoliane: l’amore, sentito come il momento più esaltante della vita umana. Lo spunto per questo inno all’amore è offerto a Jacopo dall’ebbrezza provata nell’aver baciato giorni prima Teresa. Anche se è convinto che il suo amore è senza speranza perché Teresa è fidanzata ad Odoardo, Jacopo si sofferma a descrivere liricamente la metamorfosi del suo animo derivata dalla dolcezza di quel bacio.
Dopo quel bacio egli è cambiato: i suoi pensieri sono diventati più nobili, tutto gli appare più soave, la natura si abbellisce al suo sguardo. Perfino dagli uomini egli non fugge più. L’amore è la madre delle arti belle, perché ispira la sacra poesia negli animi generosi, che tramandano alle future generazioni i loro canti di incitamento a compiere nobili imprese; accende inoltre nel cuore degli uomini la Pietà, ossia la tenerezza degli affetti. Senza l’amore la terra diventerebbe ingrata. Al ricordo di quel bacio egli ha l’impressione di vedere intorno a sé le Ninfe ed invoca in loro compagnia le Muse e l’Amore e poi vede le Naiadi. Un filosofo, sentendolo delirare così griderebbe “Illusioni!”, ossia cose che si possono solo immaginare, ma Jacopo non è di questo parere. Egli chiama beati gli antichi che si credevano degni dei baci delle dee immortali, facevano sacrifici alla Bellezza e alle Grazie, credevano belli e veri tutti i sogni della loro fantasia. “Illusioni!” ripete il filosofo, ma senza di esse egli vivrebbe nell’angoscia, senza uno stimolo all’azione e se un giorno il cuore non avrà più sentimenti e passioni, egli se lo strapperà dal petto e lo caccerà come un servo infedele.
Così questa lettera cominciata con l’esaltazione dell’amore , si chiude con l’esaltazione di tutte le “illusioni” (la bellezza, la poesia, i sentimenti gentili, ecc.) sentite come l’unico stimolo a vivere ed a operare nobilmente. Le illusioni segnano il trionfo dello spirito sulla materia, il trionfo degli ideali sulla miseria della condizione umana, destinata all’oscurità e alla morte. La ragione valuta l’amore come illusione, mentre il cuore lo riconosce come verità.
I SEPOLCRI

Nel marzo 1806, con la diretta assunzione della corona da parte di Napoleone, rende sempre più stretta la dipendenza dai Francesi accentuando il disagio del Foscolo nei confronti del regime.
Poco dopo, viene esteso al Regno d'Italia (5 settembre 1806) l'editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804 per vietare la sepoltura fuori dei cimiteri comuni e l'uso dei monumenti funebri. È questo il motivo occasionale che spinge Foscolo a scrivere il carme Dei Sepolcri, originariamente pensato come epistola in versi all'amico Ippolito Pindemonte, cui è diretto.
Il poema rappresenta il momento di più alto e felice equilibrio raggiunto dalla lirica foscoliana fondendo razionalità illuministica, forma classica e nuova sensibilità romantica. Al centro del carme vi è la meditazione sull'esistenza umana che è sì perenne fluire, travolto dalla «forza operosa» del tempo secondo una concezione materialistica mai rinnegata dal poeta, ma che può attingere un superiore significato ove si stabilisca un ideale legame fra i vivi e i morti.
Il culto delle tombe diventa così essenziale ai viventi in quanto perpetua il ricordo degli illustri trapassati stimolando a rinnovarne le imprese e realizza quella continuità fra le generazioni e fra le stirpi che rappresenta a parere di Foscolo l'unica forma possibile d'immortalità.
In questo modo i sepolcri vengono ad avere una funzione simbolica e mitica, rasserenante e consolatoria, ma anche quella più immediatamente politica di incitare alla lotta per la libertà sull'esempio dei grandi. Proprio su questo ruolo fondamentale dei sepolcri nella storia di una nazione si sofferma la parte centrale del carme, traendone spunto per incitare alla liberazione e all'unificazione d'Italia.
Questo auspicio d altra parte offre spunto per un confronto con l'eroica lotta dei Greci contro i Persiani a Maratona o con la sfortunata difesa di Troia da parte di Ettore, riportando a riflessioni di significato più universale. Attraverso la figura di Ettore, cantato da Omero, il poeta esalta insieme all'eroismo sfortunato e al patriottismo la funzione eternatrice della poesia che, vincendo «di mille secoli il silenzio», ne immortala il ricordo finché il sole «risplenderà sulle sciagure umane».
Nella celebrazione dei sepolcri , inutili solo ai vili e ai mediocri che non lasciano «eredità d'affetti», si fondono così meditazione filosofica, potente lirismo e passione civile, eloquenza e poesia.
Quindi in realtà non il problema sul luogo più opportuno e il modo delle sepolture è quello che sta più a cuore al poeta, bensì gli importa l’idea del sepolcro in sé, quale s’era affacciata a varie riprese nell’Ortis e nei sonetti:
• il sepolcro come nodo di affetti familiari
• il sepolcro come testimonianza di civiltà e storia
• il sepolcro sorgente di poesia, le tombe degli eroi vincono il silenzio dei secoli attraverso il canto dei poeti
Le tombe non servono ai morti, però se le tombe non servono ai morti, servono ai vivi per quattro motivi:
• Versi 23-90: ragioni di sentimento, corrispondenza d’amorosi sensi.
• Versi 91-150: ragioni di storia, le tombe sono espressione di civiltà dei popoli.
• Versi 151-225: ragioni morali e patriottiche, le tombe dei grandi suscitano grandi sentimenti per il rinnovamento della coscienza politica.
• Versi 226-295: ragioni poetiche, le tombe ispirano i poeti.
PATRE PRIMA:
Dal punto di vista razionalistico ed oggettivo, le tombe non hanno valore, perché la morte restituisce il corpo alle vicende della materia, ed è legge universale che tutto quanto esiste sia distrutto e trasformato dalle vicende del tempo (vv. 1-22)
Dal punto di vista soggettivo, invece, vale la considerazione che ognuno, mediante la tomba, abbia l’illusione di sopravvivere nell’affetto dei propri cari, partecipi di illusione analoga, e solo chi sa di non avere affetti dietro di sé no ha motivo di desiderare una tomba. (vv. 23-50)
La nuova legge è perciò da condannare, perché, accomunando o livellando le tombe, ferisce la coscienza comune, ed il sentimento del poeta è particolarmente toccato dal fatto che una tomba propria sia stata negata al Parini. (vv. 51-90).
I vv. 1-21 affermano le leggi materialistiche, i vv. 23-50 affermano invece l’illusione. Sono quasi simmetrici, quasi uguale il numero dei versi. Entrambi si aprono con un interrogazioni retoriche di 3 vv. Nei primi c’è una lunga domanda seguita da una piccola risposta, nei secondi il contrario. Da 1-21 si distruggono i valori positivi della vita, da 23-50 il contrario. La prima domanda ha versi incalzanti come la seconda risposta, la seconda domanda e la prima risposta hanno invece versi brevi e perciò un ritmo scorrevole.
I vv. 51-90 sono una risposta alla tesi prima dimostrata dicendo ci non attribuire il giusto peso al sepolcro.
PARTE SECONDA:
Considerando nella sua realtà storica, il costume delle tombe è l’oggettivazione di tale impulso della coscienza, il quale è proprio dell’uomo non appena esce dalla stato ferino; comune a tutti i popoli civili, l’usanza di onorare i propri cari con una tomba si è variamente atteggiata attraverso i secoli. (vv. 91-103).La consuetudine di seppellire i morti nelle chiese è rito di tempi remoti, ma troppo squallido e terrificante; suggestiva è invece la consuetudine che fa – nei cimiteri – luoghi in cui i vivi e i morti si uniscono in una : tale costume fu in uso presso gli antichi pagani e lo è ora presso gli Inglesi. (vv. 104-136)
Ma, dove manchi una coscienza civile e la gente non apprezzi altro se non le forme materiali del vivere, le tombe non hanno senso, e sono soltanto una , vana manifestazione di ricchezza, e malaugurate immagini di morte; il poeta ne augura a sé una modesta, che giovi a ricordare agli amici la propria figura di uomo libero e una poesia, come la sua, ricca di sentimenti generosi e degna di nobili spiriti. (vv. 137-150)
Questa prima parte del carme costituisce prologo alla seconda, in cui i sepolcri sono come l’oggettivazione dell’ansia di durare e presidio della tradizioni patrie. I sepolcri sono santuari in cui si perpetua la memoria dei grandi: così è di Santa Croce in Firenze, che accoglie le tombe di Machiavelli, Michelangelo e Galilei. (vv. 151-185)
Se c’è un luogo da cui gli spiriti alti e audaci attingano incitamento alla gloria, di lì si dovranno trarre gli auspici per la riscossa della patria. Quest’onore spetterà a Santa Croce, dove Vittorio Alfieri veniva a ispirarsi e dove ora la sua tomba è ammonimento di amore alla patria. Da quella religiosa pace sembra parlare una divinità, quella stessa divinità che alimentava nei Greci di Maratona il valore e l’accanimento contro l’invasore persiano. Questi sentimenti d’amor patrio trovano corpo nella visione di battaglia che, secondo la tradizione, appariva di notte ai naviganti nei luoghi di quello scontro. (vv. 186-212).
La seconda parte è più argomentativi che interrogativa. Medioevo (condannato per le barbarie, mancanza di igiene, visione della vita tetra e macabra), Civiltà classica (visione serena della vita e della morte), Inghilterra (positività delle tombe, unione dello spirito dei popolo intorno alle glorie e agli eroi nazionali), Italia napoleonica (mancanza di spirito eroico e di valori civili).
La terza parte. Ricordo dei grandi del passato. Le tombe dei grandi uomini stimolano gli animi generosi a compiere grandi azioni e a rendere sacra la terra che gli accoglie.
PARTE TERZA:Agli spiriti nobili, la morte è giusta dispensatrice di gloria, e la tomba può essere incentivo perché all’estinto sia resa postuma giustizia dei torti ricevuti in vita, così come avvenne, secondo la leggenda, per Aiace, alla cui tomba le onde portarono le armi di Achille, che ingiustamente erano state negate a lui da vivo. (vv. 213-225)
Ma soprattutto la tomba serve a mantenere quella memoria alla quale s’ispira il canto dei poeti. La tomba di Ilo nei luoghi dell’antica Troia fu forse di ispirazione ad Omero per consacrare all’eternità, insieme con il valore degli Argivi, l’eroismo e il sacrificio di Ettore, difensore della sua patria. (vv. 226-295).
Alla funzione della tomba nel serbare la memoria e nel perpetuare i valori della civiltà, si affianca quella della poesia. Se tutto ciò che esiste viene distrutto, anche le tombe diverranno ciò e verranno così ricordate dalle poesie.
PARAFRASI
Non toccherò mai più le tue rive sacre
Dove si adagiò il mio corpo di bambino,
o mia Zacinto, che ti specchi nelle onde
Del mare greco da cui nacque la vergine
Venere, e ella rese feconde queste isole
Con il suo primo sorriso così che descrisse
Le tue limpide nuvole e i tuoi alberi
Il verso illustre di colui che cantò
Le navigazioni di Ulisse volute dal destino
E il vario esilio per cui infine Ulisse reso bello
Dalla fame e dalla sventura baciò la sua Itaca petrosa
O mia terra materna,
tu non avrai altro che la poesia del figlio
A me il fato impose una sepoltura senza lacrime
Metro: sonetto costituito da quartine a rima alternata (ABAB, ABAB) e da terzine a rima invertita (CDE, CED).
a) Tema dell’esilio e della patria lontana
b) Zacinto come patria reale ma anche tema ideale
c) Recupero mitico di alcune immagini Venere=bellezza Omero=poesia Ulisse
d) Tema del sepolcro che si lega al tema dell’esilio
Questo sonetto è un canto d’amore per la terra lontana: il poeta è in esilio e la sua forzata lontananza dalla patria viene filtrata attraverso le immagini luminose del mare greco pieno di leggende e di presenze di divinità e di eroi.
La mossa iniziale pare continuare o concludere una lunga meditazione: il poeta si rivolge a Zacinto, isola ionica e sua patria, e chiama sacra quelle rive per due motivi, perché l’isola nell’antichità fu consacrata al culto di Diana e perché gli era molto cara.
Zacinto si riflette sulle onde del mar greco, da cui nacque, secondo la mitologia greca, Venere che rese fertili quelle terre col suo primo sorriso per cui omero, che narrò i viaggi per mare e l’errabondo esilio di Ulisse, non poté fare a meno di cantarne le limpide nubi e i boschi (Iliade, XXIV).
Itaca non era che una petrosa isoletta, uno scoglio; eppure Ulisse, dopo tanti viaggi, arrivando lì ne baciò il suolo come sacro.
Conclude dicendo che Itaca ebbe il bacio commosso di Ulisse, mentre Zacinto non potrà avere che il canto di un esule deluso e impaziente, destinato a morire in terra straniera. Il sonetto comincia con la descrizione della boscosa isola a specchio in un mare limpidissimo e la figura di Venere proveniente dalle onde di questo mare e si chiude con un orrendo presagio di morte in terre lontane. D’altra parte il Foscolo ebbe una vita tormentata dall’idea della morte.
Un giorno, se non andrò sempre fuggendo
Da un esilio all’altro, mi vedrai seduto
Sulla tua tomba, fratello mio, piangendo
La tua giovinezza stroncata così presto dalla morte.
La madre, trascinando la sua vecchiaia,
parla di me con le tue ceneri che non possono più rispondermi
ma io tendo invano le mani verso di voi
e se da lontano saluto la mai casa (la mia patria)
sento le avversità del destino e i tormenti intimi
che sconvolsero la tua vita,
e invoco anch’io la pace della tua morte.
Di tanta speranza mi resta solo questo!
Popoli stranieri, quando sarò morto rendete
Almeno il mio corpo all’abbraccio della madre infelice.
L’8 dicembre 1801 il fratello di Ugo Foscolo, Giovanni Dionigi, tenente di artiglieria a Bologna, si uccide con una pugnalata alla presenza della madre, per non aver potuto rimediare a un debito di gioco. In sua memoria, il poeta scrive nel 1803 questa poesia.
La forma metrica adottata è il sonetto: è costituito da quattordici endecasillabi raggruppati in due quartine e due terzine.
Il genere letterario è la lirica: infatti esprime il mondo interiore, soggettivo del poeta. Dal punto di vista del significato il testo presenta molte analogie con il carme 101 del poeta latino Catullo. Infatti Foscolo prese spunto dal carme di Catullo, il quale lo aveva scritto dopo una visita alla tomba del fratello e anche lui vede come uniche speranze l’esilio e la morte. C’è poi una somiglianza con il libro dell’Eneide. Il sonetto comincia con la promessa del poeta al fratello che se non sarà ancora costretto a vagabondare da paese in paese, un giorno potrà recarsi nella tomba del fratello nell’atto di compiangere la sua morte prematura (“un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto sulla tua pietra”).
In questa prima quartina il poeta compiange sia la morte del fratello, sia il fatto che lui è senza patria da quando è stato costretto a lasciare Venezia, dopo il trattato di Campoformio. Nella seconda quartina di rilevante importanza è il ruolo della madre che trascinandosi il suo corpo affaticato dagli anni e dai dolori (“suo dì tardo talento”), parla alle ceneri del figlio morto dell’altro figlio, vivo ma non presente (“parla di me col tuo cenere muto”), il quale, in un gesto disperato, tende le mani verso la patria (“ma io deluse a voi le palme tendo”). Se il poeta da lontano rivolge il pensiero alla sua casa (“e se da lunge i miei tetti saluto”) sente il destino contrario e le sofferenze che portarono il fratello alla morte (“sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta”). Anche il poeta invoca la pace raggiunta dal fratello nella morte (“prego anch’io nel tuo porto quiete”). Quindi il Foscolo non compiange più la morte prematura del fratello, ma anzi ne invidia la sorte. Alla fine il poeta conclude con i temi portanti del sonetto: l’esilio e la morte. Dopo tanta speranza gli rimane solo di desiderare la morte (“questo di tanta speme oggi mi resta”). Sapendo che non farà più ritorno in patria, è cosciente del fatto che morirà in una terra straniera e negli ultimi due endecasillabi si rivolge alle genti del luogo in cui morrà e gli chiede di restituire le sue spoglie alla madre dolente (“straniere genti, l’ossa mia rendete allora al petto della madre mesta”).
In questo sonetto, di fondamentale importanza sono i tempi dei verbi: predominano il presente (sei forme) e il futuro (due forme) a cui si può aggiungere l’imperativo “rendete”.
“Alla sera”
Forse perché sei l'immagine (l'immago) della morte (della fatal quiete) a
me vieni così (sì) cara, o Sera! Scendi sempre desiderata (invocata) e
occupi (tieni) dolcemente (soavemente) i luoghi più segreti (le secrete vie)
del mio cuore (cor), sia (E) quando ti accompagnano (ti corteggian) le
festose (liete) nuvole (nubi) estive e piacevoli (sereni) venticelli
primaverili (zeffiri), sia (e) quando riversi (meni) sul mondo
(all'universo) le lunghe e agitate (inquiete) tenebre invernali.
Terzine
Mi fai vagare coi miei pensieri sulle vie (su l'orme) che conducono alla
morte (nulla eterno), e intanto fugge questo tempo ingrato (reo), e
fuggono insieme ad esso (e van con lui) gli innumerevoli affanni (le torme/
delle cure) con cui (onde) [il tempo] si consuma (si strugge)
insieme a me (meco). E mentre io contemplo (guardo) la tuia pace,
quello spirito (spirto) battagliero (guerrier) che freme dentro di me
(ch'entro mi rugge) si acquieta (dorme).
Il sonetto di Foscolo “Alla sera” è una delle tante realizzazioni del modello culturale romantico a cui si aggiunge una formazione filosofica deterministico-materialistica.
Il sonetto è diviso nettamente in 2 parti, che corrispondono alle 2 quartine e alle 2 terzine.
La prima parte è prevalentemente descrittiva, quindi statica: descrive lo stato d’animo del poeta dinanzi alla sera, colta in 2 momenti diversi: l’imbrunire di una bella giornata estiva ed il calare delle tenebre in una fosca sera invernale.
La seconda parte è più dinamica. Qui si colloca, infatti, il nucleo centrale del componimento, il “nulla eterno”: qui si chiarisce perché la sera, in quanto immagine della morte, è cara al poeta: la morte ha un’efficacia liberatoria perché rappresenta l’annullamento totale in cui si cancellano conflitti e sofferenze.
Nel sonetto troviamo:il punto di partenza del modello culturale romantico cioè ideale vs reale, infatti il “reo tempo” si vanifica dinanzi all’immagine del “nulla eterno”, lo “spirto guerrier” si placa dinanzi alla “pace” della sera,la ribellione di Foscolo perché la realtà non gli consente l’attuazione dei suoi valori.Distinguiamo, quindi, 4 tematiche:La morte;L’inquietudine dell’epoca;Lo spirito ribelle;La ricerca della pace;ma la tematica dominante è la morte.
Per quanto riguarda l’aspetto sintattico, la sintassi è complessa, tale complessità è data sia dalla ipotassi, ossia dalla prevalenza di subordinate, sia per la presenza delle cosiddette inversioni (ad esempio prima il verbo poi il soggetto, oppure prima il verbo poi il vocativo, oppure in un periodo prima la subordinata poi la principale). L’uso dell’inversione produce un senso di attesa e quindi attira l’attenzione del lettore. (l’ipotassi e l’inversione sono entrambe tipiche della sintassi latina).
La struttura sintattica, inoltre, non coincide con la struttura metrica o viceversa, in quanto il pensiero non coincide con il verso né con la fine della strofa. Ciò si evidenzia nella prima e nella seconda terzina che sono fuse dal punto di vista sintattico tant’è vero che troviamo il proseguimento del periodo nella seconda, tanto più è reso evidente da un enjambment “le torme delle cure”.
La sintassi si differenzia nella 1° parte e nella seconda: infatti nella 1° parte vi è una sintassi molto più fluida, mentre nella 2° è più frammentata. Una sintassi frammentata si ha quando un pensiero è formato da più proposizioni separate l’una dall’altra. Questa separazione può avvenire attraverso i vari segni di punteggiatura o attraverso i vari segni di punteggiatura o attraverso le subordinate. È, però, più complessa la sintassi fluida.
In questo sonetto si traduce la tematica centrale del Foscolo di questo periodo, quella ampiamente presente nell’Ortis: lo scontro dell’eroe generoso ed appassionato con una realtà storica fortemente negativa, che genera sradicamento, infelicità, irrequietudine, rivolta, ed anche qui l’unica soluzione che si offre ad una situazione intollerabile è la morte, intesa materialisticamente come annullamento totale.

Esempio



  


  1. francesca

    significato delle illusioni in foscolo e l'attribuzione alla poesia