Dei sepolcri: parafrasi

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Testo

[1-40]Il sonno eterno cui l’uomo approda con la morte è meno profondo se i defunti sono sepolti all’ombra dei cipressi o l’urna è confortata dal pianto? Quando ormai il sole non feconderà questa flora e questa fauna, per me ormai morto, e quando le Ore, future ministre di lusinghe, non danzeranno più avanti avanti a me, nè da te dolce amico, sentirò i versi e la triste armonia che li caratterizza e quando non avvertirò più l’ispirazione delle vergini muse e l’amore, unico conforto alla mia vita errabonda, una lapide che possa distinguere le mie dalle infinite ossa, che la morte semina per terra e per mare, quale conforto potrà costituire? È questa la verita Pindemonte! Anche la Speranza, unica dea che non abbandonò gli uomini quando gli altri si trasferirono sull’Olimpo, fugge davanti ai sepolcri e tutte le cose sono avvolte nell’oblio della notte eterna, e la natura con la sua operosità le muta (le cose)di volta in volta e con il passare del tempo tutto cambiale sue sembianze, persino l’uomo e il suo sepolcro. Perché l’uomo anticipando l’opera del tempo che tutto distrugge, e pur sapendo di essere mortale, vorrà privarsi dell’illusione di non morire internamente? Non continua a vivere, idealmente, anche dopo la morte, quando per lui sarà muta l’armonia della vita, se può ridestare tale armonia nella mente dei suoi attraverso un soave moto di pietà? Questo vincolo amoroso è una dote divina di cui godono gli uomini e spesso grazie a questo vincolo si vive con il ricordo dell’amico che non c’è più e lui sarà con noi se giacerà nel grembo della terra dove mosse i primi passi e crebbe, se potrà godere di una dolce quiete e di una degna sepoltura, se i suoi resti sacri saranno resi inviolabili dagli agenti atmosferici e dal piede profanatore del volgo, e se avrà una lapide, con scritto il suo nome, ornata da fiori portati da persone amiche.
[41-50]e solo chi non lascia un buon ricordo di sé non si cura di come sarà sepolto; nessuno si recherà sulla sua tomnba a continuare un colloquio che egli non ha mai voluto stabilire,e se ha fede in una seconda vita pensa che dopo la morte la sua anima anderà all’inferno o al purgatorio, ma lascia le sue ceneri dimenticate, in una terra incolta e abbandonata dove non andrà a piangere nessuna donna innamorata né a pregare e non potrà udire nemmeno il sospiro di un uomo che vaga solitario, condotto lì presso la sua tomba, dalla natura (per caso).
[51-90]Ma una nuova e singolare legge ordina di porre i ciiteri fuori dall’abitato, lontano dagli sguardi pietosi, e senza nome sulla lapide.Ed è così che riposa il tuo grnade sacerdote, o Talia, che invocandoti coltivò nella sua umile dimora un lauro e lo ornò di corone secondo la tradizione e tu rendevi bella la sua poesia, la sua satira pungente nei confronti del giovane signore Longobardo privo di ideali e vera umanità, che ode con piacere soltanto il muggito dei suoi buoi, situati nelle stalle del Lodigiano e nei pascoli del Ticino , i quali gli permettono una vita oziosa e dedita al piacere del cibo e al lusso. O dolce musa, dove sei? Non sento il tuo profumo, indice della tua presenza, qui dove sono seduto pensando con nostalgia alla mia casa natia. In questo boschetto venivi ad ispirarlo, sotto quel tiglio, ceh ora con le sue fronde curve sembra esprimere la sua pietà per colui che doveva essere sepolto in quel luogo in ricordo della sua nobile vita. Forse, o Dea, cerchi nei cimiteri comuni dove riposi il tuo devoto Parini? Né un cipresso sulla sua tomba, né un monumento sepolcrale, né un’epigrafe ha posto tra le sue mura, per onorare il Parini, Milano, frivola, corrotta adescatrice di cantori eunuchi e forse è stato è stato sepolto in un cimitero dove ci sono perfino i cadaveri dei giustiziati che solo sul patibolo cessarono di commettere delitti. Senti la cagna randagia e affamata raspare tra i ruderi delle tombe in rovina e gli sterpi cresciuti tra le macerie, e che ulula; e l’upupa uscire da dove la luce della luna si era ritratta, e svolazzare tra le croci sparse nel cimitero e l’uccello immondo col suo grido funereo sembra rimproverare le stelle che pietosamente illuminano con i loro raggi quelle sepolture lasciate nell’abbandono. Invano, o dea, invochi un umano conforto per il tuo poeta ahi! Sui morti non nascono fiori se non sono portati da coloro che ornano la tombadi fiori o piante d’amore.
[91-96]Nel momento in cui gli uomini si associarono e nacquero le familgie, si radicò il diritto e la rligione, l’uomo fu più civile verso se stesso e gli altri e i viventi sottraevano all’azione distruttrice del mondo e alle fiere i miseri avanzi che la natura perennemente destina ad altra vita.
[97-100]le tombe erano testimonianza delle imprese degli avi ed erano sacre per i figli, e di qui uscivano i responsi dei Lari, e il giuramento fatto sulla tomba delgi avi fu rispettato: [101-103]culto religioso che grazie a forme rituali deiverse, la virtù delgi avi e la sensibilità dei congiunti, trasmisero attraverso i secoli.[104-114]non sempre le lapidi sepolcrali costituiscono il pavimento dei templi, né il lezzo dei cadaveri misto ad incenso contamina i fedeli, né le città furono sempre tristi per gli scheletri effigiati sulle mura: le madri si svegliano all’improvviso e protendono le nude braccia in difesa del loro amato lattante affinchè non lo svegli il lungo gemito di un defunto che chiede la preghiera a pagamento dei suoi eredi da parte della Chiesa. [114-136]ma cipressi e cedri impregnando l’aria di un puro profumo protendevano i loro rami assicurando un verde perenne quale perpetuo ricordo, e vasi preziosi racoglievano le lacrime dei viventi che sulla tomba facevano dei voti. Gli amici sottraevano una favilla di sole e ponevano la lampada votiva per illuminare la tomba poiché gli occhi dell’uomo in punto di morte cercano la luce. Le fonti versando acque purificatrici alimentavano amaranti e viole sulle tombe, e colui che vi siedeva sopra dedito alla libagione del latte o a raccontare le proprie angosce, avvertiva tutt’intorno un profumo tipico dell’aria dei beati Elisi. Pietosa follia che rende cari i cimiteri suburbani, curati come giardini, alle givani britanniche, spinte là dall’amore per le madri scomparse, dove pregano i clemtni Geni di permettere al prode Nelson, che fece tagliare l’albero maestro della nave sulla quale riportò la vittoria per farci una bara che portò sempre con sé, di fare ritorno.
[137-150]ma ahimè in italia è assopito il ricordo fiero delle imprese e dove ricchezza e vigliaccheria sono i valori della vita civile, le lapidi sepolcrali e i monumenti funebri sorgono quale inutile ostentazione e malaugurate immagini della morte, dell’oblio in cui piomberanno quei vili che vi saranno sepolti. Già gli intellettuali, i ricchi e i nobili, ornamento e animo del bel regno italico, sono belli e sepolti, anche se ancora viv,i nelle regge e l’unica nota positiva è lo stemma. A me la morte procuri un luogo dove possa trovare quiete, ove finalmente il destino cessi di perseguitarmie l’amicizia raccolga non eredità di ricchezze, ma fervidi sentimenti e l’esempio di un canto libero.
[151-154ricetta]le tombe dei grandi spingono a grandi imprese, o Pindemonte, rendendo, agli occhi del pellegrino, sacra e bella la terra che li accoglie.[-212]io quando vidi il monumento funebre ove riposa Machiavelli, quel grande che facendo capire ai sovrani come si regna né svelò i limiti, facendo capire ai popoli come il regno si fondi sul loro sangue; e la tomba di colui che a Roma costruì un nuovo Olimpo per gli dei celesti, e la tomba di Galileo che vide, col telescopio, sotto la volta del cielo, roteare numerosi mondi e il solle illuminarli stando immobile al centro del sistema solare; e in tal modo sgombrò per primo le vie del cielo all’inglese Newton, che così largamente vi spaziò col suo geni.o. Gridai beata te O Firenze, piena di aria vitale che rende felici, e per le acque purificatrici che sgorgano dai gioghi dell’Appennino! La luna, lieta della tua aria, veste i tuoi colli di una luce limpidissima, colli festosi per la vendemmia, mentre le convalli piene di case e di oliveti, diffondono intorno mille profumi, e tu, per prima, o Firenze, udisti il canto che lenì l’ira di Dante, e dasti i natali ai cari genitori di quel poeta, Petrarca, attraverso la cui bocca sembrva parlare la stessa musa Calliope che si rese messaggero della duplice faccia dell’amore; ma ancora più beata è Firenze, perché conserva raccolte nel tempio di Santa Croce, le glorie italiane, le uniche, forse, a noi rimaste, da quando le Alpi non più ben difese e l’alternarsi, voluto dal destino, della potenza tra le diverse nazioni, hanno privato Firenze della potenza, della ricchezza, degli altari, della patria e di tutto, fuorchè della memoria. Perché se un giorno gli italiani più coraggiosi concepiranno la speranza di una gloriosa azione liberatrice, da questa chiesa e da queste memorie trarremmo l’ispirazione ad agire. E spesso proprio tra queste tombe venne a cercare ispirazione Vittorio Alfieri.adirato con i Numi patrii, errava lungo l’Arno ove non ci sono abitazionisenza parlare, osservando stupito e pieno di desiderio i campi e il cielo,e dopo che né gli uomini, né la natura leniva l’ansia che lo pervadeva e aveva dipinto sul volto il pallore e, allo stesso tempo, la speranza della morte. Riposa in etenro insieme alle anime di uomini virtuosi e le se ossa agitate dall’amor di patria. Ah si! Da quella pace giunge a lui un messagio d’amor di patria: tale sentimento alimentò la virtù e l’ira dei greci contro i persiani a Maratona, dove Atene consacrò tombe ai suoi eroi. Il navigante che solcò quei mari in prossimità dell’Eubea vedeva attraverso l’oscurità balenare scintille di elmi e spade che cozzavano, vedeva fumare le pire di igneo vapore, vedeva fantasmi di guerrieri forniti di armi brunite cercare la battaglia; e in mezzo all’orrore del silenzio notturno si diffondeva un monito di guerrieri schierati e la tromba di guerra e incalzare i cavalli che correvano scalpitando sugli elmi dei moribondi, il pianto, il canto della vittoria e il canto delle Parche.
[213-225]Felice te, o Ippolito, che in giovientù osavi solcare i mari. E se il pilota diresse le sue navi oltre le isole egee certamente tu sentisti risuonare i lidi dell’Ellesponto delle antiche imprese; e senti la marea ruggire, ella vide portar via le armi di Achille dalla spiaggia retea ove riposava Ajace, la morte è dipsensatrice di giustizia e gloria per i meritevoli, né l’astuzia, né il favore dei re riuscì a garanire ad Ulisse le armi di un coraggiosocome Achille perché le sottrasse alla poppa di Ulisse ramingo il mare agitato dagli dei infernali.
[226-234] E io fatto errabondo di gente in gente dai tempi e dal desiderio di fama, possa essere scelto dalle Muse, animatrici del mortal pensiero, per cantare le gesta degli eroi. Le abitanti del monte Pimpla siedono sui sepolcri come custodi, e quando il tempo avrà cancellato, freddamente, anche le ultime rovine, esse con il loro canto riempiranno il vuoto e la loro armonia sopraffarrà per secoli il silenzio.
[235-240] Oggi, infatti, nell’arida Troade brilla un luogo, agli occhi del pellegrino, di una luce eterna, luce ricevuta per merito della ninfa Elettra, amata da Giove, da cui ebbe un figlio, Dardano, dal quale ebbero origine Troia, Assaraco (bisnonno di Enea), Priamo coi suoi cinquanta figli e i romani.
[241-253] Quando Elettra udì Atropo, la Parca della morte,
che la chiamava lontano dalla vita terrena
all'Eliso, il regno dell'oltretomba. A Giove
rivolse la sua ultima preghiera.- E se - diceva -a te furono cari miei capelli ed il mio viso e le dolci veglie d'amore, e non mi è concesso dal volere divino un premio migliore, almeno guarda benevolmente dal cielo la tua amata morta, cosicché della tua Elettra rimanga almeno il ricordo.-
Così pregando Elettra moriva. E ne piangea la morte tutto il monte Olimpo: Giove, piegando il capo in segno di consenso faceva cadere l'ambrosia sulla Ninfa; e rese sacro quel corpo e il suo sepolcro.
[254-295]Quivi fu sepolto Erittonio, e ivi riposano i resti del giusto Ilo: ivi le donne troiane scioglievano le loro chiome, inutilmente, tentando di tener lontana la morte imminente dei loro cari.
Ivi venne Cassandra, quando un dio in petto le face profetizzare il giorno fatale per la città di Troia, e ai defunti rivolse un canto denso d'affetti; insegnava ai giovani troiani il culto dei morti, con un canto funebre e amoroso. E diceva sospirando: Oh se mai da Argo
a voi il destino consentirà di ritornare,
dove come schiavi porterete al pascolo
i cavalli di Diomede e di Ulisse, invano cercherete la vostra patria! Le mura di Troia, opera di Febo Apollo fumeranno sotto i loro resti.
Ma gli dei protettori di Troia continueranno a risiedere in questi sepolcri; poiché è dono degli dei
conservare anche nella rovina la loro fama gloriosa.
E voi palme e cipressi, che crescerete ben presto.
nutriti dalle lacrime delle vedove troiane,
proteggete i miei padri; chi la scure
terrà lontana pietoso dalle sacre foglie
meno avrà da dolersi della morte dei congiunti, e potrà toccare gli altari degli dei con mano pura: < palme e cipressi > proteggete i miei padri Un giorno vedrete mendico e cieco un poeta vagare
sotto le vostre antichissime ombre, e brancolando entrare nei sepolcri, abbracciare le urne, e interrogarle: Gemeranno le tombe
nelle parti più interne, e narreranno la vicenda di Troia rasa al suolo due volte e due volte ricostruita splendidamente sui suoi resti per fare più bello e grande l'ultima vittoria dei Greci baciati dal destino. Il sacro poeta Omero
placando quelle anime con i suoi versi,
renderà eterno il ricordo dei Greci vincitori
per tutte le terre che abbraccia il grande oceano.
Anche tu avrai l'onore del ricorso; Ettore,
ovunque sia consacrato e compianto il sangue versato per la propria patria, per sempre finché il sole risplenda sulle sciagure uman

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