Crin d'oro e crespo e d'ambra tersa e pura

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Testo

Andrea Caruso IV A LST 22 / 11 / 07

Pietro Bembo: Crin d’oro e crespo e d’ambra tersa e pura.

PARAFRASI:

Capelli ricci biondi come l’oro, lucenti e nitidi come l’ambra, che ondeggiate e volate sul volto candido all’aria, occhi dolci e più chiari del sole, tanto splendenti da trasformare la notte più scura in un giorno luminoso,
sorriso che calma e placa anche le sofferenze più crudeli, portando la pace e la serenità, labbra e denti, da cui escono parole così dolci che l’anima no desidera nessun altra gioia, mani bianche come l’avorio, che incatena e ruba i cuori,
canto, che sembra un’armonia divina, assennatezza e prudenza, nella più giovane età, grazie mai veduta prima fra noi,
somma onestà congiunta ala massima bellezza, l’esca da cui sprigionò il fuoco, e sono in voi tante grazie, che il cielo destina a poche persone.

1.1 Le immagini più significative sono quella che caratterizzano l’aspetto della donna osannata: “crin d’oro crespo” per rappresentare i capelli biondi, “su la neve” che sta ad indicare il viso di colore candido, rappresenta la purezza, “occhi soavi e più chiari che il sole” per aumentare l’idea di luminosità e brillantezza, che viene ulteriormente accentuata nel v.4 “ da far giorno seren la notte oscura”, “riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura” quindi un sorriso che riesce addirittura a calmare le sofferenze più crudeli, “rubini e perle” che rappresentano rispettivamente le labbra rosse(color rubino) e i denti bianchi (colore delle perle), “mani d’avorio” che rappresentano il colore delle mani quindi non logorate da nessun tipo di lavoro, “ cantar, che sembra d’armonia divina” questa immagine viene usata per elevare al massimo la donna in quanto le viene aggiunto addirittura un tocco divino, “senno maturo a la più verde etade” nonostante sia giovane la ragazza è comunque dotata di grande senno e prudenza tipico delle donne mature, “e sono in voi grazie, ch’a poche il ciel largo destina “qui Bembo da un’ulteriore tocco divino alla donna in quanto conferisce a Dio il merito delle sue grazie, aggiungendo che è stato proprio Dio a scegliere lei tra le tante persone presenti sulla terra.

1.3 Le immagini sono tutte legate tra loro perché rappresentano tutte la bellezza e le virtù della donna amata, si possono tuttavia distinguere in immagini riferite all’aspetto puramente estetico della donna quindi che esaltano la bellezza: “crin d’oro”, “su la neve”, “occhi più chiari chel sole”, “riso ch’acqueta ogni aspra pena e dura”, “rubini e perle”, “man d’avorio”. Inoltre vi sono le immagini che rappresentano le virtù della donna: ”cantar, che sembra d’armonia divina”, “giunta a somma beltà somma onestade”, “e sono in voi grazie, ch’a poche il ciel largo destina”.

1.4 Le metafore sono : “crin d’oro”, “su la neve”, “occhi più chiari chel sole”, “riso ch’acqueta ogni aspra pena e dura”, “rubini e perle”, “man d’avorio”. Già spiegati al punto 1.1.

1.5 Una parola chiave all’interno del sonetto è “l’aura”, che mostra l’intento di Bembo di emulare lo stile petrarchesco. Infatti l’uso della parola l’aura è una forte allusione al sonetto di Petrarca “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi”.

1.6 È possibile dividere il sonetto in due aree semantiche differenti la prima costituita dalle prima due quartine ed è caratterizzata dalla presenza di elogi verso la donna amata di carattere estetico: capelli, viso, occhi, sorriso, bocca, denti e mani. La seconda area semantica è invece costituita dalle due terzine finali ed è individuata dalla presenza di virtù che vanno oltre la bellezza del corpo ma arrivano alla bellezza dell’anima e addirittura raggiungono la volontà divina.

2.1 Nel sonetto sono presenti due latinismi il primo lo si trova al verso 8 “fura” che significa ruba (v. rubare); il secondo latinismo al verso 11 “unqua” che significa mai.

2.2 Il termine l’aura è l’unico termine che potrebbe essere interpretato in due modi; ha ovviamente il significato di aria, ma potrebbe anche assumere il significato di Laura in quanto donna amata, anche se in questo sonetto Bembo non aveva l’intenzione di far assumere questo valore alla parola, è solo un modo per accentuare il petrarchismo.

3.1 Il testo è composto da un solo periodo, evidentemente ha una lunghezza non indifferente essendo l’unico in 14 versi.

3.2 È presente una literazione al verso 12, dove si ha una ripetizione della parola somma: “ giunta a SOMMA beltà SOMA onestade”.

4.1 Il componimento segue le caratteristiche del tipico sonetto petrarchesco, è quindi formato da due quartine iniziali più due terzine finali, in totale quindi è composto da quattordici versi.

4.2 I versi sono tutti endecasillabi, infatti c’è regolarità nella loro misura.

4.3 I versi del sonetto sono tutti piani. È presente una pausa al verso 13 “ fur l’esca del mio foco, e sono in voi”. Si individuano inoltre anche due cesure “rubini e perle, ond’escono parole” “ si dolci, ch’altro bell’alma non vole”.

4.4 Le rime seguono lo schema ABBA, ABBA, CDE, DEC. Non sono presenti rime all’interno dei versi.

4.5 Nessuno dei rimandi sonori precedentemente elencati assume un valore essenziale per la comprensione del testo.

4.6 Sono presenti due enjambement uno al verso 6 “rubini e perle, ond’escono parole/ sì dolci, ch’altro ben l’alma non vòle” e uno al verso 13 “fur l’esca del mio foco, e sono in voi/ grazie, ch’a poche il ciel largo destina”.

5.1 L’unico verso in cui è possibile notare una ricorrenza di suoni è al primo verso dove a mio parere la lettera r compare con un alta frequenza nelle parole.

5.2 Non ci sono suoni vocalici veramente significativi.

5.4 è presente un’allitterazione al primo verso: “cRin d’oRo cRespo e d’ambRa teRsa e puRa”.

6.1 Il componimento è costituito da un solo tema in particolare quello della bellezza della donna amata. E per tutto il sonetto ha valore descrittivo.

6.2 il tema principale è quello dell’esaltazione della bellezza e delle virtù della donna amata.

6.4 no non si rivolge a un interlocutore in particolare.

6.5 È possibile collegare il sonetto di Bembo con il sonetto di Petrarca “erano i capei d’oro a l’aura sparsi”; questo a causa della presenza della parola “l’aura”, inconfondibile allusione al sonetto di Petrarca.

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